Un intervento teorico sulla narrazione e l’inclusione a scuola esplora in che modo la narrazione possa essere utilizzata come strumento pedagogico per promuovere un ambiente inclusivo e rispettoso della diversità, anche attraverso uno sguardo antropologico che va a braccetto con tantissima letteratura. Nell’ambito dell’istruzione inclusiva, è fondamentale creare un ambiente che esalti e valorizzi la diversità culturale, sociale ed esperienziale degli studenti e questa via è percorribile, per la mia esperienza, soprattutto se si trovano dei contesti favorevoli. Lo scopo dell’azione educativa e didattica non può prescindere dalla costruzione dell’identità e dell’autodeterminazione della persona e ciò avviene solo attraverso la comparazione con l’altro, dato che la consapevolezza del sé passa attraverso la conoscenza del diverso.
«Ma se l’altro fosse radicalmente tale, senza alcuna somiglianza, analogia, coincidenza con il soggetto portatore dello sguardo, convenzionale detentore dell’identità, resterebbe definitivamente irraggiungibile nella sua alterità, monolite inconoscibile, impossibile interlocutore di un impossibile dialogo. In effetti l’identico tende a ritrovare nell’altro, al di là delle puntuali differenze, i tratti che rinviano alla comune umanità e che consentono ad ambedue una reciproca conoscenza. Possiamo conoscere l’altro, in quanto egli è come noi; è una diversa, eppure analoga se non identica, formulazione di noi stessi» (Lombardi Satriani, 1998: 31).
Dunque l’altro, proprio in quanto diverso da me mi fa da specchio, ci rispecchiamo nell’altro per conoscerlo e per conoscerci, anche inconsapevolmente, costruendo un percorso di conoscenza che non sarebbe possibile se uno dei due poli venisse meno.
Partendo dalla prospettiva costruttivista che sostiene che l’apprendimento è un atto creativo che consta nella capacità di riorganizzare i propri saperi, conoscenze e abilità, si configura dunque un processo aperto, che coglie input provenienti dall’esterno e li mette assieme alle conoscenze che già lo studente ha incorporate [1]. Lo strumento principale di tale costruzione è il linguaggio, per questo motivo il rinvio al racconto attraverso l’attribuzione di significati definisce una competenza tra le più importanti. La costruzione di conoscenza attraverso il rispecchiamento e la narrazione è un processo allo stesso tempo individuale e sociale, in rapporto sia con i propri schemi di riferimento che con il destinatario e i significati collettivi a cui è rivolto un certo racconto. La concezione di conoscenza come costruzione di significati che emerge da tali teorie mette dunque al centro lo studente che se coinvolto personalmente, incluso, è più probabile che arrivi alla comprensione. Da un’intervista a Ernst von Glasersfeld:
«[…] La comprensione è molto più probabile che si sviluppi quando gli studenti sono coinvolti personalmente, magari incominciando semplicemente per prove ed errori. Dopo qualche tempo saranno interessati al perché determinate cose funzionano e altre no; ed è allora che gli insegnanti possono contribuire a promuovere questo interesse che conduce a capire […]. L’entusiasmo per la disciplina che viene insegnata è importante, ma le qualità principali che un insegnante deve avere sono la pazienza, l’immaginazione e la prontezza a credere che gli studenti possano pensare, e fare in modo che gli studenti lo sappiano» (Cardellini).
La narrazione favorisce inoltre un’operazione di immaginazione proiettata al futuro degli stessi studenti e, dunque, promuove una dimensione autobiografica del proprio vissuto e oltre a favorire l’inclusione, gli apprendimenti, la cooperazione, fornisce degli strumenti importanti per edificare il proprio percorso formativo non solo scolastico. L’esistenza di uno spazio altro e di un tempo diverso andrebbe contemplato per una efficacia educativa che guardi oltre l’istituzione scuola mentre si è a scuola, per proiettare le relazioni in contesti extrascolastici dove gli studenti portano e riportano i propri desideri, progetti, sogni nel futuro prossimo. Attraverso le 8 competenze chiave europee e già precedentemente le abilità definite dalle life skills [2], il “campo di gioco” si è allargato, i processi educativi e le finalità dell’apprendimento sono inserite in una cornice di permanenza e dunque la progettazione degli interventi educativi non può non tener conto di ciò, oltre alla dimensione processuali a cui si riferiscono.
