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Musei come centri di ricerca e condizione contadina. L’insegnamento di Cirese

 

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di Maria Luisa Meoni

Nel 1953 inizia la pubblicazione della rivista “La Lapa. Argomenti di storia e letteratura popolare”, fondata dal poeta e studioso Eugenio Cirese e dal figlio Alberto Mario. Nel primo numero troviamo due brevi, molto significativi, interventi di Alberto Cirese, su argomenti apparentemente distanti, ma che risultano emblematici dei filoni centrali del suo impegno scientifico, così ricco di apporti e stimoli, particolarmente importanti per quelli di noi che hanno avuto il privilegio di apprezzare direttamente il suo insegnamento. Il primo testo si intitola “Folklore della Resistenza” e ho letto con piacere che Cesare Bermani ricorda questo scritto nel suo recente lavoro di ricerca su Bella Ciao. Storia e fortuna di una canzone dalla Resistenza italiana all’universalità delle Resistenze (Novara, Interlinea, 2020).

Bermani, infatti, inizia il percorso citando il testo di Cirese, affermando che a lui si deve «il merito di essersi interessato per primo di ‘Bella ciao’ e aver notato come fosse un riadattamento della canzone epico-lirica che Costantino Nigra ha chiamato “Fior di tomba II”». Qui mi fermo nella mia rievocazione, senza affrontare i molteplici rapporti di Cirese, sia con Cesare Bermani, sia con il gruppo di studiosi e ricercatori che poi dettero vita all’Istituto Ernesto De Martino, sorto a Milano nel 1966.

Di seguito, nella stessa pagina de “La Lapa” troviamo una illuminante recensione al manuale di “etnografia metropolitana” di Marcel Maget, intitolato Guide d’étude directe des comportements culturelles, che Cirese aveva portato da un suo soggiorno a Parigi con una borsa di studio. Coglie subito l’apporto fondamentale che individua nella categoria di “comportamento culturale” e nella sigla stessa di “ethnographie métropolitaine”: tale ambito «non abbraccia soltanto lo studio delle tradizioni popolari ‘stricto sensu’, ma anche quello dei modi di vita e di pensiero di un quartiere cittadino o di una fabbrica, sulla base appunto del concetto di ‘comportamento culturale’».

ethnographie_metropolitaine_-_guide_detude_-maget_marcel_bpt6k3370645wDopo una serie di scambi epistolari, Maget inviò un saggio, subito tradotto e pubblicato nella stessa rivista del 1954, su un tema di interesse centrale, intitolato “A proposito di specializzazione. Storia e antropologia”, che rimase per decenni l’unico testo di Maget disponibile in lingua italiana. È lo stesso Cirese a raccontare i suoi rapporti di stima e amicizia con l’etnologo francese nel suo “Ricordo di Marcel Maget” che volle scrivere come premessa alla pubblicazione della traduzione italiana del volume Il pane annuale. Comunità e rito della panificazione nell’Oisans, che ebbi modo di curare, con una introduzione, nel 2004, per l’editore Carocci, con il contributo del Dipartimento di studi storico-sociali e filosofici dell’Università di Siena e del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina.

Ho voluto rifarmi a questi due contributi, su argomenti apparentemente molto diversi, ma di fatto rappresentativi di una costante dell’opera di Alberto Mario Cirese, non solo per i grandi apporti di carattere teorico che hanno innovato le discipline demo-etno-antropologiche (definizione che si deve proprio a lui) ma anche per il rigore metodologico che lo ha sempre contraddistinto. I due esempi mi sembrano illuminare già dagli anni Cinquanta la caratteristica del “magistero” di Cirese tra “cosmo e campanile”, quindi del rapporto fra centro e periferia, dove questo secondo elemento compare in modo fondante, direttamente o indirettamente.

Non potendo fare qui un quadro dei molteplici campi nei quali Cirese ha dato una impronta singolare (come quelli di carattere teorico degli ultimi decenni), scelgo di delimitare il mio intervento ad un ambito riguardante i temi della museografia e della documentazione sulle condizioni delle campagne, sulle trasformazioni locali, sull’agricoltura, sulle manifestazioni tecniche e le concezioni del mondo.

Si tratta di argomenti che ho affrontato in molta parte delle mie attività di studio e di ricerca, iniziando a riflettere sul suo manuale uscito proprio nel 1973, anno nel quale ebbi il privilegio di frequentare Cirese (come borsista) nel breve periodo dei due anni di insegnamento a Siena, nella Facoltà di Lettere e Filosofia, della quale fu il primo Preside, dandole un’impronta indelebile sul piano scientifico e istituzionale. Questa frequentazione si sviluppò anche nei decenni successivi, e la ricordo con emozione, affetto e gratitudine, per quanto ho ricevuto sul piano scientifico e umano.

Cultura egemonica e culture subalterne (Palermo, Palumbo, 1973) era il primo manuale che dava un quadro generale della storia degli studi antropologici e di quelli demologici, mentre dedicava ampio spazio alla trattazione dei criteri e delle tecniche di documentazione. Fu per me una vera scoperta, dato che avevo molto faticato, fino ad allora, per ricostruire i vari indirizzi scientifici, le “scuole” etno-antropologiche, per ricollocare nel loro contesto i vari autori con i quali avevo cercato di misurarmi.

