di Maria Sirago
L’inizio del Regno indipendente: nuove tipologie costruttive (1734 – 1806)
Quando Carlo di Borbone arrivò a Napoli, nel 1734, la situazione del Mezzogiorno, tornato indipendente dopo più di due secoli di viceregno, cambiò radicalmente. I ministri che attorniavano il giovane Carlo ripresero le idee mercantilistiche introdotte durante il viceregno austriaco (Sirago, 2004: 33ss.). Fu creato un Consiglio di Stato formato da due spagnoli, Josè di Montealegre, marchese di Salas (poi duca), segretario di Stato, e José Manuel de Benavides y Aragón, conte di Santisteban del Puerto, e da alcuni napoletani, tra cui il principe di Francavilla Michele Imperiali e il duca Gaetani di Laurenzano (Ajello, 1976: 480ss).
Un importante membro del governo era il ministro Bernardo Tanucci, un esperto giurista toscano, venuto a Napoli al seguito di Carlo (Sirago, 2019). Nel 1735 fu istituita una «Giunta di Commercio» su modello di quella austriaca, sostituita nel 1739 dal «Supremo Magistrato di Commercio» in cui si decideva in merito alle cause commerciali e marittime discusse nei «Consolati di terra e mare» aperti nei porti più importanti, ripristinati insieme a quello della capitale (Sirago, 2004: 33ss.; Marin, 2017).
Una attenzione particolare fu data alla ricostruzione della flotta e all’istruzione degli ufficiali, per i quali nel 1735 fu fondata l’Accademia di Marina (Sirago, 2019: 63ss.). La flotta era necessaria per la difesa delle coste e dei convogli di imbarcazioni mercantili, spesso assalite dai corsari. Per questo motivo fu riconfermata la prammatica emanata da Carlo V l’11 giugno 1531 nella quale si permetteva ai regnicoli di “correre i mari” contro gli infedeli con proprie imbarcazioni, le cui costruzioni vennero incentivate, mentre si armavano galeotte regie (Mafrici, 2007: 642). Per rendere più sicuri i commerci in Levante si decise di intavolare trattative commerciali con la Porta Ottomana e gli Stati barbareschi: il 7 aprile 1740 fu firmato un trattato di commercio con la Porta, in modo da creare condizioni favorevoli agli scambi commerciali, e venne nominato ambasciatore Guglielmo Maurizio Ludolf (Mafrici, 2004). Il trattato fu poi la base di quello firmato il 3 giugno 1741 tra Napoli e la Reggenza di Tripoli, un centro molto attivo, anche se di livello inferiore a Costantinopoli (Pirolo, 2017). Sulla scia dei precedenti trattati ne furono stipulati altri con alcune nazioni nordeuropee, nel 1742 con la Svezia, nel 1748 con la Danimarca e nel 1753 con l’Olanda (Galanti, 1968, I: 186).
La flotta doveva essere ricostruita da capo poiché i vascelli e le galere erano stati portati a Trieste dagli austriaci e l’ultimo vascello in costruzione era stato bruciato (Sirago, 2016: 1). La costruzione del San Filippo la Reale, a 60 cannoni, iniziò nel 1736 e fu conclusa due anni dopo. Poi furono fabbricati il vascello San Carlo la Partenope, una fregata a 50 cannoni e 4 galere. Le costruzioni erano effettuate dal genovese Sebastiano Tixi su piani empirici, come per il passato, per cui le imbarcazioni non erano molto sicure (Formicola-Romano, 1990: 61ss.). Alla partenza di Carlo per la Spagna, nel 1759, si contavano il vascello San Filippo la Reale, a 60 cannoni, varato nel 1737, e tre fregate da 40 cannoni, Regina, Concezione e Santa Amalia. Il resto era costituito da agevoli imbarcazioni adatte alla guerra di corsa, 4 galere Capitana, Patrona, Sant’Antonio e San Gennaro, alcune galeotte e la squadra di sei sciabecchi da 20 cannoni, S. Gennaro, S. Pasquale, S. Ferdinando, S. Gabriele, S. Luigi, S. Antonio (Mafrici, 2007: 647).