La narrazione svolge un ruolo cruciale, consentendo agli studenti di condividere le proprie esperienze, esplorare le identità dei singoli e costruire connessioni significative tra di loro. Dà la possibilità, se avviene la piena adesione a tale pratica, di autodeterminarsi come persona e agenti (Bandura, 2012) del proprio apprendimento, di costruire un percorso interiore e condividerlo con il prossimo. Un esempio che viene riportato spesso è il lavoro svolto da Bartlett (1993) attraverso il famoso esperimento La Guerra dei fantasmi [3], che ha a che fare con la memoria e la narrazione, o meglio la ricostruzione narrativa attraverso la rievocazione e la capacità dell’uomo di adattare il materiale che “peschiamo” dagli schemi culturali appresi. Una operazione che mostra agli altri molto di noi stessi attraverso la memoria, come sottolinea giustamente Bartlett, ma anche il linguaggio, la narrativa, il raccontarsi. Tale approccio credo si inserisca a pieno all’interno di un uso di metodologie che permettono un ripensamento dei contesti formativi, già in atto da parte di tanti, ma non abbastanza, in particolare attraverso il ricorso a pratiche operative, strategie che puntano a rendere la persona (lo studente) protagonista attivo, come l’attivismo di Dewey traccia, insieme al gruppo del proprio apprendimento. Narrare è anche condividere, dare parte di sé a chi si mette in ascolto, favorendo lo scambio, l’empatia e la ricerca di soluzioni collettive alle problematiche che possano emergere.
La narrazione è uno strumento inclusivo per eccellenza poiché da voce ai contesti più diversificati e marginalizzati, condividere le proprie esperienze e sentirsi protagonisti all’interno della comunità scolastica può offrire un “gancio”, e cioè l’occasione per costruire attorno a quell’evento una parte della propria esistenza. L’antropologia attraverso il relativismo culturale ci ha dimostrato che ogni cultura ha le proprie storie e prospettive uniche e significative, tant’è che il suo metodo per eccellenza, l’osservazione partecipante, si fa etnografia attraverso la documentazione e raccolta di storie di vita che emergono da testimonianze dirette, pratiche, riti, ecc. La narrazione può essere un potente strumento per sfidare i pregiudizi e gli stereotipi attraverso la condivisione di storie che mettono in discussione le percezioni dominanti e promuovono una visione più inclusiva e equa del mondo. Tale metodo invita gli studenti a esaminare criticamente le proprie convinzioni e a riconoscere la complessità delle identità delle singole persone. L’uso della narrazione come strumento pedagogico che favorisca un contesto inclusivo può sostenere l’apprendimento, la comprensione interculturale e la costruzione di una comunità scolastica più solidale e rispettosa della diversità. Un quadro concettuale prezioso questo per esplorare le dinamiche culturali e sociali che permeano la narrazione e per promuovere una pedagogia inclusiva e empatica. L’apprendimento si spiega anche attraverso la considerazione che ogni essere umano fa esperienza dell’ambiente in cui è inserito attraverso un corpo e dunque, una buona parte dell’apprendimento, anche quello narrativo e inclusivo, passa attraverso il non verbale, le emozioni, le espressioni, le imitazioni di comportamenti che danno spessore alla parola.
