Abbiamo letto con attenzione e passione nell’uscita di settembre di Dialoghi Mediterranei (DM), nella sezione “Venezia e il consumo delle città” [2], preziosi contributi e riflessioni [3] che ho avuto l’onore di sollecitare con un mio precedente, pur umile, contributo omaggio alla mia città, Venezia, così tormentata e vilipesa dalla voracità di uno sfruttamento sempre più erosivo.
Tra tutti, è bello menzionare fin da adesso gli interventi di Letizia Bindi [4] che, a partire proprio dal caso Venezia, affronta il tema del turismo che diviene divoratore di spazio e di local knowledge, della mercificazione dei territori e della cultura; quello di Lina Romano, che mi ricongiunge ad un altro luogo del sangue, il Salento, e che prospetta una nuova pedagogia per difendere la natura dall’azione estrattiva dell’industria turistica. Se non li hai letti tutti, caro Pinocchio, sei invitato a farlo e a farti un’idea.
Ho scelto te per parlare degli attori di questa industria turistica, per divagare leggendo assieme alcuni testi, commentando alcune notizie recenti, suggerendoti la visione di alcuni documentari e testimonianze. Ti propongo, insomma, un viaggio senza biglietto e senza il perniciosissimo trolley. Soprattutto senza trolley. E senza insulsissimi pseudo souvenir da cui ti invito ad astenerti, ovunque andrai in seguito, senza di me.
C’è una trappola linguistica che dobbiamo eludere per prima, perché sposta all’esterno il locus of control; un inghippo che trasla il problema su di un termine unico, lo svincola da corresponsabilità: assegnare tutte le colpe al “turismo” significa estraniarsi dalla questione, individuare un nemico comune altro e indipendente da noi. Ma io e te, noi, caro Pinocchio, siamo coattori, magari pessimi deuteragonisti, dei fenomeni socioeconomici in cui siamo precariamente fluttuanti. Turismo incluso.
Io e te, noi e il lettore di queste divagazioni, siamo Pinocchio: così ci chiama tutti Giorgio Manganelli, in un bellissimo articolo titolato “Vacanze” pubblicato il 1° luglio 1979 e ora racchiuso nella mirabile silloge Mammifero italiano edita da Adelphi [5].
Perché andiamo in vacanza? Penserai che sia tutta una questione soggettiva. Così fosse, non ci tramuteremmo in anonimi elementi di masse indistinte che invadono le mete più s-fortunate.
Leggiamo qualche passaggio dell’articolo di Manganelli, che ci porta a spasso nel tempo: che si diceva nel lontano 1979?
«Dunque, anche quest’anno arrivano, come gli scorsi anni, quelle cose vuote e capricciose che chiamiamo “vacanze”. È un nome che ha molto di infantile, pinocchiesco: ma, lo sappiamo, Pinocchio da tempo si è trasformato in un “bravo ragazzo”, è cresciuto, e certamente avrà fatto una decorosa, anche se monotona, carriera di concetto».
Quindi no, non siamo un personaggio collodiano, la vacanza non è parte di un nostro percorso di affinamento morale, non è un prezioso capitolo di un Bildungsroman (romanzo di formazione): siamo persone adulte che si sono redente dalle erratiche fantasticherie infantili. Eppure nella parola vacanze, perdura qualcosa di leggermente fanciullesco e deviante rispetto all’ordinarietà del quotidiano. Quasi sbadatamente, Manganelli si prova a storicizzare l’insorgenza di questo bisogno, di capire chi lo avverta e da cosa derivi: lo associa così ad un’urgenza tutto sommato moderna, sopravvenuta dopo la Prima Guerra mondiale, di una classe media rivoluzionata e che soppianta l’idea di villeggiatura, dell’otium concesso prima unicamente alle classi agiate:
«È difficile non avere l’impressione che oggi le vacanze siano una cosa del tutto diversa. Stranamente, questo lusso, questo piccolo fasto, è diventato un “diritto”. Abbiamo il diritto di avere un quadro del Cinquecento, o un manoscritto autografo vecchio di almeno un secolo? …».
Attento, Pinocchio: appuntati qui, adesso: “diritto”.
Rispetto. È la tua vacanza… ma è casa nostra.
«Evidentemente, qualcosa è accaduto, e poiché tutto è cambiato, nascita amore e morte, non potevano non cambiare queste “vacanze” apparentemente innocenti, questo spasso da padroni».