Il ministro Bernardo Tanucci, nominato presidente del Consiglio di Reggenza, istituito da Carlo il governo del Regno durante la minorità del figlio Ferdinando, continuò ad occuparsi della riorganizzazione della flotta, ancor più necessaria per la guerra tra Francia ed Inghilterra: egli aveva la piena consapevolezza della crisi attraversata dal Regno, governato da un «re pupillo», sia pure sotto la supervisione della Spagna. Egli rilevava che, malgrado le enormi somme spese, la flotta non era ancora del tutto adeguata, per cui ai nuovi sciabecchi era affidato il compito di praticare il corso con insieme alle galere e galeotte per difendere le navi mercantili che commerciavano lungo le coste del Mezzogiorno e della Sicilia (Sirago, 2019, 2: 514). Fin dall’epoca di Carlo, verso il 1749, si era scelto di formare una squadra di sciabecchi, tipologia di imbarcazione di origine araba, molto manovrabili e veloci, con lo scafo con prua slanciata, tre alberi a vela latina e talvolta un piccolo bompresso, del peso variabile fra le 150 e le 200 tonnellate, armata generalmente con cannoni (12-20), più adatta alla guerra di corsa rispetto alle galere e galeotte, che si andavano dismettendo (Formicola- Romano, 1990).
Pochi anni dopo, nel 1764, l’anno della terribile carestia, l’economista e mercante Carlo Antonio Broggia riferiva che la flotta era composta da un vascello da guerra a 64 cannoni, due fregate da 36 e 40 cannoni, sei sciabecchi da 14 a 18 cannoni, 4 galere e 4 galeotte o mezze galere (Broggia, 1979), dati confermati due anni dopo dal ministro inglese William Hamilton nelle sue dettagliate “relazioni segrete” (Pagano De Divitiis Giura, 1997: 182-183 e 184-198). Per armare meglio vascelli e fregate il ministro Tanucci, tramite il cognato Giacinto Catanti, ministro in Danimarca, fece arrivare dalla Svezia molti cannoni (Sirago, 2012:1). Poi dagli anni ’70 l’ingegnere Giovanni Bompiede, capitano del porto di Napoli, che aveva restaurato il porto della Capitale e quelli più importanti del Regno, decise di costruire delle fortificazioni lungo il golfo di Napoli con 174 cannoni fatti venire dalla Svezia tra il 1773 e il 1774 insieme ad alcuni “alberi del Nord” necessari per la costruzione di una flotta di 10 vascelli, come pianificato dal Tanucci (Sirago, 2019, 2: 524ss.). In tal modo si stabilivano nuove rotte commerciali nel Mar Baltico e nel Mar Nero (Pirolo-Sirago, 2017).
Raggiunta la maggiore età re Ferdinando cominciò ad interessarsi del comparto marittimo, forse su suggerimento del Tanucci. Dal 1775 nelle sue epistole al padre richiedeva con insistenza due fregate, necessarie per rinforzare l’esigua squadra napoletana, che però spesso venivano incorporate nella squadra spagnola (Knight, 2015).
Secondo i capitoli matrimoniali la regina Maria Carolina dopo la nascita del primogenito entrò nel Consiglio di Stato chiedendo il pensionamento del ministro Tanucci, a lei inviso perché troppo legato alla politica filospagnola (Mafrici, 2010). Poco dopo ella fece venire in regno l’ammiraglio del Granducato toscano John Acton perché stilasse un “piano” per riorganizzare la Marina (Nuzzo, 1980). Nel 1778, all’arrivo di Acton, la flotta era comporta da 4 fregate, tra cui quelle venute dalla Spagna, 8 sciabecchi, 3 galere, e 6 galeotte (Formicola-Romano, 1990: 78), comandate da ufficiali inesperti inviati spesso su navi spagnole, francesi o inglesi per imparare le tecniche nautiche (Sirago, 2019, 1). Dopo aver formato un “Consiglio di Marina” per gestire al meglio il settore, il ministro decise di acquistare dai cavalieri di Malta due vascelli a 64 cannoni, San Giovanni e San Gioacchino, mentre nel cantiere di Napoli si costruivano gli sciabecchi destinati alla difesa costiera (Formicola-Romano, 1990: 79).
Acton, per liberare il Regno dalla soggezione spagnola, nel 1783 decise di costruire un regio arsenale, visto che nell’arsenale napoletano non si potevano costruire i vascelli e le fregate. La scelta cadde su Castellammare, il luogo dove fin dal Seicento si costruiva questa tipologia di imbarcazioni. Dall’inizio delle costruzioni, che durarono tre anni, nell’arsenale cominciarono ad essere impostati i vascelli a 74 cannoni, su piani francesi, sotto la direzione dell’ingegnere Antonio Imbert, che aveva lavorato nei cantieri del Granduca di Toscana con Acton: tre anni dopo fu varato il primo vascello, la Partenope (Formicola, 1983; Sirago, 2009).
