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Patrimoni immateriali e borghi del PNRR in Basilicata

Rapona e il Monte Vultura (ph. Gianvito Tozzi)

Rapone e il Monte Vulture (ph. Gianvito Tozzi)

il centro in periferia

di Mariacristina Mona 

All’indomani della pandemia, scampata l’Apocalisse (vissuta e narrata), permane una sensazione di irrealtà del momento trascorso, come durante il risveglio da un brutto sogno. In questo contesto, la febbre dei borghi con copioso afflusso turistico annesso, è svanita all’improvviso. Con un brusco risveglio, siamo ripiombati nell’amara realtà e l’angoscia dell’impotenza prevale sulla favola del local tourism.   

L’immobilismo del presente e l’illusione dell’altrove 

I dati sulle presenze turistiche nella mia regione, la Basilicata, registrano un calo del 30 per cento rispetto alla scorsa stagione, fenomeno evidente in particolare nei piccoli centri che attendevano con fiducia l’arrivo dell’estate, dopo l’esplosione di notorietà dell’anno precedente. Ora un po’ dubbiosi, si confida nei prossimi mesi, scacciando l’ombra del dubbio che tutta la retorica sullo sviluppo economico locale dei piccoli borghi sia già vanita in un fuoco di paglia.

La pandemia ha portato un periodo di inaspettata fortuna per i questi paesini, che si sono riscoperti borghi attrattivi per il viaggiatore della porta accanto. Ma si sa, il turista è volubile e imprevedibile e presto arriverà il momento di tirare le somme, domandandosi lucidamente quale sarà la strada migliore da percorrere per ottenere dei risultati duraturi. 

Un’altra febbre sta catturando le amministrazioni locali: la frenesia per l’arrivo dei fondi previsti dal PNRR. Tra entusiasmo e criticità, sono state elaborate visioni future per contrastare le ben note problematiche presenti nei territori dell’osso [1]. Una delle incongruenze emerse riguarda lo scollamento tra la Strategia Nazionale Aree Interne [2] e i luoghi individuati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, come evidenziato nel recentissimo volume pubblicato da Donzelli: Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi. L’impressione infatti, è che si sia voluto favorire luoghi potenzialmente attrattivi per visitatori, piuttosto che intervenire sistematicamente sui comuni che storicamente subiscono gli svantaggi propri delle aree interne: 

«È vero che la misura del Pnrr punta a favorire un possibile ripopolamento dei borghi prescelti, ma le iniziative che verranno finanziate sembrano avere il principale obiettivo di valorizzarli a vantaggio di fruitori prevalentemente esterni. Non si tratta quindi di un intervento di politica economica che mira a contrastare lo spopolamento di tanti comuni italiani migliorando la qualità della vita di chi abita, soprattutto mettendo a loro disposizione servizi di istruzione, salute, mobilità e favorendo così anche flussi di nuovi residenti; ma di un’operazione che parte da luoghi fisici, per quanto meritevoli di recupero, per esaltarne le valenze turistiche» [3]. 

L’impostazione per la costruzione del Pnrr, in particolare della linea A, riscontra delle criticità di base in previsione dello sviluppo progettuale futuro. In particolare, si è attivata una competizione fra aree, dato che non era possibile presentare progetti di collaborazione tra più comuni. Delimitare in maniera così circoscritta questi luoghi può annullare potenziali attività di cooperazione indispensabili per uno sviluppo esteso e duraturo nel tempo.

2La Basilicata è in prima linea nella graduatoria nazionale per l’assegnazione dei fondi nel Piano di rigenerazione dei borghi. Il Comune di Rionero è risultato secondo per la Linea A, per un totale di 20 milioni di euro assegnati al piccolo centro marchigiano di Monticchio Bagni [4]. Nella graduatoria della linea B troviamo, al terzo, quarto e quinto posto in lista, cinque borghi lucani, per un totale di oltre 5 milioni. Si tratta dei comuni di Castelmezzano, Pietrapertosa e Accettura, seguiti da Ginestra e da Rapone.

La vera sorpresa tuttavia, riguarda il cuore dei progetti vincitori, tutti incentrati sul patrimonio culturale immateriale. I tre paesi del Parco di Gallipoli Cognato, superato lo storico campanilismo, hanno costruito un programma comune basato sui riti arborei (nello specifico il “maggio di San Giuliano”), sull’onda di notorietà che li ha caratterizzati negli ultimi anni. Ginestra punterà sulla costituzione di un museo etno-botanico, con ricerche annesse sugli usi tradizionali delle piante in linea con il revival di movimenti ecologisti. Infine Rapone, già Paese delle Fiabe da oltre dieci anni, mira ad istituirsi come stella polare nell’ambito della fiabistica a livello internazionale. 

