Per chi sa interpretarne i segni e il linguaggio, le città parlano. A volte sussurrano, altre gridano… basta ascoltarne le voci, i suoni, i rumori: le città comunicano attraverso i monumenti e i palazzi, per mezzo della toponomastica e il colore dei loro edifici, ma si esprimono anche con i balconi e le aiuole, cioè in base alla cura che si ha dei fiori, degli alberi e del verde pubblico. Le città parlano sui muri con i manifesti e i tatzebao, le pubblicità e le insegne dei negozi, oppure con il writing e gli stencil, i murales e la street-art.
Nella sua trama estesa come lo skyline o nelle sue espressioni più minute come il graffitismo, il paesaggio urbano è assimilabile ad un immenso discorso polifonico tra le generazioni che si susseguono in un determinato spazio, ma anche ad un dialogo tra gli abitanti, qui e ora, senza trascurare che si tratta anche di un colloquio ininterrotto con i morti, nel doppio senso dei vivi che si rivolgono ai trapassati e dei defunti stessi che prendono la parola attraverso i necrologi lungo le strade.
Con le sue stratificazioni ultrasecolari, i muri e le vie di Napoli raccontano la storia e lo spirito dei suoi abitanti, come un’immensa lavagna che raccoglie le più disparate affissioni. A differenza di altre metropoli, però, a Napoli questa narrazione è arricchita proprio dai manifesti funebri che annunciano al passante la scomparsa di un abitante, coniugando presente e passato in un foglio in formato A3 (Ippolito, Siravo 2019). Il loro perimetro urbano è quello del quartiere, verso cui assolve una triste funzione divulgativa, ma a volte è addirittura più ristretto, perché ha senso nella sola via o nel solo vicolo, cioè là dove la persona scomparsa ha lasciato tracce del suo passaggio.
A Napoli questo dialogo tra vivi e morti è fittissimo e costante, quotidiano, basti pensare alle innumerevoli manifestazioni pubbliche e private, individuali e collettive che, nei secoli e ancora oggi, vi sono elaborate: dal culto delle “anime pezzentelle” al “tiro a otto” per i cortei funebri più solenni, dalla cura delle “capuzzelle” nei sotterranei della città, come nel Cimitero delle Fontanelle e nella chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, alle opere teatrali come “Le voci di dentro” di Eduardo de Filippo, in cui il grande drammaturgo parla con i defunti annidati sotto i mobili di casa, nella convinzione che chi muore non vada mai via sul serio. In certi frangenti, però, questo dialogo con l’aldilà si fa ancora più magico e suggestivo, come ad esempio nel caso del primo scudetto del calcio Napoli nel maggio del 1987, quando sulle mura perimetrali del cimitero di Poggioreale apparve un grande striscione con la frase «E che vi site perzi», alludendo alla vittoria sportiva e all’inebriante allegria che ne derivò.
Cimiteri parlanti e funerali teatrali
Sul piano storico la veridicità di questa notizia è controversa, c’è chi la definisce esplicitamente un “falso storico”, ma nel tempo ha comunque assunto un’aura leggendaria, infatti si racconta che la notte successiva sarebbe apparsa addirittura una scritta “di risposta” da parte dei defunti: «E chi ve lo ha detto?», come per dire che i morti avevano festeggiato eccome. Quelle scritte, tuttavia, non sono documentate, non esiste alcuna foto, anzi ne esisterebbero troppe, almeno tre. Come ha ricostruito il giornalista Giuseppe Cozzolino (2023), «sono tutte diverse e nessuna di queste riguarda quel giorno specifico, né tantomeno il cimitero di Poggioreale», mentre un’altra immagine piuttosto nota risale al 2012 e riguarda uno striscione affisso all’ingresso del cimitero di Pomigliano d’Arco, nell’area metropolitana di Napoli, dopo la vittoria della squadra nella finale di Coppa Italia contro la Juventus.
