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Per una rilettura dell’esperienza coloniale italiana nel Corno d’Africa

360px-possessions_italiennes_en_afrique-1896di Monica De Pietri 

È notevole l’interesse che attualmente si ha per i Paesi del Corno d’Africa, rivestendo gli stessi una sostanziale importanza sotto l’aspetto geopolitico. Anche l’Italia, nel suo piccolo, guarda con molto interesse a questa area, e all’Africa in generale. Il “Piano Mattei” esplicita questo interesse nella ricerca di nuove relazioni economiche e sociali, con un ipotizzato rapporto paritario di collaborazione con vari Stati africani. Affinché questo impegno avvenga nella maniera più adatta bisogna conoscere i precedenti coloniali, che costituiscono l’oggetto di queste riflessioni. Andando al di là del vecchio luogo comune “italiani, brava gente”, questo saggio invita a una rilettura dell’esperienza coloniale che pone in evidenza anche le gravi storture a noi imputabili, con la consapevolezza che il riconoscimento dei propri sbagli è un segno di forza e la base per costruire rapporti paritari moderni. 

Caratteristiche delle aree del Corno d’Africa

Iniziamo con un cenno alle vicende storiche che portarono, dagli ultimi decenni del XIX secolo, molti italiani ad occupare e stabilirsi in queste terre. Come è noto, poco dopo l’unificazione del Regno d’Italia, iniziò anche il grande esodo delle italiane e degli italiani in tanti Paesi nel mondo, spinti dalla speranza o dalla disperazione, alla ricerca di una vita diversa e migliore. Certamente l’emigrazione italiana in Africa orientale, e nel continente africano in generale, costituì un fenomeno molto minore rispetto ai milioni di connazionali che si spostarono verso il continente americano ed in altri Paesi europei più avanzati [1]; ma rappresentò un caso rilevante e molto particolare della mobilità italiana, dove le politiche espansioniste del periodo e le velleità di conquiste territoriali oltremare si unirono all’arretratezza sociale ed economica e alla povertà strutturale di molte aree della nuova Italia, spingendo migliaia di persone a trasferirsi anche in questi territori.

Risale infatti al periodo coloniale la forte presenza dell’Italia nei Paesi del Corno, territori occupati nel corso del tempo e costitutivi per un breve periodo dell’Impero dell’Africa Orientale Italiana. Gli Italiani che si stabilirono nelle colonie non erano visti, e non si vedevano, come semplici migranti ma colonizzatori investiti di una missione civilizzatrice. Questa prospettiva ebbe un risvolto importante anche nell’uso della lingua, sia per gli italiani migranti che per le popolazioni locali che vennero coinvolte dall’italianizzazione dei loro territori.

Addis Abeba

Addis Abeba

Generalmente, nella cultura europea ed occidentale, il continente Africano viene diviso in due zone dall’ampia fascia del deserto del Sahara; l’Africa sub-sahariana include una moltitudine di Paesi e popoli, con vastissime aree rimaste fino al XIX secolo oscure e difficilmente accessibili. La sua conoscenza spesso si limitava alle zone costiere, con colonie commerciali circoscritte alle fasce litoranee e ai grandi fiumi. Anche per la gestione del commercio degli schiavi, avviato nel XVI secolo, i mercanti europei si erano negli anni accordati con i notabili e mercanti locali che dalle aree interne provvedevano a portare le persone in schiavitù sulla costa, pronte per essere deportate.  A nord del Sahara, i vari Stati, già conquiste romane, arabe e turco-ottomane, si affacciano sul Mediterraneo, con contatti e legami antichi con i Paesi e popoli dell’Europa del sud e dell’Oriente. In questi Paesi nel tempo si insediarono diverse comunità originarie della penisola italiana, alcune molto numerose e operosamente attive in vari settori della società, come le comunità in Egitto, in Algeria e in Tunisia; quest’ultima considerata per molto tempo lo sbocco naturale dell’espansionismo italiano.

Sarà proprio la delusione per la perdita delle possibilità espansionistiche in Tunisia, a causa delle politiche di occupazione della ben più potente Francia, ad indirizzare le maggiori aspirazioni coloniali dell’Italia nel Corno dell’Africa sub-sahariana. Infatti, all’inizio degli anni 80 del XIX secolo la Francia stabilizzò militarmente la sua presenza in Tunisia, soppiantando l’Impero Ottomano ormai in crisi, stroncando le aspirazioni italiane che si dirottarono verso una delle poche aree non ancora occupate da altri Stati europei. Tutte le potenze europee, con in testa il Regno Unito e la Francia, erano già impegnate nella penetrazione e nella colonizzazione dell’Africa intera, sia a livello commerciale che militarmente, normalmente precedute da esploratori e missionari [2].

