di Federico Furco
Quello che si è concluso da pochi giorni al Teatro Greco di Siracusa è stato il 51° Ciclo di Rappresentazioni Classiche, organizzato come sempre dall’INDA. È grazie all’iniziativa dell’aristocratico locale Mario Tommaso Gargallo e di un comitato di cittadini siracusani che dal 1914 l’Istituto Nazionale del Dramma Antico opera nell’intento di far rivivere nei teatri antichi gli stessi spettacoli che gli autori greci e latini produssero più di due millenni fa.
Il primo tentativo di riportare in vita i classici attraverso delle rappresentazioni moderne si ebbe nel 1585, quando, in occasione dell’inaugurazione del Teatro Olimpico di Vicenza, progettato da Palladio proprio su modelli teatrali greco-romani, fu rappresentata una versione dell’Edipo Re di Sofocle che prese il nome dall’originale greco: Edipo Tiranno. Il successo che ebbe lo spettacolo non avrebbe impedito di dover attendere oltre 250 anni prima di avere un altro precedente, dal momento che risale al 1841 la rappresentazione dell’Antigone di Sofocle andata in scena a Potsdam. La realizzazione dello spettacolo fornì un esempio delle possibili soluzioni atte a riprodurre la componente musicale nelle esecuzioni moderne, volendo utilizzare, in un primo tempo, solo strumenti già esistenti nel V sec. a.C.. In seguito, però, l’abbandono del proposito dell’operazione storica sarebbe stato emblematico dell’impossibilità di realizzare, in era moderna, una versione del tutto filologicamente fedele di una tragedia greca.
Oltre al fatto che il teatro di oggi, calato in un contesto principalmente d’intrattenimento o che assume una dimensione intellettualistica, e quello antico, caratterizzato esclusivamente da aspetti ludici e religiosi, si differenziano sotto molti aspetti, è da considerare, infatti, che dei tre elementi fondamentali della tragedia, ovvero testo, musica e movimenti coreutici, solo il primo è giunto fino a noi in maniera consistente, mentre per quanto riguarda gli altri due si possono solo proporre ricostruzioni ideali. Conseguentemente, le opere che vediamo oggi portate in scena nei teatri antichi sono frutto di un quadro composto da elementi che non sono mai stati concomitanti, ma che la scarsezza di testimonianze non ci impedisce comunque di ipotizzare.
Sono principalmente due i tipi di spettacoli classici che vengono tuttora portati in scena, definibili come “riscritture” e “trascrizioni”. Le prime sono rielaborazioni teatrali, letterarie o musicali affidate ad autori moderni che prendono, sì, ispirazione da opere classiche, ma che ne cambiano i contenuti, spesso fino a reinventarle di sana pianta. Da queste riscritture nascono spettacoli che hanno la loro collocazione principale nei teatri moderni, ma che sono spesso presenti anche all’interno dei festival dedicati prettamente agli spettacoli classici. Le seconde sono opere pensate e realizzate partendo da attendibili traduzioni moderne dei testi originali, che cercano di rispettare la struttura dei drammi antichi e che vengono rappresentate esclusivamente nei teatri antichi meglio conservati. È di questo secondo tipo di rappresentazioni che si è sempre occupata l’INDA.
A Siracusa tutto ebbe inizio dietro “regia” dell’indimenticato Paolo Orsi, allora Sovrintendente alle Antichità di Sicilia e Calabria, il quale, confrontandosi col Gargallo, suggerì a quest’ultimo l’idea di contattare Ettore Romagnoli. Questi, deciso sostenitore della diffusione della cultura classica e dell’idea che il mondo classico non dovesse rimanere un luogo oscuro e accessibile solo a pochi eletti, curò traduzione, direzione artistica e commenti musicali della prima opera portata in scena, l’Agamennone di Eschilo, la cui prima rappresentazione ebbe luogo nell’aprile 1914. Erano due i punti cardine dai quali lo stesso Romagnoli partiva: fedeltà delle traduzioni, senza dimenticare l’importanza della musica, e creazione di una compagnia specializzata nella messinscena del dramma antico. Da lì in poi, con cadenza prima triennale, poi biennale e infine (dal 2000) annuale, l’attività dell’Istituto sarebbe stata destinata ad avere sempre più successo.
