il centro in periferia
di Stefania Morreale
L’abilità comunicativa di un bene culturale rappresenta oggi un «elemento strategico per raggiungere in maniera diretta ed efficace il pubblico di riferimento, per accrescere il numero di visitatori, per dialogare con le istituzioni e con l’opinione pubblica, per ottenere il consenso del territorio e della comunità locale»[1]; si tratta, dunque, di una competenza necessaria, attraverso la quale passa la comprensione, il riconoscimento e l’identità stessa del bene. Un bene culturale, infatti, si identifica come tale se mantiene delle relazioni con i visitatori: il suo valore è un valore di relazione.
È chiara, quindi, l’importanza di costruire una rete di relazioni tra bene e visitatori, che non può non passare da un’esperienza di comunicazione e, solo in seguito, di fruizione del bene il più positiva e appagante possibile.
Il patrimonio culturale può e deve entrare in dialogica comunicazione con i propri visitatori utilizzando diverse modalità: può farlo tramite una campagna di comunicazione esterna, attraverso l’uso di pannelli informativi posti nelle prossimità del sito culturale che incuriosiscano il visitatore e lo attirino verso il sito (un valido esempio è quello di Arslantepe in Turchia, di cui si è occupato Dario Mangano [2]), può comunicare attraverso scelte espositive precise, percorsi di visita definiti, costruzioni architettoniche e dispositivi di illuminazione chiari (su queste analisi si basano gli studi di Santos Zunzunegui); la comunicazione può avvenire tramite pannelli esplicativi interni, analogici o digitali, che abbiano un tone of voice preciso e rintracciabile (di cui hanno ampiamente scritto studiosi come Stephen Bitgood, Paulette McManus, Anne-Sophie Grassin).
Da qualche anno, diverse istituzioni culturali hanno implementato un tipo di comunicazione legata al mondo social, che si svolge all’interno dei principali social network (in maggior misura Facebook, a seguire Instagram, YouTube, Pinterest). Oggi gli italiani che utilizzano i social media sono circa 36,5 milioni, ovvero ben il 60% dell’intera popolazione. Di questi, 9 milioni usano i social per entrare in contatto con musei, gallerie d’arte, siti archeologici.
Alla luce di questi numeri è chiaro quanto la comunicazione social si riveli un’arma fondamentale nel processo di interazione tra bene culturale e fruitore e quanto rappresenti una risorsa notevole nell’intercettare quel pubblico che, per una serie di motivi, rimane spesso marginale rispetto alle attività proposte dal e all’interno del patrimonio culturale.
Un ottimo esempio di campagna di comunicazione social è rappresentato dal lavoro svolto dal Museo archeologico regionale Antonino Salinas già nel 2015, anno in cui il museo era chiuso ai visitatori, grazie agli interventi del social media manager Sandro Garrubbo e della direttrice Francesca Spatafora. Con il lancio della campagna ‘Chiusi per restauro, aperti per vocazione’, il Salinas è riuscito in una impresa impensabile: attrarre moltissimi visitatori ancor prima di aprire le porte al pubblico.
«Il Salinas è riuscito a trovare una propria ‘identità’ comunicazionale sui social media: la sua comunicazione si basa su parole chiave come incuriosire, attirare, coinvolgere e ispirare. L’indizio, il richiamo ad altro, la metafora, l’allusione, l’accostamento al vissuto quotidiano, il ‘dietro le quinte’, l’uso di emoticons nei testi dei post sono solo alcuni degli strumenti con cui il Museo ha creato un proprio stile nella comunicazione e una propria strategia di content planning. A questo si aggiungano foto accattivanti accompagnate da hashtags scelti con cura e da una descrizione che non è più semplice didascalia tassonomica ma diviene ‘racconto’. Abbandonando il tecnicismo linguistico della comunicazione archeologica tradizionale, si sono adottate tecniche specifiche dello storytelling diretto (in cui il Museo è voce narrante) come strumento di avvicinamento al pubblico e di apprendimento»[3].