Prosocialità, valorizzazione delle differenze individuali e inclusione sono tre parole chiave significative per il loro alto potenziale innovativo (Travaglini, 2015). Imparare non è un processo individuale e queste tre parole presuppongono un riferimento al plurale proprio perché il contesto scolastico, in particolare negli anni dell’obbligo, è quello spazio dove tutti hanno negli stessi anni l’opportunità di relazionarsi con un gruppo. Se pensiamo a cosa significhi ciò per chi si trova in una situazione di svantaggio a causa di una disabilità o di una deprivazione socio-economica, culturale, linguistica, cogliamo immediatamente la fertilità del terreno sul quale un insegnate ha il dovere di mettere in campo tutta la propria professionalità. Per promuovere un’operazione di messa in valore della narrazione individuale che abbia come obiettivo la valorizzazione della diversità, è necessario “calarsi” nella concretezza delle situazioni per progettare una programmazione realmente applicabile. Non si può improvvisare, soprattutto per avviare processi che mirino al cambiamento, al miglioramento delle persone. «Queste due dimensioni (individuazione e personalizzazione) ricevono senso e intreccio equilibrato dal modello antropologico ICF [4], che prevede paritariamente le dimensioni: attività personali e partecipazione sociale, come elementi fondamentali del funzionamento umano» (Ianes, et al 2009-2010). Il modello bio-psico-sociale descrive lo stato di salute e la condizione di benessere, piuttosto che la malattia, generando un paradigma completamente nuovo rispetto allo scorso secolo che mette l’accento sul potenziale umano, offrendo dunque una prospettiva olistica completamente altra rispetto alla visione dualistica cartesiana.
La pedagogia e la didattica inclusiva hanno come obiettivo quello di creare un ambiente educativo inclusivo, rispettoso delle diversità individuali, così da sostenere il successo formativo e lo sviluppo di ogni studente, in un flusso stimolante che mette al centro i bisogni i ciascuno di loro. È bene sottolineare che la pedagogia e la didattica inclusiva si applicano oggi in virtù di una evoluzione normativa che in Italia va dall’assistenzialismo degli anni Settanta del Novecento, all’inserimento nelle classi degli studenti disabili fino agli anni Ottanta, per poi allargare l’intervento in un’ottica di integrazione negli anni Novanta e finalmente l’inclusione nella visione contemporanea a partire dal 2010 [5]. Utilizzando i termini che denotano tali momenti e cioè, esclusione, segregazione, integrazione e inclusione, si può cogliere come un approccio come quello narrativo oggi abbia una portata maggiore grazie soprattutto alla possibilità di avere qualcuno di fronte a me a cui narrare la mia esperienza, solo così si possono costruire l’empatia e la comprensione reciproca, attraverso l’ascoltatore, colui che dà senso al fatto che il mio racconto venga comunicato. Nel passaggio avvenuto nel Novecento dalle teorie sull’intelligenza mono-fattoriale alla teorie sulle intelligenze multiple di Gardner si sottolinea l’esistenza di una molteplicità delle intelligenze, anche se la metafora può sembrare azzardata ciò richiama la questione della ricchezza della bio-diversità da salvaguardare e appare importante per evitare visioni ormai superate ma pur presenti nel panorama reale, quali valutazioni sommative che guardino ai programmi e non agli obiettivi di crescita e miglioramento degli studenti. Tra le intelligenze postulate da Gardner troviamo l’intelligenza linguistica, che consiste nell’abilità di usare efficacemente il linguaggio orale e scritto per spiegare, pensare, convincere, informare e dunque raccontarsi.
La narrazione ha doppia valenza, una rivolta all’interno e l’altra rivolta all’esterno che presuppone l’ascolto degli altri; nel primo caso chiama in causa la riflessione, l’attribuzione di significati, la consapevolezza, mentre nel secondo l’interesse, il riconoscimento, l’accoglimento dell’esperienza. Il racconto di noi stessi traccia il percorso che definisce parte della nostra modalità di sentire e di essere percepiti dagli altri e dunque un potente strumento per costruire relazioni tra pari. Calabrese nel testo La comunicazione narrativa esplora il potere e la funzione della narrazione nel contemporaneo, dunque la constatazione che le storie possono riflettere e influenzare la società, un modo per conoscere prospettive diverse dalle proprie e dunque comprendere, includere, riconoscere e “sciogliere” pregiudizi e stereotipi, per generare una società, una scuola più inclusiva. Le stesse narrazioni possono essere utilizzate per dar voce a chi spesso non ne ha. Dare forma narrativa alla nostra comunicazione ci dà anche l’occasione per rileggere il quotidiano, la specificità, l’unicità di cui ogni persona è portatore.