Sin dall’antichità il Corno d’Africa è stato, ed è tuttora, al centro di importanti interessi geopolitici, crocevia di commerci e culture e punto di snodo delle rotte migratorie. Le interconnessioni tra le due sponde del mar Rosso hanno esposto tutta la regione a varie influenze culturali e sociali e permesso lo sviluppo di diverse civiltà, alcune molto floride ed avanzate, dando vita a territori estremamente multietnici con rilevanti differenze storiche, politiche, antropologiche e culturali. Tra la moltitudine di lingue parlate localmente, spiccavano l’arabo sulle coste e l’amarico negli altopiani; quest’ultimo considerato lingua franca nel territorio controllato dal Negus abissino che comprendeva, oltre agli altopiani etiopi, anche l’attuale Eritrea. Un caso a sé erano le terre dei somali, che presentavano una certa uniformità, essendo anche tutt’oggi uno dei pochi Paesi africani ad avere una cultura ed una lingua ampiamente maggioritarie.

Geograficamente appartiene al Corno d’Africa in senso stretto anche Gibuti [3], uno Stato molto piccolo ma strategico, data la posizione sullo Stretto di Bab El Mandeb (“porta del lamento funebre”), che separa ma unisce la penisola arabica al continente africano, collegando il Golfo di Aden nell’Oceano Indiano con il Mar Rosso e, più a nord, il canale di Suez. Attraverso lo stretto transita un terzo del traffico marittimo mondiale e il 70% di quello europeo o, per meglio dire, transitava. Più recentemente, a seguito dell’intensificarsi degli attacchi alle navi e mercantili da parte del gruppo armato sciita Houthi che controlla una larga parte dello Yemen, la pericolosità di accedere al golfo di Aden ha ridotto enormemente i traffici, già minacciati in passato dalla pirateria somala. Le ragioni di sicurezza globali dell’area e la stabilità del piccolo Stato hanno fatto sviluppare Gibuti come avamposto militare internazionale. Oltre la Francia, con cui c’è una stretta relazione dovuta all’occupazione coloniale (avendo Gibuti costituito la Somalia francese e rimanendo sotto tutela dal 1884 al 1977), il Paese ospita un elevato numero di basi militari di altri Paesi stranieri, tra cui Usa, Cina e Giappone, solo per citarne alcuni.

Anche l’Italia è qui presente con una base militare interforze, situata verso il confine somalo (Somaliland). La base svolge attività di supporto logistico per i contingenti militari che operano nell’area e nell’Oceano Indiano, impegnati nelle missioni internazionali e dell’Unione Europea di sicurezza e controllo. Nella base vengono svolte anche attività di addestramento della polizia gibutina e somala; tra le varie attività formative, nel quadro di una maggiore integrazione e collaborazione, sono implementati anche dei corsi di lingua italiana [4].

Vale la pena ricordare che la base è intitolata all’eclettico ufficiale di cavalleria del Regio esercito italiano Amedeo Guillet, presente in Etiopia, Libia ed Eritrea, impegnato a supporto del franchismo in Spagna, agente segreto ed Ambasciatore dell’Italia repubblicana; Gulliet viene anche ricordato come il “Comandante Diavolo” che, a capo di una banda di irriducibili guerriglieri, principalmente yemeniti ed eritrei, non volendosi arrendere all’occupazione britannica, nel gennaio 1941 si lanciò contro gli inglesi in quella che viene identificata come l’ultima carica di cavalleria della storia africana, praticamente il nostro Lawrence d’Arabia [5]. 

Asmara

Asmara

Interesse coloniale dell’Italia al Corno d’Africa

Il primo interesse della giovane Italia al Corno d’Africa risale al 1869, quando l’ex missionario Giuseppe Sapeto, su mandato del governo italiano, acquistò la baia di Assab sul Mar Rosso vicino allo stretto; l’acquisto fu finalizzato a nome della compagnia privata di navigazione Rubattino. In quello stesso anno si apriva il canale di Suez e l’area andava acquisendo importanza. Nel 1882 il governo italiano rilevò direttamente la baia, con il benestare degli Inglesi che favorirono lo stabilirsi dell’Italia nell’area, preferendo ed assecondando l’espansione italiana in funzione di contenimento degli interessi francesi.

