di Emanuela Chinnici
I minori stranieri non accompagnati residenti nella città di Palermo e giunti sulle coste siciliane dopo mesi o anni di viaggio, si raccontano attraverso un video curato e diretto da Yousif Latif Jaralla, appassionato narratore e regista iracheno, in Italia da oltre 35 anni. L’intento del regista è quello di narrare attraverso un filmato l’orrore e la disperazione di alcuni migranti e di ragionare insieme sul presente, sui percorsi di accoglienza e soprattutto sul futuro dei sempre più numerosi ragazzi e ragazze minorenni che arrivano in Italia da soli dall’Africa, dall’Asia e dal Medio Oriente. Sono più di diecimila, infatti, i minori stranieri giunti nell’ultimo anno in Italia senza un parente, un genitore o un adulto di riferimento, a volte rimasti orfani durante il tragitto e catapultati in una dimensione sconosciuta talvolta ostile, talvolta indifferente.
I ragazzi con lo status giuridico di “minori stranieri non accompagnati” (MSNA) sono adolescenti, poco più che bambini, costretti a diventare adulti troppo presto, poco o nulla scolarizzati, così come lo erano i nostri migranti dei primi decenni del secolo scorso. Nel nostro Paese questi ragazzi precocemente adulti sono un’entità presente ma non visibile, destinati a rimanere ai margini di quel mondo che hanno scelto di abitare e nel quale, con sempre più determinazione, chiedono con forza di entrare.
L’isola che (non) c’è, attraversare il mare ieri ed oggi ha rappresentato un prezioso momento di incontro e confronto tra gli operatori delle comunità di accoglienza della nostra città, i docenti di lingua italiana per stranieri dell’Università degli Studi di Palermo e le istituzioni che si occupano del fenomeno della immigrazione in Sicilia; un luogo di comunione e di crescita in cui voci, ricordi, linguaggi, mondi e culture differenti raccontano all’unisono il dramma dell’immigrazione, che più che una scelta è spesso una fuga disperata verso l’isola che (non) c’è, una Sicilia di speranza e di morte, un’isola che viene rappresentata attraverso gli occhi dei giovani immigrati. «Dare voce a questi ragazzi è molto importante rispetto alle immagini distorte dei media», dichiara il direttore della Scuola di lingua italiana per stranieri (Itastra) dell’Università degli Studi di Palermo, Mari D’Agostino. «Dare voce direttamente a loro è cosa assai difficile quando non c’è alcuna lingua di comunicazione in comune e la risposta alle semplici domande “come ti chiami e quanti anni hai?” può variare da un giorno all’altro in rapporto alle loro strategie di permanenza nel nostro Continente. Le immagini, in questo caso, possono servire più delle parole».
I loro volti perplessi e pensierosi, indecisi e riflessivi, ripresi dal regista Yousif Latif Jaralla e catturati dagli scatti del fotografo Antonio Gervasi, raccontano più delle parole, i loro sguardi escono dall’immagine e i loro silenzi divengono assordanti. La performance multimediale conduce ad una riflessione su quanto sia necessario pensare alla persona in sé piuttosto che ad un numero o ad un problema da risolvere. Raramente infatti si scava fino in fondo nell’anima, nella storia e nel passato di quanti cercano asilo nel nostro Paese, forse perché fa comodo così ed è più facile provare compassione per qualcuno piuttosto che comprenderla davvero e riuscire a considerare la persona per quella che è, a prescindere dalla propria provenienza e dal colore della propria pelle.
Il film, dal titolo Butterfly trip, è scritto e diretto da Yousif Latif Jaralla e girato insieme ai minori Maris Usogbom dalla Nigeria, Pap Diop e Lamin Dampha dal Senegal, Eunus Mollah e Md Sadikur Rahman dal Bangladesh, con la collaborazione dell’artista siciliana Claudia Di Gangi. I protagonisti ed interpreti di Butterfly trip sono minori stranieri non accompagnati giunti sulle nostre coste da alcuni mesi, altri da anni, accolti dalle comunità alloggio della città di Palermo e inseriti in adeguati percorsi d’insegnamento della lingua italiana a stranieri sempre più spesso analfabeti nella loro lingua madre. Questi ragazzi minorenni hanno contribuito alla realizzazione del film ripercorrendo con la mente i drammatici viaggi compiuti prima di giungere nel capoluogo siciliano e di entrare in contatto con le comunità e con la Scuola. Hanno raccontato le loro storie e le loro angosce, svelandosi attraverso il linguaggio cinematografico per mezzo del quale il regista iracheno è riuscito a interpretare e trasfigurare il loro vissuto, intrecciando le storie di lotta e di sopravvivenza di cinque ragazzi in un solo racconto, emozionante e rivelatore, narrato dalla voce della tunisina Fatima Mansour. L’iniziativa è stata organizzata al culmine di un lavoro lungo due anni, all’interno di un progetto d’inclusione linguistica per i minori nel segno dell’interculturalità. Questa produzione multimediale, della durata di venti minuti, risulta essere il coronamento di questi speciali percorsi di studio rivolti ai giovani immigrati presenti sul nostro territorio con lo status giuridico di “minori stranieri non accompagnati”, coordinati dalla Scuola di Lingua italiana per Stranieri dell’Università di Palermo, a cui si devono l’ideazione e la programmazione del progetto, in comunione con l’Ufficio Nomadi ed Immigrati del Comune di Palermo e con una ventina di comunità alloggio del nostro territorio.