Ogni singola storia è unica e irripetibile e tale consapevolezza oltre ad avvicinare può anche aiutare gli studenti a “grattare” la superficie di alcune realtà che li vedono bersagli da parte di mode o tendenze omologanti che, nella fase evolutiva oggetto del percorso della scuola secondaria di secondo grado, subiscono ancor di più se sono soggetti fragili. L’approccio narrativo in pedagogia è un metodo che utilizza la narrazione e le storie come strumenti educativi per facilitare l’apprendimento e lo sviluppo personale degli studenti. Questo approccio si basa sull’idea che le storie e le narrazioni possano aiutare gli studenti a comprendere meglio il mondo, sviluppare competenze linguistiche e cognitive, e promuovere il pensiero critico e creativo, oltre che decifrare la complessità. Volendo sintetizzare o raggruppare le principali aree di ricaduta della narrazione inclusiva abbiamo certamente: la costruzione di significati, poiché le narrazioni aiutano gli studenti a dare un senso alle esperienze e a collocare le informazioni all’interno di una struttura narrativa che facilita sia la comprensione che la memorizzazione; le storie raccontate e ascoltate permettono di esplorare diverse prospettive e sviluppare l’empatia, soprattutto grazie alla possibilità di immedesimarsi nell’altro o nelle situazioni raccontate; sviluppa le competenze linguistiche poiché migliora tale abilità praticandola, tra cui il vocabolario in uso, la capacità di esprimersi in modo corretto; importantissimo anche lo stimolo del pensiero critico, poiché le narrazioni spesso presentano problemi, conflitti, dilemmi etici e morali, situazioni complesse che stimolano gli studenti a riflettere e formulare giudizi; infine ma non ultimo la motivazione e il coinvolgimento che ne derivano possono aumentare il coinvolgimento nelle attività didattiche.
In merito alla trattazione di tale tematica non si può non menzionare o partire dal lavoro di Bruner che ha contribuito allo sviluppo della Psicologia narrativa attraverso un lavoro pionieristico. Il suo pensiero ha avuto grande rilevanza anche per la relazione tra ambiti disciplinari diversi ma in contatto, inserendosi nelle declinazioni proprie della psicologia culturale e dell’antropologia psicologica, che dunque provano l’intima relazione tra cultura e mente. Anche Geertz definendo la cultura come ragnatela di significati sottolinea che gli stessi individui sono i costruttori di senso mettendosi in relazione gli uni con gli altri. Aver elaborato che il pensiero narrativo è culturalmente modellato nella concezione che noi facciamo di noi stessi e della società in cui siamo immersi, ha generato una vera e propria rivoluzione cognitiva nella metà del secolo scorso. Il fatto che il significato non sia determinato da qualcosa di innato, ha aperto il campo alla Cultura come protagonista di processi che precedentemente, attraverso una visione deterministica della realtà, venivano attribuiti alla Natura. Le visioni che ne derivano oggi sono certamente il frutto anche di queste analisi sia in merito alle consuetudini che agli iter normativi scaturiti, da cui ha originato un rovesciamento del paradigma della disabilità.
«Uno dei contributi più potenti di Bruner alle discussioni sia in psicologia che in antropologia è stata la sua sorprendente e brillante considerazione della narrativa come modalità di ragionamento, come forma di linguaggio, come cruciale “strumento comunitario” per la continua creazione di senso e per strutturare l’azione pratica e come veicolo per la creazione dell’identità personale. Negli ultimi vent’anni ha sviluppato sistematicamente quella che è essenzialmente una visione narrativa della cultura e della mente, sostenendo che la realtà stessa è costruita narrativamente. Questa prospettiva narrativa è stata articolata in una serie di articoli e libri, a cominciare, soprattutto, da diversi capitoli di Actual Minds, Possibili Mondi, in cui avanza l’affermazione che la narrativa “si occupa delle vicissitudini dell’intenzione umana” » (Mattingly, Lutkehaus, Throop, 2008).