Sempre in accordo con il Regno Unito, anche come ostacolo alle incursioni degli indipendentisti sudanesi mahdisti, l’Italia successivamente occupò militarmente il porto di Massaua più a nord, sottraendolo all’Egitto-ottomano, cominciando una penetrazione militare dalla costa verso l’altopiano, ancora sotto il controllo formale dell’antico Regno etiope. In questo periodo venne costituito un corpo speciale di truppe coloniali, formato da ufficiali e soldati italiani e militari indigeni, reclutati con arruolamento volontario, identificati come àscari [6] (termine che venne poi utilizzato per indicare tutti i militari indigeni reclutati anche nelle altre colonie, nel 1940 nell’Africa orientale italiana erano impiegati circa 260 mila ascari di diverse nazionalità; gli eritrei erano considerati i più coraggiosi e fidati).

Nel 1890 venne proclamata ufficialmente la nascita della prima colonia italiana: l’Eritrea, con capitale Massaua; qualche anno dopo la capitale fu trasferita sull’altopiano, ad Asmara. La colonia, affacciata sul Mar Rosso, confinava con l’Impero d’Etiopia, il Sudan Anglo-Egiziano e la Costa Francese dei Somali.

Nella fascia costiera dell’Oceano Indiano molto forte era l’influenza arabo-islamica, che aveva permesso il costituirsi di diversi sultanati nelle terre dei Somali.  Anche qui furono le imprese italiane, spinte dal governo, ad aprire la strada alla colonizzazione. Nel 1889 la Società commerciale Filonardi ottenne dal Sultano di Zanzibar la concessione delle terre del Benadir, nel sud, acquistate poi dal governo italiano nel 1905. Con successive penetrazioni militari e accordi di protettorato con i sultanati della Migiurtina e di Obbia proseguì l’espansione nel nord-est e nel centro. Nel 1908 l’unione dei territori portò alla proclamazione della seconda colonia italiana: la Somalia, con capitale Mogadiscio. Il controllo effettivo del territorio della colonia, avviato inizialmente ad una gestione commerciale, giunse però soltanto con l’avvento del regime fascista mediante una dura repressione militare delle popolazioni ribelli.

La terra dei somali a nord-ovest era invece sotto il controllo dell’impero britannico. Nel 1960, al raggiungimento dell’indipendenza, la Somalia britannica verrà unificata con i territori somali in amministrazione fiduciaria italiana venendo a costituire la Repubblica di Somalia [7].

9791280195401_0_536_0_75Espansionismo coloniale italiano nel Corno d’Africa

L’espansionismo italiano mirava soprattutto ai territori della grande Etiopia e ai suoi fertili altopiani. Dopo la guerra d’Eritrea, nel maggio 1889, il Regno d’Italia e l’Impero d’Etiopia stipularono il trattato di Uccialli, redatto sia in italiano che in amarico, volto a riconoscere le acquisizioni italiane in Eritrea e a regolare i rapporti tra i due Paesi. La differente traduzione nelle due versioni delle clausole relative al protettorato che l’Italia intendeva stabilire sull’Etiopia, comportò l’insorgere di forti contrasti arrivando alla guerra di aggressione che si concluse nel 1896 con la pesante sconfitta italiana nella battaglia di Adua, costringendo l’Italia a riconoscere la piena sovranità dell’Etiopia pur mantenendo i possedimenti coloniali dell’Eritrea.

Con l’ascesa e lo stabilirsi del regime fascista in Italia, la politica coloniale italiana riprese i tentativi di conquista verso i territori etiopi: già all’inizio degli anni Trenta si cominciò a pianificare una nuova, seppur anacronistica, aggressione al Regno Etiope, che si concretizzò nel 1935, supportata da una grande e mirata propaganda, sia in loco che in patria. Per essere sicuri di vincere la guerra, e superare l’onta della sconfitta precedente, il regime mobilitò truppe e armamenti in quantità straordinaria (con un costo economico molto alto per una guerra coloniale). Nel maggio del 1936, con la conquista di Addis Abeba venne proclamato l’Impero dell’Africa Orientale con l’unione dei tre territori e con la proclamazione della città etiope come capitale.

