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L’arte della parola. Franco Trincale, cantastorie e poeta

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Asseriva un anonimo che «la comunicazione non parte dalla bocca che parla ma dall’orecchio che ascolta», affermazione calzante per descrivere l’intera opera del poeta-cantastorie Franco Trincale, compreso il libro antologico, a cura di Mauro Geraci, Pensu chiudu l’occhi e scrivu (Roma 2020), nel quale sono raccolte unicamente sue poesie. Lo stesso Trincale scrive che le poesie contenute all’interno del volume sono «pensieri, impressioni istantanee, visioni, a volte di paure, rimorsi, ossessioni, confessioni, testamenti, altre volte di riflessioni critiche e polemiche che ho vissuto, visto e sentito attorno a me» [1]. È evidente, e non potrebbe essere diversamente, il fil rouge con la sua attività di cantastorie che l’ha portato nelle piazze di tutta Italia, ma non solo, per più di sessant’anni a cantare le sue storie e ballate. Ascolto, osservazione, stesura e comunicazione sono poste sulla stessa linea di elaborazione. Trincale, infatti, «ragiona continuamente sulla corrispondenza tra ciò che egli ha vissuto e ciò che egli canta e ha cantato» [2] esprimendo creativamente sé stesso e avendo, necessariamente e contemporaneamente, bisogno di dialogare con gli altri, così come nella poesia “Cantu pi tia”.

La stessa poesia in fondo nasce come comunicazione sociale, espressione verbale o scritta di emozioni e riflessioni, mezzo di trasmissione attraverso il quale il poeta esprime i suoi sentimenti. I versi di Trincale sono generalmente in endecasillabi e settenari e le strofe divise in quartine (AB, AB) e sestine (AB, BB, CC). All’interno dei testi sono presenti figure retoriche quali metonimie, metafore, allitterazioni e satire nelle quali il sorriso predomina sulla pur presente indignazione. Nel finale invece predomina solitamente il fulmen in clausula, ovvero la chiusura del ragionamento in maniera imprevista, con una morale che lascia alla fine l’ascoltatore/lettore sorpreso. 

Per quanto riguarda gli argomenti trattati nel libro è evidente come essi si intersecano tra di loro per poi staccarsi e intrecciarsi di nuovo. Tematiche apparentemente diverse poste nella corretta luce e che si fondono come elementi indissolubili per una perfetta esegesi del mondo dei cantastorie, quelle della protesta, della denuncia ma anche del racconto moraleggiante. Tutto legato secondo un filo logico e lineare, come Franco Trincale sa fare, con i suoi versi armoniosi e coesi che sembrano uscire dalle righe immaginarie delle pagine per proiettarsi verso la loro vera naturale destinazione, quella scenica teatrale della piazza.

La parola in Trincale crea la suggestione di spazi e temi ampi per poi immergersi in un mondo di sensazioni intime raccolte attorno ai luoghi della memoria, dell’osservazione e delle meditate riflessioni. All’interno delle sue poesie si viene a creare quell’armonia perfetta che trova nella lettura la vera ragione del suo essere. Questo senza distogliere, neanche per un attimo, l’attenzione del lettore ma conducendolo sino alla fine dei versi senza concessione di pause. I suoi testi, inoltre, sembrano attraversare indenni il tempo collocandosi compatibilmente con l’universo simbolico contemporaneo. Per Trincale il linguaggio adottato, modificato nel tempo, diventa un mezzo di sperimentazione di uno stile espressionistico nel quale il significato della parola diventa ostensione della metafora.

Nelle poesie contenute nel libro sono presenti «tutta la gamma inquadrata dei registri linguistici che dalla parlata militellese portano via via al siciliano letterario prediletto dai cantastorie, quindi all’invenzione di una lingua meridionale condivisa che, in molte poesie e ballate, lascia pienamente il passo all’italiano» [3].

