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L’eredità di Alexander Langer, profeta disarmato

langer-1-scaleddi Francesco Valacchi

Alexander Langer non è stato solo portavoce del pensiero politico sostenibile, prima ancora, fra l’altro, che si iniziasse a chiamarlo così universalmente. Vale la pena di ricordarlo oltre che come politico, pensatore ed intellettuale anche per aver definito, nei particolari, un approccio etico nuovo ed una pedagogia che forse è quella marcia in più che potrà servire per intraprendere il cammino verso governi davvero aspiranti alla sostenibilità ambientale.

In un suo articolo del marzo 1990, apparso su “Lettere 2000” egli, in maniera estemporanea, si rivolgeva a San Cristoforo, un Santo della tradizione della sua terra, il Sudtirolo:

«Ormai pare che tutte le grandi cause riconosciute come tali, molte delle quali senz’altro importanti e illustri, siano state servite, anche con dedizione, e abbiano abbondantemente deluso. Quanti abbagli, quanti inganni e auto-inganni, quanti fallimenti, quante conseguenze non volute (e non più reversibili) di scelte e invenzioni ritenute generose e provvide».

Lamentava la quasi banalità dell’azione politica che, ispirata alle scelte ecologiche, non riusciva a fare il vero salto verso un nuovo modo di pensare e approcciare le cose, e lo faceva in un momento decisivo: il momento in cui si iniziava a comprendere la necessità, assoluta, di riconsiderare le necessità ambientali, nella contingenza in cui si vivevano:

«i primi infarti e collassi della nostra civiltà (da Cernobyl alle alghe dell’Adriatico, dal clima impazzito agli spandimenti di petrolio sui mari) a convincerci a cambiare strada».
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Nella Fiera delle Utopie di Città di Castello

La civiltà che viveva Langer era, al di là della retorica, quella della prima presa di coscienza della gravità della crisi climatica e della Convenzione sui cambiamenti climatici di Rio de Janeiro. Era momento di una prima, ma sfortunatamente poco dolorosa, autocoscienza delle disastrose condizioni ambientali imposte all’umanità dal capitalismo. Alla fine degli anni Ottanta la comunità scientifica cominciò a realizzare la gravità del danno cui era stato soggetto il nostro pianeta. Si collegarono gli effetti (un decennio in cui le temperature erano state fra le più calde della storia) alle tesi sul riscaldamento globale, come quella dello scienziato svedese Svante Arrhenius, che per primo collegò l’utilizzo dei combustibili fossili con l’innalzamento della temperatura media della Terra. Ma, ad esclusione di avanguardie come quelle raccolte attorno ad autori del calibro di Alexander Langer, la risposta della popolazione dei cosiddetti Paesi avanzati fu una tiepida accoglienza della teoria riguardante questo rischio (nel migliore dei casi). Si oscillò in pratica tra la sottovalutazione del rischio e una vera e propria negazione, ad esempio anche da parte di alcuni scienziati che tentarono di attaccare le teorie sulla gravità della situazione ambientale forti di presunte imprecisioni sulla metodologia della ricerca e sui dati presi in considerazione.

«Non si può più far finta di non sapere, l’allarme è ormai suonato da almeno un quarto di secolo ed ha generato solo provvedimenti frammentari e settoriali. Da qualche decennio e con sempre maggiori dettagli si conoscono praticamente tutti gli aspetti di questo impoverimento da cosiddetto benessere. Quasi non si sta più a sentire quando si recita, più o meno completa, la litania delle catastrofi ambientali. Un quarto di secolo è stato impiegato a scoprire, analizzare, diagnosticare e prognosticare, a dare l’allarme, a lanciare appelli e proclami, a varare leggi e convenzioni, a creare istituzioni incaricate a rimediare».
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Con Messner

Così ebbe occasione di esprimersi nei suoi Colloqui di Dobbiaco, cercando di affondare le unghie nel torpore dell’opinione pubblica italiana di fronte alla necessità assoluta della protezione ambientale e di una nuova visione di sostenibilità. D’altronde Langer era un militante, lo era stato in Lotta Continua e lo sarebbe stato nel partito dei Verdi ma ciò non basta a contestualizzare la carica dirompente del suo messaggio che rimase straordinaria senza scadere nell’estremismo fondamentalista.