L’Impero sarebbe stato però molto breve, terminando esattamente cinque anni dopo, nel maggio del 1941 quando, negli sviluppi della Seconda guerra mondiale, le colonie sarebbero state militarmente conquistate dall’esercito britannico costringendo gli italiani a capitolare e ritirarsi. Nel 1947, con il Trattato di Parigi venne ufficializzata la perdita dei possedimenti d’oltremare italiani e restituita la piena sovranità all’Etiopia.

Successivamente l’Assemblea delle Nazioni Unite deciderà di federare l’Eritrea all’Etiopia, malgrado le richieste di indipendenza del piccolo Stato, timoroso di essere fagocitato dal gigante etiope, come poi avverrà, e di porre i precedenti territori somali italiani sotto un’amministrazione fiduciaria italiana (AFIS) per 10 anni, con lo scopo di preparare la Somalia ad una piena indipendenza. 

Addis Abeba, Classe scuola italiana, anni 60-70

Addis Abeba, Classe multietnica, scuola italiana, anni 70

La presenza stanziale di italiani nelle colonie

Con l’istituirsi delle colonie, le comunità italiane erano inizialmente esigue, poche centinaia di persone, e costituite soprattutto da uomini. La presenza dei militari era molto numerosa ma legata alle operazioni belliche e in grande parte transitoria. Al seguito delle truppe, nel corso degli anni, arrivarono anche numerosi operai per la costruzione delle strade e delle infrastrutture necessarie. Il numero dei civili stanziali, essenzialmente impiegati nell’amministrazione, contadini concessionari di terreni, artigiani, padroncini, piccoli imprenditori dediti a svariate attività, cominciò a crescere nei primi decenni del secolo. Un notevole aumento della popolazione italiana si sviluppò durante il regime fascista, che cercò di attuare una colonizzazione demografica e basata sulla famiglia, particolarmente dopo la proclamazione dell’Impero.

Se nel 1915 si contavano in Eritrea circa 4 mila italiani, nel 1939 erano arrivati a circa 75 mila, su un totale di 740 mila abitanti, cioè più del 10%, concentrati maggiormente nell’altopiano di Asmara e a Massaua. In particolare, Asmara divenne una cittadina dove la maggioranza della popolazione era italiana: 53 mila su un totale di 98 mila. Con l’occupazione britannica la comunità italiana diminuì, ma una parte ampia decise comunque di rimanere; nel 1950 gli italiani in Eritrea erano circa 20 mila.

Asmara, Cinema Impero, 1937, progettato dall'arch. Messina

Asmara, Cinema Impero, 1937, progettato dall’arch. Messina

Diminuirono notevolmente negli anni Settanta a seguito del deterioramento della situazione locale, con il cambio di regime in Etiopia e con il protrarsi del conflitto per l’indipendenza dalla stessa. Indipendenza raggiunta nel 1991 e ufficializzata nel 1993, con la nascita dello Stato di Eritrea, che riprese gli stessi confini della colonia italiana, mantenendo anche il nome datole. Il lungo conflitto con l’Etiopia e l’evoluzione in senso totalitario dello Stato eritreo dopo l’indipendenza, hanno portato anche molti eritrei a lasciare il Paese e chiedere asilo all’estero, tanti in Italia, in particolare negli anni Settanta del secolo scorso.

In Somalia, solo negli anni Venti il numero dei coloni raggiunse il migliaio di abitanti, concentrati principalmente a Mogadiscio e qualche centinaio nelle aree del sud dove si erano avviate delle aziende agricole. Nel 1939 sono però riportati tra i 20 mila e i 40 mila italiani. Alla proclamazione dell’indipendenza, nel 1960, si trovavano nel Paese circa 10 mila persone di origine italiana. Numero che andò sempre più diminuendo, anche a causa del colpo di stato del 1969 che portò al potere Siad Barre, fino al 1991, quando con lo scoppio della guerra civile, quasi tutti i membri della residua comunità italiana e italo-somala lasciarono il Paese. Anche molti somali furono costretti ad abbandonare la loro terra, molti dei quali cercarono riparo in l’Italia proprio per la lunga relazione tra i due Paesi.

