per Luigi
di Roberto Cipriani
Premessa
Ancora una volta ho avuto difficoltà a scrivere di un Collega scomparso. Perciò ho continuamente rinviato l’inizio della stesura di questo testo. Nel decidermi, finalmente, dopo un paio di settimane, sono tante le immagini che mi si addensano nella memoria che riguarda Luigi Maria Lombardi Satriani. Innanzitutto mi sovviene l’idea di una figura pacata, dal linguaggio talora forbito, degno di riconoscimento in un premio letterario. Il che in effetti è avvenuto nel 1982, con il Premio Viareggio per la saggistica al volume Il ponte di San Giacomo. L’ideologia della morte nella società contadina del Sud, edito da Rizzoli a Milano nel 1982, scritto con un altro compianto del passato, Mariano Meligrana, suo coetaneo, ricercatore di Storia delle tradizioni popolari nell’Università di Messina, morto a soli 46 anni proprio nel medesimo anno.
Resta singolare il fatto che due diversi editori abbiano pubblicato un identico libro, ma con la variazione del sottotitolo che manca nelle edizioni di Sellerio nel 1989 e nel 1996. Il sodalizio fra Meligrana e Lombardi Satriani era quasi scontato, per il comune interesse al mondo contadino, come testimoniato dall’altro volume a firma duplice dal titolo Diritto egemone e diritto popolare. La Calabria negli studi di demologia giuridica, edito da Qualecultura a Vibo Valentia nel 1975 e ripubblicato da Lombardi Satriani nel 1995 presso Jaca Book di Milano.
Un altro elemento caratteristico di Lombardi Satriani era la sua straordinaria capacità di mettersi all’altezza del suo interlocutore, al suo stesso livello, nelle interviste come nei dibattiti. Ne resta una prova evidente nel film di ricerca “Natuzza Evolo” (90 minuti, 1987), realizzato insieme con Maricla Boggio sulla vicenda umana e religiosa di Natuzza Evolo (cfr. M. Boggio, L. M. Lombardi Satriani, Natuzza Evolo. Il dolore e la parola (Armando, Roma, 2006), resa nota con il titolo – un po’ fuorviante – di veggente di Paravati, in Calabria. In precedenza la collaborazione fra i due aveva dato luogo ad un’altra produzione filmica, definita antesignana del femminismo in Italia: “Marisa della Magliana” (RAI, 1975). Più di recente, ancora con Lombardi Satriani, la Boggio e il suo compagno Francisco Mele avevano pubblicato il volume Dominot. Racconto confidenziale di un artista en travesti (Armando, Roma, 2016).
Insomma, si era realizzato un sodalizio durato molti anni e dai risultati di prim’ordine perché lasciano una traccia indelebile di alcune significative fenomenologie antropologico-culturali. Peraltro, già in precedenza, con Boggio e Mele, erano stati pubblicati Il volto dell’altro. Aids e immaginario (Meltemi, Sesto San Giovanni, 1995) e, con Boggio e Bucaro, Come una ladra a lampo. Madonna della Milicia, sacro e profano (Meltemi, Sesto San Giovanni, 1996).
Ma, invero, resta esemplare il modello dell’antropologo, barone di Porto Salvo, che si mette continuamente nei panni dei suoi intervistati, un contadino o una contadina, che diventano i veri protagonisti della ricerca scientifica sul campo, com’è avvenuto nel caso appunto di Natuzza di Paravati, di cui nel 2018 è iniziato ufficialmente il processo di beatificazione da parte della Chiesa cattolica.
Basta dare uno sguardo al citato film della Boggio per rendersi conto dell’esemplare modo di condurre un’intervista da parte di Lombardi Satriani. Il suo non è tanto un interrogare, un inquisire, quanto un interpellare, un sollecitare con garbo, un chiedere spiegazioni, per di più su un argomento estremamente problematico come quello delle visioni, delle tracce di sangue, delle escursioni nell’aldilà. Lo studioso nativo di Briatico non aveva certo simpatie particolari per il cattolicesimo ma si era avvicinato al “caso” di Paravati in punta di piedi, in forma sommessa, quasi sottovoce. Ed aveva intessuto con Natuzza un fitto dialogo, fatto anche di silenzi, pause, attese, incertezze, confronti calibrati, precisazioni appena accennate o lasciate intravedere. Si vede chiaramente che fra i due intercorre in primo luogo una forte fiducia reciproca, che la condivisa appartenenza alla cultura calabrese legittima e consolida. A me pare che proprio questo rapporto confidenziale, rispettoso, calmo, sereno, senza acuti, rappresenti sul piano scientifico una sorta di étalon, point de repère, di ogni indagine antropologica e sociologica.
