Attualismo e idealismo
L’attualismo è anche un già e non ancora, è una tensione verso un assoluto fuori del tempo e fondante il reale che però si dispiega tutto nell’atto temporale del suo farsi. È, questa, una delle più feconde contraddizioni non soltanto di Giovanni Gentile ma dell’intera storia della metafisica. Perché essa non è una semplice contraddizione ma costituisce il tentativo di intendere, cogliere e spiegare l’unità molteplice del mondo, la differente identità del reale.
L’idealismo metafisico è sempre un errore poiché errata, e in ogni caso assolutamente parziale, è ogni forma di antropocentrismo che ritiene l’esistere del mondo dipendente dall’esserci di una sua parte.
La definizione della prospettiva idealistica che ho appena dato è certamente drastica nella sua sinteticità ma non credo sia inesatta. È infatti evidente che l’oggetto pensato è anche un oggetto mentale ma non è soltanto mentale poiché la storia umana e ogni sua espressione è una parte della storia naturale, dato che Homo sapiens costituisce un’espressione e una struttura materica.
Se possiamo apprendere l’esistenza di un ente e i modi del suo esistere soltanto perché essi si manifestano a noi, questo non vuole dire che l’esistenza di quell’ente sia qualcosa di coscienziale e interiore, e assolutamente non vuol dire, non può voler dire pena l’irrazionalismo solipsistico, che quell’ente sia costruito dalla nostra coscienza, da essa prodotto, da noi dipendente. Che il mondo sia una mia rappresentazione può significare solo che io articolo le sue manifestazioni nei modi in cui la struttura del corpomente che sono permette di articolarli ma esso, il mondo e tutte le sue manifestazioni, sono interamente e sempre autonomi dall’esistenza mia, dell’umanità, di qualunque entità che elabora delle rappresentazioni.
E invece con Gentile sembra ripresentarsi e ripetersi con rigorosa coerenza il mantra moderno e cartesiano della distinzione tra oggetto conosciuto e soggetto conoscente, a favore della assolutezza di quest’ultimo, nella forma ovviamente non di un solipsistico Io empirico ma dell’Io trascendentale. Sembra, però. Se l’attualismo fosse soltanto questo, si tratterebbe infatti di un tardo epigono del modello hegeliano, cosa che non è. La filosofia di Gentile non è riducibile a tale elemento, per quanto fondativo, e si dispiega invece in una serie di contraddizioni, percorsi e analisi che la rendono un pensiero vivo, con il quale è fecondo confrontarsi.
È quello che tenterò in questo breve testo, privilegiando l’elemento estetico, in Gentile centrale. Esso si dispiega in particolare nella Filosofia dell’arte [1] ma è presente in tutti i suoi scritti. E questo non soltanto perché «l’arte appartiene a ciò che vi è di più intimo nell’uomo» (ivi: 946) ma anche e specialmente perché l’arte è lo spirito stesso sotto un aspetto determinato e insieme universale. Questo aspetto è il sentimento, una parola e un’esperienza per Gentile fondamentali, senza le quali il pensiero si muoverebbe nel vuoto e anzi non scaturirebbe proprio. Talmente centrale è il sentimento da meritare che su di esso l’opera si chiuda: «Il pensiero, sì, è la realtà, il mondo; ma l’Atlante che regge questo mondo in cui si vive e in cui vivere è gioia, è il sentimento, che ci fa talora cercare le maggiori opere d’arte come fonti di vita, ma ci fa rientrare sempre in noi stessi ad assicurarci che il mondo si regge saldamente sulle sue fondamenta» (ivi:1242).
Le ragioni di questa centralità dell’arte/sentimento affondano nella metafisica attualistica per la quale lo spirito non è un atto che viene pensato ma è l’atto che pensa, una pura attività che niente riceve dall’esterno ma produce da sé il mondo, avendo coscienza di sé come coscienza degli enti e come coscienza di sé che degli enti ha coscienza. In questo modo il pensiero «non si riferisce alla realtà; è la stessa realtà» (ivi: 1146).