La narrativa come cultura si definisce per Bruner come sistema di significati che noi gli attribuiamo e che permette agli individui di entrare in una storia che è iniziata prima di loro. La stessa classe a scuola si può costituire come un laboratorio di creazione di significato, che ha uno spazio fisico ma che si lancia verso lo spazio della vita certamente più esteso.
Un approccio che trovo particolarmente stimolante è quello di Zipes, il quale attraverso un’analisi della fiabistica arriva ad elaborare delle strategie pratiche per utilizzare il racconto creativo nella costruzione di comunità e nel cambiamento sociale, applicabile anche in contesti educativi. Un invito a superare i confini dell’educazione tradizionale, aprendo le porte a nuove possibilità di apprendimento. Creare una comunità di narratori per Zipes è anche promuovere collaborazione e condivisione, in cui gli studenti sono i protagonisti attivi del processo creativo. Una narrazione sovversiva che coinvolga la dimensione sociopolitica, smontando i modelli [6], le narrazioni dominanti e dunque diventando inclusiva nella direzione dell’universalità.
Piaget scrive di capacità rappresentativa, con riferimento all’abilità che il pensiero del bambino ha di costruisce un’immagine mentale già tra i 18 e 24 mesi. Come possono agire le storie allorché siamo in presenza di uno studente con disabilità cognitiva? In questo caso, ancor di più, la narrazione è un canale di espressione del sé, che supporta l’abbattimento di barriere comunicative e dunque può concretamente incidere sul miglioramento della qualità della vita. Le metodologie e le strategie devono essere gestite con sicurezza e innumerevoli sono le possibilità offerte alla didattica, basti pensare agli strumenti visivi, multimediali, tecnologici tra i più svariati nella versatilità di un uso multiplo come l’Universal Design for Learning [7] suggerisce.
«L’approccio narrativo che si accosta trasversalmente a vari ambiti disciplinari si rivela un eccellente strumento di accettazione ed elaborazione del deficit e della disabilità, della diversità in ogni sua manifestazione, consentendo alla persona con disabilità di costruire un ordine profondo rispetto al suo percorso formativo, un ordine al quale senta di corrispondere pienamente nella sua originalità» (Salis, 2016: 12).
L’occasione di raccontarsi dà la possibilità alla persona disabile di mostrare che essa stessa non coincide con il suo deficit, la sua storia acquista spazio e definisce la sua personalità, un modo per conoscere e riconoscere l’altro, promuovere e valorizzare la propria esistenza e prendere possesso di sé. Raccontare è una faccenda seria sostiene Demetrio e in quanto tale le sue proposte ne Il gioco della vita fanno dell’uso ironico una via liberatoria. «Raccogliere via via quel che, giorno per giorno, si pensa, si dice, si sente interiormente o si ascolta senza consegnarlo soltanto alla memoria che, con gli anni, si fa gioco lei di noi, è in sostanza una buona cura» (Demetrio, 2019:10). Ancora Demetrio in un altro lavoro prende una posizione contro la pedagogia dell’illusione e della finzione, accusandola di essere ingenua e incapace di muoversi nella realtà contemporanea, dove la necessità di educare al senso della vita sociale e delle responsabilità comuni deve percorrere vie alternative. La riflessione passa anche attraverso l’aspetto ludico e la riflessione.
«Le “ragioni degli altri”, nella loro differenza, legittimità o non condivisibilità, sono interpretabili a partire sempre dalla consapevolezza delle loro ragioni, dal riconoscimento dei motivi in base ai quali pensano in un certo modo, agiscono e sognano per fini diversi dai nostri. Tutto ciò è un’educazione all’individualità, a contare sulle proprie forze, ad apprezzare la solitudine stando con gli altri. Lavorando per loro e con loro, è un’educazione […] all’interiorizzazione delle esperienze della vita e delle conoscenze» (Demetrio, 2022:167).
