Stampa Articolo

Le storie che raccontano i mosaici del Museo del Bardo

 

11

Tunisi, Museo del Bardo, Figure femminili, la dama e le due ancelle (ph. Rosy Candiani)

di Rosy Candiani

Nella lingua tunisina la parola “Fdeoui” riporta alla ricchezza della vita e delle tradizioni popolari, alla sapienza della trasmissione orale: è il “novellatore”, la persona che racconta storie, raccogliendo attorno a sé un pubblico eterogeneo ma accomunato dal fascino della parola, dell’arte di trasmettere conoscenze e storie, anche con cenni performativi e di accompagnamento musicale.

Fin dalle mie prime visite, ho associato questo termine, ricco di suggestione – la magia catalizzatrice di chi sa comunicare contenuti – a un luogo culturale della Tunisia famoso nel mondo, il Museo Nazionale del Bardo, che mi ha sempre suggerito l’idea di un fantasmagorico raccoglitore di storie infinite,”Fdeoui”, attraverso le colorate tessere dei mosaici che lo fanno conoscere ovunque: al di là dei suoi pezzi più noti, come Ulisse e le sirene o il Virgilio circondato dalle sue Muse Clio e Melpomene, proposti in tutti i libri, nei gadgets, nei filmati promozionali, e tappe imprescindibili di gruppi turistici che guide frettolose conducono a una visita veloce.

Come ha recentemente sottolineato la sua direttrice Fatma Naït Yghil in una intervista a “Il Manifesto”, il museo cerca in questo momento una rinascita dopo la sua terza grande crisi: passato attraverso una lunga ristrutturazione sovrapposta alla rivoluzione del 2011, dopo la rinascita e l’inaugurazione della nuova modernissima ala, che ha dato spazio ai grandi pannelli musivi di tema marino, il Bardo ha vissuto il dramma dell’attentato terroristico del 2015 e ora la pandemia di Covid-19, che ha azzerato il turismo mondiale. Ma, come la mitica fenice che si riproduce dalle ceneri splendida e sempre rinnovata, anche il Museo ha visto un ritorno di notorietà, forse anche come omaggio alle vittime dell’attentato e, in questi momenti di assenza di turisti nel Paese, un affettuoso attaccamento, o una scoperta inaspettata, da parte dei cittadini tunisini.

Non solo perché è il più grande museo al mondo per i mosaici il Bardo merita di essere visitato più volte, come stanno scoprendo i tunisini, soprattutto le famiglie: Fatma Naït Yghil paragona i mosaici «a dei réportage che ci avvicinano alla realtà dell’epoca», alla vita quotidiana di questa terra sotto la dominazione romana. Con altre parole, mette in luce la straordinaria capacità di ogni reperto – puzzle artistico di piccole pietre colorate – di presentarsi come la tessera di una storia, di un mosaico di percorsi tematici affascinanti sulla vita quotidiana tra il secondo e il quarto secolo d.C., che portano il visitatore allo spaesamento, alla perdita della nozione del tempo, come ogni abile Fdeoui sa produrre.

Certo, oltre che come museo, il Bardo andrebbe visitato in sé, come palazzo beylicale, per la sua grandiosa architettura, testimonianza vivente dei gusti dei suoi costruttori. Per una volta almeno ci si dovrebbe “dimenticare” degli ornamenti musivi e lasciarsi raccontare prima di tutto questa storia, di un luogo a qualche chilometro a ovest di Tunisi, scelto dal XIII secolo come residenza di villeggiatura dai sultani hafsidi, e divenuto nei secoli “città regale” e poi sede politica del Protettorato francese, insieme al vicino palazzo di Ksar Saïd.

1

Tunisi,La targa del Museo Aloui (ph. Rosy Candiani)

Il Palazzo racconta dunque molti secoli di arte, di storia e civiltà tunisina e conserva alcuni spazi di grande suggestione, come la “drîba”, una vera strada interna che ora accoglie i visitatori con le sue arcate in mattoni e il fresco rassicurante nelle giornate più luminose e di canicola. Gli stili si incrociano in un meticciato di civiltà armoniosamente conviventi; per esempio, elementi moreschi come il patio interno a doppio porticato su cui aprono le stanze a “qbou emqaser” (a T), come nelle dimore tradizionali della Medina: gli archi bicolori poggiano su colonne tortili, la vasca di marmo al centro, le ceramiche preziose di Kallaline.