A questa evidente radicalizzazione dell’idealismo hegeliano va opposta la tesi fenomenologica per la quale «in ogni caso, l’esse non è il percipi» [2]; con il linguaggio di Husserl si può dire che la sintesi operata dalla coscienza sui dati percettivi è sempre una sintesi passiva, che esperisce strutture oggettive e autonome dalla coscienza mentre alla coscienza si manifestano: «La cosa può essere interpretata come fatta di molecole o come sede di spiriti, ma è proprio questa cosa data nell’esperienza ad essere interpretata in modi differenti» [3].
Rispetto alle sue articolazioni più teoretiche si può dire che l’arte è il luogo, l’esperienza, la dinamica nella quale la metafisica di Gentile tende a superare il dualismo di soggetto e oggetto, di pensiero e mondo, immergendo il pensiero nel mondo e facendo scaturire il mondo dal pensiero. Nell’«assoluto formalismo» dell’arte (ivi: 1055) «il soggetto puro soggetto non esiste, e viene ad essere, in virtù della sintesi, insieme con l’oggetto» (ivi: 1136). Una simile filosofia dell’arte diventa una filosofia del linguaggio di grande interesse anche perché molto vicina ad alcune tesi di Saussure e precisamente a quelle che si riferiscono alla natura contestuale del linguaggio, alla sua dimensione diacronica e cangiante, alla parole come declinazione soggettiva e creatrice della struttura linguistica che accomuna quanti parlano una lingua storico-naturale.
Ne consegue una caratterizzazione fortemente ermeneutica dell’arte, che sembra riecheggiare la tesi nietzscheana sui fatti come tessuto di interpretazioni. Secondo Gentile è impossibile partire da un fatto che non sia già un concetto, che non costituisca un «insieme d’apprensione e interpretazione» (ivi: 964). Apprensioni e interpretazioni che rendono il ‘fatto’ – anche quello testuale – talmente cangiante da far sì che nessuna interpretazione o traduzione possa alterarlo, mancando il nucleo stabile e immobile di ciò che sarebbe alterato o male interpretato. Dinamica sintetizzata in una definizione del tradurre di forte caratterizzazione metafisica: «Il tradurre per un verso è cambiare, è muoversi nel diverso; ma per un altro è tornare, per chiudere il circolo, dal diverso all’identico» (ivi: 1167).
Gentile, il realismo, la materia
L’opposizione di Gentile a ogni forma di realismo è costante, continua e coerente. Il realismo non sarebbe altro che un presupposto dogmatico in base al quale il divenire degli enti diventerebbe insostenibile, dato che il solo divenire, il divenire reale, non è quello degli enti materici ma il divenire del pensiero in atto. Tesi molto vicine, e anche questo è significativo, a quelle di alcuni fisici contemporanei. Per la fisica quantistica come per l’attualismo gentiliano «ogni realismo è assurdo» (ivi: 1171), senza che questo significhi, però, cadere nello scetticismo e nell’irrazionalismo di chi ipotizza che il mondo possa essere un sogno prodotto dalla coscienza. Il rigore teoretico di Gentile è incompatibile con simili fantasie scettiche proprio perché tende a una radicale unificazione di coscienza e realtà, ritenendo insostenibile ogni «immaginaria autocoscienza perfetta, che non abbia più limiti da superare» (ivi: 1035). Eterno è invece lo spirito poiché eterno è il suo diventare, eterna è la dinamica di essere e non essere dalla quale scaturiscono gli enti, gli eventi, i processi.
La filosofia diventa con Gentile il processo generale del mondo, anch’esso asintotico e sempre aperto. A esistere non è la filosofia ma il filosofare che esclude la possibilità di sistemi chiusi e conclusi. Un filosofare nel quale e per il quale si cammina sempre e per questo si arriva sempre e non si arriva mai. Il mondo che emerge dentro e a causa della conoscenza è, in sintesi, «processo, non risultato» (ivi: 1220).
Che l’essere sia il divenire, che l’essere sia tempo, è un principio ontologico fondamentale per chiunque voglia capire la coerente profondità del mondo. La declinazione fortemente idealistica che Gentile dà a questa consapevolezza lo induce però a fraintendere gravemente il pensiero greco e in generale antico, che per lui sarebbe stato nell’impossibilità di comprendere l’arte in quanto essa «è attività spirituale e lo spirito non entrò mai nel quadro della realtà, a cui fu rivolto il pensiero degli antichi» (ivi: 1228).
