il centro in periferia
di Renzo Rossi
L’invito di un vecchio amico mi ha portato, in una domenica dello scorso mese di marzo, ad un antico e accogliente borgo: Montecastelli Pisano, uno dei tanti gioielli semi-sconosciuti che fanno parte dell’Alta Val di Cecina. È situato tra i monti che, con il loro meraviglioso panorama che spazia all’infinito, separano la provincia di Pisa da quella di Siena, un paese ben tenuto e mantenuto nei suoi aspetti storici con impegno ed amore per merito dei suoi pochi abitanti ed, infatti, è alla loro convinta partecipazione che si devono le iniziative culturali e musicali che periodicamente vi vengono effettuate con particolare frequenza nel corso della stagione estiva.
Il motivo dell’invito ricevuto era quello di partecipare ad una conferenza che, per me, aveva un titolo un po’ strano: infatti si parlava dei vari volti del patrimonio culturale immateriale. Così sono venuto a conoscenza che il patrimonio culturale non è solo dato da monumenti o collezioni di oggetti, scritti, storia e quant’altro, ma anche dalle tradizioni storiche trasmesseci dai nostri antenati, insomma esso è composto da tutte quelle cose, usi e costumi, modi di fare e parlare che, specialmente nei piccoli paesi, erano da secoli divenuti di uso comune, provenienti da un lontano passato e pervenute fino ad oggi nella memoria che, per lo più, sono terminate nella nostra vita quotidiana dopo gli anni Cinquanta dello scorso secolo.
La conferenza è stata tenuta dal professor Pietro Clemente, già docente di Antropologia e Cultura presso le Università di Firenze e Roma e, prima ancora, Storia delle tradizioni popolari a Siena. Al termine ebbi con lui una piacevole conversazione su quanto ci aveva illustrato, nonché sulla scomparsa dei vecchi saperi e di un modo di vita che si è velocemente trasformato, specialmente con l’abbandono dei piccoli borghi posti nelle aree situate nell’entroterra che, col passare degli anni, va sempre di più accentuandosi e questo stato dei fatti sta portando gravi difficoltà nel campo sociale ed economico, sia per la perdita di valori, tradizioni e storia, ma in particolar modo per la precarietà dei servizi concessi ai pochi abitanti che vi rimangono per i forti legami che ancora riescono a mantenere con la loro terra.
Infatti non è facile vivere in luoghi privi dei servizi essenziali: lavoro, sanità, scuole, trasporto pubblico, attività commerciali, ecc. Di questa grave situazione in cui viviamo negli ormai piccoli paesi, in molte occasioni del passato avevo più volte evidenziato, anche in campo politico, la impietosità dei dati demografici che, di anno in anno, si abbassavano nella loro consistenza. Portando un esempio locale, riferendomi ai Comuni dell’Alta Val di Cecina, nel 1973, al momento della costituzione della Comunità Montana tra i Comuni della zona, gli abitanti che la componevano erano circa 33 mila, oggi siamo rimasti in 19.831, così suddivisi per ciascun Comune (tra parentesi sono indicati gli abitanti del censimento 1951): inizio con la trimillenaria città di Volterra 9.830 (19.156), Pomarance 5.473 (9.349), Castelnuovo Val di Cecina 2.121 (5.043), Montecatini Val di Cecina 1.660 (5.378) e Monteverdi Marittimo 747 (1.971). Il che equivale a dire che in mezzo secolo la consistenza demografica dei Comuni dell’Alta Val di Cecina si è ridotta di oltre la metà. Per quanto riguarda il mio Comune, Montecatini Val di Cecina, dove la presenza della mia famiglia risale al 1600, si è addirittura ridotta del 70%, Volterra 51%, Pomarance 41,46%, Castelnuovo Val di Cecina 58% e Monteverdi Marittimo 62,60%. Complessivamente, dal censimento del 1951, abbiamo avuto una recessione demografica della zona pari al 51,60%.
Debbo dire che sin dal 2003 nel mio Comune qualcosa di positivo è stato realizzato con il Museo delle Miniere, con il preciso scopo di valorizzare il patrimonio storico e antropologico di archeologia industriale localizzato in parte sotto il livello del suolo, rendendo alcune gallerie della vecchia miniera di rame accessibili al pubblico, nel rispetto della sostenibilità ambientale, creando così una originale nuova offerta con il “turismo sotterraneo”. Questa iniziativa pubblica, purtroppo, non è servita a dare i risultati attesi, in quanto si trova ad essere al di fuori dei grandi circuiti storico-culturali, anche a causa della scarsità delle azioni promozionali atte alla valorizzazione di questo “tesoro nascosto”.
