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Mai distanti pur se lontani. Breve storia dell’antivirus

M.83.1.4

Anonimo, Principe con falcone, India, XVII sec.

dialoghi intorno al virus

di Valerio Cappozzo

19 aprile

«Non c’è nulla di più affascinante del volo di un falco che taglia l’aria sottile un attimo prima dell’alba». Queste le parole pronunciate da Sua Eccellenza Sheikh Nasser Sabah Al-Ahmad Al-Sabah all’aprirsi delle porte del Qaṣr Bayān, il palazzo reale del Kuwait, alle quali aggiunse: «vederlo sfrecciare rasoterra per poi alzarsi in cielo, prendere la mira e precipitare sulla preda».
La falconeria è un’arte basata sul rapporto di intesa e di fiducia tra l’ammaestratore e il rapace. Significa saper coordinare a distanza la natura ed è per questo motivo che nei Paesi arabi è da millenni considerata una scienza sapienziale. Il falconiere, a terra o a cavallo, lancia il predatore che diventa il protagonista della caccia per tornare a essere servitore una volta riposatosi sul guanto.
Nel Medioevo questa pratica arriva in Europa attraverso la Spagna andalusa interessando imperatori e poeti, come Federico II di Svevia che ne fu abile interprete fino a comporre il trattato più dettagliato d’Occidente, il De arte venandi cum avibus. Ne parlano Dante, Boccaccio e anche Leonardo da Vinci nel Rinascimento, quando studia il volo degli uccelli, come riportano le carte del Codice conservato nella Biblioteca Reale di Torino, o i diversi appunti e le definizioni sulle specie di volatili e i progetti che ispirarono le sue macchine volanti. Gli uccelli rappresentano la congiunzione tra il mondo terreno e quello celeste, e il riuscire ad ammaestrarli dà una sensazione di controllo sui due livelli della geosfera.

Gli scambi culturali tra ovest ed est trovano nella falconeria una particolare connessione che comprende non solo la tecnica venatoria, ma soprattutto il rapporto con il mondo naturale che prescinde dalle categorie razionali. L’opportunità del mio primo viaggio in Kuwait nacque grazie all’invito della famiglia reale a presentare le ricerche su Dante e l’Islam al Dar al-Athar al-Islamiyyah, organizzazione culturale e sede della più imponente collezione museale privata di arte araba; il secondo, non a caso, fu organizzato per parlare di falconeria e dei viaggi mediorientali dell’imperatore Federico II, tematica ispirata dalle parole di Sua Eccellenza, dalle passeggiate nel mercato Al-Mubarakiya della città, dove diverse botteghe vendono strumenti e oggetti per falconieri, e dalla storia che il giovane autista Nadir mi raccontò tornando in albergo. Ne appuntai i particolari più rilevanti pensando di ritrovarla poi nelle Mille e una notte o in altri testi arabi di cui però non mi pare se ne faccia cenno, e non saprei dire in quale periodo storico sia ambientata. Ma è una storia adatta in questo momento di reclusione forzata a causa della pandemia che sta sconvolgendo il mondo, in certa misura come successe in Nord Africa ai tempi di Hasna e di Alam, costretti a stare distanti tra di loro migliaia di chilometri.

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Anonimo, Ragazzo con guanto e falcone, Afghanistan, XVII sec.

Alam veniva dal distretto di Thatta in Pakistan, nella regione del Sindh. Figlio di lavoratori nella fornace di mattoni era riuscito a risparmiarsi la pelle bruciata dal calore e dalla sabbia rovente grazie a un buon naso con il quale sapeva scegliere la frutta migliore e delle spezie di ottima qualità che vendeva con il suo carrettino ambulante. Nipote di un abile falconiere, per il quale spesse volte aveva svolto il ruolo di assistente nell’addestramento dei piccoli falchi, sapeva legarli con cura alla filagna durante gli esercizi. Aveva acquisito anche una certa esperienza artigianale: sceglieva le penne da infilare sulla punta dei burga, i cappucci di cuoio usati nella fase graduale di ammansimento dei rapaci, e preparava la pelle di vitello per la concia, oltre a tagliare i geti, i laccetti legati ai piccoli bracciali posti sulle zampe. Infine si occupava di provvedere al logoro, la preda legata a una corda per richiamare i falchi. Aveva anche un suo guanto, regalatogli dal nonno, che lustrava con cura aspettando di poterlo usare come posatoio una volta diventato ammaestratore.