Non si può certo negare che Luigi Maria abbia svolto un preminente ruolo di intellettuale a tutto rilievo nella cultura italiana tra XX e XXI secolo. Egli ha attraversato diverse fasi e fornito altrettante interpretazioni degli avvenimenti maggiori nel nostro Paese, a partire dalla celebre rivolta di Reggio Calabria, scoppiata allorquando si decise di scegliere Catanzaro come capoluogo della regione (cfr. Rivolta e strumentalizzazione. Il caso di Reggio Calabria, Qualecultura, Vibo Valentia, 1971; FrancoAngeli, Milano, 1975).
Dopo aver insegnato nell’Università di Messina è passato a quella di Napoli ed infine alla Sapienza di Roma. Era stato anche Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria. In ogni sede universitaria ha operato intensamente, creando altrettante scuole di antropologia culturale e favorendo la formazione e l’affermazione di numerosi studiosi nel suo settore scientifico-disciplinare: Francesco Faeta a Messina, Lello Mazzacane a Napoli, Laura Faranda a Roma e Vito Teti in Calabria. Aveva avuto anche esperienze all’estero (ad Austin in Texas e San Paolo in Brasile).
Molto impegnato ed esposto politicamente, era stato senatore della Sinistra Democratica-L’Ulivo dal 1996 al 2001, facendo parte della Commissione Cultura e della Commissione Bicamerale per il contrasto alla mafia. Non aveva messo da parte le lezioni diverse di Antonio Gramsci e di Ernesto de Martino, anzi ne aveva fatto tesoro, pur rielaborandole e commisurandole ai dati della ricerca sul campo, nell’ambito della religiosità popolare, del folclore e della cultura contadina.
Sebbene si avvalesse di qualificate e cospicue collaborazioni, nel corso delle sue campagne investigative, era però sempre presente sul terreno, in modo discreto, soprattutto da osservatore-partecipante agli inizi e sino a diventare talora un partecipante-osservatore in corso d’opera. Ne ho constatato direttamente e personalmente la capacità immersiva, mentre venivano celebrati i riti settennali di Guardiasanframondi in Campania, in onore di Maria Santissima Assunta, nella domenica del 24 agosto 1975, mentre alcune centinaia di persone si battevano il petto con 33 spilli fino a farne sgorgare il sangue, in un rito penitenziale espiatorio, invocatorio ed impetrativo.
Ho ancora ben presente il suo sguardo assorto ed acuto allo stesso tempo, cioè di uno studioso che sa bene che cosa cogliere, a che cosa porre attenzione, senza lasciarsi distrarre dall’impaccio di una macchina fotografica o di una cinepresa, che svolgono ben altri compiti esplorativi della realtà. Se lo strumento tecnologico era in grado di imprimere sul nastro magnetico o sulla pellicola in triacetato di cellulosa e alogenuro d’argento alcuni dettagli rituali, era però lo sguardo libero di Lombardi Satriani che riusciva ad individuare elementi in apparenza trascurabili ma in effetti particolarmente rilevanti ai fini dell’analisi del fenomeno osservato.
Si potrebbe dire che l’antropologo di San Costantino di Briatico preferisse un atteggiamento simil-serendipity, al fine di cercare la chiave di lettura primaria delle azioni svolte. In pratica, quel suo particolare tipo di osservazione consentiva – in forma quasi estraniata apparentemente, ma fortemente presente – di giungere a qualche casuale e gradita sorpresa-scoperta, senza alcuna predisposizione anticipatoria e senza riferimenti ad ipotesi di lavoro predefinite. Dunque, si poteva trattare di un esito inatteso, non cercato e appunto per questo più utile ai fini della ricerca, in quanto consentiva di utilizzare ermeneutiche inconsuete, non collaudate ed innovative.