In Etiopia nel 1939 si rilevavano circa 36 mila residenti. Con l’occupazione britannica e la perdita della colonia gli italiani rimasti furono poche migliaia; il colpo di stato del 1974, che depose il Negus Hailé Selassiè per instaurare un regime di stampo socialista e la nazionalizzazione che ne seguì, fece abbandonare in massa l’Etiopia.  

Asmara, Ambasciata italiana, Villa Roma

Asmara, Ambasciata italiana, Villa Roma

L’impronta urbanistica con denominazioni italiane

La presenza e il forte l’aumento della popolazione civile nel periodo di massimo sviluppo delle colonie, necessitavano di adeguate infrastrutture, residenze e servizi per i coloni. Negli anni vennero creati nuovi quartieri, strade, abitazioni ed edifici vari, scuole, presidi medici, luoghi di culto, sviluppando il tessuto urbano delle nuove città che si andavano costruendo o ampliando. Ad Asmara, in modo particolare, furono costruiti molti edifici in stile razionalista e futurista, tipici del ventennio fascista, che portarono la città ad essere soprannominata la “piccola Roma”. Grazie anche agli edifici e ai monumenti risalenti a questo periodo storico, la capitale eritrea, nel 2017, è stata iscritta nella lista dei siti patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.

Al processo di appropriazione del territorio delle colonie da parte italiana corrispose anche una nuova toponomastica in lingua italiana. Soprattutto nelle capitali Asmara, Mogadiscio e Addis Abeba e nelle altre principali cittadine delle colonie, l’impulso urbanistico portò alla proliferazione di intitolazioni italofone e italofile, con riferimenti culturali totalmente estranei ai contesti locali e con le caratteristiche dell’universo culturale italiano dell’epoca (Revelli). Osservando il panorama linguistico-lessicale di queste città, si rileva una forte influenza della propaganda legata al regime fascista. Il campo semantico prevalente era quello della glorificazione, della vittoria e del dominio imperiale: si trovavano infatti diversi Ristorante della Vittoria, Cinema Impero, o riferiti a persone da onorare: Corso Vittorio Emanuele, Viale della Regina, Viale Mussolini. C’erano poi nomi delle località geografiche: Cinema Roma, Ristorante Bella Napoli, e nomi di personaggi illustri: Cinema Dante Alighieri, Ristorante Giosuè Carducci. La maggior parte di queste titolazioni sono state superate dagli eventi e modificate nel corso degli anni ma ancora oggi, in modo particolare ad Asmara (vista la distruzione pressoché totale che ha subito Mogadiscio per via della lunga guerra civile combattuta anche strada per strada), la presenza coloniale italiana rimane ben visibile sia nei principali edifici della città sia nei nomi italofoni che alcuni edifici pubblici ed esercizi commerciali hanno conservato.

Addis Abeba, Sentenza su madamato, 1939

Addis Abeba, Sentenza su madamato, 1939

Il madamato, i meticci, la  segregazione e il razzismo

Come già accennato, la maggioranza della popolazione italiana, soprattutto nei primi anni delle colonie e durante le campagne militari, era maschile. Tale massiccia presenza di uomini soli portò allo sviluppo di numerose relazioni tra gli italiani e le donne del posto, che generalmente venivano identificate con l’appellativo di ‘madame’. Da queste unioni miste nacque un alto numero di bambini e bambine, i cosiddetti ‘meticci’. Alcuni di questi bambini poterono conoscere il proprio padre e crescere nell’amore di una famiglia, di altri i padri, pur non essendo ufficialmente presenti, se ne prendevano cura almeno economicamente, ma spesso purtroppo non venivano riconosciuti ed erano totalmente abbandonati dai responsabili, i quali non raramente avevano già una famiglia in Italia. Molti di questi piccoli, specialmente quelli non riconosciuti, venivano affidati alle numerose missioni cattoliche presenti nel territorio e venivano educati e formati in lingua italiana, e, almeno nel primo periodo coloniale, si tendeva alla loro assimilazione culturale, anche in considerazione della tolleranza applicata per lunghi periodi verso la promiscuità tra nativi ed italiani.

