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Malek Sebai: storia di un sogno poetico e politico

Malek, Face à la mer (ph. Agathe Poupeney)

Malek Sebai, Face à la mer (ph. Agathe Poupeney)

di Diletta D’Ascia 

Una delle prime cose che mi hanno colpito di Malek Sebai è la sua capacità di trasmettere l’arte attraverso il suo corpo, anche con un piccolo, infinitesimale, gesto, e la grande generosità che traspare in lei. Ho conosciuto Malek Sebai poiché ha partecipato a uno degli atelier di sceneggiatura che tengo insieme al regista e produttore Nidhal Chatta, il quale mi aveva annunciato qualche giorno prima che avrebbe preso parte al nostro corso; trascorsi i giorni successivi a ripetermi “tieni la schiena dritta, alza il mento, sorridi”, terrorizzata all’idea di insegnare alla Direttrice Artistica del Ballet de l’Opéra de Tunis. Malek arrivò per prima a lezione, mi disse di aver letto il mio curriculum e mi chiese dei miei studi di danza, di colpo mi ritrovai catapultata indietro di trent’anni mentre entravo in sala per gli esami di fine anno, a poco servì ripetermi ossessivamente di tenere la schiena dritta o qualsiasi altra cosa.

Tuttavia scoprii, durante quella prima giornata, che Malek Sebai non è solo una donna di grande cultura, ma possiede anche una profonda sensibilità; l’idea che ci presentò in qualche modo mi parlava e la sua capacità di costruire una storia non poteva che andare al di là di una semplice intuizione. Credo sia stato questo aspetto a incuriosirmi e a spingermi a voler scoprire se c’era una correlazione con il modo in cui Malek crea le sue coreografie, ciò che non mi aspettavo è che durante la nostra conversazione mi avrebbe portato a vivere un viaggio nel sogno di una bambina che si misura con la storia e i cambiamenti del suo Paese.

Malek Sebai, danzatrice, autrice, coreografa, insegnante; così come possiamo affermare che la danza esiste da quando l’uomo esiste, allo stesso modo si può dire che sia presente in Malek sin dal suo primo ricordo, quasi quest’arte l’avesse pervasa sin dalla nascita e lei fosse inevitabilmente destinata alla danza. Malek mi racconta, in effetti, che il suo primo ricordo è legato alla danza e di non avere memoria di un tempo in cui non abbia pensato, oserei dire quasi saputo, che quest’arte avrebbe fatto parte della sua vita e che lei sarebbe diventata una danzatrice, quasi fosse stata scelta e avesse sentito una sorta di richiamo. La danza d’altra parte è per lei sin da piccolissima anche un mezzo di comunicazione, prima ancora che come mezzo espressivo è infatti una sorta di tramite, di linguaggio, per comunicare con sua madre, Leila Lajimi Sebai, la prima ballerina tunisina ad aver fatto parte del Balletto Bol’šoj a Mosca. Leila Lajimi Sebai lascia la danza per divenire archeologa, tuttavia Malek, pur non avendo avuto la possibilità di vedere sua madre esibirsi in scena, la ricorda danzare continuamente, restando così affascinata e influenzata da gesti e da passi che in qualche modo diventano parte del suo quotidiano.

Malek Sebai è la prima danzatrice tunisina ad aver effettuato la sua intera formazione di danza classica all’estero, lascia infatti la Tunisia all’età di 11 anni, nel 1978, per studiare prima in Francia, à l’Opéra di Parigi, proseguire la sua formazione al Conservatoire National Supérieur de Musique et de Danse de Paris fino al 1984 e poi all’Ecole de Danse Rosella Hightower a Cannes. Continua la sua carriera di danzatrice classica non solo in Francia, ma anche in ex-URSS, allo Stanislavski Théâtre di Mosca, in Italia (L’Ater Balletto), in Germania (Münchner  Staats Oper di Monaco) e negli Stati Uniti (Elisa Monte Dance Co di New-York, 1994-1998), dove rompe con la danza classica per entrare per la prima volta in una compagnia di danza moderna. Durante questi anni trascorsi all’estero torna spesso in Tunisia, restando il suo obiettivo, sin dalla sua partenza nel 1978, quello di rientrare definitivamente nel suo Paese, ma solo dopo aver assimilato e immagazzinato quante più informazioni e tecniche possibili.