Un altro dei valori aggiunti del libro sono i disegni realizzati dallo steso autore i quali vengono accostati ai suoi testi poetici sotto forma di un parallelo linguaggio comunicativo [4]. Immagini «a tempera, olio e pennarelli realizzati dagli anni Settanta a Milano o in Svizzera fino a quelli degli anni Duemila fatti con il mouse al computer o a quelli a biro e acquerello sui cartoncini rettangolari regalatigli dal piccolo Ale nel 2018» [5]. D’altronde tale tipologia di espressione artistica non è estranea ai cantastorie che utilizzavano durante le loro esibizioni, come strumenti complementari, i cartelloni, alti circa due metri e larghi un metro e mezzo, nei quali era raffigurata la sintesi della storia, in quel momento eseguita, attraverso la rappresentazione degli episodi principali in successione dal primo riquadro in alto a sinistra all’ultimo in basso a destra.

I disegni di Trincale, con le sue immagini allusivo-simboliche, riecheggiano, per certi versi, la corrente dadaista tedesca, movimento artistico nato nella prima decade del ventesimo secolo che si distinse da quello iniziale zurighese, contraddistinto da un preciso impegno politico e sociale a carattere rivoluzionario. Con il dadaismo l’arte tradizionale venne sostituita da una nuova tipologia espressionistica data «dal ready-made all’assemblage al fotomontaggio al collage, in cui i frammenti di realtà vengono riuniti eseguendo gli impulsi segreti dell’autore, in modo da fare nascere dal loro accostamento immagini inattese e rivelatrici di possibilità insospettate» [6].

Non bisogna dimenticare che Trincale, nella realizzazione dei suoi vecchi cartelloni, al fine di realizzare un linguaggio semplice ed immediato, fece ricorso non solo alla pittura ma anche alle riproduzioni fotografiche, alle illustrazioni di manifesti, di libri e di periodici:[7]

Lo stesso riporta che:

 «quello che mi manca è la fantasia nel disegno, allora prendo spunto qua e là dalle vignette di Forattini o da disegni e compongo una specie di collage che poi riporto sul cartellone, perché quello che è importante è l’immediatezza, come le vignette satiriche sui quotidiani» [8].
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Copertina del disco “La storia del bandito Mesina” (1970 – Tirsu TR. 169, 45.17).

Il libro, come le poesie ivi contenute, trova comunque la sua genesi nella storia di Franco Trincale poeta-cantastorie. Quindi sembra inscindibile trattare questo argomento per una maggiore comprensione della sua opera poetica.

I cantastorie che potremmo definire di seconda generazione, nel quale rientra Trincale, formatosi sulle orme dei loro predecessori quali Orazio Strano, Alessandro Castro, Giovanni Lizzio e Gaetano Grasso, si specializzarono, diventarono giornalisti e divulgatori pubblici di fatti e avvenimenti soprattutto eccezionali come guerre, vicende di briganti, carestie e drammi passionali. Cominciarono ad occuparsi di tematiche diverse da quelle affrontate dai loro precursori raccontando la sofferenza patita dal popolo tramite i drammi personali dei protagonisti delle storie in modo che il pubblico popolare, al quale erano dirette, potesse riconoscersi in queste. «Il tragico mondo degli individui che agivano nei canti dei cantastorie, era lo stesso di quello nel quale vivevano (non tanto i loro autori cosa che ai fini socio-culturali è poco rilevante) coloro che fruivano di essi» [9].

«I cantastorie avevano in qualche modo la funzione di far conoscere e circolare storie, notizie e fatti, ma la valenza teatrale e spettacolare, l’enfatizzazione del dramma, i commenti e le sottolineature, le manipolazioni e i travisamenti, la ricerca dei principi morali e degli insegnamenti improntati al comune sentire popolare andavano ben al di là di una mera funzione informativa, ed erano volti ad assicurare il consenso del pubblico intorno a certe interpretazioni dei fatti, a certe ideologie, talora imposte dal sistema, talaltro, nei più consapevoli, di classe. Si tratta, per lo più, di una cultura che vedeva nel bandito l’eroe che toglieva ai ricchi per dare a i poveri, nel delitto d’onore un gesto eroico, nel rappresentante delle Istituzioni uno Stato ostile al popolo, nella spia e nel traditore un infame. Una cultura che, ad ogni modo, incarnava l’aspirazione ad un mondo di giustizia, talora al riscatto, delle plebi oppresse» [10].