Asmara, Stazione servizio

Stazione di servizio Tagliero Asmara, 1938, progettata dall’arch. Giuseppe Bettazzi

Dagli anni Trenta, amplificando le discriminazioni già perpetrate dalla società coloniale liberale in base all’idea di una superiorità prevalentemente culturale, il regime fascista affermò con forza il principio di una superiorità biologica dei bianchi sui neri. Già nel Codice Civile approvato per la colonia Eritrea nel 1909 (Regio Decreto n.589), si distinguevano nettamente i diritti dei cittadini italiani, ed anche dei cittadini stranieri appartenenti ad altri Stati europei, da quelli dei nativi molto più limitati. L’essere nativo africano coincideva con la definizione giuridica inferiore di “suddito”. Con la guerra d’Etiopia e la fondazione dell’Africa orientale italiana, riprendendo e ampliando le teorie già in circolazione in Europa e nell’Italia liberale, venne esplicitato e divulgato un razzismo di Stato. Fu elaborata e propagandata la dottrina pseudoscientifica “della razza” a legittimazione delle politiche di sopraffazione e discriminatorie, attuate sia con il razzismo coloniale sia con l’antisemitismo, e che porteranno alla promulgazione delle leggi razziali.

Le colonie italiane furono all’avanguardia nello sviluppo di una legislazione per discriminare e segregare le persone su base etnica. A tutela della “razza italica” e contro “il pericolo del meticciato” venne imposta una più netta separazione tra italiani e nativi. Nel 1937 le relazioni miste di “indole coniugale” vennero vietate e sanzionate con una pena fino a 5 anni di reclusione [8]. Furono poi introdotte nuove ed ulteriori sanzioni penali «per la difesa del prestigio della razza di fronte ai nativi dell’Africa Italiana» [9], fino a vietare al genitore italiano la possibilità di riconoscere il figlio meticcio e di trasmettergli il cognome; vennero vietate anche le adozioni e l’affiliazione di nativi e di meticci da parte di cittadini. Si cercava così di sradicare la prassi di epoca liberale, dove veniva riconosciuto un valore specifico di italianità al legame del sangue da parte di padre. Legame di sangue che con il regime fascista venne invece ascritto totalmente ai nativi: il figlio o la figlia delle coppie miste diventarono nativi a tutti gli effetti, ed anche la responsabilità economica per i bisogni dei bambini e delle bambine venne fatta ricadere completamente sul genitore nativo [10].

Addis Abeba, Scuola italiana

Addis Abeba, Scuola italiana

Non risultano dati precisi per la Somalia, ma si calcola che nella sola Eritrea su circa quindicimila nati da unioni miste, meno di tremila siano stati riconosciuti dai padri italiani. I bambini “meticci” non riconosciuti non erano ben visti nella stessa patria di nascita, subendo così una doppia discriminazione.  Anche se nel 1947 furono abrogate le leggi fasciste e riconosciuta la cittadinanza a tutti coloro che potessero dimostrare di avere un genitore italiano, di fatto la difficoltà a produrre una documentazione adeguata e una serie di ostacoli burocratici, lasciò il problema parzialmente insoluto.  Ancora oggi, dopo che molte persone sono decedute senza veder riconosciuto il loro diritto alla cittadinanza italiana per sangue, sono riportati come minimo 300 eritrei con origini italiane con il problema del riconoscimento, malgrado ci sia stata più di una proposta di legge per aiutare a definire la problematica (Deplano).

Come è stato sottolineato da molti storici, l’avvento della Repubblica italiana, con la sconfitta del regime fascista e il superamento della monarchia, ha portato ad una veloce rimozione del passato, specialmente quello coloniale. In Italia, differentemente da altri Paesi europei maggiormente coinvolti dall’esperienza coloniale e da un processo di decolonizzazione lungo e conflittuale, la perdita repentina delle colonie, con la sconfitta in guerra, ha alimentato la rimozione del periodo storico. Non c’è stata una reale presa di coscienza delle efferatezze commesse né di quello che la colonizzazione aveva significato per le popolazioni sottomesse. Non c’è stata quella elaborazione critica del passato che avrebbe dovuto portare ad un profondo e rinnovato cambiamento culturale.