Il confronto con il patio coperto dotato di galleria superiore, risalente alla metà dell’Ottocento (i tempi di Mhamed Pacha Bey e Mohammed Sadok Bey) lascia a bocca aperta: l’influenza dello stile italiano rivisitato con elementi tunisini stravolge la concezione di calma riservatezza di questo elemento architettonico delle dimore tunisine, in nome della moda e della voglia di stupire.

In questa ala il Palazzo racconta storie di uno sfarzo ormai non più privato ma politico, che non sempre corrisponde a un potere reale sul Paese, ma “esibisce” il potere dei committenti.  I decori in legno, la balaustra in ferro battuto, la decorazione a foglia d’oro attestano il savoir faire delle maestranze italiane impiegate, messe a confronto, o in concorrenza, nelle sale circostanti, con i virtuosismi degli artigiani tunisini: si veda per esempio, il soffitto della sala da pranzo, sempre in legno scolpito, ma in stile italo-tunisino; gli intarsi in gesso nella stanza ottagonale detta “harem”, in puro stile classico con motivi ispano-maghrebini; il lavoro degli artigiani tunisini per la cupola del soffitto a cassoni, con pitture policrome, nella sala delle feste. Una storia stratificata, che testimonia il susseguirsi nei secoli dei governanti, ma soprattutto la persistenza, come chiave di lettura della civiltà di questa terra, del convivere di gusti e linee artistiche di popoli diversi, della fusione, nella concretezza materiale di un palazzo, di tradizioni, capacità artigianali e artistiche, gusti differenti.

2

Tunisdi, museo del Bardo, Scene di pesca con rete a strascico (ph. Jamel Chabbi)

Da quando, nel 1885, da palazzo residenziale è stato destinato a Museo, il museo Aloui, il Palazzo del Bardo si è progressivamente trasformato e arricchito, fino all’ultimo restauro terminato nel 2013; e altre storie hanno occupato la attonita attenzione dei visitatori.

Superati i rituali della prima visita, il peregrinare in tutte le sale, voler vedere tutto e non perdere i “pezzi” più noti, lo stordimento dell’accumulo visivo, il suggerimento è di tornare per seguire i dettagli nei ricordi, di vagare alla ricerca di un motivo tematico – le figure femminili, i miti, i motivi floreali, gli animali feroci o domestici – e di raccogliere il filo del racconto, delle storie.

Un tema che mi sento di suggerire è quello della vita quotidiana economica e sociale, perché già a una prima ricognizione i mosaici raccontano una storia diversa da quella delle fonti classiche studiate: Sallustio e Plinio il Vecchio associano la provincia dell’Africa alle distese interminabili dei campi di grano, alla dea Cerere; ricercare nelle sale e riunire le testimonianze su questo tema porta a un quadro molto più variegato e mostra una ricchezza di prodotti ancora oggi  straordinaria per varietà e ricercatezza.

2d

Tunisi, Museo del Bardo, dettaglio di pesci (ph. Jamel Chabbi)

Numerosi sono i mosaici che riproducono le masserie e i lavori agricoli, così come la pesca che da sempre offre risorse e prodotti molto vari e ricercati, che arricchivano, allora come ora, le imprese di lavorazione (del “garum”, per esempio, la salsa di colatura delle alici, ricercatissima a Roma) e le associazioni dei trasportatori e armatori tunisini, presenti numerosi con le loro agenzie di rappresentanza a Ostia (come la città di Salakta, non lontano da Mahdia).

3a

Tunisi, Museo del Bardo, Mosaici di Xenia quadrangolari: dettaglio dell’uva del Cap Bon (ph. Jamel Chabbi)

La ricchezza e la varietà dei prodotti della terra, ortaggi, frutta, animali domestici o selvatici, che ancora oggi arricchiscono la cucina tunisina e l’esportazione verso l’estero, sono variamente documentate al museo soprattutto attraverso la ripresa nella tecnica musiva di un genere pittorico di età ellenistica, gli “Xenia”: in pannelli quadrangolari o in grandi mosaici pavimentali, veri tappeti in pietra, gli xenia sono il richiamo alla sacralità e ai riti dell’ospitalità, rappresentano vivande di ogni tipo e oggetti legati alla convivialità; ricordano le offerte delle migliori vivande per l’ospite, durante il banchetto o nei giorni di permanenza, e poi come dono d’addio, doni in natura a ricordo dell’ospitalità e dei beni di produzione della casa.