Vorrei, però, anche ricordare la polemica che Lombardi Satriani aprì nei riguardi di un quotidiano di sinistra, Paese Sera, che tramite un suo giornalista aveva ironizzato nei riguardi dei penitenti di Guardiasanframondi, riferendo di aver visto Gesù Cristo prendere il cappuccino al bar (in relazione ad un figurante che partecipava al corteo processionale dei circa 300 autobattentisi a sangue). L’intervento dell’antropologo metteva in evidenza la scarsa professionalità dell’inviato del giornale e la sua incapacità di comprendere la reale portata di un’azione meditata e consapevole, messa in atto da contadini nient’affatto sprovveduti ed anzi in grado di modernizzare tecnologicamente il processo di produzione del vino.
La registrazione audiovisuale di circa 90 ore in presa diretta di tutte le fasi dell’evento, dai preliminari alla conclusione, avrebbe permesso una “restituzione” della prima proposta di montaggio, per circa 75 minuti (un format per la RAI), da sottoporre al vaglio dei protagonisti stessi della celebrazione, in modo da ottenerne il consenso. Per di più era stato piuttosto lungo il periodo di avvicinamento e di frequentazione dei candidati battenti, vivendo con loro nel quotidiano e facendo esperienza comune nella convivialità, nei preparativi, nelle discussioni previe e nelle prese di posizione. Il che era avvenuto in forma non populistica ma realmente partecipativa, rispettando il principio per cui “non si fa scienza al di sopra delle persone ma con loro”. In tal modo si evitava l’estraneità reciproca fra ricercatori ed attori sociali “guardiesi” e si favoriva una resa audiovisuale finale non basata su estetismi e tecnicismi. Soprattutto era evidente che non si trattava di soggetti arcaici ma ben presenti a se stessi e al loro tempo. A ciò si aggiungeva anche una critica di fatto a de Martino, che, a dire di Lombardi Satriani, non aveva lasciato buone tracce di sé tra i lucani, i quali non sarebbero stati trattati alla pari e, pertanto, «non volevano nemmeno sentire il nome di de Martino».
L’esperienza di ricerca a Guardiasanframondi fu certamente fondamentale per predisporre, in seguito, il libro dal titolo De Sanguine (Meltemi, Roma, 2000).
Per quanto gli era possibile Lombardi Satriani prendeva parte da relatore o anche da semplice uditore-spettatore a varie manifestazioni culturali, accademiche, scientifiche, specialmente se organizzate nel meridione o vertenti su tematiche meridionalistiche. Ma non era un partigiano miope, giacché rivolgeva il suo sguardo anche verso culture altre dalla sua di riferimento. E non disdegnava di allungare la portata della sua ottica sino a movimenti e dinamiche appartenenti ad un lontano passato, persino arcaico.
Fu proprio in occasione di una di tali manifestazioni che ebbi modo di approfondire la conoscenza dell’antropologo che già leggevo e stimavo da tempo. Era un convegno annuale organizzato dallo storico del teatro Federico Doglio sul teatro medievale e rinascimentale. Nel 1982 il tema fu Rappresentazioni arcaiche della tradizione popolare, divenuto altresì titolo del libro degli atti pubblicati da Union Printing di Viterbo nel 1982. Durante le pause del convegno si usava passeggiare in lungo e in largo nel quartiere viterbese medievale di San Pellegrino, scambiandoci informazioni e pareri, consigli e propositi, ma pure qualche sfida ad affrontare autori e correnti non particolarmente compulsati dalla letteratura corrente. Capitò che proprio Lombardi Satriani mi introducesse presso Nino Buttitta, noto antropologo palermitano, che m’indusse ad interessarmi in maniera specifica di Claude Lévi-Strauss, cosa che avvenne qualche anno dopo con la pubblicazione del mio Claude Lévi-Strauss. Una introduzione, presso Armando a Roma, nel 1988. Ma non fu solo quello il frutto dell’incontro con due esponenti di spicco dell’antropologia culturale italiana. Debbo dire che lì nacque una considerevole dimestichezza con l’antropologo calabrese, che si trasformò in una vera e propria collaborazione in vista di un convegno romano in Sapienza, che vide la partecipazione di numerosi studiosi, tanto che fu fatta una scelta molto severa dei vari contributi, per cui solo alcuni vennero dati alle stampe nel volume che ne seguì, da me curato insieme con Lombardi Satriani: Il cibo e il sacro (Armando, Roma, 2013). L’iniziativa riscosse un notevole successo e fu accompagnata da un costante riscontro nei giornali e reti radio-televisive.