È significativo che per Gentile il primo barlume di una comprensione dell’arte avvenga con il cristianesimo, con il suo concetto del tutto interiore della grazia posta dentro l’‘anima’ e al di sopra della ‘natura’. Altrettanto significativa è la critica alla metafisica di Spinoza in quanto radicalmente greca. Ed è così infatti. Spinoza è il più greco, insieme a Nietzsche e Heidegger, dei filosofi successivi al tramonto storico del paganesimo classico.
E tuttavia c’è una pagina di Gentile che descrive lo spettacolo della finitudine e del morire di tutti gli enti in un modo che si può ben definire greco e spinoziano, «uno spettacolo immenso, che ci rende l’immagine di un oceano sterminato, la cui superficie qua e là pare un momento s’increspi e agiti, ma ecco torna subito liscia, uguale, immota» (ivi: 1211), lo spettacolo della materia, dell’intero, del tutto che diviene in un ciclo di enti che incessantemente si trasformano.
Lo spirito del quale parlano i cantori del Soggetto, dall’iniziatore Descartes sino al culmine gentiliano, è il contrario di quanto essi immaginavano, è la magnifica e parziale autoconsapevolezza della materia.
La filosofia, anche la filosofia dell’arte, è il tentativo di cogliere, penetrare e descrivere l’infinita potenza della materiatempo. Per questo la filosofia rappresenta, e Gentile ha ben ragione a sottolinearlo in ogni occasione, il fondamento e insieme il vertice di ogni conoscenza, ciò che appaga, in modo ogni volta diverso e ripetuto, il bisogno che i corpimente nutrono di intendere il principio e il suo svolgersi. Se per Gentile la pedagogia/educazione deve introdurre alla durezza dell’esistenza, liberandosi dall’illusione di un vivere «beato nella sconfinata distesa del proprio dominio» (ivi: 1004), se l’estetica/arte deve dar conto della potenza dei sentimenti umani, la filosofia è, semplicemente, «la piena e assoluta comprensione delle cose» (ivi: 1137).
Idealismo e transumanesimo
Filosofia che coincide con la sua storia rimanendo tuttavia sempre sistema. Per Gentile infatti «la filosofia e la sua storia sono tutt’uno come processo dello spirito; in cui sarà empiricamente possibile distinguere una trattazione storica da una trattazione sistematica della filosofia, e pensare che ciascuno dei termini presupponga l’altro» [4]. Il profondo significato pedagogico dell’attualismo sta anche qui, sta nel fare della conoscenza storica della filosofia una delle condizioni della sua struttura metafisica e di converso nel trasformare il sistema in una vicenda dinamica, nella quale non esiste stasi. La storia della filosofia accade «nell’atto del filosofare […] Giacché la totalità della filosofia non consiste nella scolastica compiutezza enciclopedica delle sue parti, sibbene nella logica sistematicità dei concetti in cui essa si realizza» [5].
La struttura storica dell’umano e di ogni suo prodotto costituisce un’evidente conferma dei limiti della nostra specie, del non poter mai tale animale aspirare a un Assoluto posto fuori dallo spaziotempo. La filosofia di Gentile è probabilmente l’ultima espressione tradizionale di tale pretesa, che però nel presente sembra riapparire nelle forme certo ben mascherate ma sempre visibili del cosiddetto transumano.
Il transumanesimo è un’evidente forma di ὕβρις, fondata sulla volontà di espansione della soggettività umana «all’insegna di un’onnipotenza che è concessa soltanto agli Dei; e neanche agli Dei, perché tutto è dominato dalla legge cosmica di Moira, Colei che assegna le parti, e di Ananke, la Necessità che tutto stringe nella sua morsa, e Themis, Colei che Dispone, alle quali neanche i Divini possono sottrarsi» [6].
È infatti dalla notte, dall’indeterminato, dall’ἄπειρον, dalla pienezza della materia cosmica che ogni ente e circostanza prende forma. Ogni cosa che è, ogni ente, è parte di un intero nei cui confronti la parte è del tutto dipendente, un intero senza il quale non potrebbe avere esistenza né movimento né divenire. L’ente è parte costitutiva di un tutto del quale è espressione, manifestazione, modo d’essere. Parte costitutiva e in perenne trasformazione, costitutiva proprio perché in trasformazione. La presenza degli enti nel tutto prende il nome di ontologia, la trasformazione degli enti nel tutto prende il nome di temporalità. Pensare l’essere in queste e nelle altre sue strutture e dinamiche è la filosofia. Pensarlo dunque nel suo incessante accadere come tempo, essendo tempo, permanendo come tempo e diventando tempo. Dell’essere non è possibile né sensato predicare altro che il suo accadere nella materia che muta senza posa e in eventuali coscienze che appercepiscono questo accadere mentre anche tali coscienze vanno trasformandosi.