61yah0tzoil-_ac_uf10001000_ql80_Sotto questo aspetto è emblematica della cultura e della società italiana la vicenda di Indro Montanelli, giornalista stimato e considerato un grande intellettuale italiano del ‘900. Montanelli, come militare del regio esercito fascista [11], partecipò alle operazioni di occupazione in Etiopia negli anni Trenta. Nel 1969, ricordando la sua esperienza africana in una trasmissione televisiva, si vantò della relazione con una dodicenne eritrea sposata, ovvero comprata dal padre, per utilizzarla sessualmente e per i lavori domestici.  Alle domande della giornalista Elvira Banotti, italo-eritrea nata ad Asmara nel 1933, circa l’umanità e la liceità di questa pratica, Montanelli provava a giustificarsi asserendo che le bambine eritree non erano come le bambine italiane e che per gli usi e costumi del luogo quella era la normalità. Anche volendo contestualizzare storicamente l’accadimento, dopo più di trent’anni l’uomo, grande pensatore e noto giornalista, sembra non aver mai fatto una riflessione sull’aver tenuto a propria disposizione una concubina di 12 anni. Malgrado tutti gli anni trascorsi e le trasformazioni storiche, politiche e culturali della società italiana, dalle sue risposte, e dall’atteggiamento tenuto nel corso dell’intervista, non sembra che un minimo pensiero critico abbia attraversato la sua mente, né su quella situazione particolare né sui gravi sfruttamenti e abusi che moltissime bambine e donne eritree (e somale ed etiopi) dovettero subire. Quell’intervista esplicita il razzismo e il sessismo degli italiani di varie epoche.

Mogadiscio, vecchio porto italiano

Mogadiscio, vecchio porto italiano

Recentemente, per una maggiore consapevolezza critica dei crimini commessi durante il periodo coloniale, è stata presentata al Parlamento una proposta di legge per istituire il 19 febbraio la “Giornata della memoria per le vittime africane dell’occupazione coloniale italiana”. Già in precedenza alcuni Comuni, tra cui Roma nell’ottobre del 2022, avevano approvato mozioni per l’istituzione del “Giorno della memoria per le vittime del colonialismo” nonché per rivedere le titolazioni di alcune vie ispirate ad esso [12]. La scelta della data non è casuale: il 19 febbraio del 1937 il viceré Rodolfo Graziani fu ferito in un attentato dai resistenti etiopi; come ritorsione gli italiani e i loro sodali scatenarono una vera e propria caccia all’uomo nero, bruciando e uccidendo migliaia di persone innocenti, civili e monaci, con una crudeltà estrema [13].

Nel futuro avremo sicuramente a che fare sempre più con l’Africa, un continente fortemente appesantito da conflitti interni e da interferenze esterne, ma si può mettere in conto che nel futuro, in ragione delle sue ricchezze di risorse e della sua esplosione demografica, dovremo confrontarci con questo. La purificazione della memoria servirà a prepararci a quell’appuntamento storico.

Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024 
Note
[1] Tra il 1876 ed il 1942 su circa 18 milioni di Italiani che emigrarono è calcolato che poco meno di 400.000 si trasferirono in Africa. La maggior parte furono esperienze a breve e medio termine e molti rientrarono nel corso degli anni in Italia, anche a causa delle vicende storiche. Dati AISE
[2] Con la Conferenza di Berlino, avviata nel 1884, oltre a riconoscere lo Stato Libero del Congo come regno privato e personale del re Leopoldo II del Belgio, si decise la spartizione dell’Africa tra i Paesi europei, stabilendo che ogni territorio poteva essere rivendicato dalle potenze europee a patto che fosse effettivamente occupato.
[3] Nell’accezione più ampia la regione del Corno d’Africa, oltre a Gibuti, Etiopia, Eritrea e Somalia, include altri stati limitrofi quali Kenya, Uganda, Sudan e Sud-Sudan (area dell’IGAD, l’Autorità intergovernativa regionale per lo sviluppo)
[4] Missione MIADIT 18
[5] Nel 2000 Gulliet tornò in Eritrea venendo ricevuto dal Presidente eritreo con gli onori riservati ai capi di Stato.
[6] Negli anni ‘20 del 900 il termine si ritrova in Italia utilizzato in tono spregiativo per indicare i deputati privi di un reale indirizzo politico: “in Parlamento diventò uno dei tanti ascari taciturni, una macchina per votare” (Gramsci).
[7] Il territorio sotto precedente dominazione inglese corrisponde all’attuale Somaliland, che si è autodichiarato indipendente dalla Somalia all’avvio della guerra civile nel 1991; è di fatto uno Stato totalmente autonomo, anche se non riconosciuto a livello internazionale e considerato dalla Somalia parte integrante del proprio territorio. Questa situazione provoca diverse tensioni e problemi, come recentemente con l’accordo stipulato tra il Somaliland e l’Etiopia per la concessione del porto di Berbera nel Golfo di Aden, visto dalla Somalia come un’aggressione alla propria sovranità.
[8] Così come previsto all’articolo unico del Regio decreto legge 19 aprile 1937, n. 880, Sanzioni per i rapporti d’indole coniugale fra cittadini e sudditi. Si intendeva per “relazione d’indole coniugale” un rapporto umano affettuoso e rispettoso che veniva prontamente condannato, mentre lo stupro, lo sfruttamento sessuale e domestico veniva permesso ed assolto. Esemplari sono alcune sentenze emesse dai tribunali in loco nel periodo.
[9] Legge 29 giugno 1939, n. 1004, Sanzioni penali per la difesa del prestigio di razza di fronte ai nativi dell’Africa Italiana.
[10] Legge 13 maggio 1940, n. 822, Norme relative ai meticci
[11] Montanelli, come ex ufficiale della guerra d’Etiopia, ebbe una polemica con lo storico Angelo Del Boca sull’uso illecito e criminale di armi chimiche, negando un loro utilizzo durante la conquista e l’occupazione dell’Etiopia da parte del regime fascista. Di fronte alle ineludibili prove raccolte da Del Boca dovette però ricredersi e convenire con lo storico.
[12] Si riporta la mozione approvata anche perché menziona, permettendo di ricordare, le persone in fondo nominate che emergono come figure importanti del periodo: «l’Assemblea Capitolina impegna il Sindaco e la Giunta ad istituire nella città di Roma in quanto Capitale d’Italia e in quanto città che presenta le più numerose tracce del colonialismo la Giornata della Memoria per le vittime del colonialismo italiano, da svolgersi a Roma il 19 febbraio, in ricordo delle vittime africane durante l’occupazione coloniale italiana; a modificare conseguentemente le targhe di un gruppo di strade ispirate al colonialismo – riportando sulle stesse una spiegazione, in caratteri più piccoli sul margine inferiore, che faccia riferimento agli episodi storici, in gran parte criminali, del colonialismo italiano – iniziando da alcune di queste che sono state luogo di eccidi e stragi, come Addis Abeba, Amba Aradam, Ascianghi, Endertà, Tembien o che commemorano la perdita di soldati; a far sì che in futuro alle strade, piazze ecc. della Città di Roma non siano più attribuiti i nomi di luoghi e fatti che riportino al colonialismo ma ad altre figure come ad esempio, ad Angelo Del Boca, Zerai Deres, Ornar el Mukhtar, Ilio Barontini, Paulus, che con Domenico Rolla, Petrus e Anton Ukmar, Johannes, fondò il giornale “La Voce degli Abissini”, alla Banda Mario, formata da partigiani stranieri provenienti dalle colonie, agli Arbegnuoc, i combattenti etiopici che, dopo la fine ufficiale della guerra d’Etiopia e l’esilio di Hailé Selassié, si opposero strenuamente all’occupazione e alla perdita dell’indipendenza». Mozione 156 del 6 Ottobre 2022 -Assemblea Capitolina Roma
[13] Al generale gerarca Graziani, detto anche il boia del Fezzan, responsabile della morte di migliaia di persone in Libia oltre che in Africa orientale (anche mediante l’uso di armi chimiche espressamente vietate dalle convenzioni internazionali firmate anche dall’Italia) identificato criminale di guerra dall’ONU ma non processato (come anche il maresciallo Pietro Badoglio), nel 2012 è stato eretto, con finanziamenti pubblici, un sacrario celebrativo in una cittadina laziale. 
Riferimenti bibliografici 
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Monica De Pietri, laureata in Scienze Politiche all’Università “La Sapienza” di Roma. Con una lunga esperienza nell’ambito della cooperazione internazionale in diversi Paesi in Africa, Asia e Brasile, per la gestione di progetti e programmi umanitari e di sviluppo. Ha vissuto molti anni all’estero, in particolare in Africa orientale tra Kenya e Somalia. È interessata allo studio dei fenomeni migratori; recentemente ha pubblicato un saggio Migrazioni contemporanee, traffico e tratta di esseri umani: differenze e sovrapposizioni in una prospettiva di genere, in un Quaderno di ricerca dell’Università di Firenze sulla violenza di genere; attualmente frequenta il Master di II livello in Economia, Diritto ed Intercultura delle Migrazioni presso l’Università di Roma Tor Vergata.

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