La capacità di creare un’identità museale riconoscibile e coerente, l’abilità nel sapere comunicare concetti importanti e assolutamente validi da un punto di vista scientifico ma alla portata di ogni lettore, la bravura nella creazione di uno storytelling accattivante e attrattivo, tutto ciò ha permesso al museo Salinas di ampliare il numero dei propri visitatori e supporter e di creare una vera e propria comunità social e non, in cui si interagisce e si collabora per promuovere la collezione del museo. Una sfida e un successo indiscusso che oggi, a distanza di anni, continua a dare i suoi frutti.
Gli esempi di comunicazione social virtuosa, all’interno della quale la strategia comunicativa dello storytelling è centrale, fortunatamente, sono diversi anche se
«rispetto al panorama italiano, la comunicazione culturale istituzionale in Sicilia – Regione a statuto autonomo e con competenza esclusiva in materia da parte dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana – è stata finora del tutto priva di strategie uniche e di politiche di digitalizzazione e di valorizzazione culturale»[4].
Nonostante le evidenti difficoltà e resistenze che ancora oggi gravano sulle istituzioni culturali siciliane, sembra ormai assodato che
«se un museo vuole essere significante deve raccontare storie […] storie che parlino di persone comuni, storie attraverso cui gli ascoltatori possono identificarsi e partecipare alla creazione di significato, per se stessi e per la comunità»[5].
Ed è proprio partendo da questa consapevolezza che si è sviluppata la campagna di comunicazione social condotta dal Parco archeologico di Himera, Solunto e Iato durante il 2020 [6], alla quale ho avuto il piacere di partecipare. Il progetto prevedeva lo studio, l’analisi e la sperimentazione di forme comunicative capaci di catturare l’attenzione dei fruitori dei social network, attrarre un numero maggiore di visitatori e creare un legame tra la comunità locale e il bene culturale.
Per la sperimentazione è stato scelto il Parco Archeologico di Himera, Solunto e Iato, sito archeologico dislocato in tre diverse realtà cittadine facenti parte della Città metropolitana di Palermo, poiché, nonostante la sua bellezza e l’innegabile peso storico-culturale, non riusciva ad attrarre un grande numero di visitatori e non rappresentava per la comunità locale, un luogo-simbolo della propria identità collettiva.
Il Parco Archeologico di Himera, Solunto e Iato caratterizza molto bene la vita della Sicilia antica e, soprattutto, delle etnie presenti sul territorio che, per molto tempo e nonostante inevitabili scontri, hanno convissuto nella parte occidentale dell’Isola. I popoli a cui si fa riferimento sono quelli degli Elimi, dei Punici e dei Greci di cui, rispettivamente, troviamo traccia a Iato, a Solunto e a Himera [7]. Da subito ci si è resi conto che per valorizzare al meglio il sito era necessario costruire una identità del Parco forte e coerente, in grado di trainare la comunicazione. Sposando la linea dettata dalle recenti politiche della città di Palermo, votate all’elaborazione e all’implementazione di strategie comunicative finalizzate ad una maggiore integrazione e interazione tra le culture differenti che coesistono all’interno della città (basti pensare al logo ideato nel 2018, anno in cui Palermo è stata capitale della cultura), si è pensato di legare l’immagine del Parco al multiculturalismo e all’inclusione culturale. Himera, Solunto e Iato, senza voler forzare la mano, raccontano infatti una storia di multietnicità e inclusione.
«Nelle contemporanee società multiculturali, i musei sono chiamati a rinnovare il rapporto con i propri visitatori e interlocutori, e a divenire centri di elaborazione culturale dei e nei territori, motore per lo sviluppo di una nuova cultura dell’inclusione sociale e della partecipazione alla vita culturale della società. […] Le tematiche della multiculturalità, dell’incontro, del confronto e della negoziazione interculturale sono particolarmente rilevanti per i musei demo-etno-antropologici, ma anche per tutti quei musei che, in virtù del loro contesto geografico o per la natura delle proprie collezioni, possono avviare nuove riflessioni»[8].