Il suo piano prevedeva la costruzione di 7 vascelli da 74 cannoni, 4 fregate da 32 cannoni, 4 sciabecchi da 20 cannoni e 4 galeotte a 18 banchi, in modo da inserire il Regno napoletano tra le potenze marittime che dominavano il Mediterraneo (Formicola-Romano, 1990: 79). Nello stesso 1783 la flotta napoletana, unitasi a quella spagnola, partecipò ad una impresa organizzata contro Algeri, covo di corsari che imperversavano nella cattura delle navi mercantili, ripetendo l’impresa anche l’anno seguente (Fernandez Duro, 1895-1903, VII: 345-361). La squadra, comandata dal senese Bartolomeo Forteguerri, era composta da 2 vascelli, San Giovanni e San Gioacchino, 3 fregate, due a 30 cannoni venute dalla Spagna, Santa Dorotea e Santa Teresa e la terza, Minerva, la prima costruita a Castellammare (varata agli inizi del 1784), 2 sciabecchi, 2 brigantini, 2 polacche. Ma le due spedizioni non dettero i risultati sperati: quando il re Carlo ratificò la pace con Algeri e gli Stati barbareschi cedendo Orano ad Algeri non incluse tra i patti la bandiera napoletana, malgrado avesse avuto un valido aiuto dalla sua squadra (Maresca, 1892).
Perciò i rapporti col padre si deteriorarono al punto che gli ultimi anni egli non scrisse più le solite missive, delegando il compito alla moglie, che fino alla morte del suocero, nel 1788, inviava solo scarne notizie di famiglia. Ma il piano di Acton per la ricostruzione della flotta napoletana si stava pian piano realizzando, mentre mutava la tipologia delle imbarcazioni. Furono infatti dismessi gli sciabecchi e costruite molte lance cannoniere e bombardiere necessarie per la tipologia di battaglia che nel corso degli anni era mutata. Nel 1784 si contavano 4 vascelli, 10 fregate, 6 corvette, 8 sciabecchi, 14 galeotte, 14 navi da guerra e molte lance bombardiere e cannoniere (Formicola-Romano, 1990: 75ss.).
Negli anni Novanta si registrò un cambio di scenario politico: il 16 dicembre 1792 la flotta comandata dal generale Louis-René-Madeleine Levassor de Latouche-Tréville arrivò nel golfo partenopeo minacciando di bombardare la città se non fosse stata riconosciuta la Repubblica Francese. Le richieste francesi furono subito accettate (Forteguerri, 2005). Ma l’anno seguente il Regno strinse un’alleanza con l’Inghilterra, il che costituì una svolta epocale nella storia del Mezzogiorno, poiché finiva una politica di neutralità e di pace avviata da Carlo di Borbone negli anni Trenta e si compromettevano definitamente le relazioni con la Francia (Mafrici, 2007: 657) La flotta, composta nel 1793 da 4 vascelli, 4 fregate, 2 corvette, 6 galeotte, 2 brigantini, 74 lance cannoniere e 10 lance bombardiere, partecipò con quella inglese all’assedio di Tolone nel 1793 e due anni dopo alla battaglia di capo Noli, dove si distinse Francesco Caracciolo. Nell’estate del 1798 furono allestite tre divisioni di bastimenti da guerra per fronteggiare gli attacchi dei barbareschi, quella di ponente, quella dell’Adriatico e quella del Mediterraneo: quest’ultima era affidata al brigadiere Francesco Caracciolo, comandante del vascello Sannita a 72 cannoni varato nel 1792 (Mollard, 2020).
Ma a fine dicembre il re, scortato da Horatio Nelson e Francesco Caracciolo, dopo aver saputo che i francesi stavano arrivando a Napoli, fuggì a Palermo, dando ordine di bruciare la flotta, costruita con tanta fatica da Acton (Formicola-Romano, 1999).