Proprio in un frangente come quello attuale, nel quale l’opinione pubblica e il palcoscenico politico sono pronti a intraprendere la strada della sostenibilità per sfuggire al fantasma della pandemia, si dovrebbe tornare alla narrativa della sorpresa, dell’indignazione e della dirompenza del messaggio con cui certi contemporanei di Langer affrontarono le prime consistenti propaggini della crisi climatica. Adesso che si è fatta breccia nel razionale (torpore) della società dell’opulenza dovremmo sentirci maggiormente offesi da fenomeni come quelli di Eni che continua la sua opera finanziata dallo Stato italiano per oltre il 30% e guidata da un AD inquisito, processato e in odore di condanna per corruzione ai danni di un Paese come la Nigeria. Urgerebbe reagire infatti con rabbia e decisione. Ma la rabbia e la decisione nascono con lo stupore e la sorpresa nel constatare il male che ci infligge questa struttura economica e la dirompenza del messaggio critico come quello che emergeva dalla narrativa di Langer. Proprio in questo presente in cui le nostre libertà sono violentate da una pandemia, derivante anche dallo scarso rispetto di dirigenze politiche e attori economici globali, torna alla ribalta il messaggio dell’ecologista trentino.

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Parco fluviale nei pressi di Viterbo intitolato a Langer

Langer ci ha insegnato tanto, oltre all’approccio alla problematica ambientale, e soprattutto ci ha mostrato un metodo di insegnare e apprendere: una sua propria pedagogia. Nel ruolo di docente si mise in evidenza per un metodo di insegnamento non frontale ma critico, quasi rifiutando il suo ruolo di professore cattedratico per far risaltare quello di insegnante militante. Già prima della sua laurea in giurisprudenza a Firenze egli si era impegnato in un doposcuola a Scandicci, creato assieme a suoi colleghi di studio, per adulti e ragazzi delle classi subalterne. Dopo il conseguimento della laurea poi ottenne l’abilitazione all’insegnamento in storia e filosofia con un punteggio molto alto ed insegnò per circa sette anni. Ma la sua pedagogia non è circoscrivibile e limitabile al suo ruolo di insegnante e si traduce piuttosto in un atteggiamento costantemente messo in pratica nella sua relazione con l’altro.

In sintonia con la crisi e il declino del modello scuola-centrico che accompagnò tutta la sua esistenza, Langer affermava con convinzione che l’azione formativa non poteva essere rinchiusa nelle aule scolastiche ma che tutti i contesti della vita e della politica in special modo potevano essere considerati occasioni di docenza e di apprendimento. Forte di questa convinzione egli fece strumento di insegnamento la gran parte della sua produzione e varie volte tornò sul tema dell’educazione e delle sue tecniche in ambito europeo:

«Ed è vero: sulla cultura, l’istruzione, l’educazione, la scuola… l’Unione Europea arriva tardi, e con mille circospezioni. Innanzitutto perché si tratta di uno degli ambiti in cui la sovranità nazionale (e, in certi Stati membri, anche dei Länder) viene più gelosamente custodita e difesa, per 80 sottolineare che l’integrazione europea non si prefigge il melting pot, il calderone che fonde e confonde culture e diversità, ma opta piuttosto per la pari dignità e la salvaguardia del ricco patrimonio di differenze culturali, linguistiche, etniche. Così è avvenuto che si sono avvicinate assai più le legislazioni sulle misure di bottiglie e cartocci di latte e vino, sui valori-limite all’inquinamento tollerabile o sugli acquisti a rate che non su scuola, formazione, istruzione, università, addestramento professionale, e così via».
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Targa murata a Castelletto di Cuggiano