La vacanza è un bisogno che prima era inavvertito, quindi è stato indotto, a partire da un modello totalmente diverso che era appannaggio di un ceto sociale agiato e che, in ogni caso, trascorreva il suo privilegio in modi diversi da quanto odiernamente proposto alla massa generalista. C’è stato un cambiamento, e qui avanziamo lungo l’asse temporale nel secondo Dopoguerra, con l’irrompere della società dei consumi. Tutto cambia. Le vacanze diventano un diritto, come tante cose nella logica modernista e neoliberale: di più, un diritto opponibile, però trascelto tra mille altre opportunità e beni dalla cui fruizione la massa, per definizione, rimarrebbe comunque esclusa, meno gestibili in termini quantitativi. Insomma, si crea un mercato: «Per millenni nessuno andava in vacanza; è noto che l’uomo della pietra respingeva con sdegno la proposta di abbronzarsi sulla spiaggia». Ma noi, Pinocchio, ci siamo ben evoluti! Ricordati che chi scrive aveva in mente il mondo del 1979, e così descrive ancora queste sacrosante vacanze:
«Ma, insomma, che cosa sono, oggi, le vacanze? Sono una faccenda triste, anonima, caratterizzata da cibo infimo, rumore, alloggi scadenti; soprattutto, da folle sterminate. […] Le vacanze, come il tempo libero, sono uno dei segni del nostro malessere, del fatto che viviamo senza amore per noi stessi, ma piuttosto per una sorta di gola del proprio corpo, della vita, del tempo. Il vacanziere è un uomo che scappa, si mimetizza, vuol fare confusione. Siamo certi che non tornerà dalle vacanze ritemprato, ma avvilito, intossicato, depresso. Chi va in vacanza è infelice, e fa bagagli e programmi ispirato non dalla letizia ma dal rancore».
È che a Manganelli manca, per questioni cronologiche come anche accade ai più veggenti personaggi della Comoedia dantesca rimasti al di qua della beatitudine, questo nostro futuro: non si sta mica tanto più tranquilli ad agosto in città! Ma se un attore-Pinocchio del turismo è questo viaggiatore ebefrenico, chi sono gli altri sulla scena assieme a lui?
«Si sarà notato che, col passare degli anni, le vacanze diventano sempre più esotiche. Gente che per undici mesi va in autobus, scopre che per fare una vera vacanza ci vuole Bangkok; e poiché andare a Bangkok è costoso, oltre che inutile e deprimente, ecco sorgere qualcosa di nuovo, una professione che non era mai esistita, nasce il fabbricatore e venditore di vacanze. Volete andare a Bangkok? Quanti templi volete? Quante escursioni in battello? Vi serve anche un po’ di spiaggia? Ecco fatto: costa tanto. Ahimé, volevate fuggire dal mondo dei supermercati e siete finiti in un supermercato che vende la libertà dal supermercato».
Ecco da dove ricaviamo l’emistichio finale del titolo ternario di questo contributo per DM (per l’elemento centrale, eh, devi ancora attendere un poco): Ahimé, volevate fuggire dal mondo dei supermercati e siete finiti in un supermercato che vende la libertà dal supermercato. Non se ne abbiano a male gli operatori del settore, siamo sicuri che Manganelli avesse il dito fisso su quanti già rendevano luoghi e tipicità un prodotto da vendere, non su quanti si adoperano con coscienza e virtù a favorire non il transito ingombrante di persone ma la conoscenza e comprensione di un luogo. Rispetto a quegli anni, la vacanza-prodotto-da-banco si è ulteriormente complicata, avvinta com’è dalle nuove tecnologie, dalla globalizzazione: l’individualizzazione della merce-viaggio ha come controfigura la massa che è cooptata nei medesimi luoghi con le medesime modalità. Nel quadro attuale, difficile emanciparsi da rotte e soluzioni così diffuse sui territori da essere dominanti. Quindi se decidi di partire, è a tuo rischio e…
«…e viene fuori che, come s’è detto, la vacanza è cosa da Pinocchio – il burattino, si intende – o non è.
1° luglio 1979».
In questo senso siamo Pinocchio, un po’ noi tutti: proprio quando abbiamo l’illusione di un momento totalmente individuale e individuato, ci comportiamo in realtà come burattini di un gruppo, come una fascia di mercato ben distinta e manipolata.
Manganelli cita Bangkok e allora ti suggerisco, mio caro burattino inconsapevole, anche la lettura di un testo molto meno leggiadro, di un autore controverso e inviso alle sinistre neoliberali, che ti porterà proprio a Bangkok e a spasso in Thailandia: Piattaforma (Plateforme), di Michel Houellebecq. Romanzo non esattamente puritano del 2001, intravede la crisi del turismo di massa tradizionale prima della globalizzazione e della comparsa di social network, Airbnb, Booking.com, delle compagnie aere low cost. Il protagonista è un funzionario statale quarantenne, insomma, un Pinocchio qualunque; la sua scelta però è consapevole, è di adeguarsi al resto degli abitanti dell’Europa occidentale:
«Appena hanno qualche giorno di libertà gli abitanti dell’Europa occidentale si precipitano all’altro capo del mondo, attraversano la metà del mondo in aereo, si comportano letteralmente come degli evasi dalla prigione. Non li biasimo; mi preparo ad agire nella medesima maniera» [6].