Anche la Marina mercantile fu oggetto di attente cure da parte di Carlo di Borbone e dei suoi ministri. In quel periodo si decise anche di regolamentare la navigazione per le navi mercantili con una prima prammatica del 18 agosto 1741, riconfermata il 19 agosto 1751, De nautis et portubus, in cui si davano disposizioni per la navigazione commerciale. Fu creata una Giunta della Navigazione mercantile che esaminava la preparazione dei capitani e piloti che ogni due anni dovevano ottenere un permesso per i viaggi che intendevano intraprendere e dovevano armare le navi con almeno quattro cannoni per difendersi dai corsari. Nel 1742 fu emanato un Regolamento, rinnovato nel 1751, 1757 e 1759, e fu creato un comitato che doveva controllare l’operato dei capitani, obbligati a loro volta a redigere un giornale di bordo e a riferire al Consolato del mare qualsiasi incidente occorso.
Infine nel 1751 fu istituita una «Compagnia di assicurazioni marittime» per regolamentare il commercio (Sirago, 2004: 33 ss.; Passaro, 2019 e 2020: 39ss.). Vennero poi concesse franchigie per la costruzione di navi mercantili, il che dette i suoi frutti. Tra il 1572 ed il 1762 vennero costruite 444 imbarcazioni: i principali cantieri erano alla marina di Castellamare, a Equa, marina di Vico Equense, ad Alimuri, marina di Meta, a Cassano, marina di Piano, alla Marina Grande di Sorrento, nell’isola di Procida e a Gaeta, luoghi in cui esisteva una antica tradizione cantieristica. Altre costruzioni si effettuavano nel golfo di Salerno, soprattutto nel porto di Vietri (Sirago, 2004: 33 ss.), dato confermato da Carlo Antonio Broggia nel 1654, che menzionava numerose imbarcazioni mercantili (tra 400 e 500).
Dai pochi dati reperiti nei documenti dell’Archivio di Stato (Ministero delle Finanze) tra il 1782 e il 1787 si registra un ulteriore aumento delle costruzioni: 4 a Napoli, 17 a Gaeta, 49 a Castellammare, 88 a Procida, 14 a Vico, 49 a Piano, 45 a Meta, 5 a Vietri.
Le imbarcazioni di stazza maggiore, polacche e pinchi, erano costruite a Castellammare, Meta e Piano; a Castellammare fu impostato per un negoziante napoletano anche un bastimento a tre alberi di 13.000 tomoli (25 tomoli corrispondono a 1 tonnellata di stazza lorda). A Castellammare, Meta e Piano si costruivano pinchi a uno a tre alberi, polacche a 3 alberi, tutti a vela latina. bastimenti della portata di 4000-6000 tomoli ma anche tartane da carico, feluche e gozzi, usati sia per il commercio che per la pesca. A Procida si realizzavano marticane dal fondo piatto, tipiche imbarcazioni dell’isola, e “tartane alla francese” di 3000 tomoli circa. Altre navi e bastimenti si costruivano a Vietri e alcune navi più piccole a Napoli, al Mandracchio e a Gaeta (Sirago, 2016, 2: 305-306, tab 4, Passaro, 2020: 37).
Durante la Guerra dei Sette anni 1757-1763) alcuni mercanti napoletani, approfittando di una momentanea stasi del commercio inglese, cominciarono ad inserirsi nel commercio con le Americhe (Martinica). Il mercante e armatore messinese Gaspare Marchetti, che risiedeva a Londra, aveva costituito una società con alcuni mercanti, tra cui il leccese Lucio La Marra ed alcuni commercianti napoletani, Nicola Palomba e Gennaro Rossi, interessati al «commercio con l’Oceano», organizzato con navi costruite a Castellammare, armate per concessione della Regia Corte di 20-22 cannoni ((Sirago, 2004: 33 ss.; Passaro, 2019). Altri invece percorrevano le rotte del Levante.
Per agevolare e rendere sicuri i commerci in Levante si decise di intavolare trattative commerciali con la Porta Ottomana e gli Stati barbareschi: il 7 aprile 1740 fu firmato un trattato di commercio con la Porta, in modo da creare condizioni favorevoli agli scambi commerciali, e venne nominato ambasciatore Guglielmo Maurizio Ludolf (Mafrici, 2004). Il trattato fu poi la base di quello firmato il 3 giugno 1741 tra Napoli e la Reggenza di Tripoli, un centro molto attivo, anche se di livello inferiore a Costantinopoli (Pirolo, 2017). Sulla scia dei precedenti trattati ne furono stipulati altri con alcune nazioni nordeuropee, nel 1742 con la Svezia, nel 1748 con la Danimarca e nel 1753 con l’Olanda (Galanti, I: 186). Poi, dopo lunghe trattative, nel 1787 fu firmato un trattato di commercio con la Russia (Sirago, 2012, 3 e 2016, 2). Così i nostri “capitani coraggiosi” cominciarono ad intraprendere rotte pericolose, quelle del Baltico e del Mar Nero (Pirolo-Sirago, 2017, Sirago, 2020, 2) e quelle delle Americhe, iniziando a commerciare con gli Stati Uniti (Sirago, 2012, 3).