E pertanto concetti centrali in ogni idealismo, anche in quello di Gentile, quali l’‘assoluto’ sono in realtà poco più che intuizioni e metafore con le quali una parte della materia dotata di coscienza coglie il tempo come un tutto ora, come il tutto che era prima, come il tutto che sarà poi. Perché il sempre non è una forma statica ma è proprio questo eventuarsi senza posa della materia, ora e in ogni istante del suo accadere.
L’ambito e il discorso definiti con la parola «metafisica» sono esattamente l’ambito e il discorso dove tutto questo (e altro) può essere detto, argomentato, discusso, analizzato, pensato e ripensato, sia storicamente sia teoreticamente.
Una prima evidente conseguenza è che l’oggetto della filosofia non è in alcun modo la parte ma è il tutto. E dunque l’oggetto della filosofia non è la vita (biologia), l’animalità (zoologia), l’umano (antropologia/psicologia/storiografia) ma è la materia cosmica, è l’universo, è il mondo, o altri nomi che al tutto è possibile attribuire.
Uno dei paradossali meriti dell’attualismo gentiliano è la chiarezza con la quale la pretesa antropocentrica si esprime e dunque precipita e fallisce. Anche da ciò che Gentile continua a poter insegnare emerge pertanto la necessità di abbandonare ogni antropocentrismo e ogni dualismo/contrapposizione tra l’umano e il cosmo nel quale l’umano è posto nei modi più diversi come signore. Signore di che cosa? Non decidiamo di nascere, né come e dove nasciamo né siamo padroni delle nostre vite e del morire, perché in questo caso saremmo tutti dei felici signori del tempo. E invece del tempo siamo soltanto una necessaria espressione e ciò che chiamiamo morire è soltanto la formula del limite umano incapace di cogliere la permanenza della materia al di là delle sue contingenti espressioni.
Anche per questo Gentile ha invece ragione nel concepire e difendere il lavoro filosofico non come il pensato di un individuo ma come il tentativo di dare conto mediante gli strumenti umani di ciò che rende possibili tali strumenti, il loro attuarsi, le entità che ne fanno uso, la realtà sulla quale si esercitano e che è destinata a rimanere per sempre come da sempre è accaduta, la realtà che chiamiamo mondo.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
Note
[1] Ora in G. Gentile, L’attualismo, a cura di V. Cicero, Bompiani, Milano 2014: 937-1242. I riferimenti ai numeri di pagina delle citazioni tratte dalla Filosofia dell’arte saranno indicati tra parentesi nel testo.
[2] V. Costa, Margini del trascendentale. Questioni metafisiche nella fenomenologia di Husserl, Scholé-Morcelliana, Brescia 2024: 39.
[3] Ivi: 79.
[4] G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro, in L’attualismo, cit.: § XIII,12, 266.
[5] Ivi: XIII,13, 267.
[6] A. Tonelli, Nel nome di Sophía. Un manifesto contro il transumanesimo, Agorà & Co., Sarzana-Lugano 2022: 15.
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Alberto Giovanni Biuso, professore ordinario di Filosofia teoretica nel Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, insegna Filosofia teoretica, Metafisica e Filosofia delle menti artificiali. Ha anche insegnato Epistemologia, Sociologia della cultura e Storia dell’estetica. È collaboratore, redattore e membro del Comitato scientifico di numerose riviste italiane ed europee. È direttore scientifico della rivista Vita pensata. Tema privilegiato della sua ricerca è il tempo, in particolare la relazione tra temporalità e metafisica. Si occupa inoltre della mente come dispositivo semantico; della vitalità delle filosofie e delle religioni pagane; delle strutture ontologiche e dei fondamenti politici di Internet; della questione animale come luogo di superamento del paradigma umanistico. Il suo libro più recente è Ždanov. Sul politicamente corretto (Algra Editore, 2024).
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