L’economia circolare è un modello produttivo olistico che traduce un nuovo modo di progettare e utilizzare prodotti e servizi (Arruda et al. 2021). Questo concetto fu introdotto, negli anni Settanta, da David Pearce e Kerry Turner (1990) anche se acquisì importanza soprattutto dagli anni Novanta come idea per ridurre le emissioni della produzione industriale. Attraverso la possibilità di rendere la attività umana più resiliente, l’economia circolare propone un cambiamento nel paradigma “estrazione-produzione-smaltimento”, che è proprio dell’economia lineare attualmente applicato su larga scala in ambito industriale (MacArthur 2013), attraverso un’economia a basse emissioni di carbonio e zero rifiuti. Il passaggio dal modello lineare a quello circolare implica una diversa considerazione degli scarti i quali compaiono in tutte le fasi del processo produttivo (Andersen 2007).
I rifiuti dovrebbero essere considerati una risorsa aggiuntiva con un valore economico che deve essere adeguatamente gestito in modo sostenibile (Li et al. 2010). Al centro dell’economia circolare c’è quindi la necessità di chiudere il flusso circolare dei materiali attraverso un uso di materie prime e risorse che si ripete in più fasi.
L’economia circolare include anche l’economia funzionale dei servizi, il capitalismo naturale o i principi chiamati “dalla culla alla culla” (Urbinati et al. 2017). La territorialità è uno dei temi chiave di questo tipo di economia che si basa sul principio secondo cui i rifiuti debbano essere trattati vicino al contesto in cui si trovano (Kama 2015). In sintesi si può quindi considerare l’economia circolare come una tipologia di gestione ambientale a diversi livelli che includono un piano nazionale o regionale (macro), un piano industriale (meso) e un piano aziendale o di singolo processo (micro) (Ghisellini et al. 2016).
L’economia circolare supporta inoltre un modello di sviluppo che cerca di minimizzare l’impatto negativo delle attività umane applicando i principi relativi alle cosiddette “3 R” che coincidono con i concetti di ridurre, riutilizzare e riciclare (Li et al. 2010), pur mantenendo la massima utilità e il valore dei prodotti, dei componenti e dei materiali (Schulze 2016). L’economia circolare privilegia le azioni che hanno chiare ripercussioni sull’ambiente, come l’uso di imballaggi riciclabili, la promozione di prodotti ecologici, la riduzione delle emissioni e dei rifiuti, la valutazione delle energie rinnovabili e alternative, il risparmio energetico, l’utilizzo di beni di consumo a basso impatto ambientale, la progettazione ecologica, il recupero dei rifiuti e la dematerializzazione (Ghisellini et al. 2016) al fine di minimizzare l’impatto ambientale su un territorio (Geng et al. 2009).
In un contesto economico, l’economia circolare mira a garantire la promozione dei rapporti commerciali con le imprese, rafforzare i rapporti stabili con i fornitori, migliorare i livelli dei prezzi in relazione alla qualità offerta e fornire informazioni dettagliate ai clienti su prodotti e servizi. Allo stesso tempo, il modello dell’economia circolare può includere la creazione di nuovi posti di lavoro, il miglioramento della qualità della vita dei dipendenti e il collegamento del funzionamento di un sistema attento alla dimensione sociale della gestione nelle organizzazioni (Mathews, Tan 2011). In generale quindi, l’economia circolare si basa su progettazione di manufatti con valore aggiunto e massimo utilizzo in cicli di vita più lunghi, su pratiche di realizzazione di prodotti con usi diversi in diversi periodi della loro vita utile, garantendo così il riuso di un unico bene, la restituzione ordinata dei rifiuti solidi al settore industriale, dove il costo delle materie prime secondarie da riciclo è competitivo sul mercato (Arruda et al. 2021).
