La vita di Federico De Roberto non fu certamente facile; né facile fu il suo rapporto con le donne. Afflitto da frequenti stati depressivi, che lo debilitavano anche fisicamente e ne spegnevano gli entusiasmi, alternati a momenti di vitalità e di euforia, oggi De Roberto sarebbe definito un “bipolare”. Le relazioni col “gentil sesso” furono condizionate, oltre che dagli ondivaghi moti dell’umore, dalla presenza di una madre possessiva e invadente, Marianna Asmundo Ferrara. Tuttavia, nell’esistenza turbolenta e avara di felicità dell’autore de I viceré, non mancarono amori “clandestini”.
Ricerche recenti sull’epistolario di De Roberto conservato presso la Biblioteca Universitaria di Catania mettono in luce la relazione segreta tra De Roberto ed Ernesta Valle. Ne apprendiamo i particolari grazie al minuzioso lavoro di Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla che hanno curato Si dubita sempre delle cose più belle. Parole d’amore e di letteratura, un libro poderoso (2144 pagine, 764 lettere, tantissime immagini a corredo) edito da Bompiani (2014) che, riscoprendo il carteggio tra i due amanti, getta squarci sulla complessa figura di De Roberto, sul suo problematico rapporto con le donne, sulle sue ambizioni letterarie e giornalistiche soffocate a Catania e proiettate su Milano.
Federico De Roberto conosce Ernesta Valle nel salotto milanese di casa Borromeo. Un salotto meta dei più acclamati scrittori, giornalisti, editori dell’epoca: lo bazzicano personalità dal rilievo di Eugenio Torelli Viollier, Luigi Albertini, Domenico Oliva, Giuseppe Giacosa, Ugo Ojetti, Arrigo Boito, Emilio e Giuseppe Treves. È il 29 maggio del 1897, De Roberto ha trentasei anni, ha già pubblicato quello che si rivelerà essere il suo capolavoro, I vicerè, e a Milano cerca di affermarsi nel mondo del giornalismo (un contratto di collaborazione lo lega ad Albertini e al suo Corriere) e di frequentare i protagonisti dell’editoria e della cultura, letteraria e artistica. Nella mondanità meneghina quel siciliano talentuoso e ambizioso, qual è Federico De Roberto, non passa inosservato: i suoi eclatanti baffi a manubrio accompagnati dall’immancabile monocolo adagiato sull’occhio destro gli hanno fatto conquistare l’appellativo scherzoso di “Lord Caramella”.
Ernesta Valle è sposata con l’avvocato messinese Guido Ribera, ha ventun anni, un bambino di cinque anni da accudire, e allo splendore della giovinezza unisce l’eleganza di chi è avvezza alla vita mondana. Ernesta si fregia del titolo di contessa (non si sa bene quanto autentico), è nata nel 1876 a Ventimiglia, da Giuseppe Valle, un impiegato di Valle Lomellina, e da Adelaide Corradi. Avvenenza, femminilità, savoir-faire e un buon matrimonio le hanno spianato la strada introducendola nella borghesia notabile della Milano del tempo.
L’incontro con Ernesta Valle per Federico De Roberto è un colpo di fulmine. Tanto da scrivere: ‹‹Da quel giorno, voglio dire da quella sera, cominciò la mia felicità››. Da quella sera di maggio esplode la sua passione. Che genera un profluvio di lettere: palpitanti, focose, ardenti; ma anche rivelatrici di ambizioni e stati d’animo e con più di un richiamo alla letteratura. Come si conviene in ogni storia d’amore i due amanti si chiamano tra di loro con uno o più vezzeggiativi. Per De Roberto Ernesta Valle è Renata, a simboleggiarne la rinascita all’amore e nell’amore, ma anche Nuccia, diminutivo di “femminuccia”, perché in lei risiede la quintessenza di una femminilità prospera e procace; per Ernesta Valle De Roberto è Rico, la parte finale del suo nome di battesimo.
Nel suo spostarsi tra Milano e Catania Rico tiene sempre vivo il legame con Renata grazie a una corrispondenza fitta, accesa e meticolosa. Che talvolta trabocca di carica erotica: ‹‹Tutta nuda nell’anima come l’ho vista e tenuta e baciata e bevuta e goduta tutta nuda nel corpo adorato e divino›› (i due passeranno al tu dopo cinque mesi), in una prosa da romanzi rosa d’appendice che lo scrittore avrebbe aborrito: ‹‹Mi pare che sia tuo il sangue che mi scorre nelle vene, non ho più personalità››. Altre volte rivela abbandoni sentimentali e richiami a un amore sublimato nella sua purezza con un eccesso di enfasi che sbalordirebbe se non si pensasse che a vergare quelle frasi sia un uomo innamorato: ‹‹O Cuor dei cuori, quando tu mi dici di partire il moto della mia obbedienza è così pronto che io vorrei già essere sotto un altro cielo››. Altre volte ancora le lettere fanno da cronaca alle tappe dei loro incontri, con puntualità ossessiva, illustrando i luoghi dei furtivi appuntamenti: via Romagnosi, dove ha sede il salotto che li ha fatti conoscere, via Jacini, via Pietro Verri, Porta Volta, Crescenzago, i caffè, i teatri, soprattutto la Scala.