Si è quindi ritenuto opportuno focalizzare l’attenzione sulla mescolanza di etnie diverse che per molto tempo hanno convissuto sul territorio siciliano e quindi, nel caso specifico del Parco Archeologico, si tratta di Elimi, Punici e Greci, popoli diversi tra loro ma che, tra scontri e compromessi, hanno caratterizzato la vita della Sicilia occidentale di quel tempo. Questo tipo di identità multiculturale si sposava perfettamente, per altro, con la narrazione portata avanti dall’ormai noto percorso arabo-normanno. Anzi, ci è sembrato di poter asserire che la storia del Parco poteva configurarsi come un fisiologico ‘prequel’ rispetto alla storia raccontata attraverso il percorso arabo-normanno. Puntare quindi ai temi del multiculturalismo, dell’integrazione, della tolleranza e della mescolanza tra etnie poteva rivelarsi una strategia comunicativa valida e, tra le altre cose, avrebbe potuto aiutare a raccontare di una Sicilia ancora poco conosciuta e sentita come troppo lontana e differente da quella odierna.
Una volta deciso quale sarebbe stata l’immagine che il Parco voleva dare di sé, si è deciso di scegliere come social network per la comunicazione, Facebook. La scelta è ricaduta su questa piattaforma per comodità: il Parco archeologico, infatti, aveva già una pagina Facebook che utilizzava per promuovere iniziative e comunicare con la propria comunità virtuale. La stesura di un piano editoriale, arrivata dopo mesi di studio sulla storia di quella parte di Sicilia e sulle vicende istituitive del Parco archeologico, ha permesso di gestire molti contenuti in modo chiaro e organizzato, così da garantire le pubblicazioni con intensità di entità media (una pubblicazione ogni due/tre giorni) e la creazione di rubriche e approfondimenti. I post sono stati suddivisi in categorie differenti:
- Contenuti Branded, rivolti soprattutto a far conoscere il Parco, la sua storia, l’identità che vuole trasmettere;
- Contenuti Istituzionali, relativi a comunicazioni istituzionali come orari di chiusa o apertura straordinari, partecipazione a particolari iniziative e progetti;
- Contenuti Satellite, ovvero promozione ad eventi che interessano in qualche misura la vita del Parco;
- Contenuti User Generated, relativi all’interazione con i fruitori e i visitatori della pagina;
- Contenuti Speciali, in cui vengono proposti giochi, indovinelli, video-interviste alla direttrice/all’archeologa, promozioni speciali.
Sono state inoltre ideate delle rubriche con cadenza settimanale:
- #LoSapeviChe, rubrica dedicata a curiosità, aneddoti che riguardano la storia del Parco Archeologico
- #ChiacchierandoconlaDirettrice, brevi video in cui la direttrice Spatafora racconta di un pezzo della collezione del Parco
- #LaPasseggiataconlArcheologa, brevi video in cui l’archeologa Di Leonardo spiega quale è stato e quale continua ad essere il lavoro dell’archeologo all’interno del Parco
- #Glossario, rubrica dedicata alla diffusione di parole legate alla storia del Parco e alla sua collezione
- #Focus, rubrica di approfondimento
- #ArcheoQuiz, gioco a quiz in cui si chiede agli utenti di rispondere a delle domande che riguardano il Parco e la sua collezione
- #Miti&Leggende, racconti mitici i cui personaggi sono legati alla storia del Parco
Uno strumento valido all’interno di questa campagna di comunicazione per la promozione del Parco Archeologico di Himera, Solunto e Iato è stato quello dello storytelling che, come ricordava Gary Carson, è la condizione principale per rendere un sito culturale rilevante per le persone e un potente mezzo attraverso il quale passa il moderno apprendimento [9].