Rapone è un paese lucano situato a 838 metri sul livello del mare, sul monte Cuppariello e lambito dal canale San Vito, tributario dell’Ofanto. Si posiziona tra territorio del Vulture, antico vulcano composito quiescente, e l’Irpinia. La popolazione residente è di circa 900 abitanti. Le attività economiche che caratterizzano storicamente il paese sono l’agricoltura e la pastorizia. In queste aree di montagna non possiamo parlare di una struttura urbana organica coordinata da grandi masserie, bensì di una popolazione urbano-contadina legata alla propria modesta abitazione in paese e mobile a seconda del lotto di terreno da coltivare in base al periodo. Il centro della vita sociale era il paese. Nonostante questo, nelle vallate circostanti il centro di Rapone erano presenti masserie dove vivevano famiglie allargate, composte da più nuclei di tre o quattro generazioni. Queste masserie erano in contatto fra loro ed era diffusa la pratica di recarsi in visita in occasione di inviti o ricorrenze, per ballare tarantelle fino al mattino.

Il fenomeno migratorio postunitario influì notevolmente su Rapone, così come su tutta la Basilicata e, a livello economico, notevole peso hanno avuto le rimesse degli emigrati. Attualmente giovani sono occupati per la maggior parte nello stabilimento SATA di San Nicola di Melfi, oppure, in una fabbrica locale attiva nel settore industriale e specializzata in componenti idraulici. Sono presenti inevitabilmente le problematiche comuni alle aree interne del paese: invecchiamento della popolazione, mancanza di opportunità lavorative, spopolamento, carenza progressiva di servizi. 

Il Comune ha prodotto una lucida analisi delle criticità relative al bando “Borghi del PNRR”, identificando gli elementi del contesto e le cause dello spopolamento. Da qui, avallando come testimonianza il percorso intrapreso negli anni, ha presentato un programma ambizioso di sviluppo economico, sociale e culturale, ottenendo di fatto il riconoscimento come Paese delle Fiabe, all’interno del Bando. Il nuovo ambizioso progetto è stato denominato: Basilicata culla di fiabe.

Un risultato di questo tipo, non sarebbe stato possibile senza la decisa conduzione da parte delle istituzioni locali. La caparbietà di questa piccola comunità ha prodotto lo sviluppo di un processo che, goccia dopo goccia, sta portando delle trasformazioni e mira ad un deciso cambio di rotta. 

Rapone, capitale della cultura per un giorno, Il canto dei cunti e il gran ballo delle fiabe

Rapone, capitale della cultura per un giorno, Il canto dei cunti e il gran ballo delle fiabe

Perché proprio le fiabe? 

Rapone non ha importanti monumenti, né grandi chiese o castelli. Su cosa puntare dunque? Una scelta quasi di necessità, una scommessa basata su una mancanza, sul vuoto che storicamente caratterizza i piccoli comuni ma anche su un’intuizione legata ad una pratica che era ancora presente fino agli anni 80: la trasmissione orale di racconti fra le generazioni.

Dunque Rapone Paese delle Fiabe nasce da un’esigenza concreta: riqualificare strutturalmente il paese e rilanciarlo a livello economico nel settore turistico. Tutto ebbe inizio nel 2010, quando si presentò la possibilità di partecipare ad un progetto PIOT della Regione Basilicata (Pacchetti Integrati di Offerta Turistica), denominato “Basilicata Natura Cultura”. La sindaca, Felicetta Lorenzo, di fatto creatrice e promotrice del progetto, partì dalla presa di consapevolezza del fatto che le fiabe potessero essere una specificità del paese e diventare una peculiarità identificativa, spendibile a livello promozionale. Dopo l’arrivo dei fondi, vennero attuate azioni su campi differenti: dalla riqualificazione urbana fino alla realizzazione di un museo multimediale: il C.E.R.A. (Centro di Educazione Rurale Ambientale), la creazione di un percorso narrato nel centro storico e una serie di eventi tematici ricorrenti. 

Il tutto a partire da una ricerca etnografica sui racconti orali per l’individuazione di personaggi rappresentativi del luogo. In quest’ottica, l’oggetto “fiaba popolare” non è inteso come un patrimonio da salvare, bensì come una risorsa per il futuro, quasi un pretesto per innescare una serie di processi all’interno della comunità. Oltre a progetti di rigenerazione urbana, sono stati realizzati interventi sociali. Infatti per invertire il declino abitativo non è sufficiente costruire palazzi: 

«Riabitare significa ricostruire la comunità, creare le condizioni essenziali per consentire di rimanere a chi vuol restare, per favorire il ritorno di chi vuole tornare, per accogliere chi ha maturato la scelta della vita da paese»[5]. 

Il processo messo in atto a Rapone è in linea con i principi della Convenzione per la Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata dall’UNESCO nel 2003 e ratificata dalla nazione italiana nel 2007. La fiaba popolare, si può configurare come patrimonio culturale immateriale, nella definizione data dalla Convenzione: 

«Per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana». 

I patrimoni possono definirsi tali soltanto quando le comunità di rappresentanza se ne occupano consapevolmente. Non sono dei fragili oggetti da musealizzare, ma creta viva, plasmabile e riutilizzabile per il futuro, a seconda della necessità, così come definito dalla Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società [6]: 

«L’eredità culturale è un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Essa comprende tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi» [7]. 

