di Tiziana Migliore
Grandi studiosi scomparsi di recente, da Umberto Eco a Michel Serres, da Tzvetan Todorov a Remo Bodei, da Marcel Detienne a Zygmunt Bauman, sono stati intellettuali raffinatissimi e anche ottimi maestri. Ma in ambito gnoseologico e pedagogico il ruolo svolto da Paolo Fabbri in cinquant’anni di attività teorica ed empirica va oltre.
Tramandare e diramare
Il 21 dicembre 2019, giorno in cui ha ritirato il Sigismondo d’oro, premio prestigioso del Comune di Rimini, il semiologo ha concluso il suo discorso con l’elogio del Ficus macrophylla e delle sue radici aeree colonnari, con i rami che si allungano, toccano terra e formano altre radici, metafora degli allievi di oggi e di domani. Fabbri non era solo un pensatore argutissimo nel dissipare le nebbie dei fenomeni sociali, prodigo di riflessioni lucide e calzanti. Le voci della rubrica “Parole, parole, parole” che teneva per L’Unità, poi raccolte nel volume Segni del tempo. Lessico e dialoghi politicamente scorretti (2004), ben rispecchiano la sua militanza, lo sviluppo di una critica dell’esperienza “clinica”, come diceva citando Deleuze (1993), curativa della società. Già il non essersi allineato con nessuno per piaggeria e l’aver percorso con coerenza un tragitto in cui ha creduto è raro di questi tempi.
E tuttavia il suo apporto è essenziale per un altro aspetto. Fabbri, uomo vissuto a cavallo fra XX e XXI secolo, ha costantemente ricordato che la conoscenza ha valore se è tramandata. Conoscenza in termini di comprensione, non di mero passaggio di dati o nozioni. Se l’“informazione” richiede il minimo di tempo e il massimo di spazio, la “formazione” può avvenire in uno spazio minimo, ma necessita del massimo di tempo. Per Fabbri non c’è comprensione senza formazione e rinvio ai posteri, ponte gettato fra più generazioni, oltre l’arco delle esistenze individuali. “Ci segue come guida”, era la formula con cui commemorava gli autori più amati: Greimas, Lévi-Strauss, Barthes, Deleuze, Guattari, Marin, Eco…
Non a caso Fabbri andava così tanto orgoglioso della Ray cat solution, la soluzione escogitata con la chimica Françoise Bastide nel 1981, su commissione della Human Interference Task Force del Department of Energy and Bechtel Corp degli Stati Uniti, per avvisare le generazioni future della presenza di scorie radioattive. I gatti cambiano colore se esposti a radiazioni e quindi un loro improvviso mutamento è il segnale di luoghi pericolosi da abbandonare e con rifiuti da smaltire. Di recente un laboratorio di Montreal, brico.bio, sta sviluppando questa idea, formalizzata da Fabbri e Bastide nel 1984 in un articolo scientifico della rivista Zeitschrift für Semiotik. E ne è nato un documentario diretto da Benjamin Huguet e selezionato al Pariscience 2015-International Science Film Festival.
Inattuale rispetto al presentismo dominante e all’effimero per cui letterati, artisti, musicisti, filosofi, architetti, si accontentano oggi del successo immediato, incapaci di vedere al di là del proprio naso, Fabbri ha fatto propria la mentalità degli antichi di spiegare e produrre aere perennius. In questo sta la sua “semiotica”, sinonimo di insegnamento: cogliere segni, nelle esperienze sociali e personali che facciamo, e lasciarne.
Nel tempo e nello spazio, da una generazione all’altra e da un Paese all’altro, attraverso la costruzione di una rete internazionale, Fabbri ha ribadito che i segni non sono atomi da classificare, elementi scissi da noi. Sono invece processi con cui significhiamo il mondo e diamo significato al nostro esistere. Leggerli non è facile, perché, mentre li riceviamo e ne produciamo, vediamo solo la parte emersa dell’iceberg del loro senso. C’è allora chi si adatta e finisce col dire che il mondo è “liquido” e chi invece vorrebbe vederci chiaro. A tutti, studiosi e non, a Bologna come a Parigi, a Madrid, Istanbul o Lima, a Mosca, San Diego, Buenos Aires…, Fabbri si è rivolto ogni giorno, senza scarti fra lavoro e svago in nome di una sua Gaia scienza, per mettere il senso in condizione di significare e aiutare a praticare l’intelligenza. Si è battuto contro la piattezza del pensiero e dal Centro di Semiotica di Urbino, che ha fondato con Carlo Bo e Pino Paioni nel 1970 e diretto fino alla fine, ha invitato al metodo strutturale, al pensiero “per differenze”: non limitarsi a visioni univoche, ma guardare le cose per mezzo dei loro contrari, complementari e contraddittori, rovesciandole e smontandole.