Come accade con le leggende, anche questa è diventata “reale” attraverso il passaparola, tant’è che in questa primavera del 2023 ha prodotto effetti concreti, ad esempio quando striscioni simili sono apparsi all’ingresso di alcuni cimiteri, come a Maddaloni, nel casertano, dove è apparso lo striscione «Cosa vi siete persi! Questo scudetto è anche vostro», e a Pesco Sannita, nel beneventano, dove i tifosi hanno affisso la frase «Non siete più dove eravate ma sarete ovunque noi siamo». Oppure come a Torre Annunziata, sulla costa vesuviana, dove il blogger “Peppe O Frances” ha annodato una sciarpa del Napoli al cancello del camposanto, documentando tutto con un video su TikTok in cui lo si vede inginocchiarsi e nominare tutti i suoi amici morti negli ultimi 33 anni, quelli trascorsi dallo scudetto precedente: «Li ho persi tutti, sono rimasto solo; loro adesso riposano nelle braccia del Signore. Ve lo avevo promesso e sono venuto da voi a festeggiare, amici miei: io vi ho sempre amato. O Frances non vi dimenticherà mai. Adesso si sono mescolate gioia e dolore nel cuore del Frances, [per cui] ho il diritto di stare solo e di piangere»[1].
A Napoli, invece, il cimitero di Poggioreale ha visto un tocco di ironia, perché prima della festa ufficiale, quando il trionfo calcistico non era stato ancora matematicamente raggiunto e l’attesa si faceva ogni giorno più febbrile, è stato apposto uno striscione con la frase «Scusate l’eventuale disturbo», in riferimento alla fragorosa festa che presto sarebbe esplosa per le vie della città e dell’intera regione, rischiando di non far dormire nessuno.
Il rapporto con la morte è molto presente nelle modalità con cui si esprime il tifo calcistico partenopeo, che ha una lunga tradizione di manifesti a lutto ogni volta che la squadra batte un’avversaria, specie le più forti del campionato, come Juventus, Milan e altre. Quest’anno, tuttavia, è stato fatto di più, perché sono state organizzate sia una “camera ardente”, sia una mini “necropoli calcistica”, vere e proprie installazioni d’arte popolare e performance teatrali spontanee.
La prima è stata realizzata fin dai primi di aprile nel centrale quartiere di Forcella: una farsa sagace contro la rivale calcistica di sempre, la Juventus di Torino, dove una stanza a livello stradale, al civico 91, è diventata meta di turisti e curiosi perché è stata trasformata in “cappella mortuaria”, con tanto di addobbi floreali a lutto e tende bianconere, oltre ad un’intestazione con la frase «Per la nostra gioia napoletana, qui riposa la Vecchia Signora Juve. Per sé e per i suoi».
Nella zona delle Case Nuove, in via Marina, invece, è stato allestito un cimitero “goliardico” con tutte le avversarie del Napoli in Serie A: Juventus, Milan, Inter, Roma, Lazio e così via, seppellite con tanto di crocifissi, lumini e, anche qui, con una frase esplicativa: «Per l’Italia intera un dolore atroce, dopo tanti anni li abbiamo messi in croce».
La morte e i suoi riti qui sono stati declinati in forma di compassionevole sfottò, dove l’inumazione è la fine delle sofferenze calcistiche, la sottrazione da ulteriori sconfitte sul campo. Il Napoli ha vinto, per cui si eleva al cielo come i trofei alzati dai campioni durante il rito di premiazione di una gara, mentre le rivali sprofondano nell’Ade del pallone, un ipogeo buio e freddo di insuccesso, la cui memoria, tuttavia, va comunque onorata, come in una sorta di “livella” che appiattisce le distanze che erano andate accrescendosi nei lunghi mesi di campionato.
Un pantheon partenopeo
In un’intervista televisiva trasmessa dal telegiornale regionale della Rai alla fine di aprile, un giornalista ha chiesto a Corrado Ferlaino, l’ex presidente della società calcistica del Napoli ai tempi dei primi due scudetti, quali fossero le sue emozioni adesso, dinanzi al primo scudetto «senza Maradona». L’anziano ingegnere ha risposto in maniera scintillante, guardando sornione il suo interlocutore: «E chi l’ha detto che Maradona non ci sia anche questa volta?», sottintendendo una sorta di “presenza divina” del grande campione scomparso improvvisamente nel novembre del 2020.
Negli striscioni sulle facciate dei palazzi e sulle strade di Napoli, i riferimenti a Diego Armando Maradona sono stati innumerevoli, così come anche quelli a Totò, Eduardo De Filippo, Mario Merola, Pino Daniele, Massimo Troisi (ovunque il suo “Ricomincio da tre”, in riferimento al terzo scudetto) e altri personaggi dell’immaginario collettivo delle ultime generazioni. Tutti defunti da alcuni anni, ma tutti presenti con frasi, citazioni e fotografie, a formare un pantheon popolare, politeista e laico, di leggende sportive e culturali.