Rapone ha fatto proprio questo concetto, lanciando una serie di proposte che interesseranno temi e soggetti sociali differenti, in maniera tale da raggiungere trasversalmente i singoli individui della comunità. Soltanto l’inclusione attiva nel processo può creare una comunità di eredità. 

«Una comunità di eredità è costituita da un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future» [8]. 

La Convenzione riconosce l’importanza di valori e significati attribuiti agli oggetti culturali dalle comunità che li identificano come tali. Le amministrazioni locali svolgono un ruolo centrale come attivatori di processi sinergici all’interno delle piccole comunità. 

Rapone, capitale della cultura per un giorno, Il canto dei cunti e il gran ballo delle fiabe

Rapone, capitale della cultura per un giorno, Il canto dei cunti e il gran ballo delle fiabe

Chi sono gli eredi dei cantastorie? 

Gli interventi realizzati a Rapone sono stati concreti e funzionali. Hanno subito battute d’arresto, cambi di rotta e nuovi avvii. I destinatari, fino ad ora, sono stati prevalentemente i cittadini. Il comune ha trasformato una discarica in un parco giochi, alcune abitazioni del centro storico sono state ristrutturate, è stata realizzata una pista ciclabile, allestita un’area camper e un parco avventura nel bosco con sentiero naturalistico. Nell’ultimo anno è stato terminato l’auditorium, inaugurata la biblioteca comunale, dedicata alle fiabe da tutto il mondo, predisposte le visite al museo e il centro estivo per bambini. È stata incentivata l’iniziativa privata scongiurando la chiusura dell’unico bar in paese, favorita l’apertura di un chioschetto nel bosco per i ragazzi e la gestione del parco avventura. Tutto questo grazie anche all’arrivo di forestieri, dai comuni limitrofi, che hanno deciso di investire e scommettere su queste attività.

Rapone, Museo C.E.R.A (ph. Vito Tozzi)

Rapone, Museo C.E.R.A . (ph. Vito Tozzi)

Le motivazioni di questi buoni esiti sono la costanza nel tempo e l’aver accolto le esigenze degli abitanti. Con i nuovi progetti, si vuole rendere Rapone un centro culturale e sociale, oltre che un attrattore turistico. Si mira ad un collegamento con noti percorsi legati alle fiabe letterarie, da Basile ai fratelli Grimm e Andersen. È prevista l’istituzione di un centro di ricerca sperimentale, e laboratori per adulti e bambini. In questo ecosistema culturale, la tradizione orale, intesa come pratica del narrare storie, si contamina con l’universo disneyano, arricchendosi di nuovi significati contemporanei. Diventa linfa vitale per la realizzazione di fumetti, racconti, opere teatrali. Nel paese di Rapone i ragazzi fanno da guide ai visitatori raccontando le loro storie di masciare, scazzamauriedd e lupu cumunal. Alcuni anziani sono diventati avvezzi a telecamere e interviste e ben volentieri si rendono protagonisti di interessanti performance. I bambini si travestono impersonando i personaggi durante gli eventi.

La tradizione immateriale si connota come pretesto per ri-creare il gruppo sociale che grazie ad essa si auto determina e ri-costruisce il senso degli stessi luoghi. 

Dialoghi Mediterranei, n. 57, settembre 2022 
Note
[1] Rossi Doria M., Dieci anni di politica agraria, 1958, Laterza, Bari-Roma.
[2] De Rossi A. (a cura), Riabitare l’Italia: Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, 2019, Donzelli, Roma.
[3] Barbera F., Cersosimo D., De Rossi A. (a cura), Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi, 2022, Donzelli, Roma: 166.
[4] Monticchio Bagni è una frazione del comune di Rionero in Vulture realizzato dalla famiglia Lanari, imprenditori marchigiani che si stabilirono nella zona dalla fine dell’800, realizzando una immigrazione di contadini e maestranze dal nord verso un piccolo centro del Sud Italia. Acquistarono terreni, costruirono impianti idroelettrici, portarono produzioni innovative come il baco da seta e furono i primi a commercializzare le acque minerali di cui è ricco il Vulture.
[5] Teti V., La restanza, Torino, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2022: 40.
[6] UNESCO, Convenzione per la Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, Parigi, 2003: 2.
[7] UNESCO, Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, Faro, 2005: 5. La Convenzione di Faro (2013) evidenzia l’interesse posto dalla Comunità Europea nella protezione del patrimonio culturale: volta all’affermazione del valore dell’eredità culturale come diritto universale.
[8] Ibidem. 

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Mariacristina Mona, lucana di ritorno, storica dell’Arte, si è specializzata in Scienze Antropologiche e Geografiche presso l’Università degli Studi della Basilicata con una tesi di ricerca etnografica su Rapone Paese delle Fiabe. Collabora con L’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi nell’ambito di un progetto per la valorizzazione del patrimonio orale di Puglia e Basilicata. Lavora come guida ambientale escursionistica e si occupa della progettazione e realizzazione di attività esperienziali nella natura. 

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