Le loro storie traevano spunto dai fatti di cronaca, dai resoconti riportati dai libri e dai giornali, ma anche attraverso l’ascolto dei resoconti di informatori in-consapevoli appositamente interpellati e lo «sguardo diretto degli eventi».[11] Non mancava tuttavia la proiezione dei fatti anche su un piano di pura immaginazione la quale concedeva maggiore libertà al cantastorie nella scelta dei personaggi e degli argomenti che venivano epicizzati. Con la fantasia si inventavano storie «che non erano esistite realmente, ma che non avevano niente di diverso da quelle vere, perché gli argomenti erano i soliti, i valori sempre uguali, e i personaggi fissi».[12]

Il cantastorie restava comunque l’uomo della comunicazione, in un periodo nel quale l’alto tasso di analfabetismo toccava la punta massima del novanta per cento nelle regioni meridionali, dove la televisione era posseduta da pochi e persino la radio era un lusso che non tutti potevano permettersi. Per questo motivo assunsero il ruolo di informatori, grazie anche al loro girovagare da una città all’altra, della classe subalterna che non aveva altri modi di sapere quello che succedeva attorno a loro se non attraverso il cantastorie. Divennero diffusori della notizia rimaneggiata ed esposta al pubblico, in seguito sotto forma di ballata, tanto che Franco Trincale per questo motivo si attribuì l’epiteto di “folkronista”.

«Diventarono in seguito i portavoce del malcontento popolare, delle lamentele delle varie categorie professionali, delle proteste verso i reggitori della cosa pubblica; come, ad un tempo, i suscitatori di riso, mediante la divulgazione di contrasti umoristici, di rime burlesche, di sollazzi» [13].

Ai temi esposti relativi ai delitti d’onore, ai drammi a fosche tinte, fatti di sangue, storie d’amore e tragedie, si aggiunsero successivamente le vicende legate alla politica, alla riforma agraria, alla mafia, al brigantaggio, all’emigrazione, alla “modernizzazione” della società contadina. Non mancarono inoltre i contrasti umoristici, i testi satirici, burleschi ed erotici-scherzosi ed infine le parodie di canzonette in voga in quel momento.[14]

Trincale diversamente dai suoi colleghi contemporanei, essendosi trasferito nel 1958 da Militello in Val di Catania a Milano per migliorare le proprie condizioni economiche, «vagheggiava e fronteggiava, riadattando l’antico mestiere di cantastorie, la piazza moderna, la piazza metropolitana» [15]. Per questo motivo cominciò ad occuparsi di questioni sociali quali l’emigrazione considerata come modalità per trovare un riscatto sociale ed economico, non sempre raggiunto, ma caratterizzato anche dalla nostalgia per l’abbandono della propria terra. Le vie incerte intraprese delimitavano luoghi non più familiari privi di sicuri punti di riferimento. «Chi parte acquista un nuovo senso degli spazi, degli sguardi, dei ricordi, del paese contro cui ora cozzano le camere oscure, affumicate, alienanti delle metropoli».[16]

Si cantava della condizione delle masse sfruttate e della situazione di una classe sociale che spesso non poteva nemmeno permettersi il lusso di scegliere la professione di bracciante agricolo e la cui unica alternativa rimaneva quella dell’emigrazione.[17] Sebbene altri cantastorie scrissero di tale argomento [18], Franco Trincale lo fece con una presa di coscienza diversa poiché il dramma lo visse principalmente sulla sua pelle affrontando non solo la lontananza familiare ma anche lo sfruttamento, l’emarginazione e le problematiche annesse. Trincale raccontava:

«Erano condizioni che cominciai a conoscere man mano che le vivevo in prima persona, nelle mie esperienze di emigrante meridionale. […] È il mio essere cantastorie che deriva dai problemi che vivevo e osservavo giorno per giorno a Milano; dal fatto che nessuno mi dava casa e lavoro per vivere con mia moglie. […] La casa che non si trovava, l’emarginazione, le forme di sfruttamento e precarietà del lavoro e via dicendo» [19].
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Copertina del disco “Il ritorno dell’emigrante/ Preghiera dell’emigrante” (Fonola NP 1693, 45.17).