Malek Sebar, Cours Ater Balletto

Malek Sebai, Cours Ater Balletto

Malek mi racconta che per lei entrare in una compagnia o passare un’audizione non è mai stato difficile, durante la sua carriera di danzatrice non viene mai rifiutata o scartata; nell’ascoltarla mi viene spontaneo pensare che, sebbene sia una danzatrice incredibile, ciò che forse in quegli anni le dava quel fuoco e quel quid in più rispetto ad altre ballerine era il peso del sogno di una giovane ragazzina che desiderava apprendere il più possibile per riportare con sé un bagaglio culturale tale che le permettesse di dare alla danza il posto che merita come pratica artistica nel suo Paese.

La storia di Malek d’altra parte si intreccia, com’è inevitabile che sia, con la storia della Tunisia; la donna cresce dopo la fine del protettorato francese e la dichiarazione d’indipendenza avvenuta nel 1956, dunque in piena epoca di Bourguiba, il quale, se da una parte lotta per ottenere l’indipendenza e la cacciata dei francesi, dall’altra parte fa tesoro di ciò che di buono hanno portato e lasciato, che possa essere utile alla costruzione della nazione e alla sua modernizzazione. Malek cresce con questa medesima consapevolezza, sente raccontare dalla famiglia le azioni terribili commesse da alcuni colonizzatori, l’esproprio delle terre, le violenze, il razzismo, ma avverte e assimila anche un sentimento di ammirazione nei confronti della Francia e in modo del tutto intuitivo, e forse anche inconsciamente, mette in atto una strategia simile a quella di Bourguiba, prendere tutto ciò che la Francia e l’estero può offrirle, ma solo per riportarlo nella sua amata terra, così da dare il suo contributo attraverso la danza.

È importante contestualizzare la danza in Tunisia in quegli anni Sessanta in cui Malek cresce, all’indomani dell’indipendenza è divenuta infatti parte dell’educazione artistica di alcuni tunisini di una certa classe sociale; la tecnica classica viene insegnata così come arriva dall’Europa, si cerca di istituzionalizzare tutta questa conoscenza accademica senza tuttavia mai arrivare a un ripensamento che si avvalga anche della tradizione o a una vera e propria strutturazione. La danza non è che uno specchio dell’evoluzione e dei cambiamenti che stanno attraversando il Paese; quel sentimento di ammirazione per la Francia e di amore per il suo Paese spingono Malek a partire. L’amore per il suo Paese d’altra parte scandisce la sua vita, sin da ragazzina è consapevole che quella all’estero non sarà che una parentesi e che la sua vita, la sua carriera, avranno luogo in Tunisia.

Lo scopo che rimane sempre vivo in lei è quello di acquisire più esperienze e conoscenze possibili, forse anche per questa ragione non è mai mossa dalla competitività, non le interessa diventare un’étoile, ha un obiettivo e un’ambizione ben più alti, si forma e lavora con i più grandi maestri, coreografi, danzatori e sulle più straordinarie coreografie di quegli anni, di audizione in audizione, di compagnia in compagnia fa sua l’arte della danza per poterla donare alla Tunisia.

Malek Sebar, New York, 1995 (ph. Roy Wolman)

Malek Sebai, New York, 1995 (ph. Roy Wolman)

La danza classica è tradizione, vive ed evolve grazie alla tradizione che si tramanda: è questo un concetto chiave per poter comprendere appieno non solo quest’arte ma anche ciò che ha spinto Malek a partire e a formarsi in differenti Paesi all’estero; quest’arte porta con sé un sapere che viene tramandato, dunque il bagaglio culturale che Malek riporta con sé ha un valore immenso, è un tesoro che è pronto a emergere non solo attraverso il suo corpo di interprete ma anche grazie a una profonda riflessione, a cui arriva attraverso un ripensamento tra ciò che ha appreso e la cultura tunisina che porta iscritta in lei.