Questo concetto espresso in un articolo per la rivista dell’Istituto Pedagogico della provincia di Bolzano pubblicato nel 1995 è quanto mai tristemente attuale. Di fronte alla pandemia infatti il sistema scolastico di questo Paese è fragorosamente collassato, cancellando oltre un anno di istruzione nonostante il sacrificio imposto dal governo ai lavoratori e l’investimento profuso; ma, forse ancor più grave, è mancato completamente il coordinamento fra i vari sistemi educativi dell’Unione Europea. Nessuna azione comune è stata concordata fra i 27 Paesi, nessun obiettivo minimo è stato fissato da Bruxelles in questo ambito e ogni Paese membro ha dovuto organizzare la ripresa dell’istruzione per propria parte, come se fosse l’ultima e subordinata questione da trattare per un’Unione di Stati rappresentante circa 448 milioni di abitanti.

Il lascito di una militanza e di una vita come quella di Alexander Langer è anche questo: il coinvolgimento appassionato e in prima persona nella questione ambientale e nella formazione di una coscienza ecologica, la travolgente forza nell’esposizione del messaggio e la convinzione dell’importanza dell’aspetto pedagogico incluso, sempre, in ogni atto comunicativo e in ogni “agire sociale” in sé stesso. E per “agire sociale” si intende l’accezione più ampia, quella condivisa da un pensatore come Habermas, ovvero di una comunicatività conferita a qualunque tipo di azione esperita attraverso il riferimento a regole fondate sulla comunicazione linguistica. Nello stesso passo veniva evidenziata la necessità di dare dignità alle culture non squalificandole a meri cliché da proporre di volta in volta, come il menù di un ristorante etnico (quindi usando melting pot in un’accezione negativa) ma reputandole come un complesso di realtà da comprendere e valutare anche se non da condividere forzatamente.

ad06acace69c7fd1550b2e5111e315eaIl messaggio e il metodo di Alexander Langer, tanto necessari nel presente, sono probabilmente stati ereditati con più cognizione da associazioni come Greenpeace e Fridays for future, in particolar modo per la loro inclinazione a porre la formazione in primo piano come azione politica e civile.

Greenpeace, forte della propria esperienza e del rodato ciclo delle campagne – studio della problematica; formazione di responsabili, attivisti e volontari; pianificazione e organizzazione della campagna; azioni-raccolta feedback e riorganizzazione della campagna – è in grado di proporre una diffusione del messaggio costante e mirata che va ben oltre la logica del marchio e conforma la partecipazione all’organizzazione ad una metodologia percettiva.

Un simile metodo consente all’organizzazione l’opportunità di intraprendere un dialogo di formazione (pedagogico quindi) in maniera costante e a vari livelli, con i propri campaigners, gli attivisti e i volontari ma soprattutto con gli esterni grazie alle azioni calibrate e alla diffusione delle informazioni specifiche sulla campagna e sulla posizione generale dell’associazione. Un discorso molto simile può essere fatto anche su Fridays for future che propone una metodologia di formazione molto simile anche se meno vincolante e più rarefatta di quella di Greenpeace. In ultima analisi sono organizzazioni come Greenpeace e Fridays for future che dimostrano di aver raccolto il testimone di Alexander Langer più attraverso l’abbraccio con il metodo del sostenibile e la diffusione dell’urgenza della lotta che con un inflazionato e ambiguo marchio di sostenibilità. 

Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021

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Francesco Valacchi, vive a Livorno, laureato in Scienze strategiche a Torino e Studi internazionali a Pisa, si è poi dottorato in Scienze politiche/Geopolitica nel 2018. Si occupa di geopolitica, geoeconomia e International Political Economy con particolare riguardo all’area asiatica. Ha pubblicato una monografia dal titolo: Le Federally Administered Tribal Areas: Storia e futuro dell’estremismo islamico in Pakistan e Afghanistan; è collaboratore di riviste come “Affarinternazionali” e dell’Istituto di Alti studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, e della rivista RISE del Torino World Affairs Institute.

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