Costruire una relazione educativa autentica è uno dei processi che si vivificano e sostanziano entrando in una classe e lo si fa solo attraverso dei percorsi di riflessione individuale e collettiva che, se pur faticosi, sono necessari per preparare gli studenti alla complessità che viviamo. Le emozioni ci possono guidare in ciò poiché sono fondamentali nel processo di conoscenza e partecipazione attiva al proprio apprendimento. «La scuola, da agenzia di riproduzione culturale e fortemente trasmissiva, spesso distante dal resto della società, si è trasformata negli ultimi decenni in un luogo di promozione e produzione culturale integrata e in relazione con altri livelli della realtà esterna» (Buccolo, 2021:68).
L’arte di inventare storie, per parafrasare il sottotitolo di un celebre testo di Gianni Rodari, appunto Grammatica della fantasia, si riferisce alla capacità di narrare e raccontare storie. Rodari esplora le potenzialità creative della narrazione e offre numerosi esercizi pratici per stimolare l’immaginazione e la capacità di raccontare storie. Sostiene che la narrazione non solo rende l’apprendimento più piacevole, ma anche più significativo, poiché le storie permettono di esplorare idee complesse e sviluppare competenze cognitive e affettive in un contesto ludico e creativo.
Altra esperienza, a cui Rodari era anche legato, è stata nel panorama italiano quella della scuola di Reggio Emilia, fondata negli anni Sessanta del Novecento da Loris Malaguzzi, un esempio dell’integrazione tra approccio narrativo e metodo educativo: infatti in quel contesto le storie e le narrazioni vengono utilizzate per documentare e riflettere sul processo di apprendimento, sono fatte strumento per comprendere meglio i bisogni e gli interessi, per mettere al centro il bambino. Allora questo approccio rimane valido con riferimento alla persona, alla centralità dell’umano, dello studente, del singolo, affinché sentendosi protagonisti, si facciano parte attiva del proprio apprendimento. Reggio Emilia in quegli anni vive un vivace fermento, in primis le scuole dell’infanzia divengono luoghi di sperimentazione e innovazione aperti alla diversità, poi la comunità scientifica internazionale guarda al Reggio Emilia Approach di Malaguzzi come esempio.
Parlando di innovazione non possiamo però non accennare alla riflessione attuale sulle potenzialità e le applicazioni che le nuove tecnologie hanno in ambito educativo, poiché non poche rivoluzioni sono avvenute nel modo di ascoltare e di narrare storie, basti pesare alla Realtà Aumentata (Baldini, 2022; Calabrese, 2014), ma anche alle “opportunità di pratica”, espressione utilizzata da Caldarelli con riferimento all’impatto delle nuove tecnologie sui nuovo scenari della narrazione sulle capacità di apprendimento delle persone disabili in merito a situazioni non facilmente fruibili in cui ci si “imbatte” sia in classe che oltre la stessa (musei, siti archeologici, altri ambienti).
«Facendo leva sulla capacità del lettore di immaginare se stesso al posto di un altro e di abbandonarsi a un contagio empatico che gli fa assumere il punto di vista del personaggio romanzesco (i narratologi parlano di perspective taking: comprensione e riproduzione inferenziale del punto di vista altrui su una certa situazione) e gli fa indossare i suoi ʺpanni” (i narratologi parlano di role taking: comprensione della condizione umana dell’ʹaltro, in relazione alla posizione che occupa in un dato contesto relazionale), […] la distopia si naturalizza e prende dimora nel nostro habitat storico-sociale, proponendosi come modello di lettura di realtà» (Calabrese, 2014:20).
La cosa interessante mi sembra essere che l’ascoltatore/lettore, non che prima non lo facesse, sembra chiamato ad intervenire nel processo di costruzione di senso, una vera e propria inclusione che rompe la dualità del precedente rapporto tra narratore e ascoltatore. La suggestione che mi arriva è quella del film, tratto dal libro, La storia infinita, in cui il protagonista Bastiano escluso dal gruppo dei pari e fragile poiché da poco orfano, diviene creatore della stessa storia che sta leggendo nel momento in cui si compie la piena immersione nel regno di Fantàsia e dunque nella narrazione.