L’idea di cantare vicino le fabbriche, fuori dai cancelli degli stabilimenti durante le ore di pausa e i turni di mensa, fu un’intuizione geniale poiché gli operai che vi lavoravano non erano altri che emigranti che avvertivano come loro le canzoni eseguite da Trincale.  Diverse furono le sue canzoni su questo argomento, e tra queste: “Emigranti brava gente” (Fonola NP 1658, 45.17); “Il ritorno dell’emigrante/ preghiera dell’emigrante” (Fonola NP 1693, 45.17); “Madre di emigrante” (Fonola NP 1861, 45.17); “Canto dell’emigrante” (Disco per il P.C.I., 45.17); “Una famiglia scomparsa. Tragedia di un’emigrante” (Cronache del Sud LP 130, 45.17).

Era il periodo inoltre della contestazione sociale e politica e delle lotte studentesche ed operaie, durante la quale la classe proletaria, composta da lavoratori che da sempre appartenevano alla classe subalterna, diventò protagonista della lotta contro lo sfruttamento del capitalismo.

I cantastorie, non essendo il loro lavoro mai stato statico, si adattarono alle nuove esigenze rinnovando il modo di comunicare, di scrivere i versi e di raccontare, utilizzando una rinnovata coscienza critica.

Franco Trincale, «infrangendo parametri e regole consolidate dalla tradizione, contribuì da pioniere a svecchiare e rinnovare l’arte dei cantastorie».[20] In piazza Duomo a Milano cominciò a cantare le storie dell’Italia contemporanea raccontando la vita delle e nelle fabbriche, dello sfruttamento degli operai, delle lotte sindacali, della disoccupazione e dell’emarginazione, esplicitando le sue denunce attraverso le sue ballate. La piazza di Milano non era quella di un qualunque paese della Sicilia, ma una piazza metropolitana, moderna, «la piazza delle piazze», come è stata definita da Trincale [21], fatta di emigranti e stranieri, operai e imprenditori, commercianti e disoccupati, turisti ed intellettuali [22]. Si innovarono le vecchie storie, che duravano circa due ore, ma anche gli argomenti, rendendo le ballate fruibili all’interno dei nuovi tempi di comunicazione, con un limite massimo di quattro minuti, riadattando così l’antico mestiere.[23]

«Trincale restituisce l’immagine del cantastorie che attinge la notizia alla fonte – quartiere proletario, case occupate, fabbriche in lotta, lotte dell’emigrazione, manifestazioni politiche – e la propaga nello stesso spazio per discuterne i contenuti con i diretti protagonisti».[24]

Per questo partecipò all’occupazione delle case popolari di via Tibaldi a Milano, organizzata dagli operai dell’Alfa, componendo in quell’occasione “Via Tibaldi”, “Quelli dell’Alfa” e “Scuola di classe”. Fu inoltre presente durante le lotte dei lavoratori dell’Innocenti-Leyland contro la decisione della società di chiudere la fabbrica, i quali riuscirono dopo centoventi giorni di protesta a far riprendere l’attività produttiva.

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Copertina del disco “Il fischietto dell’operaio / et alii (Fonola NP 2010, 33.17).

Nei primi anni Settanta divenne il cantante degli operai, «la voce operaia costruita dagli stessi operai», come da lui ribadito [25], ma anche il rappresentante della protesta studentesca.[26] Seguirono altre ballate impegnate sia sul piano politico che sociale, come quella sulla morte dell’anarchico Pinelli per la quale, dopo averla cantata, Franco Trincale fu processato e poi assolto dalla Corte d’Assise di Livorno.[27] Trincale partecipò anche al “Palermo Pop Festival 70”, concerto tenutosi allo stadio della Favorita, che vide la presenza, fra i tanti, di Duke Ellington, Aretha Franklin, Brian Auger, Tony Scott, Rosa Balistreri e il palermitano Enzo Randisi.[28] 