Il 1929 è un anno fondamentale, perché da questo momento, in conseguenza dell’estensione della competenza dell’ente a tutto il territorio nazionale, si allarga l’attività di produzione che si spinge fino a coinvolgere teatri antichi non solo siciliani. È da queste premesse che partono le prime collaborazioni tra l’INDA e il Teatro Antico di Segesta, che si possono far risalire al 1957. In quell’anno, in occasione dell’Estate Teatrale Siciliana, organizzata in collaborazione con gli Enti Provinciali del Turismo e promossa dalla Regione Siciliana, si portano in scena nei teatri e nei siti archeologici di maggior rilevanza (Taormina, Palazzolo Acreide, Tindari, Gela, Agrigento, Selinunte e, ovviamente, Segesta) due spettacoli diversi: una tragedia greca e un programma di danza classica. È così che il 10 agosto dello stesso anno, molto probabilmente non nel Teatro ma nello spiazzale antistante il Tempio, per la prima volta dopo millenni Segesta torna ad ospitare la rappresentazione di un’opera classica, l’Ifigenia in Tauride di Euripide. L’iniziativa sembra riscuotere un discreto successo e l’auspicio è quello di dare inizio a una “nuova era” nella quale affiancare alla riproposizione delle opere classiche la riscoperta e il recupero delle aree archeologiche con forte attrattiva turistica. Ma, per quanto riguarda Segesta, non sembra che a tale speranza siano poi effettivamente seguiti i fatti, se è vero che nei 24 anni successivi saranno solo un paio le produzioni organizzate dall’INDA ad essere ospitate nel Teatro Antico, entrambe commedie di Aristofane: La Pace, nel 1967, e Lisistrata, nel 1972. Probabilmente il Teatro in quegli anni viene anche saltuariamente utilizzato per spettacoli di natura diversa rispetto a quella delle rappresentazioni classiche, ma le cose sarebbero cambiate da lì a poco.
Nel 1981 ha infatti inizio una collaborazione continuata tra l’INDA e l’Ente Provinciale del Turismo di Trapani che prevede, nell’intento del commissario straordinario dell’Istituto dell’epoca, il professore Giusto Monaco, l’istituzione a tutti gli effetti di un “secondo polo” del teatro classico in Sicilia. Da quel momento si realizza un’alternanza, oltre che temporale, anche di contenuti: mentre a Siracusa, negli anni pari, si continua ad andare in scena con le tragedie greche, a Segesta negli anni dispari si rappresentano quasi esclusivamente opere di ispirazione latina. Una distinzione, questa, che non era stata pensata per “sminuire” l’importanza di Segesta, ma per avere la possibilità di differenziare l’offerta del teatro classico, proponendo un tipo di teatro “minore” dal punto di vista non certo della qualità, ma della quantità di opere prodotte.
Il primo ciclo di rappresentazioni vede la messinscena di una tragedia e di una commedia: le Troiane di Seneca e La donna di Samo di Menandro, che, in 18 repliche, totalizzano poco meno di 14.000 presenze; nel 1983 è la volta de I due fratelli di Terenzio e della Fedra di Seneca, mentre per il 1985 è Plauto l’assoluto protagonista, con il Rudens e lo Stichus. Il 1987 vede la rappresentazione, per la prima volta a Segesta, di un dramma satiresco, il Ciclope di Euripide, al quale si affianca l’Eunuchus di Terenzio.Il ciclo del 1989 comprende una sola tragedia, la Medea di Seneca, che si accompagna a due diversi spettacoli. Il primo è un’esibizione di teatro nō giapponese e il secondo vede protagonisti i Dervisci Rotanti, nell’intento di creare un parallelismo tra due diversi tipi di teatro che possiamo definire “occidentale” e “orientale”. Come due anni prima, anche il 1991 presenta un solo spettacolo prodotto dall’INDA, il Tieste di Seneca; il secondo spettacolo è abbastanza inusuale: la rappresentazione il lingua tedesca dell’Antigone di Sofocle nella versione adattata da Brecht negli anni ’40. È la trasposizione in chiave teatrale di un film girato nelle settimane precedenti proprio al Teatro Antico da una televisione tedesca. Nel 1993 Plauto torna ad essere l’assoluto protagonista e si mettono in scena il Curculio e il Truculentus. Entrambe le opere sono le protagoniste di un felice esperimento: vengono interpretate da soli quattro attori che, grazie a un redivivo uso delle maschere (ispirate alle riproduzioni di terracotta in miniatura custodite al Museo Archeologico di Lipari e rinvenute in tombe databili tra IV e III sec. a.C.), provano a trasportare gli spettatori contemporanei al teatro di duemila anni fa, riuscendo a dare vita a turno, con uno sforzo non indifferente, a tutti i personaggi dei drammi.