Hasna invece, veniva dal Marocco, dalla regione di Drâa-Tafilatet nella provincia di Tinghir. La sua città, Kalaat M’Gouna, è situata nell’incantevole valle delle rose, specie originaria della Persia che in Nord Africa aveva trovato un clima ideale. Collocata sulla rotta commerciale che dal Maghreb portava verso il Medio Oriente, la città era luogo di mercato di questi fiori, celebri per il colore e per il profumo intenso che ancora oggi vengono usati per creare profumi e incensi. Figlia di estrattori di resine aromatiche, lavorava nella distilleria locale e conosceva le tecniche per estrarre l’essenza dai fiori, e fare detergenti, oli e balsami. Suo zio era un falconiere e anche se ad Hasna non era permesso di partecipare alle battute di caccia, era affascinata dai rapaci che vedeva volteggiare sopra i roseti seguendo i richiami dell’anziano parente. La sua era una giovinezza che seguiva il ciclo della fioritura, che si alternava tra vapori profumati e petali di un rosa intenso, fino al giorno in cui lo zio e il padre decisero di fare un viaggio grandioso per raggiungere Damasco, dove ogni anno aveva luogo il mercato dei profumi e la fiera dei falconi da caccia.

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Hossein Behzad, La falconiera, circa 1920

Anche il giovane Alam, con il nonno falconiere e due cugini, si recò nella capitale siriana per acquistare dei falchi pellegrini. Inconsapevoli del loro prossimo destino, i due giovani iniziarono un viaggio che durò per entrambi più di un mese. Arrivati a Damasco Alam, camminando per il grande mercato di Al-Hamidiyya, lasciandosi guidare dal suo olfatto, cercava le spezie per riportarne qualcuna con sé. Anche Hasna era alla ricerca di nuovi aromi con i quali pensava di dare toni alternativi ad alcuni profumi durante il processo di distillazione dei fiori. Guardandosi intorno tra i mille colori delle polveri contenute in larghi sacchi di tela tra centinaia di persone che discutevano sui prezzi, richiamando l’attenzione del venditore e quest’ultimo dei clienti in un unico e profondo mormorio, d’improvviso le loro mani, sprofondate nella sacca dei semi di anice, si sfiorarono. Nel ritrarle rapidamente uno sguardo, un sorriso d’occasione e una brevissima pausa, durante la quale i loro occhi entrarono gli uni negli altri, generando in entrambi un naturale sorriso. Così si incontrarono e da subito si amarono.
Pochi giorni dopo dovettero ripartire per il lunghissimo viaggio di ritorno. Con uno strazio nel cuore promisero che si sarebbero ritrovati a Damasco, passata l’estate, i primi giorni di ottobre, davanti alla bottega dove si erano incontrati. Ripartirono lei con il padre, lo zio e due falchi femmina acquistati; lui con il nonno, i due cugini e il falco reale scelto. Entrambi i gruppi, oltre alle spezie e alle varie mercanzie che riempivano fino al limite i carri, andavano in direzioni equidistanti ma contrarie.

Non appena tornati lei in Marocco, lui in Pakistan, scoppiò un’epidemia che coinvolse l’intero Nord Africa. Diffusa molto probabilmente a causa degli sbarchi dalle navi che da tutto il Mediterraneo si fermavano al porto di Cartagine, il virus si oppose per lungo tempo alla forza del loro amore ma non alla sua persistenza. Alam, sconvolto e preoccupato dalle notizie vaghe che arrivavano, decise, all’ oscuro del nonno, di preparare il falcone reale acquistato pochi mesi prima a Damasco e, indossato finalmente il suo guanto, lasciò partire il rapace. L’amore, quello vero, porta spesso a intuire la stessa cosa nello stesso momento con eguali intensità e audacia. E così Hasna preparò uno dei falchi femmina che lo zio aveva scelto nel mercato, e lo liberò in volo con la speranza che istintivamente avrebbe ripercorso il lungo viaggio per tornare nel suo primo nido. Entrambi i volatili, uno da ovest e l’altro da est, viaggiarono per migliaia di chilometri in direzione di Damasco. La storia non racconta se effettivamente arrivarono a destinazione, se nidificarono insieme, o se i due giovani si rividero un giorno, ma si ferma qui, perché quello che importa è il gesto d’amore che i due hanno consegnato ai falchi, unione tra il cielo e la terra, sigillo della promessa d’amore di una donna e di un uomo.