3b

Tunisi, Museo del Bardo, Mosaici di Xenia quadrangolari: dettaglio di pregiate pernici, raccolte con un filo di ferro a cerchio (ph. Jamel Chabbi)

“Adagiati” a coprire il pavimento, nel triclinium, questi grandi mosaici decorati a xenia hanno una forte valenza simbolica e rappresentativa: per la ricca borghesia terriera o commerciale, per i nuovi notabili romanizzati essi sono l’occasione per esibire il prestigio economico, sociale e anche culturale, attraverso un motivo decorativo “colto”, che gioca tra il repertorio iconografico del genere e l’adattamento personalizzato rispetto alla realtà locale e del proprietario.

Dunque, gli xenia non sono solo un genere decorativo “alla moda”, ma simboleggiano e mostrano lo “status” del committente, che può richiedere anche l’inserimento di scene afferenti la convivialità, il gioco, le riunioni private “bibitoriae”.

4b

Tunisi, Museo Bardo, Mosaico pavimentale a Xenia, con dettaglio di galli (ph. Rosy Candiani)

Desiderosa di lasciare traccia del proprio ruolo e dell’opulenza, questa élite locale, economica, politica o amministrativa, emula il mecenatismo “romano” e gareggia nell’abbellimento delle città: teatri, circhi e anfiteatri sorgono in tutti i centri, anche periferici e si animano di attività ludiche sovvenzionate da una nuova “aristocrazia” locale. Oltre e talora meglio dei resti archeologici, i mosaici al Bardo ci raccontano la loro vitalità e li fotografano nella istantanea di una storia, di un evento.

Per esempio, nei siti archeologici tunisini restano pochissime tracce del circo, mentre le corse equestri delle quadrighe erano una delle attività ludiche preferite, costose competizioni che erano fanaticamente seguite dal pubblico, fonte di cospicuo arricchimento per gli organizzatori degli spettacoli e per gli aurighi più famosi, di prestigio e ascesa politica per i mecenati finanziatori.

6a

Tunisi, Museo del Bardo, Scena “bibitoriae” con schiavo che porge il vino (ph. Jamel Chabbi)

6c

Tunisi, Museo del Bardo, Scena del gioco dei dadi (ph. Jamel Chabbi)

Con la sua presa dall’alto, schiacciato senza prospettiva ma con accuratezza di dettagli, ecco il mosaico che “fotografa” la gara nel momento della partenza con a destra il lancio del panno bianco (Weber 1986: 93), le quattro quadrighe delle quattro squadre, le “factiones”, identificate dai colori della tunica.

Un altro mosaico ci presenta “Eros”, un auriga certo molto famoso e al culmine della carriera, della “factio” dei verdi: ritratto frontalmente ancora nel circo, è ornato dei simboli della vittoria, la corona e il ramo d’ulivo, che orna anche i suoi cavalli; anch’essi evidentemente considerati tra i campioni, riccamente addobbati e ricordati con il loro nome: “Amandus” (colui che deve essere amato, amabile) e “Frunitus” (il dotato).

7a

Tunisi, Museo del Bardo, Mosaico dell’auriga Eros, con i cavalli (ph. Rosy Candiani)

8-fantar-2015-118

Tunisi, Museo del Bardo, Scena di una gara di corsa delle quadrighe in un circo (ph. Rosy Candiani)

Un motto, eroso purtroppo dal tempo, accompagna il grande Eros: “omnia perv [...]”, che ci sembra di poter completare con “pervicit”. Eros ha vinto tutto, una frase che suggella il successo del campione, ma che ricorda anche i celebri versi di un altro grande mito del Museo, il poeta Virgilio: «Omnia vincit Amor / et nos cedamus amori», canta il poeta Gallo, nella X delle Bucoliche (al verso 69).