Era da tempo, esattamente dalla fine degli anni Ottanta, che cercavo di far comprendere che stava avvenendo l’inizio di una crisi generale per l’intera zona, a partire dal lavoro, e, poi ancor più, sotto tutti gli aspetti sociali, portandoci ad una situazione demografica non più sostenibile, per le difficoltà che essa comporta nella vita quotidiana di ciascuno di noi, a causa della mancanza dei servizi essenziali prima indicati, indispensabili per le persone che vi abitano; tra l’altro è da considerare che quasi la maggior parte di esse sono ultrasessantenni, quindi i più deboli dal punto di vista sia assistenziale sia nella vita quotidiana.
Per la mancanza di lavoro non esistono più le sicurezze sociali di una volta ed ora, man mano, si viene ad aggiungere l’assenza dei servizi di prima necessità. La nostra Repubblica democratica, di cui ognuno di noi fa parte, è fondata sul lavoro e il lavoro porta con sé dignità e l’opportunità di una collocazione nella società, di creare una famiglia. Al centro dei progetti di una persona c’è il lavoro: un lavoro che offra la possibilità di crescere e di vivere in modo dignitoso, che consenta la partecipazione alla costruzione del “bene comune” che, guardando al futuro, dia alle giovani generazioni gli strumenti per approcciarsi ad un nuovo umanesimo. Così che i cambiamenti assicurino una migliore qualità della vita e la speranza che i nostri paesi possano tornare a crescere con la solidarietà e la partecipazione di una volta.
Guardando al quadro nazionale della demografia in Italia osservo che una costante diminuzione si sta verificando ovunque nel nostro Paese da alcuni decenni: le persone muoiono ma le nascite sono inferiori al numero di coloro che sono scomparsi. Con il dissolvimento della famiglia di tipo patriarcale che sopperiva alle necessità dei figli, con le nuove modalità nel campo del lavoro e con particolare riguardo al ruolo della donna e la mancanza di adeguate strutture socio-assistenziali di aiuto alle famiglie, non è possibile risolvere questo delicato problema. Difficilmente troviamo genitori con più di due figli. Il problema della denatalità alcuni anni fa colpì la Francia e la Germania che, con opportuni provvedimenti legislativi hanno saputo superare questa precarietà che, negli anni futuri, nel nostro Paese provocherà gravi ripercussioni negative a livello sociale. A questo proposito, tempo fa, ebbi a leggere in una rivista che, perpetuandosi questa situazione, tra una cinquantina di anni gli italiani che possiamo considerare “puri” rimarranno circa 25 milioni. Questa situazione negativa, nei nostri borghi e piccoli paesi, la possiamo verificare ogni giorno con la maggior parte dei residenti anziani.
Ed è proprio in queste direzioni che dovrà essere rivolta ogni migliore attenzione ed essere partecipi di ogni sforzo politico di coesione, con idee e proposte, per superare le difficoltà in cui si trovano ad operare coloro che, sia in ambito locale che centralmente, sono chiamati a responsabilità di governo. Occorre pensare al futuro con ampia visione, come a proposito affermava John Kennedy: «Il cambiamento è una legge della vita e coloro che si ostinano a guardare solo e sempre il passato o si concentrano sul presente possono essere sicuri di perdersi il futuro».
Un paio di anni fa fui invitato in un Comune vicino (Guardistallo) alla cerimonia dell’atto costitutivo del Distretto Rurale della Val di Cecina, sorto su iniziativa della Confederazione Italiana degli Agricoltori della provincia di Pisa, al quale insieme ad altri Enti ed Associazioni agricole, hanno poi aderito anche Comuni sia dell’area livornese che di quella pisana facenti parte del comprensorio oltre alla Regione Toscana. Leggendo il programma, peraltro assai intenso, mi sono ricordato di un articolo scritto da Carlo Petrini, fondatore dell’Associazione Slow Food, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” un paio di anni fa, incentrato sul declino demografico che da anni si è venuto a creare in moltissimi paesi dell’entroterra, nonché sull’attenzione e le risorse necessarie ad affrontare e cercare di risolvere questi problemi. Esso conteneva indicazioni che ritengo abbastanza attinenti a quanto il Distretto Rurale si è proposto per il futuro della propria area operativa nei dodici Comuni aderenti al progetto.