Il filone narrativo ideato per la campagna di comunicazione del Parco Archeologico si è basata sull’idea di multiculturalità e integrazione che da sempre ha caratterizzato la Sicilia e, in particolare, sui rapporti tra Elimi, Punici e Greci nella Sicilia arcaica. In questa ottica, sono stati ideati diversi percorsi narrativi che legano i tre siti archeologici all’interno del Parco:
1. La figura di Eracle (hashtag: #PerlabarbadiEracle) ovvero il legame che tra Eracle e Solunto è giunto fino a noi tramite una leggenda: Eracle, durante le sue peregrinazioni, approda presso il promontorio di Solanto e lì incontra il feroce gigante antropofago Solunto. I due combattono ed Eracle vince e quel luogo prende il nome del nemico battuto. La figura di Eracle è anche presente all’interno del contesto di Himera; la leggenda narra, infatti, che Eracle esausto, una volta giunto ad Himera, viene accolto dalle ninfe del luogo, le quali fanno sgorgare acque termali per l’eroe. Il culto di Eracle però è presente anche a Iato, sito nel quale sono state rinvenute diverse monete raffiguranti il gallo sacro di Eracle. Inoltre Eracle è assimilabile alla divinità punica Melqart; le due figure sembrano essere perfettamente coincidenti.
2. Afrodite (hashtag: #HelpAfrodite): il culto di Afrodite – è noto – è molto diffuso in tutta la Sicilia Occidentale fin dall’antichità. A Solunto, a Himera e a Iato la dea veniva venerata e a lei venivano innalzati templi. Inoltre la figura di Afrodite è totalmente assimilabile a quella della Grande Madre Fenicia Astarte.
3. Provenienza del popolo elimo (hashtag: #EliMistero): del popolo elimo si sa veramente poco; non conosciamo la loro origine, ma nel corso degli anni sono state diverse le ipotesi proposte dagli studiosi. Sicuramente tra le più accreditate, è doveroso citare quella italica. Ma è bene inserire all’interno di questa rosa, anche l’ipotesi più mitologicamente affascinante, che vede nell’origine del popolo elimo una matrice troiana.
Per ognuno dei siti del Parco Archeologico, inoltre, sono stati pensati dei percorsi narrativi da proporre ai visitatori:
Solunto – #TofetperBaal, ovvero un percorso narrativo incentrato sul culto di Melqart (dio fenicio, per altro in seguito identifico con l’Eracle greco) e sui tofet (aree sacre all’interno delle quali avvenivano i sacrifici rituali tanto graditi al dio);
- #AcasadiLeda, ovvero un percorso narrativo che, partendo dalla Casa di Leda (che si trova presso il sito) racconta della vita della cittadella e, in particolar modo, delle donne dell’epoca.
Iato – #ElimoeFiero, percorso narrativo incentrato sulla storia del popolo elimo che, nonostante le continue influenze provenienti dall’incontro con gli altri popoli, ha mantenuto una propria distintiva identità culturale e linguistica;
- #CheTeatro, ovvero un percorso narrativo che parte dalla visita del teatro del sito (che poteva ospitare fino a 4500 persone), per continuare parlando del teatro greco e delle opere maggiormente apprezzate a quel tempo.
Himera – #TelodiceStesicoro, percorso narrativo incentrato sulla storia di Stesicoro, noto poeta greco, nato e cresciuto proprio ad Himera (un’attenzione particolare è stata rivolta alla favola del cavallo e del cervo, proposta da Stesicoro per mettere in guardia i suoi concittadini dal rischio derivato dall’alleanza con Falaride, ai danni dei Selinuntini).
La scelta di adottare un filone narrativo dal taglio fortemente multietnico ha permesso di sviluppare un’ipotesi interessante riguardo alla possibilità di coinvolgere un target di utenti spesso tagliati fuori dal meccanismo di promozione adottato dai beni culturali: le minoranze etniche presenti sul territorio [10]. Nella città metropolitana di Palermo risiedono quasi 40 mila cittadini stranieri che, seppure ben integrati nel tessuto sociale della città, non mostrano particolare interesse per il patrimonio culturale presente nel territorio. Una spiegazione possibile a questo fenomeno potrebbe essere legata al fatto che gli stranieri sono curiosi di visitare quei luoghi che sentono più culturalmente vicini. Grazie al Parco Archeologico di Himera, Solunto e Iato è stato possibile tracciare un percorso, molto più antico dell’ormai noto itinerario ‘Palermo arabo-normanna’, che vede nella multietnicità un punto di forza della storia siciliana: quello relativo alla storia degli Elimi, dei Punici e dei Greci. In merito a questa intuizione, il presente lavoro di ricerca ha prodotto una presentazione che è stata scelta per partecipare alla Biennale dell’Educazione al Patrimonio 2020, presso l’Università degli studi di Foggia.