Ben diversa invece, l’atmosfera nell’arena dell’anfiteatro dove la tensione è al massimo, anche se la scena è ricorrente: un enorme leone sollevato sulle zampe posteriori cerca ancora di aggredire il “bestiarius” per quanto già trafitto dalla lancia e sanguinante; dietro un secondo leone è pronto a subentrare. 

9

Tunisi, Museo del Bardo, Mosaico del gladiatore, da Thelepte (ph. Jamel Chabbi)

L’anfiteatro è quello di Thelepte, da cui proviene il mosaico, di grandi dimensioni: la violenza dell’azione è resa cercando la plasticità del gesto del gladiatore, la disposizione in diagonale delle zampe e delle gambe su cui forzano i due combattenti, il punto di fuga al centro, sul gocciolìo del sangue. Il bestiarius, pur robusto, non sovrasta la mole del leone ma il suo colpo è decisivo: due altre lance sono pronte a terra, l’uomo ha un giubbetto rosso sulla tunica a protezione, calzari robusti e rinforzati a maglie per proteggere le gambe; il viso è scoperto, i capelli corvini, a pochi centimetri dal muso della bestia.

Ai piedi dei due lottatori, le ombre degli arti, che spingono peso e forze, vogliono suggerire profondità, ma la prospettiva è forzata; attorno, visti dall’alto con la consueta tecnica dell’appiattimento, e con effetto di cornice, i lati dell’anfiteatro: gli ingressi nell’arena, da uno dei quali, a porta socchiusa, segue l’andamento della lotta un “retiarius”, pronto a intervenire con la rete per bloccare la belva.

È inverno, ma sopra, sui gradoni della tribuna, i notabili, spalla a spalla, visibilmente tesi per lo svolgimento della scena, non se ne curano; i loro lineamenti ricordano i tratti somatici dei tunisini della Byzacena, la Tunisia centrale all’interno di El Jem; sono abbigliati con una “paenula”, un mantello che nei colori dal cremisi all’ocra della terra, cromaticamente armonizzati, ricorda “troppo” da vicino il burnous tunisino, la cappa con il collo a cappuccio che protegge ancora nei giorni freddi. 

12

Tunisi, Museo del Bardo, Figura femminile allo specchio (ph. Rosy Candiani)

Nelle sequenze sulle attività quotidiane e di intrattenimento di questa nuova classe possidente e di amministratori la presenza di figure femminili è sporadica. Isolate in una loro sfarzosa sfera personale e probabilmente “privata”, simile al dorato isolamento dell’harem, le ricche dame aristocrato-possidenti non appaiono nei banchetti o ai giochi accanto ai loro sposi e non hanno visibilità

È dunque incredibile lo stupore che suscita la scoperta, in una sala al fondo del piano terreno, del grande mosaico proveniente da Sidi Ghrib, nella campagna verso i granai di Beja, a una ventina di chilometri da Cartagine. L’epifania della dama aristocratica fotografata nell’atto terminale della sua toilette e vestizione, un po’ come la protagonista dei versi di Giuseppe Parini, apre a una storia suggestiva, a una catena di riferimenti che il nostro mosaico “fedoui” ci trasmette.

13

Tunisi, Museo del Bardo, dettaglio dello specchio (ph. Rosy Candiani)

Pur nella mancanza di uno sfondo prospettico, il mosaico acquista profondità grazie alle linee oblique del piedestallo e del sedile, alle pieghe della veste della dama che troneggia al centro; le sue dimensioni, per quanto seduta, stabiliscono le gerarchie con le due ancelle, accuratamente abbigliate nello stesso modo, ornate di gioielli semplici, ben pettinate, e certamente appartenenti a un rango non servile. Entrambe, con uno sguardo tra attonito e imbambolato, porgono gli ultimi dettagli alla signora. A destra, in particolare, la giovane solleva lo specchio in cui si sdoppia il viso con la preziosa acconciatura, di una donna giovane, in verità non troppo sorridente, e dai tratti somatici “romanizzati”. La dama ha ormai ultimato la vestizione e mostra i numerosi giri di bracciali e collane, gli orecchini e gli occhi ben tratteggiati dal “khol” (il kajal).