Spinti dalla crescita demografica stimata a 9 miliardi di persone entro il 2050 (Bringezu et al. 2017), gli studiosi hanno denunciato gravi impatti antropologici e ambientali, come la diminuzione della biodiversità, che aggrava lo squilibrio ecologico su larga scala (Ceballos et al. 2017), e la scarsità di materie prime a causa della domanda di estrazione da parte di milioni di abitanti, che provoca fluttuazioni dei prezzi di mercato e instabilità nel sistema economico mondiale (MacArthur 2013). Altri autori hanno sottolineato come le produzioni nazionali siano direttamente associate a vari livelli di sviluppo industriale. Questo implica che la ricchezza delle nazioni, basata ancora spesso sulla logica dell’economia lineare che richiama il principio “produzione-smaltimento”, si fondi sullo sviluppo di tecnologie come la meccanizzazione e, attualmente, la digitalizzazione (MacArthur 2013; Ceballos et al. 2017).
Dopo il collasso economico mondiale, la durabilità del prodotto è diventata un problema finanziario per le aziende. A ciò si aggiunge anche il fatto che, nel corso dei decenni, le risorse minerarie, fluviali ed energetiche sono state estratte in modo sempre più vorace, generando emissioni associate di inquinanti nell’aria, nel suolo e nell’acqua. Alcuni studi affermano il ruolo centrale del design industriale come fattore determinante per la transizione verso un’economia più circolare (Geng et al. 2009). Queste analisi sottolineano la necessità di un processo collaborativo che utilizzi sensibilità e metodi progettuali per raggiungere una strategia commerciale praticabile tale da convertire così il bisogno in domanda attraverso l’impulso di cambiamenti legislativi non meno di vari incentivi economici e sociali (Andrews 2015; Brandau et al. 2005) che dovrebbero essere tradotti in pianificazioni territoriali ambientali e quindi in profonde ristrutturazioni economiche a lungo termine sul territorio (Yi, Liu 2015).
In termini generali, la definizione delle politiche di sviluppo dell’economia circolare a medio e lungo termine stilata dall’Unione Europea fa parte dell’interazione multilivello della legislazione ambientale. All’interno di questo processo di pianificazione vengono inclusi diversi attori degli ambienti istituzionali, sociali e aziendali (Geng et al. 2009) e vengono evidenziate le implicazioni del dispiegamento dell’economia circolare in termini di governance regionale (Matti et al. 2016). La comunicazione “Towards a Circular Economy: A Zero Waste Program for Europe” (Commissione Europea 2014) ha gettato le basi per la promozione dell’economia circolare nei Paesi membri dell’UE, insieme alla comunicazione della Commissione europea intitolata “Closing the Loop: An EU Action Plan for the Circular Economy” (Commissione Europea 2015). Queste comunicazioni suggeriscono che l’economia circolare può mantenere il valore aggiunto dei prodotti il più a lungo possibile riducendo al minimo i rifiuti generati.
In sintesi, l’economia circolare nei Paesi dell’Unione Europea consentirebbe di rilanciare la competitività e la crescita, fungendo da stimolo per lo sviluppo locale e regionale (Commissione Europea 2015). In questo contesto, la regolamentazione europea dei rifiuti è aumentata negli ultimi decenni in relazione alla necessità di trasformare i rifiuti in risorse (Hultman, Corvellec 2012). Nel territorio dell’Unione Europea sono state quindi individuate buone pratiche per incentivare la raccolta differenziata dei rifiuti (Commissione Europea 2016a) e la valorizzazione energetica nel quadro dell’economia circolare è stata promossa per ottimizzare il consumo di materie prime (Scarpellini et al. 2019).
Stato dell’arte dell’economia circolare in antropologia
Ricerche antropologiche sull’economia circolare sono pressoché concordi nel riconoscere che il concetto di economia circolare ha origine dal mondo della grande industria e delle istituzioni internazionali ed è stato utilizzato principalmente da tecnocrati, politici e attivisti ambientali nello sforzo di promuovere un nuovo modello di business e politiche statali che lo supportano (Pateraki, Angelidou 2022). Nella maggior parte degli studi antropologici si sottolinea come l’economia circolare implichi un nuovo modello di business e di consumo che sposta la sua attenzione dalla creazione di valore attraverso la realizzazione e la vendita di un prodotto, alla creazione di valore fornendo un servizio attraverso un prodotto. Secondo questa linea, le pratiche di mantenere i prodotti in uso attraverso il loro servizio, implicano uno spostamento verso un modello di servizi estesi in cui le relazioni produttore-consumatore vengono rimodellate attraverso pratiche sociali post-vendita che consentono ai consumatori di riutilizzare vari prodotti, di ridurre gli sprechi e di risparmiare energia (Berry, Isenhour 2019).
