di Sabina Bernacchini
Ispirata dalla splendida canzone di Simone Cristicchi, ho imparato a guardare e ad abbracciare un albero, interagendo con una creatura che, a differenza degli animali, percepisce l’ambiente circostante con una sensibilità superiore.
In molte culture, gli alberi sono simboli di vita, saggezza e connessione tra cielo e terra. Dalle querce sacre degli antichi Celti agli alberi della vita presenti in molte tradizioni religiose, gli alberi sono stati associati a culti, miti, rituali e credenze.
Tuttavia, oggi abbiamo perso gran parte di questo legame simbolico, vedendo spesso gli alberi solo come parte del paesaggio, senza comprendere il loro significato più profondo.
Gli alberi sono essenziali per la nostra sopravvivenza, contribuendo a regolare il clima, purificare l’aria e fornire habitat per molte specie. Nonostante la crescente consapevolezza ecologica, la nostra conoscenza delle diverse specie botaniche resta spesso superficiale.
Pochi sanno distinguere tra un castagno e un faggio o comprendere fino in fondo l’importanza della biodiversità forestale per gli ecosistemi. L’urbanizzazione e l’uso crescente della tecnologia ci hanno allontanato e distanziato ulteriormente dalla natura.
Anche se la tecnologia ha portato grandi benefici, ha ridotto il nostro contatto diretto con i boschi e le aree verdi. Molti di noi vivono in città e passano poco tempo all’aperto, il che ci fa perdere la connessione con il ciclo vitale degli alberi e con l’importanza della loro tutela.
Le piante sono creature fenomenali: possiedono persino una forma primitiva di visione e manipolano gli animali attraverso la chimica. Queste e molte altre affascinanti informazioni le ho apprese dai libri di Stefano Mancuso, grazie ai quali ho cominciato ad apprezzare le piante non solo per la loro bellezza, ma anche per la loro resilienza e innovazione.
Con queste fotografie intendo esaltare la magnificenza degli alberi, la loro monumentalità, la loro indispensabilità, riconoscerne la superiorità evolutiva e promuovere un atteggiamento di protezione e di valorizzazione.
Ho scelto per la maggior parte delle immagini il bianco e nero, al fine di creare un’atmosfera più intima e riflessiva, enfatizzando luci, ombre e contrasti. Per i dettagli dei tronchi, ho utilizzato colori desaturati per mettere in risalto la vitalità e la ricchezza del mondo naturale.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
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Sabina Bernacchini, vive e lavora a Firenze. Dal 1996 lavora al Museo Galileo come fotografa e responsabile del laboratorio fotografico. All’età di 20 anni iniziò a subire il fascino della fotografia, quella analogica, fatta di pellicole, bagni di sviluppo e fissaggio. Laureata in Scienze Naturali con una tesi su Giorgio Roster e la fotografia botanica, si dedica anche alla fotografia di soggetti naturali, soprattutto fiori, fotografati spesso come fossero delle persone in relazione affettiva. Ha pubblicato: La fotografia e le scienze botaniche. Il Fondo Roster del Museo di Storia Naturale di Firenze, in “AFT” n. 46, dicembre 2007:18-42; L’introduzione del dagherrotipo all’Imperiale e Regio Museo di Fisica e Storia Naturale di Firenze, in “AFT” n. 47, giugno 2008: 49-54; Giorgio Roster tra fotografia e botanica, in “Giorgio Roster, scienziato e fotografo tra Ottocento e Novecento, 2018, Sillabe s.r.l.: 172-187. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive.
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