Qui mi interessa soffermarmi sulla teoria dei dislivelli interni di cultura, che si riferiscono «ai comportamenti e alle concezioni degli strati subalterni e periferici della nostra società». È un esempio significativo di come Cirese tenga sempre uno sguardo che collega l’elaborazione teorica alla considerazione delle condizioni delle zone periferiche, caratterizzate da condizioni di isolamento, di discriminazione e di resistenza nei confronti delle imposizioni dei ceti egemonici. Una caratteristica che ritroviamo in gran parte della biografia scientifica e nell’insegnamento di Cirese: l’elaborazione teorica dialoga con situazioni e oggetti legati alle realtà locali.

Altro ambito significativo è quello della museografia. Già nel 1968 Cirese, riferendosi ai musei folklorici, indicava la prospettiva di superare il concetto di collezione di oggetti per diventare «centri di propulsione della ricerca». Rifacendoci alle sue elaborazioni, sviluppate nel tempo, nacquero le prime ipotesi per un “Centro di documentazione sul lavoro contadino” da realizzare nella provincia di Siena. L’impulso venne ancora una volta da Cirese che consentì la partecipazione al Seminario, dedicato ai temi della museografia folkorica, promosso dal Centro internazionale di Semiotica e Linguistica di Urbino (25-28 luglio 1974). Su suo suggerimento potemmo presentare due relazioni nella discussione: Pietro Clemente, su un progetto di costituzione di un “Centro provinciale di documentazione sul lavoro contadino”, seguita dalle mie “Note per una ricerca sui processi di trasformazione in atto”, nelle campagne senesi, nel quadro del medesimo progetto di “Centro”.

dd10a1538dCirese si fece portatore dell’ipotesi presso la Provincia di Siena, dove trovò sensibilità e sostegno in Carlo Fini, che in quella Amministrazione aveva un ruolo di coordinamento delle attività della Presidenza e delle pubblicazioni, oltre ad essere anche Assessore al Comune di Siena. Inoltre, già in incontri culturali precedenti, si era instaurata fra loro una forma di amicizia e stima, che si svilupperà anche in seguito per tutta la vita. Con la sua cura, fu stampato un libretto che è rimasto alla base delle successive vicende di costituzione del Centro stesso: Ipotesi e proposte per la costituzione di un Centro provinciale di documentazione sul lavoro contadino (Siena, A.P., 1975), che raccoglieva, insieme alle due nostre relazioni di Urbino, testi importanti di Pier Giorgio Solinas, Giorgio Giorgetti, Alberto M. Cirese, della Commissione culturale di Buonconvento e di Carlo Fini.

Cirese ha continuato ad elaborare contributi, ampliando il campo teorico e metodologico su tali tematiche. Rimane esemplare la sua relazione al Convegno nazionale di museografia agricola, che si svolse a San Marino di Bentivoglio nel gennaio del 1975, con il titolo “Il mondo contadino: documentazione e storia”. Anche in questa occasione, le considerazioni teoriche generali si incardinavano con le riflessioni sulla nozione di «condizioni di realizzazione del lavoro», dalle tecniche lavorative in senso stretto fino a ricomprendere «anche i modi di gestire dall’interno, sia i momenti di lavoro sia quelli delle pause giornaliere e stagionali, sia quelli della vita domestica e societaria».

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Cirese in casa di M. L. Meoni, con Solinas, Clemente e Fini

L’insegnamento di Cirese, ripensato in un’ottica attuale, appare fecondo di stimoli vitali nelle attività dell’ambito demo-etno-antropologico, per rispondere a domande che vengono da territorio, dal passato ricco di storia sociale, da affrontare con attenzione alle realtà “periferiche” nella loro spinta verso lo sviluppo locale, connesso con le vicende globali.

Mi piace concludere questo necessariamente sintetico ricordo, legato alla scelta di un particolare aspetto del magistero di Cirese, citando una sua precisa espressione che fa parte della relazione conclusiva del Seminario che tenemmo dopo l’esperienza della mostra di Buonconvento (del 1979) e che ritrovo con piacere negli “Atti” che furono successivamente pubblicati (Siena, Ce.d.la.c., 1982). Cirese fa riferimento agli interventi che affrontano il problema del rapporto fra istituzioni, ed in particolare quelle “accademiche”, che si vanno sempre più radicando nella realtà locale, mentre le problematiche “locali” si stanno sempre più “universalizzando” e afferma: «l’immagine che ho davanti, per illustrare questo positivo rapporto che si è instaurato, è appunto, per dirla con Dante, ‘dal centro al cerchio e sì dal cerchio al centro / movesi l’acqua in un ritondo vaso’; cioè questo moto che dal centro va verso la periferia e dalla periferia va verso il centro mi sembra molto importante».

Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021

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Maria Luisa Meoni, ha insegnato Antropologia culturale, Etnologia europea e Etnografia, presso l’Università di Siena dal 1998 fino al pensionamento nel 2014. Negli anni 2000, ha fatto parte del collegio dei docenti del dottorato di ricerca, “Metodologie della ricerca etno-antropologica” della Facoltà di Lettere di Siena. Con la frequentazione di Alberto Cirese, si è occupata di questioni teorico-metodologiche, di Ernesto de Martino e Gramsci, di museografia folklorica e di cultura materiale. Ha ricoperto vari incarichi di coordinamento scientifico e promozione di mostre e convegni. Tra le sue numerose pubblicazioni si segnalano: Sfumature e valori dell’unicità. Una ricerca antropologica sulla cultura materiale in Val Germanasca, Siena, 1990; Utopia e realtà nel Buongoverno di Ambrogio Lorenzetti. Tipologie formali nella rappresentazione dell’agire dell’uomo. Una ricerca antropologica, Firenze, 2001; Una ‘lunga fedeltà’: pratica alimentare, auto-identificazione e ritualità attraverso il mutamento. Attualità della lezione di Marcel Maget, Roma 2004.

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