Prima di rientrare definitivamente in Tunisia nel 1998, gli Stati Uniti le danno l’opportunità di rompere con la danza classica, con la sua tecnica, il suo repertorio, di immergersi nella danza moderna e di utilizzare il suo corpo in modo differente. Una volta tornata, trova però ad attenderla una realtà differente da quel sogno che aveva costruito e alimentato durante gli anni di lontananza. Negli anni Ottanta la Tunisia vede la nascita di alcune compagnie private create grazie a coreografi, alcuni dei quali hanno studiato e si sono formati in parte all’estero e che costituiranno il primo gruppo realmente professionale di artisti coreografi in Tunisia; una collaborazione crescente tra danza e teatro che in parte aiuta quest’arte permettendole di avere un pubblico più ampio; un interesse da parte del Ministero della Cultura e la nascita di una politica della danza, sfortunatamente per un periodo di tempo troppo breve (1989 – 1995).

Tale politica tenta di dare vita a una seria e solida strutturazione della danza e di dinamizzare il settore; negli anni Novanta viene creata una commissione apposita formata da tecnici e professionisti della danza, Mme Leila Ladjimi Sebai viene nominata Directrice à la Sous Direction de la danse, inoltre non solo la parola Danza rimpiazza il termine Arte Popolare per la prima volta ma la sezione dedicata al Ministero della cultura prende appunto il nome di « Direction de la musique et de la Danse » (DMD). Il 1992 vede la nascita del Ballet National Tunisien e del Centre National de la Danse, le prime due strutture pubbliche per l’arte della danza che beneficiano del sostegno del Ministero della Cultura e di alcuni Istituti Culturali stranieri. L’aspetto più importante e rivoluzionario tuttavia scaturisce dal fatto che per la prima volta i danzatori tunisini che fanno parte di queste compagnie possono beneficiare di un lavoro, e dunque di uno stipendio, e di una formazione costanti e continui.

Malek Sebar, Ater Ballrtto, 1989

Malek Sebai, Cours Ater Balletto, 1989

Se da un lato a partire dal 1995 lo Stato inizia a disinteressarsi alla Danza destinata a beneficiare di un sostegno economico, ma anche di un appoggio, inferiore da parte delle Istituzioni, dall’altra parte questi anni vedono un fermento crescente grazie all’impegno e al coinvolgimento di istituti culturali e organizzazioni straniere che agiscono e lavorano sul territorio tunisino. Nel 1998 un gruppo di artisti e di professionisti delle arti dell’area del Mediterraneo fonda il DBM – Danse Bassin Méditerranée, un’associazione internazionale con l’intento di sviluppare le arti dello spettacolo contemporaneo nell’area, appunto, del Mediterraneo. Grazie al DBM e alla nascita nel 2000 dei Rencontres Chorégraphiques de Carthage (RCC), la danza contemporanea fa il suo ingresso nello scenario coreografico tunisino, permettendo la creazione e la diffusione di opere di danza contemporanea. Il DBM ha coprodotto creazioni artistiche, sostenuto la realizzazione di festival internazionali, di programmi di formazione e di ricerca, ha organizzato diversi incontri tra artisti internazionali per favorire lo scambio e il dialogo.

Malek Sebai, come abbiamo detto, torna definitivamente in Tunisia nel 1998, dunque in un periodo in cui il Ministero della Cultura aveva per così dire perso interesse per la Danza e smesso di finanziare azioni che potessero dare una continuità nel tempo. Rientra con il desiderio di mettere a disposizione tutto ciò che ha appreso e di strutturare la danza grazie anche al contributo che può dare, si accorge tuttavia piuttosto rapidamente che la situazione è cambiata e che il suo  sogno sarà quanto meno di difficile realizzazione. Tuttavia le proposte di collaborazione sono molteplici, ha inizio in questi anni il suo lavoro di autrice e coreografa che accompagna la sua “vocazione” alla formazione. Con la fine della sua carriera di interprete, ha inizio non solo quella di insegnante e coreografa, ma anche una strenua battaglia per amore della danza e del suo Paese; Malek lotta affinché si dia vita a un percorso formativo ben strutturato, affinché ai danzatori venga riconosciuto il ruolo che gli spetta nelle arti, ovvero formazione, stipendio, un futuro dopo la carriera di interpreti.