Dal punto di vista antropologico, il concetto di economia circolare è stato studiato solo di recente nell’ambito di una rinnovata attenzione alle tematiche ambientali (Isenhour 2019). Alcuni antropologi hanno affrontato, per esempio, tematiche legate a “zero sprechi alimentari” che prevedono il riutilizzo del cibo scartato nei ristoranti (Pateraki, Angelidou 2022) per nutrire cittadini poveri e migranti irregolari, creando anche opportunità di lavoro e consentendo nuove forme di assistenza (Kelly 2022). In altri casi, l’economia circolare, all’interno di studi di antropologia politica, è stata invece criticata in quanto è vista come un mantenimento di concetti aziendali consolidati (Berry 2019).
Ciononostante, gli studi sull’economia circolare sono ancora scarsi in antropologia anche se essi cominciano ad offrire interessanti comprensioni dal basso di interpretazioni culturali di concetti quali equità, sostenibilità e reciprocità (O’Hare 2023). Sottolineando come la crescente scarsità di risorse stia spingendo i politici e gli studiosi a promuovere economie più circolari per ridurre gli sprechi e allungare la durata dei beni materiali di fronte a «la fine della natura a buon mercato» (Berry, Isenhour 2019: 113), alcuni antropologi si sono concentrati sulle pratiche di baratto, scambio, vendita e riparazione di beni usati in molte comunità rurali e su come la crescente mercificazione degli scarti rischi di sconvolgere i mezzi di sussistenza tradizionali (Flora et al. 2015). Altri studi hanno sottolineato come re-immaginare e rivalutare i beni di scarto attraverso la riparazione e il riutilizzo come si faceva nelle cosiddette culture popolari (Isenhour, Reno 2019).
Secondo Crocker e Chiverallis (2018): «Reuse can be understood as a deliberative project of value transformation that challenges dominant paradigms and cultural constructions while building alternative social and physical structures from the ruins of modernity» (ivi: 5). Nel loro lavoro, gli autori affermano che il riutilizzo implichi atti deliberati di rivalutazione e cura che richiamano significati, affetti, storie sociali e proprietà dei materiali incorporati (Sanchez, Alexander 2019). Tuttavia, altri studiosi suggeriscono (Berry, Isenhour 2019) che tali pratiche non sfidano necessariamente i paradigmi esistenti dell’economia lineare, né offrono alternative rivoluzionarie negli stili di vita sociali e nei consumi (Graeber 2012). Se il riutilizzo e la riparazione sono azioni familiari e quotidiane, molte ricerche evidenziano come esse mantengano stretti legami con le nuove mutazioni dell’ecogoverno liberale (Isenhour, Reno 2019). Altri studi antropologici hanno invece analizzato come le economie circolari si materializzino sia a livello locale, regionale e nazionale, sia attraverso pratiche di “circolarità” più globali (Sanchez, Alexander 2019).
Le più recenti indagini di antropologia sull’economia circolare riguardano gli usi e i significati sociali dei rifiuti (O’Hare 2023), intesi come elemento centrale che ruota attorno all’economia circolare, si sono estesi su ragionamenti più larghi legati all’inquinamento del suolo, dell’aria e della terra e ai loro effetti sociali (Choi 2019). Inoltre, i principali approcci che legano i rifiuti all’economia circolare negli studi antropologici si basano su visioni simbolico-strutturaliste incentrate sui rapporti tra ordine/disordine e sacro/profano; su analisi economico-materialiste più attente allo spreco, al valore, alle connessioni e ai flussi tra scala locale e globale; e approcci post–umani che si concentrano su come i rifiuti costruiscono le persone e su come le persone creano legami simbolici con i rifiuti (O’Hare 2023).