“Com’è che non ci avevo pensato prima?” – è allora la domanda più frequente dopo aver incontrato Fabbri, fautore di quella Svolta semiotica (1994), frutto di una serie di seminari a Palermo e che ha avuto l’effetto di trasformare una disciplina e una professione in un progetto di vita. Umberto Eco si è ispirato a lui neL forgiare il personaggio di Paolo da Rimini de Il nome della rosa, l’Abbas Agraphicus fondatore della biblioteca, perché Fabbri non amava concludere le sue ricerche, mettere punti, e per questo ha trasmesso il sapere oralmente più che in forma scritta. Allo stesso tempo gli scritti che lascia sono illuminazioni dense: distinguono e rischiarano, ma non smettono di aprire brecce su altre letture possibili.
I quattro livelli e gli anelli mancanti
Elève titulaire dell’Ecole Pratique des Hautes Etudes a Parigi dopo una laurea in Legge e Scienze Politiche a Firenze nel 1962, Fabbri ha studiato con Lucien Goldmann, il sociologo specialista di Pascal e Racine, ed è entrato a contatto con gli ambienti più avanzati della ricerca strutturale in linguistica, antropologia e semiotica, in particolare con Algirdas Julien Greimas, padre della semiotica strutturale, e con Roland Barthes. Era l’epoca della “guerriglia semiotica”, della critica dei discorsi ideologici. Si trattava di “sbiancare” i messaggi che i poteri dominanti in politica e nei media spacciavano per ovvii e innocenti. Dietro la comunicazione ci sono tattiche e strategie enunciative, credenze, simulacri offerti all’altro. Di lì in avanti Fabbri avrebbe cominciato ad occuparsi di retorica, passioni, miti, segreti, guerra, efficacia simbolica, segreti, spionaggio, rumors, fare scientifico, camouflage, profezie, tatuaggi… In uno dei passi più rilevanti de L’efficacia semiotica (2017), il libro a cura di Gianfranco Marrone che raccoglie le principali interviste con lui e punto di riferimento per comprendere la sua opera immensa e labirintica, Fabbri ha perfino spronato a sviluppare un’“antiepistemologia”, come analisi dei modi in cui si nasconde la conoscenza.
L’efficacia della sua semiotica, rispetto ad altri approcci vaghi e dove tutto fa brodo, sta nell’essere marcata, caratterizzata dall’andirivieni fra quattro livelli: descrittivo, metodologico, teorico ed epistemologico. È cioè una teoria che, per funzionare, deve avere pochi presupposti epistemologici, partire da casi-studio scelti secondo criteri di empiria e pertinenza, ed essere coerente con il metodo, che è una “cassetta di attrezzi” in divenire, concetti e strumenti estratti direttamente dai casi-studio: “programma narrativo” (da miti e fiabe!), “modalità”, “enunciazione”, “punto di vista”, “aspettualità”, “pregnanza e salienza”, “estesia”… Un metalinguaggio descrittivo molto meno tecnico del gergo calcistico, come piaceva dire a Fabbri per respingere le accuse mosse alla semiotica, e interdisciplinare, mutuabile da chiunque voglia capire meglio le dinamiche del senso. L’ultimo suo libro, Vedere ad arte. Iconico e icastico (2019), mostra il posto della pittura, della scultura, del disegno, della fotografia, del video, dell’installazione e la performance, non secondario al linguaggio verbale, nel modellizzare il reale, interpretando e rifigurando i rapporti sociali. Per Fabbri, che è stato presidente del DAMS di Bologna dal 1998 al 2001, le opere d’arte sono “retine esterne”: trapiantano negli spettatori nuovi sensi, lasciando intravedere immagini potenziali e sollecitando pensieri ancora impensati.