L’attenzione di Luigi non si è volta solo ai convegni nazionali e internazionali cui ha preso parte, ma ha tenuto conto anche di piccole realtà locali cui ha dedicato studi e ricerche, che hanno contribuito alla conoscenza ed alla valorizzazione di eventi e fenomeni altrimenti periferici. Non è senza motivo che, per esempio, il comune calabrese di Oriolo, in provincia di Cosenza, abbia reso omaggio al Nostro (che vi aveva inaugurato la “Casa delle Arti e delle Idee”), conferendogli la cittadinanza onoraria per aver favorito la diffusione di taluni aspetti della cultura del posto.
Né va dimenticato che Luigi Maria Lombardi Satriani molto si è speso a favore delle nuove generazioni, segnatamente di giovani antropologi culturali in carriera, da lui sostenuti e favoriti in diverse sedi anche concorsuali (registrando forse qualche smacco, ma questo rientra appieno nella casistica in merito). Qualche risultato negativo in termini di progressione curricolare di suoi allievi è probabilmente dovuto anche, ma non solo, a specifiche idiosincrasie con colleghi della disciplina, più propensi a garantire gli esponenti della propria scuola che non a patrocinare cause altrui. Tali divergenze si sono espresse talvolta attraverso veti reciproci, diversità di opinioni, contrasti insanabili. Fra l’altro al termine di una serie di seminari, con relazioni e dibattiti da me organizzati nel 1977 presso la Sapienza di Roma, emerse un’evidente divergenza tra Lombardi Satriani e l’etnologo Vittorio Lanternari, con una richiesta da parte dell’uno (che conviene non indicare) volta ad escludere dalla pubblicazione il contributo dell’altro. Alla fine riuscii nell’intento di mantenere entrambi i testi nel libro Sociologia della cultura popolare in Italia, da me curato ed edito presso Liguori a Napoli nel 1979. Lanternari interveniva su “Spreco, ostentazione, competizione economica nelle società primitive e nella cultura popolare: il comportamento festivo” e Lombardi Satriani su “Il folklore come cultura di contestazione”.
In una prima fase della sua lettura antropologica applicata essenzialmente al mondo delle culture meridionali, Lombardi Satriani ha usato il termine contestazione in un’accezione un po’ diversa da quella in voga nella seconda metà del secolo scorso. Egli pensava, invece, ad una contestazione come testimonianza “altra” rispetto a quelle più ricorrenti, di massa. E poi estendeva il discorso oltre i limiti dei confini del sud italiano. Questo risultava chiaramente dal suo lavoro forse più noto nei suoi primi anni di attività scientifico-accademica: Il folklore come cultura di contestazione (Peloritana, Messina, 1966).
Ma il legame principale è stato quello con la Calabria, come documentato dai volumi Un villaggio nella memoria. L’emigrazione, il folklore, il turismo, la mafia, la religione e la donna in Calabria (Gangemi, Roma, 1984; 1997), scritto con Mariano Meligrana e vincitore del Premio Sila, nonché Lo sguardo dell’angelo. Linee di una riflessione antropologica sulla società calabrese (Centro Editoriale e Librario, Rende, 1992; 1995) e Madonne, pellegrini e santi. Itinerari antropologici-religiosi nella Calabria di fine millennio (Meltemi, Sesto San Giovanni, 2000).
Anche la Campania è stata oggetto di varie indagini, che hanno portato, fra l’altro, alla curatela di Santità e tradizione. Itinerari antropologici-religiosi nella Campania di fine millennio (Meltemi, sesto san Giovanni, 2000) ed alla collaborazione con Domenico Scafoglio per Pulcinella. Il mito e la storia (Leonardo, Milano, 1992).
Copiosa è stata, infine, la produzione nel corso della permanenza a Roma: Il silenzio, la memoria e lo sguardo (Sellerio, Palermo, 1983), La stanza degli specchi (Meltemi, Roma, 1994; 2005), Nel labirinto. Itinerari metropolitani (Meltemi, Roma, 1992; 2000); Il sogno di uno spazio. Itinerari ideali e traiettorie simboliche nella società contemporanea (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004), La bontà d’un re e le sventure d’un popolo (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006), Potere, verità, violenza (2 volumi, Città del Sole, Reggio Calabria, 2014, vol. I; 2016, vol. II). Né vanno dimenticate alcune curatele considerevoli, tra cui RelativaMente. Nuovi territori scientifici e prospettive antropologiche (Armando, Roma, 2010) ovvero gli Atti dell’XI Convegno Nazionale dell’Associazione Italiana per le Scienze Etno-Antropologiche (AISEA).