I cantastorie oggi si esibiscono raramente, o quasi per nulla, nelle piazze, lo fanno nei piccoli teatri, durante i convegni, ai premi nazionali e regionali, come quello instituito in nome di Turiddu Bella [29], e aderiscono a progetti Pon e Por. Le loro canzoni vengono incise da case discografiche minori o autoprodotte. Anche le storie sono state sostituite da canzoni o ballate di breve durata, più facilmente ascoltabili da un pubblico diverso da quello di una volta. I mezzi di comunicazione, anche nuovi, hanno favorito inoltre un ripreso, pur se minimo, interesse nei confronti dei cantastorie. Qualche anno fa «Trincale riuscì a convincere Radio Sole 24 Ore a chiamarlo ogni giorno alle cinque del mattino per scegliere una notizia economica importante che il cantastorie, nelle due ore successive alla telefonata, trasformava subito in una ballata scritta, musicata e cantata, quindi in diretta nel primo telegiornale delle sette».[30]

Ai cantastorie di seconda generazione se ne sono aggiunti altri come l’antropologo e docente universitario Mauro Geraci. L’attività di studioso, con una particolare attenzione verso i cantastorie, lo ha portato in «maniera del tutto naturale» a diventare interprete e continuatore di questa poetica. Un doppio ruolo che coniuga in maniera armonica e inscindibile tanto da organizzare, inoltre, conferenze-concerto presso le aule universitarie creando un’osmosi tra la piazza e la scuola.

Quella del cantastorie non è una tradizione, se così si può chiamare, immobile, che attraversa il tempo senza subirne i cambiamenti, al contrario riesce a stare a passo con i tempi recependo modifiche e innovazioni, poiché nella cultura niente resta immutato ed ogni cosa varia secondo i propri ritmi. Come osservato da Mauro Geraci: «La tradizione in senso etnologico è il processo che trasmette il sapere da una generazione all’altra. I cantastorie invece sono portatori di novità, sono degli innovatori».[31] Tuttavia i loro nuovi componimenti riaffermano l’originaria vocazione informativa del cantastorie tanto che Mauro Geraci, Fortunato Sindoni e Franco Trincale hanno scritto su Pio La Torre e Dalla Chiesa, sulla strage di Capaci e di via D’Amelio, di tangentopoli, del ponte sullo stretto di Messina ed ultimamente sul Coronavirus.[32]

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Copertina del disco “La casa è di chi l’abita” (1975 – Melody LP 121, 33.30).

La piazza, intesa come spazio urbanistico, non rappresenta più un punto di riferimento per i cantastorie, e non potrebbe essere diversamente visto che ha perso la valenza di luogo di aggregazione. Anche per questo hanno dovuto trovare un nuovo modo per potere diffondere e far conoscere le loro storie attraverso un’altra piazza, quella virtuale di internet. Hanno creato propri siti web mettendo in rete le loro canzoni, i calendari degli eventi, le loro interviste, una bacheca per la vendita dei dischi da loro prodotti, collegamenti con altri siti analoghi e ideato canali youtube dove pubblicare i loro video. In questa nuova piazza si è aggregato un nuovo pubblico, composto dagli utenti telematici e senza limiti geografici, forse più numeroso di quello che una volta si riuniva negli spiazzi ad ascoltarli. Non bisogna dimenticare inoltre che la storica rivista “Il Cantastorie”, creata nel 1963 dal giornalista Giorgio Vezzani ed oggi curata da Claudio Piccoli e Tiziana Oppizzi, dal 2011 è on line.

Si sono create associazioni, come “Il mondo dei cantastorie” istituita nel 1999, il “Museo dei cantastorie” a Riposto nel 2011, la “Casa museo del cantastorie” a Paternò, inaugurata nel 2014. Sono state allestite: la mostra permanente su Franco Trincale a Militello Val di Catania, istituita nel 2019; la mostra temporanea “Avvicinati amici, c’è Busacca”, svoltasi a Roma dal 26 ottobre al 1 dicembre del 2019, presso il “Museo delle Arti e Tradizioni Popolari Lamberto Loria”.