Come nel culto delle “capuzzelle” un tempo si sceglieva un teschio negli ossari cittadini al fine di elevarne l’anima dolente a propria protezione, ricambiando con preghiere e cura dei resti mortali, quindi “rinfrescandola” dai bollori infernali, così alcune personalità sono state innalzate a rappresentanti della napoletanità, dunque a protezione della collettività, come reincarnazioni del mondo antico: eroi che forse oggi durano poco – dei “mitoidi”, dice Marino Niola (2012) – eppure che riescono ad essere, in questa realtà che cambia alla velocità della luce, «frammenti mitici a tempo determinato, stelle provvisorie che si staccano dal nucleo incandescente dell’immaginario […], meteoriti del senso che si accendono e si spengono con grande velocità» (ivi: 12).
Queste icone dello star-system sportivo e dello spettacolo raccontano alcuni dei personaggi più emblematici della seconda metà del Novecento a Napoli, soprattutto Maradona che, come gli sportivi dell’antichità, è diventato un semidio verso cui si è sviluppato un culto effervescente.
A Napoli Maradona è ovunque, nelle strade, nei vicoli dei quartieri, sulle facciate dei palazzi in forma di gigantesco murale: in un bar del centro c’è un’edicola votiva con la “reliquia” di un suo capello, che per essere fotografato richiede il consumo obbligatorio di un caffè. Posto accanto ai grandi nomi tutelari dell’immaginario napoletano, Maradona, in quanto “figlio di un dio minore”, ha sancito la rivalsa degli ultimi con il suo talento e ha dimostrato che Napoli poteva riscattarsi da un’immagine di perenne decadenza: lui poteva vincere, la squadra poteva trionfare, la città poteva farcela. Nel tempo, tra il calciatore e la città è venuto a crearsi un legame simbiotico che non ha smesso di crescere neanche nei decenni successivi alla fine della sua carriera sportiva, neanche con la sua morte, anzi, per certi versi in quel caso l’agiografia si è fatta liturgia, perché si è cominciato a celebrarlo con altarini, candele, canti corali, in particolare nei giorni della sua nascita e della sua morte.
Così, superando la loro leggendaria scaramanzia, i napoletani hanno decorato strade, palazzi e vicoli con l’azzurro e il bianco della squadra e con le immagini e le parole dei suoi eroi già alla fine dell’inverno, per cui la festa di questo terzo scudetto è stata l’occasione perché la città si narrasse una nuova volta: attraverso i festoni e gli addobbi è riaffiorata la memoria collettiva, con i titoli delle canzoni di Pino Daniele e dei film di Massimo Troisi, o con le frasi di apprezzamento di altri artisti, come il bolognese Lucio Dalla, considerato napoletano ad honorem: «Se ci fosse una siringa intramuscolo con tutto il napoletano e costasse 200mila euro me la farei per pensare e parlare come i napoletani».
A Napoli c’è un filo vitale che tiene insieme chi se ne è andato e chi ancora abita nei vicoli più antichi: in città la complicità tra i morti e i vivi è più forte che mai e si esprime al suo meglio proprio nel calcio che, come affermava Jean Paul Sartre, «è una metafora della vita», tra ruoli e regole, riti e divinità, sconfitte e trionfi. Bruno Barba (2016) aggiunge che il calcio «è danza, guerra, linguaggio, letteratura, competizione, caso, simulazione, vertigine. Ancora, è politica e business, poesia e scienza». Seguendo questa prospettiva, si può continuare dicendo che il calcio è un “fatto sociale” e che la festa per il terzo scudetto del Napoli è stato un “fatto sociale totale”, perché ha coinvolto tutti i suoi abitanti, tifosi o meno, siano essi vivi o meno, appunto.
Tra le migliaia di bandiere, cartelli e decori con cui è stata bardata la città, particolarmente interessanti sono stati quelli con le voci e le foto dei defunti. Ad esempio, in via Giacomo Savarese, la strada che dalla stazione ferroviaria di Porta Nolana della Circumvesuviana conduce a corso Umberto e alla zona universitaria, issato all’altezza del secondo piano e disteso al centro della carrozzabile tra i palazzi dirimpettai, un grande striscione recava una lunga frase scritta in un napoletano incerto, ma comprensibile, con la quale i tifosi Totore, Pepp o’ scuorz, Salvatore e Tonino si rivolgono dall’aldilà direttamente ai calciatori: «Wagliù arrvutat tutt cos ca pur nuj mbaravis stam festeggiann» («Ragazzi, rivoluzionate tutto, perché anche noi in Paradiso stiamo festeggiando»).