Per una preparazione tecnica adeguata da acquisire per percorrere le nuove rotte nel 1767, dopo l’espulsione dei Gesuiti, secondo il piano per l’istruzione promosso da Antonio Genovesi, alcuni locali dell’ex azienda gesuitica furono utilizzati per aprire le scuole nautiche: a Napoli fu attivata la scuola per pilotini di San Giuseppe a Chiaia e nella penisola sorrentina quelle di Meta e Carotto, nell’antico convalescenziario della Cocumella (oggi Sant’Agnello, sede di un prestigioso hotel). Poi le scuole furono riformate dall’ammiraglio Acton che vi introdusse il metodo normale, un nuovo metodo che permetteva di acquisire in breve tempo una adeguata alfabetizzazione (Sirago, 2019,1).
Tra il 1799, anno della Repubblica Partenopea, e il 1806, quando arrivarono i francesi, il commercio ebbe una stasi a causa delle turbolenze politiche, per cui si sviluppò notevolmente il contrabbando. La marineria napoletana, utilizzata nella battaglia di Abukir nel 1798 e in altri eventi bellici, venne in gran parte distrutta; ed altre distruzioni si ebbero a causa dei corsari maghrebini, la cui aggressività aumentò in modo esponenziale, approfittando dello scontro delle potenze marinare dell’epoca (Passaro, 2020: 47).
Il Decennio Francese (1806-1815)
Durante il Decennio Francese si cercò di riorganizzare il Regno. Napoleone Bonaparte nominò re di Napoli il fratello Giuseppe, a cui ordinò di risistemare i principali porti e l’arsenale di Castellammare che si doveva adeguare per la costruzione dei vascelli a 80 cannoni, su piani francesi, ideati dall’ingegnere Sané, come quelli di Genova, La Spezia, Venezia, Trieste e Ancona. Napoleone aveva la necessità di ricostruire la flotta francese, distrutta da Horatio Nelson nella battaglia di Trafalgar del 21 ottobre 1805, per contrastare la potente flotta inglese, ormai padrona del Mediterraneo. Una attenzione particolare fu data al porto di Taranto, un porto peschereccio, che Napoleone voleva ripristinare come al tempo dei Romani, poiché era un importante avamposto per la spedizione in Egitto e la difesa delle coste italiane. Furono poi riorganizzati i porti commerciali mediante un capillare ripristino dei lazzaretti, necessari per lo “spurgo” (quarantena) delle merci provenienti dal Levante.
L’economia del Regno meridionale ebbe un notevole impulso grazie alla promulgazione della legge eversiva della feudalità (15 maggio 1806) con la quale si abolivano tutti i diritti feudali, anche quelli “di mare” che gravavano sulla marineria e sul commercio. Lo stesso giorno a Nicola Pignatelli fu affidato il Dicastero della Marina col compito di redigere una relazione sul suo stato. Ma il 21 novembre Napoleone, in seguito all’emanazione del blocco continentale da parte degli inglesi, ordinò il divieto a tutte le navi inglesi di commerciare con i Paesi soggetti alla Francia, il che sortì effetti disastrosi per il commercio. Nel 1807 furono redatte alcune piante per il ripristino del porto di Napoli, dove si voleva costruire un porto militare e l’adeguamento del cantiere di Castellammare. Furono anche ripristinate le batterie costruite a fine Settecento, necessarie per la difesa della Capitale (Sirago, 2012, 2: 76ss.)
Gioacchino Murat, designato re di Napoli il 15 luglio 1808, in sostituzione di Giuseppe Bonaparte, che era stato nominato re di Spagna, giunse in settembre nella Capitale Partenopea dove organizzò l’impresa per la riconquista di Capri, occupata nel 1806 dagli inglesi (un ricordo dell’impresa è in uno dei medaglioni scolpiti nell’Arco di Trionfo di Parigi). Poi nel 1811 creò il Corpo di Ponti e Strade, su modello francese (la futura facoltà di ingegneria), a cui fu affidato lo studio per il ripristino delle strutture portuali. Allo stesso tempo provvide al ripristino della marineria, facendo riammodernare l’arsenale di Napoli e quello di Castellammare, dove si costruivano i vascelli: fu progettato anche un progetto di tre scali, non realizzato (Sirago, 2012, 2: 81-85).