Ovviamente le funzioni, le modalità e gli scopi perseguiti oggi dai cantastorie sono in parte diversi dal passato. Lo stesso Trincale constata che:

«La funzione del cantastorie, oggi, non può più essere quella di informatore, ma di commentatore o come nel mio caso di controinformatore. La notizia io la cesello con l’arte del canto e la racconto dando il risvolto sociale di classe. Il cantastorie dà alla notizia il risvolto e la denuncia sociale per aggregare intorno alla notizia il potenziale politico di lotta» [33].

Ed ancora:

«Fare il cantastorie oggi può sembrare un po’ anacronistico dal punto di vista che il ruolo che aveva una volta, quello di portare notizie alla gente, è stato sostituito dai giornali e poi dalla televisione e dalla radio che mette in crisi anche i giornali. […] Oggi essere cantastorie significa competere in primo luogo con gli stessi mass media dell’informazione. Però è più vantaggioso, perché il cantastorie, anche se ha un pubblico minore, nella sua libertà rimastica la notizia e la dà un po’ più veritiera» [34].

È d’obbligo una considerazione finale, pur se personale. Ascoltando le ballate e leggendo i testi e le poesie di Trincale ci inoltriamo in un territorio che si rileva pieno di sorprese, con la presenza di spazi simbolici e ironici, di tempi storici e contemporanei, di luoghi intimi e segreti che invadono a volte anche la propria sfera personale. Si rasentano così ammirazione e plauso verso Trincale. La lettura provoca inoltre ricche emozioni, come le ebbi io quando lo incontrai presso l’università degli studi di Messina nel 2017 durante un conferenza-concerto insieme a Mauro Geraci, Fortunato Sindoni, Francesco Pira, Claudio Piccoli e Tiziana Oppizzi. Non potrò dimenticare il suo sguardo, gli occhi lucidi e commossi sia durante il racconto della sua vita, non solo artistica, che dopo gli applausi ricevuti dopo avere eseguito alcune delle sue ballate davanti la platea di studenti, amici e cultori. Questo confermando come il poeta, quello vero, non sia solo colui che sa comunicare profonde emozioni ma anche colui che è in grado di riceverle.  

Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021
Note
[1] F. Trincale, 2020, Su quel treno di noi cantastorie, in id., Pensu, chiudu l’occhi e scrivu. Poesie e disegni di un cantastorie Franco Trincale, a cura di M. Geraci, Le Strade Bianche di Stampa Alternativa, Pitigliano (Grosseto): 12. Il libro è gratuitamente scaricabile dal sito di Strade Bianche www.stradebianchelibri.com.
[2] M. Geraci, 2006, Franco Trincale il cantastorie, opuscolo per l’istituzione dell’Archivio Storico del cantastorie Trincale, s.e., Catania: 3. Il libro è gratuitamente scaricabile dal sito di Strade Bianche www.stradebianchelibri.com.
[3] M. Geraci, 2020, La poesia di Franco Trincale: un caledoscopio per guardare al mondo, in F. Trincale, op. cit.: 6.
[4] La copertina del libro è invece realizzata da Ivan Manupelli, in arte Hurricane Ivan, illustratore, musicista e fumettista. Il gioco prospettico dei disegni è incentrata sulla figura principale di Trincale «che canta mentre, contemporaneamente, figura alle sue spalle come personaggio sul suo stesso cartellone, assieme agli altri personaggi di cui narra i drammi (Luigi Tenco, Giuseppe Valarioti, Polifemo, i metalmeccanici, gli emigranti, i pensionati ecc.), mentre soffre, si ribella, gioisce, pensa, chiude gli occhi e scrive ossessionato dalla fine assieme all’amatissima Lina [sua moglie] e alla sua, altrettanto amatissima, chitarra» (M. Geraci, 2020, op. cit.: 5-6).
[5] Alessandro Daniele è un ragazzo quindicenne affetto da neoplasia celebrale, terribile e dolorosa malattia che comporta continui interventi chirurgici al cervello. Nonostante la sua cecità riesce a comporre con il legno e la carta delle cose straordinarie. Conosciuto Trincale tramite internet, Daniele fu accompagnato dai genitori a casa del nostro cantastorie. Instaurato un solidale rapporto di amicizia, un giorno, come ricordato da Trincale, «tirò fuori da un sacchetto un blocco di cartoncini bianchi da lui assemblati e tagliati a rettangolo perfetto di 22,5 cm di lunghezza e 8,5 di altezza. Me li regalò dicendomi che li aveva ritagliati da un unico foglio molto grande di cartoncino che la mamma gli aveva comprato. [… e Franco gli disse] “Sai cosa ne farò di questi cartoncini? Quando mi andrà di disegnare cose strane, come di solito faccio su pezzi di carta che poi magari butto, da domani lo farò su questi bellissimi cartoncini che mi hai regalato e li riempirò coi miei disegni”» (F. Trincale, 2020, op. cit.: 18). 
[6]  A. Ruggirello, 2013, Il dadaismo. Espressione artistica e impegno politico, Picadille, Firenze: 50.
[7] Intervista da me condotta (d’ora in poi Imc) a Franco Trincale, Franco Trincale, Militello in Val di Catania classe 1935 (Messina 25 ottobre 2017) [tra parentesi tonda sono indicati il luogo e la data dell’intervista].
[8] T. Oppizzi/ C. Piccoli (a cura di), 1993: 9.
[9] A. Buttitta, 1964, Le storie di Cicciu Busacca, estratto dagli Annali del museo Pitrè XIV – XV (1963-1964), Banco di Sicilia, Palermo: 4.
[10] M. Fiume/ M. Parisi, 2003, Il re degli aedi siciliani, in G. Barletta/ A. Pagano Cantastorie e pupari di Sicilia, Società giarrese di storia patria e cultura n. 7, Bracchi, Giarre: 19.
[11] Imc a Vito Santangelo, Paternò classe 1938 (Palermo 6 dicembre 2010).
[12] D. Fo, 1975, La Giullarata, Bertani, Verona: 10.
[13] A. Rigoli, 1995, Le ragioni dell’Etnostoria, Ila Palma, Palermo: 50.
[14] Cfr. A. Buttitta, 1960, Cantastorie in Sicilia. Premessa e testi, estratto dagli Annali del Museo Pitrè VIII – X (1957-1959), Banco di Sicilia, Palermo.
[15] M. Geraci, 2006, op. cit.: 4.
[16] M. Geraci, 2017, Emigrazione e immigrazione nella canzone dei poeti-cantastorie, in “Dialoghi Mediterranei”, n.23, gennaio 2017
[17] Cfr. O. Palumbo, 1997, Ciccio Busacca: il cantastorie della cultura popolare siciliana, in mensile di cultura, La gazzetta dell’Etna, natale 1997, s.e., Catania: 3.