Ha dunque inizio il periodo delle battaglie per la formazione, il suo lavoro di insegnante, le riunioni con i rappresentanti dello Stato e delle Istituzioni; Malek Sebai fa parte di innumerevoli commissioni e porta avanti progetti con gli istituti culturali stranieri, tra tutti l’IFT, l’Institut français de Tunisie e il Goethe Institut in Tunisia. Diviene membro del DBM, realizza molteplici creazioni teatrali e corografiche in collaborazione con artisti tunisini e stranieri, prendendo parte anche a Dream City, una manifestazione nata nel 2007, luogo di dialogo e scambio tra artisti internazionali e che fu all’avanguardia nella realizzazione di spettacoli di danza in uno spazio pubblico. Progettato come un’area di libera espressione e libera circolazione di idee, Dream City incoraggia tuttora gli artisti a sperimentare creando un rapporto diretto col territorio e con le persone, permettendo di interagire direttamente con il pubblico e creando nuove modalità di coinvolgimento della popolazione nel processo creativo.

Malek Sebar, Ater Ballrtto, 1989

Malek Sebai, Cours Ater Balletto, 1989

Malek Sebai non cessa di interrogarsi su come il suo percorso possa essere utile, si adatta, lavorando senza sosta, tuttavia si rende conto che confrontare il suo lavoro e la sua esperienza di danzatrice con il territorio tunisino è spesso un’esperienza dolorosa e difficile. Malek mi racconta di essersi resa conto sin da subito di essersi sbagliata e che ciò che si era prefissata di mettere in atto era di difficile realizzazione: la traiettoria era cambiata. Il mondo, e la Tunisia, erano cambiati rapidamente, e per quanto potesse adattarsi a quella che definisce la nuova traiettoria, il suo inestimabile bagaglio culturale aveva perso di valore; tutte le possibilità che pensava di poter offrire improvvisamente appartenevano a un mondo che era scomparso poiché aveva deviato la sua traiettoria: la danza esisteva, ma in modo diverso poiché la sua funzione era deviata.

Sulla scia di una corrente che era nata in Francia negli anni Ottanta, sostenuta in particolare da Michel Guy (Secrétaire d’Etat à la Culture), per cui si desiderava lottare contro un certo elitarismo della danza classica, anche in Tunisia, prima con l’IFT e poi con il DBM, si cercò di contribuire allo sviluppo della danza contemporanea, ma soprattutto si sostenne come modello di danzatore il giovane uomo proveniente da un ambiente socio-economico svantaggiato, un ragazzo “à l’état brut”, a cui donare la possibilità di un riscatto e un posto nel mondo grazie alla danza.

Malek Sebai, Cours Ater Balletto

Malek Sebai, Cours Ater Balletto

Se da una parte un tale progetto e un tale fine possono essere condivisibili e potevano dare nuova linfa alla danza, dall’altra non fanno altro che far emergere una serie di problematiche che sono d’altra parte quelle per cui Malek si batte. Queste azioni politiche infatti non comportano alcuna volontà di strutturare la danza e sono costruite per un ideale che non permette di farla evolvere, quasi fossero una sorta di meravigliosa facciata costruita senza darle solide fondamenta a sorreggerla, inoltre pongono una serie di problematiche da un punto di vista dell’evoluzione coreografica. In aggiunta a questo il DBM, pur creando delle belle opportunità di incontro, dialogo e scambio e pur avendo dato luogo a spettacoli interessanti, raggruppava sotto il nome di “regione del Mediterraneo” due luoghi che, sebbene condividessero diverse problematiche, restavano e restano profondamente diversi da un punto di vista della tradizione e dei finanziamenti.