La narrazione inclusiva a scuola è un approdo a cui si giunge attraverso la consapevolezza che raccontare ha sempre avuto un ruolo fondamentale nell’educazione. La tradizione orale, le fiabe, i miti, le leggende, la trasmissione tra generazioni ci hanno permesso di acquisire conoscenze e introiettare valori. Nel presente e nello spazio scuola, immersi come siamo nella complessità, la narrazione assume una funzione ancora più cruciale, può infatti farsi veicolo di inclusione e compenetrazione reciproca. Quelli della diversità sono valori sui quali l’umanità ha gettato ponti connettivi alla ricerca di nuclei che ci accomunano, attraverso la comparazione con l’altro definiamo noi stessi e il nostro modo di stare al mondo.
Narrazione come ponte perché raccontare e ascoltare storie ha il potere di creare collegamenti, in un’epoca in cui la relazione soffre per l’isolamento dei giovani, i fenomeni di ritiro sociale [8], la crisi delle reti di comunità reali, in particolare a causa dell’accelerazione di questi eventi durante la pandemia da Covid 19, può ri-innescare la reciprocità sospesa. Nel momento in cui gli studenti condividono le proprie esperienze e “guardano” dentro le esperienze dell’altro, hanno la possibilità di conoscere i contesti storico-sociali dei compagni e sviluppare l’empatia verso gli stessi. Così le diversificate esperienze derivate da ambienti linguistico-culturali, socio-economici, di svantaggio per una disabilità si incontrano nella narrazione e hanno la possibilità di creare scintille che vadano oltre il gruppo classe, che si allarghino al territorio e nel tempo ai rapporti tra individui. Vedere il mondo con gli occhi dell’altro, ci aiuta a cogliere meglio le sfide e le prospettive che si presentano davanti. In un contesto educativo inclusivo, tutti gli studenti dovrebbero sentirsi valorizzati e rappresentati, attori protagonisti in scena per costruire il proprio futuro. Anche le storie che abitualmente si relegano nel fondo dell’aula, per creare un’immagine che richiami alcune realtà scolastiche, dovrebbero essere rappresentate, riconosciute e apprezzate. La difficoltà di mettere in campo tale dinamica risiede credo nei tempi di costruzione di un rapporto di fiducia sia con l’insegnante che tra il gruppo dei ragazzi. Avere voce, dare voce, si sostanzia spesso di una relazione faticosa e conflittuale, laddove il tempo non fornisce la possibilità di stare. Necessario diventa allora per essere presenti all’altro nel momento del riconoscimento, ritrovare il proprio vissuto nella storia di qualcuno per contribuire a far sì che lo studente si senta parte integrante del gruppo.
Un passo per attuare ciò è quello di includere una molteplicità di narrazioni che promuovano la diversità: storie di diverse culture e tradizioni, che hanno provenienze differenti o che abitano la stessa complessità sfiorandosi appena, possono arricchire l’esperienza educativa e sviluppare l’apertura mentale offrendo ampiezza di vedute e profondità. Il percorso va costruito giorno per giorno, in quanto è un processo che si genera attraverso delle determinate metodologie ma che arricchisce e prepara ad affrontare la società globalizzata, liquida, interconnessa. La narrazione è uno strumento didattico che aggancia gli studenti e rende l’apprendimento più significativo perché situato [9] e, proprio in quanto situato può stimolare il pensiero critico, la creatività e la collaborazione. L’inclusività di tale metodo sta anche nella rottura di schemi precostituiti, un vero impegno collettivo che porti le famiglie a scuola e la scuola sul territorio, le comunità in classe e gli studenti sul campo [10]. Questa è una delle possibili strade da percorrere per innescare l’apprendimento ma anche per contribuire alla comunità scolastica e alla società del futuro.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
Note
[1] Il termine, dall’inglese embodiment, si utilizza nell’antropologia medica per definire il processo continuo che porta a “sentire” come naturali una serie di negoziazioni con le forze sociali, politiche, economiche, storiche, che il corpo subisce e che allo stesso tempo utilizza facendosi esso stesso strumento di condizionamento della dimensione culturale e culturale.