Un tassello importante è costituito altresì da alcune opere a carattere letterario: L’evasione dai sogni. Poesie (La vita felice, Milano, 2015) con prefazione di Elio Pecora e postfazione di Dante Maffia, Omnia vincit amor. Poetica dell’Amore (Ferrari, Rossano, 2017) e Vaghe stelle dell’Orsa. Il passato è il futuro, Luoghinteriori, Città di Castello, 2019. Proprio da queste ultime tre opere emerge la figura di un Lombardi Satriani più soggettivo ed autobiografico, con un profilo interiore che rimanda all’esteriore e viceversa, un esito, questo, che non era difficile attendersi, se si fosse posta attenzione al suo stesso stile di ricerca e di relazionalità interpersonale che lo hanno caratterizzato per decenni in accademia e in politica, a livello amicale e pubblico, individuale e collettivo.
Se è stato difficile iniziare ancor più difficile è concludere. Però la modalità stessa del suo funerale a san Costantino di Briatico, nel luogo natio, aiuta a trovare qualche parola in più al momento del distacco. Innanzitutto è singolare lo scenario: sotto un gazebo all’aperto, dinanzi ad una casa bassa, a livello della strada, il vescovo del posto è attorniato da un nugolo di sacerdoti. La bara è posta nell’intervallo spaziale che intercorre fra l’ufficialità del rito e quella delle autorità pubbliche (alcuni sindaci con la fascia tricolore): Poi i familiari e tanti amici, colleghi, conoscenti, gente del popolo e del posto da lui amati oltre ogni dire. La maggior parte di loro è all’ombra sul lato destro della strada ma taluni, in piedi sul lato sinistro, sfidano il sole del primo pomeriggio del 2 giugno 2022. L’atmosfera è serena, pacata, senza sussulti. Più in là è il palazzo di famiglia dei Lombardi Satriani, già di Alfonso (1871-1950), demologo ed appassionato di fotografia, e di Raffaele (1873-1966), storico delle tradizioni popolari, rispettivamente padre e zio del nostro Luigi.
Appunto quel palazzo è stata la radice metaforica che ha tenuto legato il cattedratico della Sapienza alla sua patria di origine e che, in qualche modo, gli ha consentito di superare il dimezzamento tra la vita dei palazzi dell’accademia e del potere a Roma e il mondo contadino frequentato in precedenza, più volte accolto nella magione baronale di San Costantino e però sempre tenuto presente nell’orizzonte scientifico ed umano della sua attività di studioso e di politico, di intellettuale e di accademico.
Ebbene, poteva capitare, in passato, che cercando telefonicamente Lombardi Satriani a Roma non lo si trovasse, per cui si provava a cercarlo nell’altro suo contesto di riferimento, cioè in Calabria. Ed allora, si sentiva rispondere, ovviamente in dialetto od almeno in tonalità calabrese: “Il barone non c’è”.
Ora che quel “non c’è” è diventato definitivo non ci si può solo rassegnare, perché davvero e sostanzialmente il barone è con noi, nel suo sguardo – indimenticabile – e nella sua memoria – imperitura.
Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022
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Roberto Cipriani, professore emerito di Sociologia all’Università Roma Tre, è stato Presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia. Ha condotto numerose indagini teoriche ed empiriche. La sua principale e più nota teoria sociologica è quella della “religione diffusa”, basata sui processi di educazione, socializzazione e comunicazione. Ha condotto ricerche empiriche comparative in Italia a Orune (Sardegna), in Grecia a Episkepsi (Corfù), in Messico a Nahuatzen (Michoacán) ed a Haifa (Israele) sui rapporti tra solidarietà e comunità. Ha realizzato film di ricerca sulle feste popolari. Fa parte del comitato editoriale delle riviste Current Sociology, Religions, Sociedad y Religión, Sociétés, La Critica Sociologica, Religioni e Società. È Advisory Editor della Blackwell Encyclopedia of Sociology. È stato Directeur d’Études – Maison des Sciences de l’Homme – Parigi e “Chancellor Dunning Trust Lecturer” alla Queen’s University di Kingston, Canada. È autore di oltre novanta volumi e mille pubblicazioni con traduzioni in inglese, francese, russo, spagnolo, tedesco, cinese, portoghese, basco, catalano e turco.
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