[18]  Ciccio Busacca compose “Littira d’emigranti” (Tauro Record FC 558, 45.17) e “L’emigranti in Germania” (Cantastorie NB 599, 45.17), Otello Profazio “La manna dell’emigrante” (Cetra SPD 554, 45.17) e “L’emigrante disillusu” (Cetra SPD 613, 45.17), Ciccio Rinzino “L’emigrante” (Rinzinu EM4, 45.17), Vito Santangelo “L’emigrante” e Leonardo Strano “L’emigranti mortu vivu”. Per non parlare infine di “Lu trenu di lu Suli” di Ignazio Buttitta eseguita da Ciccio Busacca (DNG Ep 78001, 33.30). Per approfondimenti sulla storia del “Trenu di lu suli” in relazione all’emigrazione si veda: M. Geraci, 2002b: 45-50.
[19]  M. Geraci, 2006, op. cit.: 12-13.
[20] S. Burgaretta, 2004, Contastorie, cantastorie e storie di poeti popolari nella Sicilia orientale, in R. Giambrone, I sentieri dei narratori, Associazione figli d’arte Cuticchio, Palermo: 105.
[21]  Imc, Franco Trincale, Militello in Val di Catania classe 1935 (Messina 25 ottobre 2017).
[22]  Idem.
[23]  Cfr., idem.
[24]  M. Geraci, 2017, op. cit., s.p.
[25]  Imc, Franco Trincale, cit.
[26] Trincale scioperò inoltre insieme ai lavoratori dell’Alfa Romeo i quali rivendicavano il diritto di contrattare condizioni di lavoro migliori. Per questo contributo alcuni degli operai fecero costruire dal liutaio milanese Antonio Monzino una chitarra che donarono a Franco Trincale per dimostrare la loro riconoscenza.
[27] La canzone, che riporta il titolo di “Lamento per la morte di Giuseppe Pinelli”, è inserita in: disco (45.17) allegato al libro di F. Trincale, 1970, Le ballate di Franco Trincale, presentazione di Michele L. Straniero, Feltrinelli, Milano; “Siamo uguali alla catena” (Divergo DVA 014, 33.30); “N. 2 Canzoni in piazza” (Trincale 200, 33.30); “Il meglio di Trincale” (La putea delle Arti PDA 0001, 33.30).
[28] Trincale ricorda: «Per il Palermo Pop Festival 70 stavo cantando Nixon boia, una mia canzone contro la guerra in Cambogia. Mi fu tolto l’audio per ordine del vice questore Allotta e portato nel camerino subendo intimidazioni da parte delle forze dell’ordine. Nel frattempo il pubblico si era ribellato perché pensava che mi avessero arrestato. Fu Rosa Balistreri che sedò gli animi e il vice questore dovette farmi risalire sul palco per frenare il subbuglio provocato». (Imc, Franco Trincale, cit.). Per approfondimenti sul Palermo Pop Festival si veda: S. Bonadonna, 2020 Quando Palermo sognò di essere Woodstock, Navarra editore, Palermo.
[29] Il poeta Turiddu Bella, originario di Mascali, come anche Ignazio Buttitta, scrisse dei testi per i cantastorie. In corso di stampa è un libro a lui dedicato, curato dal sottoscritto, dal titolo “Turiddu Bella. Il poeta dei cantastorie”.
[30]  M. Geraci, 2017, op.cit., s.p.
[31] Intervento nel convegno “La piazza fa scuola. Franco Trincale cantastorie all’università” tenutasi a Messina presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne il 25 ottobre 2017.
[32] Si vedano le ballate di Mauro Geraci “S’incorona la Cina” e “Coronavirus: la fase 2”, inserite all’interno del suo sito www.geracicantastorie.it, nel quale si trova inoltre la canzone di Franco Trincale “La Cina è vicina”.
[33]  Imc, Franco Trincale, cit.
[34] Intervista a Franco Trincale nel documentario di Giuseppe Paradiso, 2009, “Il mondo dei cantastorie”, Partfilm.
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Leoluca Cascio, cultore e studioso di antropologia e tradizioni popolari, è presidente dell’associazione “Prometheus” di Corleone, fa parte del consiglio direttivo del “Civitan International” sezione Palermo, è socio dell’associazione “Giuseppe Pirrone” di Balestrate, dell’associazione “We S.T.A.R.T.” ed è membro della consulta alla cultura del comune di Corleone. Ha lavorato presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo ed attualmente al Comune di Corleone ufficio cultura e spettacolo. Tra le sue pubblicazioni: Giovedì Santo a Villabate (2008); In bella mostra. Franco e Ciccio… non solo comici (2013); All’ombra della sera. Storia dei fondaci in Sicilia (2013); Costantino Bruno. Relazione sulla Animosa città di Corleone (2016); Ricordandovi con affetto. Fotografi, editori di cartoline e storia postale a Corleone (2018); U libru di lu Nannu lu Carnilivari. Il carnevale a Corleone (2019); (a cura) Giuseppe Cocchiara/ Calogero di Mino, Ove il Cedro fiorisce (2019); (a cura) Pippo Oliveri, La Corleone di Pietro Oliveri (2019).

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