Nel 1810 fu varato a Castellammare il vascello a 74 cannoni chiamato Capri in ricordo della riconquista dell’isola. Poi fu impostato il vascello Gioacchino, a 80 cannoni, varato nel 1812. Intanto a Napoli era iniziata la costruzione della fregata Carolina, a 42 cannoni, varata nel 1811, e l’anno seguente ne fu varata un’altra a 44 cannoni, la Letizia. Infine se ne impostò una terza, mai varata. Si costruirono anche molti legni più piccoli, cannoniere, bombardieri, ecc. (Sirago, 2012, 2: 86).
Anche la marina mercantile fu oggetto di attente cure, specie dopo l’introduzione di una nuova tipologia, il brigantino, come quelli sequestrati agli americani, di cui si conserva un modellino nel Museo del Mare di Napoli, Bagnoli, presso l’Istituto Nautico. Il commercio era però diventato appannaggio dei siciliani, visto che il re era nuovamente fuggito a Palermo con l’aiuto degli inglesi. Per tutto il “decennio inglese” i siciliani continuarono a commerciare col Mar Nero, un commercio proibito ai sorrentini, che però cercavano di inserirsi, anche perché per la loro perizia nautica erano molto richiesti per quei difficili viaggi (Passaro, 2020: 47ss).
Tra il 1809 ed il 1812 si sviluppò anche un contenzioso con gli Stati Uniti, con cui dalla fine del Settecento il Regno aveva cominciato ad intraprendere relazioni commerciali (Sirago, 2019, 3). Nel 1809, durante il “Blocco continentale”, Murat per ordine di Napoleone aveva fatto sequestrare 39 brigantini e schooner americani approdati nel porto di Napoli con varie merci, a cui se ne aggiunsero altri tra il 1810 e il 1811, imbarcazioni rivendute con tutte le merci o incorporate alla flotta, una questione che si risolse solo dopo il 1825, alla morte di re Ferdinando (Pirolo-Sirago, 2019).
Il Blocco Continentale causò comunque una notevole recessione nel commercio napoletano, visto che non si potevano percorrere le rotte appena intraprese, sia in Mar Baltico e in Mar Nero che nelle Americhe, per cui il commercio si limitò al cabotaggio costiero e si sviluppò notevolmente il contrabbando. Solo al termine del Blocco, nel novembre del 1813, si ebbe una certa ripresa (Ciccolella, 2019).
In epoca murattiana furono riorganizzate l’Accademia di Marina e la scuola nautica di Napoli, poste nell’abolito Monastero di San Severino e Sossio (odierno Archivio di Stato). Quella di Piano e Meta (che contavano rispettivamente 15 mila e 7800 abitanti) fu riorganizzata secondo il progetto di Matteo Galdi, che dava molta attenzione alle matematiche, un piano utilizzato poi anche a Napoli (Sirago, 2019, 2: 84-85).
Seconda epoca borbonica (1815-1861)
Dopo la Restaurazione sia la flotta che la marina mercantile vennero ripristinate, anche grazie alle nuove tecnologie apprese dalle marinerie francese e inglese. Tra il 1815 ed il 1816 furono emanati dei regolamenti per la riorganizzazione della flotta, compendiati nelle Ordinanze Generali della Real Marina. Dal 1822 ricominciò la costruzione dei vascelli a 80 cannoni su piani francesi da aggregare alle poche imbarcazioni che avevano seguito il re in Sicilia insieme a quelle costruite in epoca francese. Nel 1824 fu varato il vascello Vesuvio, a 80 cannoni e nel 1825 il vascello Archimede (Sirago, 2004: 55) per i quali si utilizzò legname proveniente dalla Svezia e dal porto russo di Riga, grazie ai buoni uffici del marchese di Serracapriola, riconfermato nel suo incarico di ambasciatore a San Pietroburgo (Sirago, 2012). Nel 1824 il cantiere di Castellammare fu ristrutturato per essere adeguato alle nuove tipologie costruttive e fu messo in atto il piano disegnato in epoca napoleonica, con la costruzione di un avanscalo in muratura per facilitare il varo delle navi (Sirago, 2004).