Dall’11 al 17 maggio 2020 il parco ha inoltre partecipato alla Museum Week, evento globale online e offline che vede il coinvolgimento di musei, associazioni e istituzioni culturali che intendono promuovere e valorizzare il proprio sito culturale. La Museum Week ogni anno propone sette temi, a cui sono legati hashtag precisi, da utilizzare nei sette giorni dell’evento. Partecipare a questo tipo di manifestazione è stato strategicamente molto importante per una realtà come quella del parco per diversi motivi: la possibilità di fare rete con altre realtà museali, lo sviluppo di una accoglienza digitale verso utenti e futuri visitatori, l’aumento dell’influenza del brand online, la promozione del patrimonio custodito.
Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022
Note
[1] Pace, Miglietta, Boero, Comunicare nel Museo: i pannelli esplicativi come strumento di mediazione culturale in “Museologia Scientifica nuova serie” (2008) 2 (1-2): 118-126
[2] Mangano, Il progetto del senso. La musealizzazione del sito archeologico di Arslantepe in Turchia in “Il design dei beni culturali. Crisi, territorio, identità” (2013): 86-95
[3] Bonacini, “Comunicare i musei siciliani” in Per fare cultura in Sicilia (2016): 46-47
[4] Bonacini “Il Museo Salinas: un case study di social museum…a porte chiuse” in Il capitale culturale (2016): 227
[5] D’Amore, “Tecniche di comunicazione per la cultura online: storytelling e content management” in Comunicare la cultura online: una guida pratica per musei (2014)
[6] La campagna di comunicazione è stata realizzata all’interno di un progetto finanziato dall’azienda Sicilia, in collaborazione con l’Università degli studi di Palermo e con la direttrice del Parco Francesca Spatafora e l’archeologa Laura Di Leonardo, sull’analisi di strumenti e strategie di comunicazione per la valorizzazione del patrimonio culturale siciliano.
[7] Spatafora, Interazioni e commistioni nella Sicilia nord-occidentale di età arcaica: contesti funerari come indicatori archeologici in “Convivenze etniche, scontri e contatti di culture in Sicilia e Magna Grecia”, (2012) vol. 7: 59-90
[8] Salerno, Narrare il patrimonio culturale. Approcci partecipativi per la valorizzazione di musei e territori, in “Rivista di scienze del turismo”, (2013)
[9] D’Amore, Tecniche di comunicazione per la cultura online: storytelling e content management in Comunicare la cultura online: una guida pratica per musei, a cura di De Gottardo, D’Amore, Gasparotti, Raimondi Cominesi, Giannini, Colella, D’Eredità, 2014: 48-65
[10] ECCOM, Il patrimonio culturale come strumento di integrazione sociale, 2003, vol. I, II, III
Riferimenti bibliografici
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Bonacini Elisa, Il museo contemporaneo. Fra tradizione, marketing e nuove tecnologie, Aracne Editrice, Roma 2011
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Marrone Gianfranco, Sanfilippo Maddalena, Vicari Federica, Idee per la riqualificazione di due spazi museali palermitani in “Spazio pubblico fra semiotica e progetto” (2014)
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Stefania Morreale, laureata in Antropologia culturale ed Etnologia presso l’Università degli studi di Torino, è giornalista pubblicista e collabora con diverse testate giornalistiche. Esperta in cultura albanese e impegnata nella salvaguardia del patrimonio arbëreshë, ha lavorato per diversi anni presso l’associazione culturale Italb-Integrazione. Ha anche collaborato con l’Università degli studi di Palermo in progetti finalizzati alla valorizzazione del patrimonio culturale siciliano. Oggi si occupa principalmente di comunicazione e ufficio stampa.
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