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Konrad von Altstetten, Codice Manesse, c. 249v

In questa breve storia che Nadir mi ha raccontato, la lontananza viene sopraffatta dalla passione, accendendo il desiderio. Mi è ritornata in mente di questi tempi dove tutto ci è a distanza e dove temiamo che nel prossimo futuro ‘distacco’ diventerà sinonimo di sicurezza. Non si dovrebbe dimenticare, con l’ausilio della letteratura, che proprio la distanza, la lontananza sono stati i primi pretesti del fare poesia. Sin da quella beduina preislamica il motivo della gioia d’amore, contrastata dalla sofferenza a causa della separazione dalla donna amata, è la ragione del comporre versi. Lo sarà in maniera incisiva anche nella poesia provenzale dove alla privazione della fisicità si aggiunge l’impossibilità di poter amare ed essere corrisposti da una donna, o da un uomo, di rango superiore. Dal Medio Oriente, dopo una lunga stazione nella Spagna andalusa per poi passare in Francia e in Germania, la poesia arriva in Sicilia e la distanza, come l’assenza, diventano la leva che spinge all’elevazione spirituale grazie alla quale l’anima dell’amante torna alla sua fonte prima. L’amore, quindi, innalza in volo il sentimento che come un falcone è legato al padrone anche se libero di svettare nella volta celeste. Numerose sono le similitudini tra l’innamoramento e la falconeria nella letteratura medievale. Peire Vidal, il celebre trovatore provenzale dell’XI sec., associa l’ammaestramento del falcone a quello del sentimento amoroso:

Ma l’astore che viene preso nella rete,
il quale è selvatico finché non viene addomesticato,
dacché diventa docile e domestico,
se qualcuno lo tiene e lo educa gentilmente,
vale molto di più di qualsiasi altro quando è preso;
è identica l’usanza
per cui chi vuole amare una giovane donna,
deve conquistarla con gentilezza.

L’immagine del falco si tramanda in letteratura anche per le qualità venatorie. L’attrazione per la persona amata attira a sé con una forza preponderante, secondo il mistico persiano Rûmî, la stessa che può avere la luna nel sollevare le maree:

Nel firmamento è apparsa all’alba una Luna
è scesa dal cielo e ha rivolto a me lo sguardo.
Come falco che strappa via un uccello qual preda
mi rapì quella Luna e corse di nuovo nel cielo.
E quando a me stesso guardai, più me stesso non vidi;
ché, in quella Luna, il mio Corpo per grazia sottile s’era fatto anima pura.

Secondo Der von Kürenberg, poeta bavarese del XII sec.,ammaestrare un falco insegnandogli la fiducia e il rispetto, concordando insieme i richiami più adatti per potersi distinguere dagli altri rapaci come dagli altri falconieri, crea un rapporto unico e inscindibile:

Io mi allevai un falco,
per più di un anno.
Quando lo resi docile come lo desideravo
e nel suo piumaggio
misi ornamenti d’oro,
si alzò nell’alto,
per altre terre lui prese il volo.
Da allora vidi il falco
volare in bella maniera:
portava alla sua zampa
dei lacciuoli di seta,
e nel suo piumaggio era
il colore rosso oro.
Dio unisca insieme quelli
che vogliono per sé l’amore.