Ciò che trova non è più un territorio vergine, l’El Dorado in cui dare vita a una storia e a una tradizione della danza che si nutra anche della cultura del territorio, ma una splendida “coquille vide” e uno scarso interesse da parte di chi finanzia a riempirla realmente. Essere coreografi va al di là della creazione e della messa in scena di spettacoli interessanti, vuol dire avere un pubblico che ti segue, che desidera e aspetta di vedere un tuo spettacolo che probabilmente sarà tramandato e ricordato, spettatori a cui resterà qualcosa in più uscendo da teatro, vuol dire aprire la mente e il cuore di coloro che assistono a uno spettacolo. Malek ha vissuto tutto questo in quanto interprete, dunque come non vedere un limite nell’assenza di una classe di coreografi che siano veramente tali? Essere danzatore significa porsi delle domande su ciò che si fa, dare un valore e difendere la pratica artistica, effettuare un lavoro costante di analisi e studio. Per poter mettere in atto tutto questo è necessario lavorare sulla formazione, sulla stabilità del lavoro dei danzatori e sulla diffusione della danza a un pubblico più ampio che va necessariamente sensibilizzato.

Malek Sebar, Ater Ballrtto, 1989

Malek Sebai, Cours Ater Balletto, 1989

Una volta rientrata a Tunisi, le vengono proposte diverse collaborazioni per creare coreografie, in effetti ha qui inizio per lei la sua carriera di coreografa e il percorso nella danza contemporanea, senza mai smettere di interrogarsi su come strutturare la danza. Il suo lavoro di insegnante prosegue di pari passo, senza mai arrestarsi, da questo momento Malek mette in atto una continua e profonda riflessione su un valore indispensabile all’esercizio e all’evoluzione della danza, ovvero la formazione. Malek Sebai prende parte alla creazione di spettacoli teatrali e mette in scena decine di coreografie, lavora con organizzazioni straniere alla realizzazione di progetti legati alla danza, senza mai abbandonare l’insegnamento, evolve con quest’arte, adattandosi ai cambiamenti culturali, politici, sociali.

Con la rivoluzione del 2011 accade ad esempio qualcosa che muta profondamente anche il volto dell’arte in Tunisia, grazie al decreto legge 88 vengono abrogate le misure restrittive adottate sotto la presidenza di Ben Ali e si assicura «la libertà di costituirsi, di appartenere e di intraprendere attività all’interno di associazioni»; la possibilità di costituirsi in associazione dà vita a un pullulare di nuove iniziative artistiche, che coinvolgono, naturalmente, anche la danza. L’arte scende nelle strade e Malek ha la capacità e la prontezza di adeguarsi e di accogliere anche questo cambiamento, realizzando spettacoli nelle strade, a contatto con il pubblico, lavorando con i danzatori affinché siano loro stessi a delimitare lo spazio pur mantenendo una sorta di comunicazione e di promiscuità con il pubblico.

Nel 2021 Malek Sebai viene nominata Direttrice Artistica du Ballet de l’Opéra de Tunis, ha dunque l’opportunità di mettere a frutto gli anni trascorsi a insegnare, e soprattutto di dare vita alla sua visione della formazione di questa pratica artistica, che va ben al di là dell’insegnamento della tecnica e del repertorio proprio della danza classica. Quella che mette in atto è una profonda ricerca, partendo da ciò che più conosce, la vita e la quotidianità di un danzatore; ciò su cui si interroga è il lavoro dei ballerini e la storia di questo mestiere in Tunisia. Ciò che desidera e per cui si batte e si impegna è la creazione di una compagnia che i danzatori possano considerare la loro casa, il loro posto nel mondo, un luogo dove praticare regolarmente la danza, in cui lavorare durante tutto l’anno, non solo che offra uno stipendio fisso, ma che dia la possibilità di continuare a formarsi, a provare seguendo corsi regolari, in cui i ballerini non incorrano in lunghi momenti di stasi. Contrariamente all’Europa o agli Stati Uniti in cui i danzatori hanno l’opportunità di allenarsi con regolarità, di fare audizioni e di entrare in diverse compagnie, alla Tunisia è mancata continuità e stabilità per questi artisti. Il desiderio di Malek è pertanto quello di attuare una vera e propria innovazione in questo campo; ripensare la danza partendo da una strutturazione degli anni di formazione, per arrivare a una stabilità di questo mestiere senza momenti di pausa e interruzione e alla creazione di una nuova ondata di insegnanti, con solide conoscenze tecniche e pedagogiche, e di coreografi.