Nello stesso 1818 furono emanate delle normative per la marina mercantile, con le quali si accordavano forti franchigie per la costruzione in Regno di bastimenti di tipo nuovo, brigantini e brigantini a palo superiori alle 200 tonnellate, capaci di navigare lungo le nuove rotte del Mar Nero, Mar Baltico e delle Americhe. Tra il 1818 e il 1833 la flotta si era completamente rinnovata. Si contavano infatti 289 brigantini di stazza superiore a 200 tonnellate, tutti iscritti nel comparto del porto di Napoli e nel suo golfo su 1153 legni e solo 20 in quello di Conca e 1 in quello di Vietri, nel distretto di Salerno (Sirago, 2004, tabelle in appendice; Clemente, 2011; Passaro 2020: 49ss.). Un notevole incremento si registrò sia nel territorio sorrentino che in quello di Procida, dove vi era un fiorente ceto mercantile e armatoriale (Avallone-Salvemini, 2020).
Lo sviluppo del commercio è dimostrato anche dalle numerose società di assicurazioni marittime che si formarono dopo la Restaurazione, a partire dal 1818 sia nella Capitale che nella penisola sorrentina, a Meta, e nell’isola di Procida (Avallone, 2009) i luoghi in cui la marineria era più fiorente e da cui partivano i “capitani coraggiosi” che intraprendevano lunghi viaggi (Sirago, 2019, 4 e 2020, 2).
Anche il settore dell’istruzione nautica, necessaria per la navigazione strumentale, venne potenziato. Nelle Ordinanze generali della Real Marina emanate nel 1818 era incluso anche un regolamento per l’Accademia di Marina, dove si prescriveva di incrementare gli studi della nautica, delle costruzioni navali, delle matematiche e della astronomia, e un simile riordinamento fu prescritto per la scuola napoletana dei pilotini e le scuole nautiche sorrentine di Piano e Meta (Sirago, 2020, 1)
Nello stesso 1818 cominciò l’avventura del vapore: l’armatore francese Pierre Andriel aveva avuto la concessione di poter costruire un battello a vapore, detto pacchetto (dal termine inglese packet-boat, battello postale), con macchina inglese, il Ferdinando I, per collegare Napoli con Marsiglia, il primo nel Mediterraneo. Dopo aver creato una società a cui partecipò anche l’ingegnere Carlo Filangieri, fece costruire un battello sulla spiaggia di Vigliena (San Giovanni a Teduccio) da Stanislao Filosa, “mastro costruttore di bastimenti” dell’arsenale di Castellammare, comandato dal metese Andrea De Martino, che compì il primo viaggio nel 1818. Dopo alcuni viaggi la società del francese fallì, anche perché, date le dimensioni del motore, si potevano trasportare solo posta e passeggeri (Sirago, 2014; Ciccolella, 2020). Ma nel 1823 fu creata una “Compagnia di pacchetti a vapore” con un ufficio a Napoli e una sede a Palermo, prima compagnia a vapore del Mediterraneo, che iniziò a far viaggiare le navi a vapore regolarmente tra Napoli e Palermo, a cui poi fu aggiunta la rotta Napoli-Marsiglia. Quando i pacchetti erano a Napoli compivano “giri turistici” nel golfo partenopeo o conducevano i passeggeri a Castellammare per assistere alla solenne cerimonia del varo dei vascelli (Sirago, 2014).
Nel 1829 la società fallì e fu rilevata dai Sicard che nel 1832 organizzarono la prima “crociera” nel Mediterraneo. Nel 1834 lo Stato non rinnovò la concessione poiché si era deciso di istituire un regio servizio di vapori postali (De Matteo, 2002; Sirago, 2014). Intanto si cominciavano a costruire “cavafondi a vapore”, aggregati alla flotta regia, usati per ripulire i fondali dei porti, specie quelli pugliesi, che solevano riempirsi di sabbia. Ma poiché lo Stato doveva servirsi di motori inglesi, nel 1840 fondò il Regio Opificio di Pietrarsa, vicino Portici (odierno Museo Nazionale Ferroviario), dove si cominciarono a costruire motori sia per la marineria che per la nascente ferrovia, il cui primo pezzo, Napoli-Portici, era stato inaugurato nel 1838 (Sirago, 2014).