Questi versi fanno ripensare alla storia di Nadir, alla speranza che provoca in chi l’ascolta: si saranno mai rincontrati Alam e Hasna, i due protagonisti? La loro distanza forzata, causata non solo dalla lontananza geografica ma da un’epidemia, una catastrofe di cui oggi capiamo bene gli effetti e la sensazione di impossibilità, la stessa che i due giovani devono aver provato. Non è un caso se le tematiche del ricordo melanconico dell’incontro con la donna amata, il tentativo vano di rimediare al dolore d’amore dato dalla lontananza – ne abbiamo fatto accenno poco sopra –, sono alla base del principio poetico di diverse tradizioni letterarie, da quelle beduine a quelle stilnovistiche. Jaufré Rudel ha cantato in occitano il concetto del «amor de lonh», l’amore di lontano, con delle parole che dal XII sec. entrano nelle nostre quarantene con un vigore che non risente del tempo trascorso:

Allor che i giorni sono lunghi a maggio,
mi piace il dolce canto degli uccelli di lontano,
e quando mi sono partito di là
mi ricordo di un amor lontano.
Vado per il desiderio imbronciato e a capo chino,
così che né canto né fior di biancospino
mi giovano più dell’inverno gelato.
Mai d’amore io godrò
se non godo di questo amor lontano,
perché non conosco [donna] più nobile e buona
in nessun luogo, vicino o lontano;
tanto è il suo pregio verace e fino.

A guardare indietro nella storia si nota che la poesia non è stata solo la versificazione dei pensieri, ma un atteggiamento dello spirito. Nella situazione in cui ci troviamo, proprio in nome di una continuità secolare, sarebbe forse importante imparare dalla falconeria come avvicinare a noi gli affetti che sentiamo distanti.

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Robert Anning Bell, 1901

Ultimamente i balconi italiani hanno mostrato al mondo la voglia di socializzare, di condividere un momento cantando, conversando con coloro che pur vivendoci vicino avevamo sempre tenuto lontani. Il balcone è anche il protagonista della tragedia più famosa della letteratura inglese. Romeo scavalca un perimetro a lui proibito e Giulietta gli dichiara la sua passione che supera il nome di famiglia, lo status sociale, ogni impedimento, ogni distanza predeterminata per potersi, un giorno, amare, a discapito del finale shakespeariano.
Ma il balcone è anche il protagonista di uno dei momenti politici più nefasti della storia d’Italia, l’annuncio dell’entrata in guerra decretato da Mussolini da Palazzo Venezia a Roma. Tra il desiderio di vicinanza e il contrasto tra popoli ancora oggi ci confrontiamo con il bene e il male dell’umanità, ma in una maniera diversa, affrontando la pandemia, da molti definita ‘guerra’, al tempo stesso con paura e coraggio.
Questi ultimi mesi hanno cambiato il corso della vita quotidiana dell’intero mondo, ma hanno anche stimolato la voglia di sentirsi più vicini. I pensieri vanno più velocemente alle persone a cui vogliamo bene, a chi si ama, aspettando di condividere un abbraccio. Come ci insegna la letteratura del passato, si può essere lontani ma senza sentirsi a distanza. Basta un gesto, un’idea, una promessa per poter rimanere uniti. Forse questo è l’unico antivirus di cui disponiamo oggi, lo stesso usato da Alam e Hasna e lo stesso di cui, piena di consapevolezza e amore, Giulietta conosceva la formula.

Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020

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Valerio Cappozzo, professore di letteratura italiana e direttore del Programma di Italianistica all’University of Mississippi (U.S.A.), è autore del Dizionario dei sogni nel Medioevo. Il Somniale Danielis in manoscritti letterari (Olschki 2018). Oltre all’interpretazione dei sogni lavora sul concetto di diplomazia culturale tra il mondo cristiano e musulmano nel Medioevo e nel Rinascimento. Su questo ambito di ricerca sta curando un libro su Boccaccio e l’Islam, approfondendo la ricezione araba della Divina Commedia e preparando una monografia sui viaggi mediorientali di Francesco d’Assisi e di Federico II durante le crociate. Membro del comitato scientifico di diverse collane e riviste letterarie e filosofiche, è attualmente il segretario dell’American Boccaccio Association e il co-direttore della rivista «Annali d’Italianistica».

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