Le lettere di Rico e Renata, tuttavia, non danno sfogo solo a desideri carnali (vivissimi nello scrittore), a spinte erotiche e a sentimentalismi vari, ma palesano anche intese su argomenti letterari e De Roberto si prodiga a consigliare all’amante le migliori letture: ‹‹Ti ho mandato altri libri. Non so quali sono quelli che tu non conosci, tra quanti ne posseggo. Desideri leggere altre novelle di Maupassant? Io le ho tutte. Ho tutto Zola: dimmi se qualche cosa di lui ti riesce nuova. E di Daudet? E dei Goncourt? Conosci i famosi romanzi russi: La Guerra e la Pace di Tolstoj; Anna Karenina pure di Tolstoj; il Delitto e il Castigo di Dostoevskij? Vuoi qualche cosa di Giorge Sand, di Balzac? Conosci le novelle fantastiche di Poe? Aspetto, per la prossima spedizione, che tu mi dica delle tue preferenze›› (Catania, 6 gennaio 1898). Rico le fa leggere pure alcune sue opere, tra queste I vicerè la cui protagonista si chiama, guarda caso, Renata e che provoca nell’amante moti di gelosia. Ernesta Renata gli scrive: ‹‹Si può essere anche gelosi del passato››.
È un amore segreto quello tra Rico e Renata, un uomo incapace di ribellarsi alla tirannia edipica della madre, e una donna legata al marito e agli agi della vita salottiera che le è concessa. E come nelle relazioni nascoste i due amanti conoscono mille sotterfugi per scambiarsi le lettere, a mano o in fermo posta, talvolta custodite dentro libri, altre precedute da avvertimenti in codice.
Ma tra i due amanti si avvertono le presenze delle persone a cui sono legate: la madre per Rico, il marito per Renata. Presenze forti, ingombranti, determinanti. Gli escamotage studiati e provati a garanzia della clandestinità della loro relazione hanno effetto? Nulla sanno o percepiscono di quel rapporto donna Marianna Asmundo Ferrara e Guido Ribera? Pare proprio che, malgrado tutte le strategie di occultamento messe in atto dai due amanti, l’eco della loro passione per un verso o per l’altro gli giunga. Tant’è che la madre padrona, ‹‹un bene che mi soffoca e mi strozza››, riesce a far battere in ritirata il figlio in preda all’ardore amoroso. La madre gli scrive lamentandosi della lontananza e invitandolo (anzi intimandolo) a tornare a Catania, ‹‹perché è già molto tempo che sei fuori casa, perché viene l’inverno e tu sai che d’inverno ho bisogno di compagnia››. E l’avvocato Ribera compare pure nell’epistolario con missive assai prosaiche: raccomandazioni da rivolgere all’editore Treves, richieste di prestiti.
Ubbidiente al richiamo della madre, De Roberto ritorna a Catania. La città dell’Etna, nel raffronto con la febbrile e mondana Milano, gli appare in tutta la sua angustia, pigra e sonnolenta, prigione della sua anima esacerbata e soffocata nel suo male oscuro: ‹‹È una malattia morale e non lieve – scrive all’amante riferendosi al suo spleen – Mi sento troppo vuoto, troppo contrariato, troppo sbalestrato, troppo avvilito››. Adesso la lontananza fisica di Renata accentua in Rico il desiderio di intimità con lei e l’inchiostro della scrittura cerca di suggellare e far rivivere i momenti di passione vissuti insieme.