Fotografie e video scioccanti che rendono visibile il danno che provoca lo spreco e le carcasse di uccelli piene di plastica del fotografo Chris Jordan, hanno catturato l’immaginazione del pubblico intorno all’argomento dei rifiuti di plastica negli oceani (Zalasiewicz, Waters 2015). Allo stesso tempo, i rifiuti sono diventati una questione di diplomazia internazionale e scandalo, poiché una serie di Paesi del Sud del mondo ha iniziato a rispedire i rifiuti contaminati alle loro fonti nel Nord del mondo, come per esempio dimostra la disputa esistente tra Filippine e Canada (Choi 2019).
Nell’interfaccia tra rifiuti ed economia circolare, importanti riflessioni sono state sviluppate da Neville e Tovar Cortés (2023). Le studiose hanno svolto le loro ricerche etnografiche in Colombia. Questo Paese è diventato un pioniere nel riciclaggio inclusivo in America Latina e le politiche di formalizzazione guidate dallo Stato sono considerate un punto di riferimento per l’inclusione socio-economica dei raccoglitori di rifiuti al di fuori della regione. Tuttavia, le autrici mettono in evidenza che più di 60 mila raccoglitori di rifiuti in Colombia stanno lottando per continuare a lavorare nonostante l’incremento di queste politiche inclusive di riciclaggio e formalizzazione. Il loro studio esamina le conseguenze dell’attuazione di tali provvedimenti sulla popolazione dei raccoglitori di rifiuti attraverso la comparazione della situazione sociale a Bogotá e a Cartagena de Indias. Il loro lavoro attinge ad un’ampia metodologia di ricerca qualitativa con i raccoglitori di rifiuti in entrambe le città e la loro analisi è ispirata ad una posizione epistemologica interdisciplinare che consente di leggere la lotta politica dei raccoglitori di rifiuti colombiani come mezzo per ottenere un riconoscimento sociale ed economico. Si dimostra quindi come le politiche di formalizzazione siano diventate un meccanismo di molteplici spoliazioni in entrambe le città.
Altri contributi antropologici interessanti nell’analisi dell’economia circolare sono i lavori di Patrick O’Hare (2019; 2020; O’Hare, Alexander 2023). Lo studioso nei suoi lavori confronta le pratiche economiche circolari a livello familiare a Cambridge e a Montevideo. Le sue ricerche si avvalgono di interviste e osservazioni partecipanti condotte con dieci famiglie in ciascun sito, alle quali è stato chiesto di tenere un diario dei loro modelli di consumo, utilizzo, riutilizzo e smaltimento della plastica. I risultati raccolti tracciano le opportunità per i partecipanti alla ricerca di ridurre al minimo il loro uso di plastica principalmente attraverso scelte di consumo o pratiche di riutilizzo. Adottando un approccio incentrato sui materiali, lo studioso esplora i legami affettivi e pratici che collegano e separano le persone e la plastica nella vita di tutti i giorni, nonché il modo in cui gli immaginari globali dell’inquinamento ambientale sono radicati nelle persone in siti molto diversi. A livello analitico, il suo approccio è caratterizzato dal confronto tra pratiche di circolarità realmente esistenti, ossia attività quotidiane che conservano i materiali e creano progetti sull’uso dei rifiuti, e nuove iniziative di economia circolare. Sostiene lo studioso che, mentre le prime tendono a coinvolgere attività informali gestite dalla comunità, le seconde hanno maggiori probabilità di essere organizzate da attori formali del settore pubblico-privato.
Donatella Schmidt e Giovanna Palutan (2018) invece, muovendo da una ricerca etnografica incentrata sulle pratiche legate alla cottura e alla distribuzione del cibo in due esperienze d’accoglienza rivolte a rifugiati e a richiedenti asilo nella periferia di Roma, mettono in luce azioni di riciclo di cibo invenduto da forni, ristoranti, mercati rionali destinato ad essere distribuito ad associazioni laiche e religiose impegnate con soggetti emarginati. Nell’osservazione dettagliata delle pratiche di raccolta e redistribuzione, le due studiose mostrano una filosofia condivisa del non spreco dove il cibo avanzato e invenduto viene rimesso in circolo diventando nutrimento. La rete del non-rifiuto è legata a un più ampio movimento civico, ambientalista ed educativo, che in Italia è partito ufficialmente nel 2004 con Andrea Segrè, docente universitario impegnato che si ispirò agli studi di David Korten (2015) e Sarah Van Gelder (2014). Le due studiose sottolineano come un’economia circolare responsabile sembra essere una reazione all’attuale interpretazione del mercato sostenuto da un’economia dei rifiuti e una proposta concreta di azione in un mondo ancora intriso di un pensiero lineare e disattento. Per mezzo di nuovi dati derivati dal caso di studio in un contesto urbano complesso, il loro lavoro propone di aggiungere un importante contributo al dibattito in corso sulla circolarità nelle scienze sociali.