Nel riconoscere indizi di teoria nell’esperienza Fabbri ha sempre valorizzato l’attività della traduzione, intesa come spostamento, eterotopia (Foucault 1967), détournement (Jullien 1995) che permette di interrogare la nostra cultura, le nostre abitudini, a partire dall’alterità. Così una buona traduzione è quella che arricchisce la lingua di partenza e la lingua di arrivo; quando si traduce un’altra lingua, si è obbligati a ripensare la propria. Fabbri citava spesso la difficoltà di tradurre negli Stati Uniti, dove non esiste, come non esiste in italiano, in spagnolo o in francese, l’aggettivo /vincibile/ dal trattato cinese L’arte della guerra di Sun Tzu. L’Occidente ha dovuto introdurre nel suo lessico il termine e quindi il concetto di /vincibility/, /vincibilità/, a cui non era abituato.
Ecco, il semiologo strutturalista è prima di tutto un traduttore, un “intercessore” fra lingue, popoli, culture, pratiche artistiche (Deleuze 1962), come chi percorre il Bosforo su un battello turco che fa Anadolu-Avrupa, Avrupa-Anadolu, dall’Anatolia all’Europa e ritorno. “Abita il tra traducendo” (Fabbri, Migliore, a cura di, 2011). Nella concezione filogenetica della conoscenza abbracciata da Fabbri, gli allievi traducono i maestri e i maestri, con le tracce che lasciano, intercedono presso gli allievi. Anche vita e (non) morte si comprendono mutuamente.
Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
Riferimenti bibliografici
Bastide F., Fabbri P., “Lebende Detektoren und komplementäre Zeichen: Katzen, Augen und Sirenen” [“Living detectors and complimentary signs: Cats, eyes and sirens”], Zeitschrift für Semiotik, Tübingen, Stauffenburg Verlag, 6 (3), 1984: 257-264.
Deleuze G., Critique et clinique, Minuit, Paris 1993; trad. it. Critica e clinica, Cortina, Milano 1996.
- Nietzsche et la philosophie, PUF, Paris 1962; trad. it., Nietzsche e la filosofia, Einaudi, Torino 2002.
Fabbri P., Vedere ad arte. Iconico e icastico, a cura di T. Migliore, Mimesis, Milano 2019.
- L’efficacia semiotica, Risposte e repliche, a cura di G. Marrone, Mimesis, Milano 2017.
- Segni del tempo. Lessico e dialoghi politicamente scorretti, Meltemi, Roma 2004.
- La svolta semiotica, Laterza, Bari-Roma 1994.
Fabbri P., Migliore T., a cura di, “The in between”. Introduzione a The Architecture of Babel. Creation, Extinctions and Intercessions in the Languages of the Global World, Olschki, Firenze 2011: I-XXII.
Foucault M., “Des espaces autres”, conférence au Cercle d’études architecturales, 14 marzo 1967, in Architecture, Mouvement, Continuité, 5, octobre 1984 : 46-49 ; trad. it., “Eterotopia”, in Michel Foucault. Eterotopia. Luoghi e non-luoghi metropolitani, Associazione culturale Mimesis, Milano 1994: 11-20.
Jullien F., Le détour et l’accès. Stratégies du sens en Chine, en Grèce, Grasset & Fasquelle, Paris 1995; trad. it., Strategie del senso in Cina e in Grecia, Meltemi, Roma 2004.
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Tiziana Migliore, insegna Semiotica all’Universitas Mercatorum e Semiotica dell’arte all’Università LUISS di Roma. Segretario scientifico del CiSS, Centro Internazionale di Scienze Semiotiche Umberto Eco, Università di Urbino, e vicepresidente dell’Associazione Internazionale di Semiotica Visiva, ha pubblicato le monografie Sensi del visibile. Immagine, testo, opera (Mimesis 2018), Biennale di Venezia. Il catalogo è questo (Aracne 2012) e Miroglifici. Figura e scrittura in Joan Miró (Et Al. 2011), molti volumi collettanei e articoli scientifici in Italia e all’estero. Scrive per La Repubblica e per il Manifesto.
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