13a

Tunisi, Museo del Bardo, Dettaglio di oggetti: l’ampolla per gli oli (ph. Rosy Candiani)

Le tre figure sono circondate da oggetti: appiattiti e riprodotti senza alcun rispetto della scala reale e delle proporzioni, illuminano però la storia di questo mosaico in una duplice direzione vettoriale, quella del contesto storico e della identificazione della protagonista e quella della continuità nello spazio e nel tempo delle abitudini di vita in questi luoghi orientali del Mediterraneo.

Tutti gli oggetti costituiscono l’armamentario del rito dell’hammam e ancora oggi sono in uso – personali, portati da casa, o noleggiati in loco – negli hammam cittadini, che aprono le loro porte, in fasce orarie ben precise della giornata, a donne e a uomini: le “schleka” (i sandali infradito in fibra naturale); la “fouta” (l’asciugamano in cotone); la vasca in marmo da cui attingere l’acqua (una, di età romana, è  ancora al centro dell’hammam Kachachine nella medina di Tunisi); lo “stal” (il secchio in alluminio); l’”ibrik” (l’ampolla per gli oli essenziali); la “kessa” (la spugna in setola per il massaggio), e il contenitore per il “tfal”, l’argilla per purificare pelle e capelli.

13b

Tunisi, Museo del Bardo, Dettaglio di oggetti: il secchio (ph. Rosy Candiani)

Tutti gli oggetti non servono ormai più alla dama, ma costituiscono un forte richiamo simbolico – la firma, diremo – alla peculiarità del luogo da cui il mosaico proviene, alla identità della dama raffinata, sicuramente moglie del ricco proprietario della villa rurale di Sidi Ghrib, nei dintorni di Borj el Amri, con la stessa valenza della ritrattistica borghese ottocentesca o fiamminga: inseriti – a cornice – per esibire lo status di questo possidente attraverso la sua “proprietà” più insolita e preziosa.

Infatti di questa dimora di un proprietario non solo ricco ma anche raffinato e generoso mecenate resta al momento lo scavo di un solo edificio: l’imponente stabilimento termale di 670mq. di sua proprietà, arricchito di mosaici floreali. Perso nella campagna, mostra la evoluta tecnica di riscaldamento e trasmissione del vapore, le tubature e i diversi locali.

13d

Tunisi, Museo del Bardo, Dettaglio di oggetti: gli asciugamani (ph. Rosy Candiani)

Da questo sontuoso hammam è uscita poco prima la dama, intenta a verificare l’effetto del suo maquillage. Così il marito la vuole immortalata con l’orgoglio del suo status e della grande opera realizzata nella sua abitazione, privata, ma generosamente aperta anche ai visitatori e ai notabili dei dintorni, come si legge in un mosaico di una delle vasche del “frigidarium”: «plus feci quam potui, minus quam volui, si placet comune est, si displicet nostrum est».

La ricchezza e il benessere di queste nuove classi dirigenti e possidenti sono una molla verso il miglioramento della qualità di vita, il desiderio di abbellire e impreziosire il proprio quotidiano e di “esibire” il prestigio nell’arricchimento di luoghi e dimore. Ai commerci marittimi di esportazione dei prodotti locali si affiancano i navigli carichi di materiali preziosi, elementi decorativi e d’arredo, marmi, colonne, statue, capitelli. 

13f

Tunisi, Museo del Bardo, Dettaglio di oggetti: i sandali (ph. Rosy Candiani)

Le sale del Bardo raccontano anche questa storia sia pure attraverso un “fallimento”, attraverso i reperti di un carico non arrivato a destinazione. È la storia di un naufragio, come purtroppo sovente capitava: uno dei tanti ma che per la ricostruzione degli studiosi (nella didascalia esplicativa), attraverso l’analisi del carico favoloso ripescato casualmente al largo di Mahdia, sembra coincidere con l’episodio storico del saccheggio di Atene da parte Silla che ne riportò a Roma tesori dell’età ellenistica. Un’ipotesi suggestiva non ancora confermata: per certo il carico è una selezione di oggetti preziosi commissionati per un grande palazzo romano, forse a Roma o forse sulle coste di Cartagine. 