Malek Saber, Bi Ticino (ph. Patrica Triki)

Malek Sebai, Bi Ticino (ph. Patrica Triki)

Un altro punto cruciale è infatti rappresentato dal futuro dei danzatori una volta che avranno messo fine alla loro carriera di interpreti: dunque dare stabilità e continuità per rifondare la danza classica, ma senza dimenticare la storia del suo Paese. Un tale processo faciliterebbe anche una sensibilizzazione del pubblico che sarebbe finalmente portato a seguire la danza, e forse anche a comprenderla. Tuttavia per poter realizzare questa visione e questo processo sono necessari finanziamenti onerosi e investimenti continui e, sebbene molto sia stato fatto, il percorso resta ancora lungo e difficile. Un sogno forse troppo grande, ma per cui ha dato e continua a dare tutto, grazie anche alla sua capacità di analizzare quanto è stato fatto nel passato e sapersi proiettare nel futuro, un sogno che non l’ha mai allontanata dalla pratica artistica, anzi che è stato forse anche alimentato in questo modo.

Il ritorno in Tunisia ha rappresentato per Malek anche il suo ingresso nella danza contemporanea e l’inizio della sua carriera di coreografa, una carriera in cui si ritrova quasi suo malgrado;  infatti una volta rientrata le proposte in tal senso sono molteplici, quasi questo fosse considerato il proseguimento naturale del lavoro che aveva fatto fino a quel momento. Malek Sebai si getta in questa nuova avventura, ma in modo consapevole, sa che il lavoro che la attende è ambizioso e che ha bisogno di studio e riflessione per poterlo affrontare. Quello che compie è in effetti un viaggio interiore alla ricerca dei mezzi di scrittura che possano esserle di sostegno. Non può più fare affidamento sul repertorio della danza classica e per quanto la danza moderna possa aver rappresentato una sorta di “terra di mezzo”, in cui ancora erano presenti forme e linguaggi per lei riconoscibili, l’unica via percorribile per poter affrontare la danza contemporanea è quella di decostruire.

Malek Sebai, Bi Ticino (ph. Patrica Triki)

Malek Sebai, Bi Ticino (ph. Patrica Triki)

Malek ha bisogno di una drammaturgia per poter creare, sebbene infatti, anche per scelta, abbia desiderato da un certo momento discostarsi dal repertorio e dalla ripetitività proprie della danza classica, non può creare partendo da una totale astrazione e dall’improvvisazione più pura. Sceglie così di percorrere sentieri che non sono mai stati battuti, di dare spazio a una sua forma di creatività e creazione, di cercare lì dove non ci si aspetterebbe. Partendo da un immaginario bloccato, decostruisce la tecnica classica, avvalendosi di alcuni “compagni” di viaggio, primo tra cui la scrittura, poiché ha bisogno di una storia, di una drammaturgia per poter dare vita a una coreografia. La fotografa Patricia Triki le offre la possibilità di scrivere la storia in un modo del tutto innovativo, Malek ha un’intuizione, decide di non usare lo specchio durante la creazione e le prove, ma la sua immagine catturata dall’obiettivo di Patricia Triki.

L’intuizione, d’altra parte, caratterizza gran parte del suo lavoro di autrice. Mi racconta, ad esempio, della creazione e dell’evoluzione di una coreografia, “B-Ticino”, che deriva dal suo lavoro di decostruzione dei codici accademici; inizialmente Malek non riusciva a comprendere perché questa pièce la spingesse a lavorare sull’imprigionamento di una donna che aveva come compagna di reclusione una gallina. Per affrontare la decostruzione in effetti lascia che sia la sua intuizione a decidere la storia da raccontare e per lei questo imprigionamento è dovuto a un atto di stregoneria che avrebbe commesso questa donna. Tuttavia, qualche tempo dopo, si imbatte per caso in un fatto storico molto poco conosciuto, poiché causa di vergogna per le donne che l’hanno vissuto: ovvero gli istituti correttivi per donne recalcitranti e disobbedienti, chiamati “Dar Joued”.