In alcuni paesi toscani ho avuto modo di verificare iniziative che, pur sembrando esercizi di “amarcord”, si sono rivelate risolutive nel recupero di economie locali, con la valorizzazione degli aspetti ambientali e storici, con la promozione di certe riscoperte rese fruibili ai visitatori, con la pubblicizzazione attraverso la rete della molteplicità delle risorse locali fino alla ristorazione e alla peculiarità culinaria di ciascuna località. A distanza di tempo, questa idea è divenuta realtà e, in alcune zone, sta contribuendo concretamente a ricostruire una microeconomia in aree interne a carattere montano a forte rischio di spopolamento e abbandono. Ad esempio, l’area dell’Alta Val di Cecina, dove abito, costituisce più di un terzo del territorio della provincia di Pisa, ma con i suoi 19.831 abitanti attuali (nel 1951 ne contava 40.987) e, come già detto prima, ha subìto una perdita demografica del 51,60%, ed oggi nel contesto provinciale rappresentiamo solo il 4,7% della sua popolazione. Quindi politicamente contiamo poco ed è della massima urgenza lavorare alla ricerca di soluzioni che possano, almeno in parte, risolvere questo stato di fatto che ogni giorno che passa ci impoverisce ancor più.
Quando si è cercato di fare qualcosa, dando vita ad esperimenti di sostegno alle attività commerciali di prossimità nelle aree interne, a molti è sembrato un indebito tentativo di contrastare un naturale processo di concentrazione del commercio nei Comuni più grandi e popolati. Eppure in non poche realtà questo tipo di impegno sta avvenendo ed ha successo, con paesi che rinascono e giovani che restano o addirittura ritornano. Perché, è ovvio, le botteghe sono l’anima dei borghi, come del resto lo erano una volta nei quartieri della città. Comunità e appartenenza sono peculiarità dei piccoli centri e delle periferie dove sono presenti o si ricostituiscono servizi fondamentali per i residenti: dagli alimentari all’edicola o al bar che, magari, nelle entità abitative minime, possono essere riuniti nello stesso luogo fisico. La bottega moderna è infatti tutto questo e le nuove tecnologie consentono di integrare ulteriori servizi come, ad esempio, il ricevimento o l’invio di pacchi o i pagamenti delle utenze. Segno che, seppur lentamente, risorge il bisogno di comunità e di partecipazione, di cooperazione e di collaborazione.
Il tema della rivitalizzazione delle aree marginali è centrale: i Piccoli Comuni occupano il 70% del territorio nazionale e rappresentano un inestimabile patrimonio di biodiversità naturalistica, agricola, gastronomica, culturale, storica e architettonica, ma vantano purtroppo un numero di abitanti che equivale al solo 16,61% dell’intera popolazione nazionale. Tuttavia questa marginalità può offrire reali possibilità di crescita economica, può essere una risorsa, una potenziale fonte di ricchezza se collocata in un contesto che risponda al bisogno di economia circolare, con adeguata rilocalizzazione e promozione di un turismo veramente ecologico.
Ovviamente il cuore di questo processo non può che essere l’agricoltura, essendo il comparto che, attraverso pratiche virtuose, più di ogni altro può mettere a valore queste risorse. Occorre però che i necessari finanziamenti non siano distribuiti a pioggia ma indirizzati, ad esempio, all’imprenditorialità che in queste zone svolga realmente attività qualificanti di allevamento e produzione agricola, che preveda la tutela dell’ambiente, il mantenimento della fertilità dei terreni, la genuinità della produzione eno-gastronomica, la presenza umana e la permanente salvaguardia del territorio in tutti i suoi aspetti.
Da tempo quella che era la civiltà rurale con i suoi riti e le sue regole è stata soppiantata, in una maniera tanto rapida quanto incontrollata, dal modello di capitalismo globalizzato facendo venir meno, in ambito agricolo, una delle eredità più grandi del patrimonio antropologico del dopoguerra fino agli anni Settanta. Che oggi è necessario rivalorizzare velocemente per le necessità agro-alimentari che derivano dall’improvviso stato di guerra Russia-Ucraina, che ci ha colpito notevolmente anche in altri settori della vita quotidiana e di quella produttiva.
I segnali positivi di una possibile inversione di tendenza, seppure lentamente, possiamo forse già intravederli, ma è necessario un cambio di mentalità, è indispensabile avere una nuova cultura su queste problematiche, così come sono necessari adeguati interventi pubblici, iniziando dalla viabilità fino alle bonifiche idro-geologiche necessarie alla peculiarità propria di molte aree di questo territorio. Inoltre dovranno essere garantiti i servizi primari, con piani di riordino amministrativo che interessino le scuole, i trasporti pubblici, e l’assistenza socio-sanitaria, tenendo a mente che senza i servizi essenziali nessuna comunità può avere un futuro (addirittura è di attualità anche la riduzione dei servizi postali e di quelli bancari). Nel disegno e nella implementazione delle politiche pubbliche territoriali credo sia indispensabile considerare vari fattori determinanti e non basarsi esclusivamente sul numero degli abitanti. È ovvio infatti che tagliando i servizi di conseguenza diminuiscono anche gli abitanti, avviando un circolo vizioso difficile da invertire.