De Roberto (Rico) continuerà a scrivere alla Valle (Renata) confidandole i suoi progetti letterari. Renata pare assurgere in certi momenti a “musa” ispiratrice. A lei nel 1899, due anni dopo averla conosciuta, aveva dedicato la prefazione de Gli amori: in modo velato, indicando solo le sue iniziali ‹‹a R.V.››; accorgimento che però non era servito ad aggirare la gelosia del marito che in una lettera gli volle ironicamente precisare che R.V. era la signora Ribera-Valle. A Renata si rivolgerà dopo, tra il 1900 e il 1902, per confidarle i suoi progetti di scrittura. Si era già confrontato con l’amante per il romanzo drammatico Spasimo, accogliendo i suoi suggerimenti di rendere quel testo ‹‹troppo pensato›› più ‹‹parlato››, e riconoscendole il merito di averlo spronato nello scriverlo in uno adattamento ‹‹più rapido e movimentato››. A Renata confesserà il suo proposito di chiudere la trilogia degli Uzeda, inaugurata con l’Illusione nel 1891 e proseguita con I vicerè nel 1892, con L’Imperio, che non farà in tempo a pubblicare e che uscirà postumo nel 1925. A proposito de L’Imperio Rico scriverà a Renata, il 3 giugno del 1902, una lettera piena di sconforto: ‹‹Ho preso pure il manoscritto del romanzo che doveva far seguito ai Vicerè… Faccio questo tentativo di ritorno all’arte senza fede e senza neppure altra speranza che quella di ricavare, chi sa quando, un migliaio di lire del lavoro di chi sa quanto tempo. È questa è la mia vita, propriamente degna d’essere strozzata con tutt’e due le mani, se non fosse il ricordo, la visione, il pensiero e la speranza di Nuccia››. Già, quando De Roberto scrive quella lettera, la relazione con Renata volge al declino, come testimonia il carteggio tra i due amanti che copre un arco di tempo racchiuso tra il 1897 e il 1902, con qualche appendice sino al 1916.
De Roberto è chiuso nella sua malinconica angoscia, mitigata ma non scalfita dal ricordo di un amore lontano, nello spazio e nel tempo, in una città, Catania, che non ama e che anzi definisce ‹‹l’odiato e aborrito paese››. Passeranno altri anni e il cuore dello scrittore catanese s’invaghirà di un’altra donna, anche lei sposata e legata a una grande città, questa volta Roma. L’ennesimo tentativo di evadere da una Catania per lui claustrofobica? La donna si chiama Pia Vigada, e con lei De Roberto intrattiene un carteggio amoroso che va dal 1909 al 1013. Malgrado il peso degli anni, anche in questo epistolario De Roberto, considerato per alcuni suoi scritti “misogino”, si conferma amante focoso e veemente, e non privo di tenerezze. Un gesto di tenerezza è, ad esempio, quello, in lui usuale, di inviare all’amata dolci tipici di Sicilia e agrumi. Ma De Roberto è anche un uomo geloso, sino al parossismo, in preda a una spiccata sensualità. Come dimostra questo singolare passo di una lettera a Pia Vigada: ‹‹Spiegami che il tuo corpo, le tue forme, la tua carne sono chiuse ermeticamente. E che solo un giorno le tue mani febbrili potranno dischiudere cotanto tesoro…››.
Ma torniamo alla storia di Rico e di Renata che, stando al carteggio di cui oggi si dispone, pare sia macchiata da un epilogo tutt’altro che romantico. Nel 1916, quando la corrispondenza tra i due si è da tempo interrotta e il silenzio ha ormai sepolto un amore ricco di illusioni e di speranze svanite, Renata torna a farsi viva con una lettera di inaspettata aridità e ineffabile opportunismo. In essa l’amante di un tempo implora Rico di versarle una congrua somma di denaro per sollevare il figlio da non ben precisati problemi economici. In realtà, pare che dietro quella cinica richiesta si nasconda una squallida vicenda di corruzione legata (siamo negli anni del primo conflitto bellico) al tentativo di tenere il figlio lontano dal fronte.
Si chiude così, con un finale amaro e beffardo, la storia d’amore che più coinvolse Federico De Roberto. La cui immagine ci torna alla mente nel ritratto che di lui scolpisce la penna di Vitaliano Brancati: un uomo sempre solo, a spasso per la via Etnea con la sua inguaribile angoscia, chiuso dentro la sua ‹‹pesante armatura di onestà››.
Dialoghi Mediterranei, n. 15, settembre 2015
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Antonino Cangemi, dirigente alla Regione Siciliana, ha pubblicato, per le edizioni della Regione, Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi (Palermo, 2007) e Mobbing: saperne di più per contrastarlo (Palermo, 2007); con Antonio La Spina, Comunicazione pubblica e burocrazia (Franco Angeli, Milano 2009); I soliloqui del passista (Zona, Arezzo 2009); Siculaspremuta (Flaccovio, 2011); Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, Trapani 2013); Il bacio delle formiche (LietoColle, Faloppio-Como 2014). Collabora con i quotidiani «La Sicilia», «Sicilia Informazioni» e, saltuariamente, con «La Repubblica» (edizione di Palermo).
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