[2] Life Skills del 1993 dell’OMS e la Raccomandazione relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente del 2018
[3] Bartlett utilizza una leggenda appartenente alla cultura dei nativi americani per portare avanti un esperimento da cui trae che nell’esporre la leggenda ogni partecipante non ripete passivamente la leggenda, ma la adatta ai propri schemi di apprendimento acquisiti in precedenza attraverso l’educazione e la cultura di appartenenza.
[4] La classificazione internazionale del funzionamento, disabilità e salute definito dall’OMS nel 2001 è stato accettato da 161 Paesi come standard internazionale
[5] Riferimenti legislativi principali sono la L. 517 del 1977, la L. 104 del 1992, la L. 170 del 2010, il D. Lgs 107 del 2015, il D. Lgs 66 del 2017, il D. Lgs 96 del 2019
[6] Il ragionamento sembrerebbe richiamare alcuni temi affrontati dalla della scuola di Francoforte soprattutto nel dibattito scaturito sulla cultura di massa.
[7] UDL è un modello psico-pedagogico che propone una personalizzazione educativa attraverso un approccio flessibile ed inclusivo, quindi permette di offrire a tutti gli alunni pari opportunità ed equità di apprendimento.
[8] Il fenomeno del Hikikomori è una condizione sociale e psicologica, che colpisce soprattutto i giovani di ritiro prolungato e dipendenza dalle tecnologie.
[9] Con situato intendo fornire una cornice pratica e contestualizzata.
[10] Ho voluto richiamare un celebre incitamento dell’antropologo Franz Boas ai suoi studenti “tutti sul campo!”
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https://www.literacyitalia.it/ se-anche-il-narratore-diviene- funzionale/
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Emanuela Panajia ricercatrice in ambito antropologico e docente di scienze umane, ha effettuato ricerche sulle migrazioni, antropologia medica, tradizioni popolari. È impegnata in una prolungata attività di rilevamento e di studio su diversi aspetti delle culture immateriali soprattutto nel Lazio e in Calabria. Collabora come socio e ricercatrice con l’Associazione Eolo-Etnolaboratorio per il patrimonio culturale immateriale dal 2010 con esperienza nell’ambito della ricerca sul terreno, sia sulla catalogazione dei beni demoetnoantropologici materiali e immateriali, sia nell’utilizzo di mezzi tecnici per l’acquisizione di documentazione in ambito catalografico. Ha maturato alcune collaborazioni con Musei territoriali soprattutto del Lazio (Roviano, Gavignano, Pontecorvo), con università e archivi di documentazione. Ha pubblicato Compagni invisibili. I Santi patroni fondatori di località, in Santi, Pantasime e Signori. Le feste della Bassa Sabina, a cura di Broccolini A., Migliorini E. (2013; Giochi di memoria Etnografia in un centro Alzheimer, in Gioco e giocattolo a cura di Valentina Rossi, 2015; Alimentare la fede. Pratiche di consumo e preghiera per la festa di Sant’Antimo a Nazzano in Il Cibo e la Festa. Pratiche alimentari nelle aree appenniniche del Lazio a cura di Migliorini E. (2017), nonché Storie di gelsi e bozzoli. La cura del baco, il seme d’accudire, una economia domestica tutta al femminile e Storie di donne e tabacco, tra pannocchie e filari. Le tabacchine di Magliano e il loro ruolo di risorse economico sociale in I segni del lavoro. I siti produttivi in Bassa Sabina tra agricoltura e industria dal XVIII al XX secolo a cura di Fondazione Nenni e Associazione Eolo di cui ha coordinato la ricerca antropologica.
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