Vista le potenzialità delle aree marginali, dobbiamo pensare ad un’Italia dal benessere diffuso, in cui sia possibile costruire opzioni di vita promettenti a tutte le latitudini, accelerando il processo di diffusione capillare di quelle nuove tecnologie che consentono l’accesso alla rete internet anche nelle zone più remote. Perché è indubbio che il vero simbolo dell’italianità e del saper vivere in questo “bel Paese” è oggi rappresentato dai piccoli borghi. Ma occorre essere consapevoli che, per la loro riscoperta e per renderli attraenti, occorre ripartire dalla cultura, indispensabile alla valorizzazione dei contesti territoriali.
Oggi stiamo assistendo ad una delocalizzazione del turismo e ad un desiderio di allontanarsi dalle grandi città: due italiani su tre sfuggono al sovraffollamento trasferendosi, soggiornando e visitando le piccole realtà capaci di offrire una buona qualità di vita. La loro valorizzazione è il migliore antidoto contro l’abbandono e il conseguente degrado di territori cosiddetti marginali. Come ho già detto, in Italia il 70% dei Comuni conta meno di cinquemila abitanti, di cui circa duemila risultano in stato di quasi abbandono, proprio a causa della notevole recessione demografica, purtroppo, tra questi ultimi è incluso anche il mio Comune, Montecatini Val di Cecina.
A coloro che vi risiedono, la natura, ogni giorno, offre quel ventolino proveniente dal mare che soffia leggero per i vicoli di questi nostri vecchi paesi che, sullo sfondo dell’orizzonte, ci offrono anche l’azzurro del mare e al calar del sole, con i suoi tramonti, illumina di colori vivaci le nostre vallate che unite al verde delle colline ci donano uno spettacolo fantastico. Tutto ciò, oltre alle altre valutazioni, dovrebbe invogliarci a cercare tutte le iniziative possibili per giungere alla riqualificazione e valorizzazione di questo invidiabile territorio, nonché per promuovere il patrimonio delle nostre antiche tradizioni e dei nostri saperi.
È necessario mettersi insieme per rivitalizzare il tessuto socio-culturale ed economico-produttivo dei borghi e dei centri storici, favorendone il loro recupero e la riqualificazione conservativa del patrimonio edilizio. Occorre non dimenticare che i nostri borghi rappresentano luoghi di cultura, un patrimonio unico che è stato abbandonato e trascurato ed oggi è nostro preciso dovere combattere la loro desertificazione sostenendone la riscoperta della storia e delle antiche tradizioni, oltre a comprendere che dobbiamo accogliere i visitatori con tanto calore e genuinità.
Certamente da soli non ce la possiamo fare, occorre infatti un sostegno atto a rinforzare le nostre idee, iniziative e progetti ed è quindi necessario disporre del sostegno pubblico, sia politico che economico da parte degli Enti che ne hanno facoltà legislative. Nel nostro caso, già di per se, ci troviamo a far parte di una Regione che da secoli possiede una ricchezza culturale, storica e turistica come poche altre in Italia e, quindi, dobbiamo far sì che la Regione Toscana affronti seriamente questo problema e si faccia carico della promozione e sviluppo degli interventi fondamentali.
Possiamo quindi convenire e concludere che spetta a ciascuno di noi che, in questi tesori nascosti, ci viviamo quotidianamente, iniziare a farli ben conoscere in tutte le loro peculiarità, perché ciò equivale ad intraprendere il cammino per farli davvero rinascere.
Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022
______________________________________________________________
Renzo Rossi, abita dal 1940 a Montecatini Val di Cecina. Autodidatta. Dopo alcune saltuarie esperienze di lavoro, nel 1963 fu assunto alla Larderello S.p.A. e successivamente, con la nazionalizzazione dell’energia elettrica, trasferito all’Enel di Pisa, dove trascorse trent’anni. Nel 1970 fu eletto in Consiglio Comunale di Montecatini e nel 1990 fu nominato Sindaco, per tre mandati consecutivi, fino al 2004. I suoi interessi hanno sempre avuto al centro Montecatini, ne ha promosso la storia contribuendo a realizzare il Museo delle Miniere sui resti di quella che, attiva per ottanta anni dal 1827 al 1907, fu considerata la miniera di rame più importante d’Europa, dove, nel 1888, prese origine la società Montecatini. Nel 2010 ha pubblicato Frammenti da una guerra in cui prende in esame gli anni dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale alla nascita della Repubblica, e nel 2021 ha dato alle stampe l’autobiografia dal titolo Montecatini nel cuore in cui ripercorre la sua vita tra famiglia, lavoro e Comune.
______________________________________________________________