A completare l’opera c’erano delle immagini: ad un’estremità quelle dei campioni sportivi, compreso Maradona, con i tre scudetti e, dall’altra parte quattro fotografie con i ritratti dei firmatari. Si tratta di persone di cui, purtroppo, non so niente, ma che, com’è evidente, sono riconosciuti e noti nel rione, presumibilmente dei grandi tifosi del Napoli che, nonostante siano deceduti, partecipano comunque alla gioia collettiva e alla festa spontanea prendendo la parola e rivolgendosi direttamente ai calciatori.
Uno striscione simile è apparso su un muro del rione Sanità, dove sono stati ricordati ben dieci tifosi scomparsi, le cui foto in degli ovali alle estremità del cartello incorniciavano uno slogan rivolto a loro dai vivi: «Voi festeggiate da lassù e noi da quaggiù». Al contrario delle persone di cui al caso precedente, queste erano anziane e impegnate nel gruppo di tifosi “Brigata Carolina”, dunque alquanto note nella zona, perché non è stato necessario neanche indicarne i nomi. Dello stesso tipo, ma individuale, è, inoltre, un piccolo striscione nella zona della Salita Ritiro Purità, dedicato ad un solo ragazzo, anche costui senza nome, in cui parenti e amici gli hanno scritto: «Questo è dedicato a te», ricordandolo con due ritratti mentre gioca a calcio e con un primo piano sorridente.
Questa propensione al dialogo con l’aldilà è stata alimentata anche dalla stessa società sportiva, che la sera in cui la squadra ha raggiunto la matematica certezza della vittoria del campionato di calcio, il 4 maggio, ha pubblicato sui suoi profili social l’immagine di un ragazzo vestito con la maglietta azzurra e la coppa alla sua destra. Mentre è affacciato di notte sul golfo nella classica prospettiva da occidente verso oriente, cioè con il centro abitato sulla sinistra e il profilo del vulcano sullo sfondo, con lo sguardo rivolto alla luna piena, dice: «A voi… che ci guardate da lassù». Su Twitter, Facebook e Instagram [2] le visualizzazioni sono state milioni, con migliaia di commenti, tutti comprensibilmente emotivi tra il ricordo delle icone partenopee e quello più intimo e personale dei propri cari trapassati:
«Per Diego, per Troisi, per Pino, per il Principe De Curtis e a tanti altri artisti che hanno scritto la storia di Napoli. E soprattutto dedicato ai nostri cari che non ci sono più che ci guidano dall’alto. PER VOI» (napoliculture)
«Pensare che mio nonno (grande e storico tifoso del Napoli […]) sia scomparso lo scorso 4 maggio [2022] mi mette i brividi. Come se a distanza di precisi 12 mesi il destino abbia voluto associare la sua morte a quella che sarebbe stata la sua più grande gioia» (vittorioxix)
«Mi sono fatta stampare un piccolo tricolore da mettere sulla tomba di nonno. Ogni campionato, ogni partita penso a lui… Questo scudetto è anche per te, nonno» (85adriana1926)
«Nonno, siamo campioni d’Italia» (pio_blackmamba24)
«Babbo, questo scudetto è per te… mi manchi, Forza Napoli» (stellabeatricemat)
«Al mio papà che ci ha lasciati un anno e mezzo fa… Ti amo papi… e che spettacolo stu Napule!» (mari_arca_c)
«Voglio piangere ogni ora tutti i giorni, continuate così vi prego, non voglio smettere di piangere, lasciatemi piangere sempre, voglio chiagnere tutt a iurnat… NAPOLI TI AMO» (passione_mentalita)
Nell’epoca attuale si tende a cancellare la morte dall’orizzonte di vita, con una pretesa di longevità di massa tanto ingenua quanto vincente che fa del perire stesso, appunto, quasi una colpa. Ma a Napoli i morti non vengono dimenticati, specie nelle occasioni importanti, per cui le anime di chi non c’è più continuano a parlare e fanno festa accanto ai vivi, mostrando che in quella città la morte può essere vita, in un inestinguibile legame che trasforma il dolore della separazione in una esperienza affettiva emozionale.