Mimina Pateraki e Aliki Angelidou (2022) forniscono un ulteriore esempio di studio dell’economia circolare nell’ambito dell’antropologia. Nella loro ricognizione esplorano le dinamiche create nel settore delle piccole e medie imprese in Grecia da quando fu introdotto, come lo chiamano gli autori, un «ethos imprenditoriale verde» di economia circolare. Il loro lavoro si concentra sui modi ambivalenti in cui gli imprenditori locali si impegnano in nuove forme di agenzia, combinando la liberalizzazione del mercato, la protezione del clima e le tecnologie digitali, promosse dall’Unione Europea e dallo Stato greco come alternative sia all’austerità che a un sistema dipendente dell’economia del carbone. I dati etnografici raccolti dagli autori si concentrano su come i piccoli imprenditori di Klisthenis, un sobborgo della classe medio-bassa di Atene, percepiscono e reagiscono a due progetti dell’Unione Europea sull’economia circolare nonché al Recovery Plan for Europe adottato a seguito della pandemia di Covid-19. La loro ricerca osserva inoltre i cambiamenti più ampi nelle rappresentazioni e nelle pratiche degli imprenditori locali nei loro sforzi per far fronte a crisi consecutive e alla sconfitta del loro “sé imprenditoriale” negli ultimi tredici anni.
Conclusioni
La più recente letteratura antropologica sull’economia circolare ha costruito collegamenti diretti con lo studio dei significati sociali dei rifiuti (Schmidt, Palutan 2018) intesi come materiali confusi negli imballaggi compositi, in relazione ad azioni che rendono le operazioni di riciclaggio molto difficili, fino a ricognizioni sul colonialismo dei rifiuti (O’Hare, Alexander 2023). Altre recenti ricerche si occupano di filiere transnazionali le quali incorporano interessanti interpretazioni culturali di igiene e di pulizia all’interno dei vari micro-cicli produttivi lungo le catene di approvvigionamento (Eitel 2020). Qualche accenno, che potrebbe aprire ad interessanti studi futuri sull’economia circolare, riguarda i flussi globali di materia problematica e indeterminata e come essa può essere trasformata in materiali riciclabili. Anche se le analisi antropologiche sull’economia circolare sono ancora scarse, esse possono contribuire a costruire nuove epistemologie dei materiali sempre più complessi e voluminosi che umani e non umani producono, consumano, scartano e digeriscono nel nostro presente antropocenico.
Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023
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Linda Armano, ricercatrice in antropologia, ha frequentato il dottorato in cotutela tra l’Università di Lione e l’Università di Venezia occupandosi di Anthropology of Mining, di etnografia della tecnologia e in generale di etnografia degli oggetti. Attualmente collabora in progetti di ricerca interdisciplinari applicando le metodologie antropologiche a vari ambiti. Tra gli ultimi progetti realizzati c’è il “marketing antropologico”, applicato soprattutto allo studio antropologico delle esperienze d’acquisto, che rientra in un più vasto progetto di lavoro aziendale in cui collaborano e dialogano antropologia, economia, neuroscienze, marketing strategico e digital marketing. Si pone l’obiettivo di diffondere l’antropologia anche al di fuori del mondo accademico applicando la metodologia scientifica alla risoluzione di problemi reali. Ha pubblicato recentemente la monografia Esplorare valore e comprendere i limiti, Quaderni di “Dialoghi Mediterranei” n. 3, Cisu editore (2022).
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