I Dar Joued erano appunto istituti correttivi, chiusi definitivamente da Bourguiba nel 1956, una sorta di prigione in cui venivano rinchiuse le donne accusate di ribellione, disobbedienza o infedeltà al marito e dove spesso le contadine erano incarcerate insieme a delle galline. Tuttavia questo dettaglio fu scoperto da Malek solo tempo dopo aver creato la coreografia “B-Ticino” e del tutto casualmente, leggendo uno dei pochissimi articoli sui Dar Joued; come si è detto, infatti, non sono molte le informazioni su questa pagina della storia della Tunisia, le donne che vi erano state rinchiuse provavano, una volta liberate, vergogna, e dunque queste storie sono cadute nell’oblio.

Questo fatto ha segnato profondamente Malek e le sue due collaboratrici, Patricia Triki e Sondos Belhassen, sua partner per la creazione e l’insegnamento, hanno dunque deciso di realizzare, per la seconda edizione del festival “Dream City”, una pièce intitolata «Dar Joued, prison des délits de coeur».

Malek Sebai

Malek Sebai

Una storia forte, concentrata, che viene trasmessa attraverso il suo corpo, è questo un lavoro attento che viene dallo studio, dall’analisi, dall’osservazione, un lavoro su ciò che il corpo rivela, partendo proprio dal corpo, ecco allora la necessità della tecnica utilizzata con Patricia Triki, utile a rivelare qualcosa che vada oltre, che non sia fine a se stessa, che permetta di aprire nuove prospettive a chi guarda.

Durante la nostra conversazione si è domandata se non sarebbe stato meglio pensare alla sua carriera, restare lontana e seguire un altro percorso, restare “all’interno della macchina” ed essere parte del cambiamento, poiché la danza, come tutte le arti, evolve e forse dall’interno sarebbe riuscita ad avere un ruolo, non tanto più attivo, quanto più incisivo. Si percepisce una certa disillusione da parte della donna che riguarda, con gli occhi di chi ha vissuto e visto una traiettoria cambiare senza poterla arrestare o indirizzare, la ragazzina di undici anni che pensava di portare su di sé la responsabilità di far evolvere la danza nel suo Paese, contribuendo alla loro modernizzazione. Ridendo la chiama naïveté, megalomania, personalmente vedo piuttosto un sogno poetico e politico di una giovane donna che ha lottato e lotta ancora con resilienza, adattandosi al cambiamento. Una donna generosa e aperta che ha posto la danza davanti a se stessa, che ha aperto nuove prospettive a coloro che hanno collaborato con lei, a coloro che ha formato, a chi ha assistito ai suoi spettacoli, a chi semplicemente si è imbattuta in lei magari per insegnarle a scrivere sceneggiature. Malek Sebai ha la capacità e la sensibilità di trovare storie inscritte nella memoria collettiva e di rivelarle attraverso i movimenti del corpo. 

Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024 
Riferimenti bibliografici
Sebai M., La Danse en Tunisie, une jeune Quadragénaire. Focus 1960/2008, in «Revue Founoun», 2eme et 3eme trimestre 2016.

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Diletta D’Ascia, docente di sceneggiatura. Laureatasi a Roma al D.A.M.S. in Teorie psicoanalitiche del Cinema, ottiene un riconoscimento di merito al Premio Tesi di Laurea Pier Paolo Pasolini. Dirige e scrive vari cortometraggi e mediometraggi e pubblica articoli e saggi in varie riviste. È fondatore e Presidente dell’Associazione Culturale Gli Utopisti, con cui dal 2010 si occupa di realizzare corsi di formazione di cinema e progetti legati al sociale, in particolar modo contro la violenza sulle donne.

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