Raccontare/non raccontare, queste sono le parole che accompagnano l’intera pellicola dell’artista iracheno. Non è stato facile arrivare a toccare e a raccontare le loro storie di vita, afferma Yousif Jaralla: «spesso loro ti lasciano solo questa possibilità di immaginare, di ipotizzare». I loro volti perplessi, pensierosi ma silenti, complici di un segreto che intendono custodire ad ogni costo, si scontrano con l’intimo desiderio di aprirsi al mondo, di raccontarsi e, soprattutto, di essere ascoltati. Nell’abisso dei loro grandi occhi, si nascondono profonde ferite del corpo e vecchi dolori dell’anima. «Io non ho voluto fare un documentario, a me interessava scavare dentro l’anima di queste persone, nel profondo, nel loro dolore, anche a forza, a rischio di fare male», spiega il regista. Spesso questi giovani ragazzi e ragazze minorenni hanno alle spalle un difficile e lungo viaggio, durato mesi e a volte anni, nell’attesa di guadagnare i soldi necessari per attraversare il Bangladesh, l’India, il Pakistan, l’Iran, la Turchia, la Grecia, fino all’arrivo a Bari, o il Gambia, il Senegal, il Mali, il Niger, per arrivare a Tripoli, in Libia, e da qui in Sicilia. Molti di loro hanno trascorso interminabili giorni nel deserto, su camion o a piedi, hanno solcato i mari su barche malandate, senza cibo né acqua, ignari e pure fiduciosi del loro futuro. Dopo difficili e dolorose decisioni, dopo un interminabile tragitto via terra e una estenuante traversata in mare, hanno intrapreso un nuovo viaggio dentro culture, lingue, modi di vita radicalmente altri con cui confrontarsi, a volte scontrarsi, e sono andati incontro al loro destino. Vivi però rimangono i segni della loro storia, che resta parte del loro essere, embricati sul corpo, impressi sulla pelle, nonostante il desiderio di alcuni di cancellarla, dimenticarla, lasciarla scivolare nel silenzio. Molti di essi hanno assistito a drammatiche uccisioni, annegamenti, maltrattamenti, naufragi, a momenti di disperazione, fame e morte; altri non sono mai arrivati. Ed è proprio a loro che è dedicato questo documentario, pensato in nome di chi non ce l’ha fatta.
La performance multimediale è accompagnata da “A-Tratti, portrait di minori stranieri non accompagnati”, un reportage di foto e ritratti dei ragazzi che hanno frequentato i corsi d’italiano organizzati da Itastra dell’Università di Palermo. Il giorno della presentazione in anteprima alla città di Butterfly trip, si è svolta una tavola rotonda di professionisti operanti nel settore dell’immigrazione, è stata allestita una mostra fotografica e, a chiusura dei lavori, si è offerta una cena solidale, con cibi e pietanza preparate per l’occasione da Abibata Konate, meglio conosciuta a Palermo come Mamma Africa, della Costa D’Avorio. L’Isola che (non) c’è ha riscontrato una così grande affluenza di persone da dover costringere molti ad assistere alla presentazione dei film dall’esterno del luogo sito ad accogliere l’anteprima, la Real Fonderia della Cala di Palermo.
La presentazione del film si è svolta in occasione del terzo weekend delle Vie dei Tesori del mese di ottobre, festival che per quattro settimane ambisce a rilanciare Palermo come grande polo della cultura e del turismo del Mediterraneo. La comprensione dell’orrore che spesso accompagna il fenomeno dell’immigrazione e irrompe nelle vite dei popoli ospitanti quanto in quelle dei clandestini, è il primo passo verso l’interculturalità. Nell’Isola i minori stranieri trovano un’ancora e un appoggio concreto anche all’interno dell’Ateneo palermitano, che li sostiene linguisticamente e non solo. L’isola che (non) c’è, attraversare il mare ieri ed oggi e il film Butterfly trip sono il risultato di lunghi e studiati programmi d’inclusione linguistica, finalizzati all’inserimento dei minori stranieri non accompagnati in adeguati ed efficienti percorsi di apprendimento dell’italiano come lingua seconda. L’obiettivo è quello di fornire ai giovani immigrati i giusti mezzi per “nuotare” e farsi spazio agevolmente nel nostro Paese. Chi l’ha detto che le farfalle non possono attraversare i mari?
Dialoghi Mediterranei, n.11, gennaio 2015
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Emanuela Chinnici, laureata in Beni demoetnoantropoloci presso l’Università degli Studi di Palermo, studia sul campo i processi identitari e d’inserimento dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) presenti nel nostro territorio, con un’attenzione privilegiata alle pratiche di accoglienza connesse con i sistemi educativi e scolastici italiani e alla varietà dei contesti di apprendimento linguistico. È stagista presso l’Area Ricerca e Sviluppo dell’Università. Collabora con giornali on-line e riviste di settore.
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