Come attesta una luminosissima letteratura dedicata al dialogo tra i vivi e i morti a Napoli e nel Sud Italia, questa relazione avviene eminentemente nel sogno: sognare i defunti, raccontare i sogni, cercare di interpretarli, di spiegarli e decifrarli è qualcosa che avviene ancora, anzi che è sovente ritenuto essenziale e non virtuale, perché il rapporto tra i vivi e i morti – scrivevano Luigi Maria Lombardi Satriani e Mariano Meligrana (1982) – risulta non di contrapposizione, ma di continuità tra storia e metastoria. Evidentemente, nel sogno l’incontro con i defunti non fa paura, perché il sogno è lo spazio del possibile, dacché diventa realizzabile anche un legame tra coloro che sono e coloro che non sono più. Come spiega Vito Teti (2017), «la dimensione onirica è lo spazio protetto in cui, nella coscienza popolare, il defunto può ritornare»; il sogno cioè è il luogo in cui può avvenire il ritorno controllato dei defunti, uno spazio intermedio che congiunge la morte e la vita.
Del resto, la parola “sogno” è una delle più ricorrenti nella narrazione del terzo scudetto del Napoli: «Abbiamo un sogno nel cuore, Napoli torna campione» è lo slogan più cantato in coro dell’ultimo anno, dove la paura che potesse essere solo un abbaglio è stata spazzata via dal pathos con cui tutti si sono lasciati cullare dalla congiunzione di vista e visione, di leggerezza e profondità, di immaginario e mitologia.
A Napoli il dialogo tra vivi e morti dura da secoli ed è tuttora parte dell’esserci perché riesce a rinnovarsi e a adattarsi ai mutamenti storici e sociali, agli eventi e alle contingenze, esprimendo una implicita concezione della vita e del mondo che, ancora una volta, appare in contrapposizione con i parametri razionali della modernità. «Si ll’ammore è ‘o ccuntrario d’‘a morte» (Se l’amore è il contrario della morte), come cantava Sergio Bruni [3], allora i legami profondi – la fraternità – non possono essere interrotti dal decesso, perché continuano in sotterranea, nonostante e comunque; evidentemente, tenendo saldo quel dialogo nella zona del numinoso, dove tutto è possibile, la morte non è un’assenza (Thomas 1975), perché lì il tempo si contrae e tiene uniti mondi solo apparentemente distanti.
Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023
Note
[1] Il video di Peppe ‘O Frances al cimitero di Torre Annunziata (4 maggio 2023): https://www.facebook.com/100044148414026/videos/6120696311384738/
[2] Le citazioni sono estratte dai commenti al post su Instagram della Società Sportiva Calcio Napoli, pubblicato il 4 maggio 2023: https://www.instagram.com/p/Cr4IlXSKfwr/
[3] Si tratta di un verso della canzone “Carmela”, incisa da Sergio Bruni nel 1975.
Riferimenti bibliografici
Barba Bruno, 2016, Calciologia: per un’antropologia del football, Mimesis, Milano.
Cozzolino Giuseppe, 2023, “Cosa vi siete persi!”: la storia della scritta per lo scudetto al cimitero di Napoli, in “Fanpage.it”, 29 aprile: continua su: https://www.fanpage.it/napoli/cosa-vi-siete-persi-la-storia-della-scritta-per-lo-scudetto-al-cimitero-di-napoli/
Ippolito Daniele, Siravo Nicandro, 2019, Morire a Napoli, Rogiosi Editore, Napoli.
Lombardi Satriani Luigi, Meligrana Mariano, 1982, Il ponte di San Giacomo. L’ideologia della morte nella società contadina del Sud, Rizzoli, Milano.
Niola Marino, 2012, Miti d’oggi, Bompiani, Milano.
Teti Vito, 2017, La dimensione comunitaria della morte, in “Atlante Treccani”, 31 ottobre: https://www.treccani.it/magazine/atlante/societa/La_dimensione_comunitaria_della_morte.html
Thomas Louis-Vincent, 1975, Anthropologie de la mort, Payot, Parigi.
_____________________________________________________________
Giovanni Gugg, dottore di ricerca in Antropologia culturale è assegnista di ricerca presso il LESC (Laboratoire d’Ethnologie et de Sociologie Comparative) dell’Université Paris-Nanterre e del CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique) e docente a contratto di Antropologia urbana presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università “Federico II” di Napoli. Attualmente è scientific advisor per ISSNOVA (Institute for Sustainable Society and Innovation) e membro del consiglio di amministrazione del CMEA (Centro Meridionale di Educazione Ambientale). I suoi studi riguardano il rapporto tra le comunità umane e il loro ambiente, soprattutto quando si tratta di territori a rischio, e la relazione tra umani e animali, con particolare attenzione al contesto giuridico e giudiziario.
______________________________________________________________