È il 1995 l’ultima stagione nella quale si registra la collaborazione tra INDA e Segesta, con la produzione dell’Agamennone di Seneca e del Dyskolos di Menandro. Nel 1997, infatti, nonostante fosse già stata programmata la stagione, a seguito molto probabilmente dei problemi di natura finanziaria che portarono alla trasformazione della natura giuridica dell’Istituto in Fondazione, i rapporti di collaborazione diretta vengono interrotti. Da quel momento si inaugura per Segesta un nuovo modo di concepire l’utilizzo del Teatro Antico: non più esclusivamente sede di spettacoli classici ma spazio aperto a opere e rappresentazioni di varia natura, nell’intento di attirare un pubblico sempre più vasto e variegato. Le opere pensate e realizzate esclusivamente per Segesta vanno dunque diminuendo significativamente di numero e i cicli di rappresentazioni classiche sono sostituiti da spettacoli messi in scena da compagnie di teatro itineranti (come l’associazione Teatri di Pietra o gli spettacoli del Circuito del Mito) o, spesso, da compagnie costituite anche da attori non professionisti.
Dalla fine del decennio l’organizzazione degli spettacoli estivi passerà sotto la tutela diretta del comune che, proprio da quel periodo, in maniera emblematica, assumerà la doppia denominazione di Calatafimi Segesta. Verrà introdotta la cadenza annuale e si passerà a un nuovo tipo di gestione finanziaria indipendente dai finanziamenti pubblici e che porterà le varie compagnie a trarre i loro compensi direttamente da percentuali sugli incassi. In questo modo le rappresentazioni classiche stagionali aumenteranno di numero: da una media di due (fino al 1995) si passerà ad una media di circa sette (dal 1999 al 2011), ma a diminuire sarà senza dubbio la qualità stessa delle opere.
In quattordici anni di collaborazione l’INDA ha prodotto a Segesta otto cicli di rappresentazioni classiche. L’opera dell’Istituto è stata fondamentale per un duplice motivo: ha contribuito alla diffusione di un tipo di teatro (quello latino) che sarebbe altrimenti rimasto del tutto ignorato nei cicli proposti a Siracusa, e ha permesso a Segesta di fare della cultura classica un trampolino di lancio per lo sviluppo turistico della parte nord-occidentale dell’Isola. Col cambiamento di gestione si è forse riusciti nell’intento di organizzare qualcosa che potesse incontrare i gusti di un pubblico più variegato, fattore assolutamente da non sottovalutare in ambito di programmazione turistica. Ma probabilmente a rimetterci più di tutti è stato il teatro classico, assoluto protagonista a Segesta a cavallo tra gli anni ’80 e i ’90.
Dialoghi Mediterranei, n.14, luglio 2015
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Federico Furco, laureato all’Università di Palermo in Beni Demoetnoantropologici con una tesi in Cultura Greca, frequenta presso l’Università di Bologna il corso di Laurea Magistrale in Ricerca, Tutela e Documentazione del Patrimonio Archeologico. Si occupa di archeologia e cultura del periodo greco-romano, di teatro e drammaturgia dell’antichità nonché di studi sulla gestione dei parchi archeologici.
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Ciao Federico, posso chiederti chi è l’autore della foto a Segesta? è molto bella e vorrei stamparla,i dandogliene anche credito. Grazie e a presto.
marcofazio.18@gmail.com
Articolo molto interessante, che nella sua sinteticità dà un quadro completo di quello che ha rappresentato ieri e rappresenta oggi il teatro di Segesta.
Cercherò di fare il possibile per esserci durante una rappresentazione del teatro latino di Plauto.
Grazie.