Per l’adeguamento del cantiere nel 1838 Ferdinando II aveva promosso una commissione tecnica presieduta dall’“esperto supervisore” Giovan Battista Staiti, direttore degli Ingegneri Navali, a cui partecipava l’ingegnere idraulico Mugnai. Essi dovevano riadattare il cantiere alle nuove tipologie di imbarcazioni, lavori per i quali era prevista una spesa di 70 mila ducati. Nel piano fu inclusa l’area del cantiere mercantile, che fu ricostruito in un altro luogo (Vanacore, 1995; Castanò, 2008). L’avanscalo o scalo di alaggio fu costruito con macchinario forgiato a Pietrarsa (Corsi, 1887: 12 ss.)
Re Ferdinando II aveva dato ordine all’ingegnere Carlo Filangieri, figlio del giurista Gaetano, che aveva studiato all’Ecole Politecnique di Parigi (De Lorenzo, 1997), di redigere un piano per la costruzione dell’opificio. Egli scelse un luogo vicino Portici e vi creò anche una scuola per macchinisti a vapore, in modo da far affrancare il Regno dall’Inghilterra, che forniva motori a vapore e macchinisti (Filangieri, Autobiografia; De Rosa, 1968). La direzione dell’opificio fu affidata a Luigi Corsi, che dal 1835 aveva collaborato col capitano scozzese William Robertson nella costruzione dei primi cavafondi (draghe) a vapore. Dal 1840 al 1860 furono prodotte 21 macchine a vapore e nel 1861 nella Regia Marina Italiana furono incorporati 20 macchinisti che avevano studiato nella scuola di Pietrarsa (Filangieri, Autobiografia; Corsi, 1887). Un grande successo si registrò nel 1851, quando fu varata la pirofregata Ettore Fieramosca, con scafo costruito a Castellammare e motore a Pietrarsa, la prima unità interamente napoletana (Sirago, 2014).
In quel periodo si decise di riammodernare anche il cantiere napoletano dove fu costruito un bacino di raddobbo per la riparazione delle navi sia militari che mercantili, il primo in Italia, su modello di quelli di Tolone, visitati dagli ingegneri napoletani. Il progetto del “Dock flottante” (bacino galleggiante) fu realizzato dall’ingegnere Domenico Cervati, maggiore del Genio Militare e fu presentato al re il 1846. Fu nominata una commissione per discutere sulla fattibilità e sulla spesa, poi iniziarono i lavori, conclusi nel 1852, quando il bacino fu solennemente inaugurato alla presenza del sovrano, il 15 agosto (Formicola-Romano, 1994: 141-156).
Conclusioni
Nel 1860, quando fu proclamata l’Unità d’Italia, sugli scali erano in costruzione la pirofregata Farnese, che fu chiamata Italia, la fregata Gaeta e la corvetta Etna. Fino al 1875 furono costruite imbarcazioni di minore tonnellaggio mentre le costruzioni in legno venivano sostituite da quelle in ferro. In quel periodo nel cantiere lavoravano 1800 operai che insieme ai 1600 del cantiere napoletano costituivano circa il 50% della forza lavoro dei cantieri navali italiani (De Matteo, 1997; Ostuni, 2009). Il comparto marittimo di Castellammare, che comprendeva le penisole sorrentina e amalfitana, Salerno e la costiera cilentana, era un territorio in cui si era sedimentata una fiorente tradizione di costruzioni navali che continuò anche dopo l’Unità. Anche le scuole nautiche sorrentine e quella napoletana vennero adeguate e furono dotate di officine meccaniche per le nuove navi in ferro (Sirago, 2020: 1). Ormai la stagione della vela stava tramontando per dare spazio ai nuovi motori e a nuove tipologie costruttive.
Dialoghi Mediterranei, n. 52, novembre 2021
Fonti
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Maria Sirago, dal 1988 è stata insegnante di italiano e latino presso il Liceo Classico Sannazaro di Napoli, ora in pensione. Partecipa al NAV Lab (Laboratorio di Storia Navale di Genova). Ha pubblicato numerosi saggi di storia marittima sul sistema portuale meridionale, sulla flotta meridionale, sulle imbarcazioni mercantili, sulle scuole nautiche, sullo sviluppo del turismo ed alcune monografie: La scoperta del mare. La nascita e lo sviluppo della balneazione a Napoli e nel suo golfo tra ‘800 e ‘900, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2013; Gente di mare. Storia della pesca sulle coste campane, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2014, La flotta napoletana nel contesto mediterraneo (1503-1707), Licosia ed. Napoli 2018.
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