14

Tunisi, Museo del Bardo, Statua ripescata dal relitto di Mahdia (ph. Jamel Chabbi)

Corrosi dal mare, impreziositi però da coralli e sedimentazioni marine, fusti di colonne, busti di divinità mitiche, arredi in bronzo, candelabri, statue di grande raffinatezza e rare, crateri in marmo, tutti oggetti che testimoniano della costante ricerca del bello e della grandiosità presso le popolazioni delle rive del Mediterraneo e del flusso di oggetti che creano, nella realtà delle città fiorenti sulle rive del Mar Bianco, una fusione di stili e di tradizioni artistiche: mosaici e mosaicisti tunisini verso la Spagna e le città italiche, statue, capitelli colonne greche e romane verso le coste dell’Africa.

 Città fluide, le potremmo definire, pur nella granitica solidità dei materiali che le hanno edificate e che sopravvivono nei secoli. Percorrere gli spazi del Bardo che raccontano la storia del naufragio fa navigare la mente verso un’altra splendida città liquida, Venezia, prescelta da Damien Hirst nel 2017 per raccontare il suo progetto visionario del naufragio dell’Apistos (l’Incredibile), la gigantesca nave che trasportava la collezione smisurata del leggendario liberto Amotan, collezionista di oggetti preziosi da ogni angolo del mondo antico.

15c

Esempio di “reperto” dell’Apistos, “ricreato” dalla fantasia di Damien Hirst (ph. Rosy Candiani)

Scopritore, e inventore lui stesso del mito, Hirst percorre i concetti di autenticità e contraffazione, di costruzione del mito e della sua rappresentazione, esplora i limiti della credulità del visitatore e si inventa il ritrovamento del relitto, con relativi video documentari sottomarini, reperti incrostati di licheni, madreperle e coralli, copie perfette di questi pseudo-originali erosi, mostri e miti di ogni civiltà e di ogni epoca accostati dalla improbabile sete di possesso del mitico collezionista.

Un gioco intellettuale di sfrenate fantasie archeologiche e una atmosfera enigmatica che suscita nuove storie e associazioni audaci per il visitatore del Museo del Bardo, che davanti ai reperti del naufragio immagina di spostare il fantastico ritrovamento dell’Apistos dalle coste orientali dell’Africa e dalle coste degli antichi porti commerciali dell’Anzania alle acque antistanti la Byzacena, al relitto ritrovato al largo di Mahdia.

Un naufragio della mente che crea una favola illusoria e affascinante che ci parla del potere dell’arte di ricreare mondi e di salvarci dal deteriorante trascorrere del tempo.

Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021
Riferimenti bibliografici
FANTAR M’hamed Hassine, AOUNALLAH Samir, DAOULATLI Abdelaziz 2015, Le Bardo. La grande histoire de la Tunisie. Musée, sites et monuments, Tunis: Alif.
MRABET Abdellatif 2019, La Tunisie au Patrimoine mondial de l’Humanité. Les sites culturels, Tunis: Agence de mise en valeur du Patrimoine.
PORCHEDDU Valentina 2021, Bardo di Tunisi, la terza rinascita, “Il Manifesto”: 20 Marzo.
REDAELLI MAURI Sara 2012, Rappresentazioni di xenia nei mosaici romani dei principali centri della Byzacena, in L’Africa Romana, Atti del XIX Convegno internazionale di studi, Roma: 2549-2565.
WEBER Carl W. 1986, Panem et circenses. La politica dei divertimenti di massa nell’antica Roma, Milano: Garzanti
 http://kidslink.bo.cnr.it/irrsaeer/arte/rav1/mosafric.html: Il mosaico romano in Africa
https://www.romanoimpero.com/2012/10/il-mosaico-romano.html
 ____________________________________________________________________________
Rosy Candiani, studiosa del teatro e del melodramma, ha pubblicato lavori su Gluck, Mozart e i loro librettisti, su Goldoni, Verdi, la Scapigliatura, sul teatro sacro e la commedia musicale napoletana. Da anni si dedica inoltre a lavori sui legami culturali tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, sulle affinità e sulle identità peculiari delle forme artistiche performative. I suoi ultimi contributi riguardano i percorsi del mito, della musica e dei concetti di maternità e identità lungo i secoli e lungo le rotte tra la riva Sud del Mediterraneo e l’Occidente.

_______________________________________________________________

 

 

 

 

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Letture. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>