In questo romanzo, piuttosto crudamente, si sottolineano le macrodifferenze in questo gruppo di vacanzieri d’Europa occidentale: ogni sottogruppo/nazione ha esigenze soddisfabili in modo leggermente diverso, filtri culturali e sociali da eludere o sfruttare, soluzioni diverse per il divertimento e l’appagamento, perché la vacanza sia ben riuscita, una vera vacanza, per l’appunto. Anche a Houellebecq, pur cronologicamente più vicino ai nostri giorni, la capacità divinatoria non mancherebbe; in circa quattro lustri di distacco del romanzo da questo nostro hic et nunc il turismo è stato però rivoluzionato, non è assolutamente solo occidentale, ma sempre più arabo, musulmano, indiano, cinese, dei cittadini dell’Europa orientale, per dirla come lui. Il supermercato che vende libertà dal supermercato è ora più grande e sugli scaffali ha prodotti in maggior varietà; è multinazionale e omologato. Il territorio, però, non è infinito rimane sempre il medesimo. Sempre più persone vogliono giungervi e magari nel medesimo frangente, con esigenze e aspettative diverse e divergenti e però con gli stessi obiettivi.
Rispetto. È la tua vacanza…ma è casa nostra.
Questi obiettivi intercettabili e indotti diventano bisogni e si traducono in nuovi mercati, che sorgono giustapponendosi a quelli preesistenti; la geografia sociale, gastronomica, culturale, sono allora nuovamente piegati a rispondere a questo nuovo flusso di persone e di investimenti. Per chi investe e lavora nell’industria turistica sono nuove opportunità di guadagno, ma richiedono un ulteriore consumo di suolo e di risorse, di peculiarità culturali, la cacciata della popolazione locale per fare posto a nuovi arrivi, nuove costruzioni, e nuovi lavoratori. L’ offerta si specializza da un lato, diventa quanto più omogenea e standard possibile dall’altro.
Interi settori e investimenti legati alla filiera turistica, come è rilevabile anche solo empiricamente, si specializzano poi su base etnica, con una velocità che non può essere se non intenzionale, una strategia; di conseguenza, la trasmissione culturale, il contatto che idealmente dovrebbe realizzare il viaggio come esperienza di apprendimento, viene interrotta e mutata.
Ad ogni gruppo/nazione in viaggio l’industria turistica si ingegna di proporre una soluzione congeniale, imponendo al territorio un mutamento conseguente. Ogni indotto chiede il suo dazio alla meta prescelta, quasi un diritto di prelazione; è agente di trasformazione e tematizzazione del territorio: così non c’è solo la montagna inclusiva a tutti i costi, come ci descrive sempre su DM Chiara Dallavalle [7], ma anche la montagna della Georgia o dell’Armenia che si puntella di scritte halal per assecondare i turisti musulmani dai Paesi del Golfo, arabi ma anche pakistani, e le spiagge greche che riportano indicazioni in tedesco e in alfabeto cirillico. Il territorio in cui si impianta a tutta forza questo supermercato globale, non era forse di qualcuno?
Come fosse terra nullius, terra disabitata o di nessuno, o un nuovo Eldorado, le attività dell’industria turistica occupano il territorio, tramutandolo in enclave deterritorializzate? E chi ci vive? Tramutato in comunità locale, in residenti, in autoctoni. Siamo tutti i locals di qualcun altro. Dove si trovano, queste terre vuote che sono casa nostra, minacciate dall’overtourism?
Quando si parla di overtourism, purtroppo, il primo caso nominato è sempre Venezia, che com’è triste!, ci viene da esclamare insieme a Sergio Todesco [8], ma non è l’unica città sofferente in Italia; sono note in ambito internazionale anche le difficoltà di Firenze, o di Sorrento come ci descrivevano bene Sabina Leoncini [9] e Giovanni Gugg [10].
In una nuova cartografia tutta moderna, segniamo geografie di comunità e rotte messe a dura prova dal turismo estrattivo e che sempre più si ribellano: il Mediterraneo, il mare di mezzo, avvampa ben prima che da noi in Spagna, Canarie e Barcellona, in Grecia, dalla capitale Atene alle isole, soprattutto Santorini. Ma la cronaca di una morte annunciata di luoghi consumati dall’industria turistica non ha colonne d’Eracle, e registra ad esempio anche l’afflizione della già menzionata Thailandia, dell’isola di Bali, del Giappone; ma perché?
Un anno fa (2023) nell’isola di Paros, nelle Cicladi, i 12 mila abitanti si sono ribellati con lo slogan “Reclaim the beach” [11], dopo che circa 450 mila visitatori si sono riversati durante i due mesi della stagione estiva sulle sue coste [12]: intervistata dal reporter di France24, la responsabile del movimento per le spiagge libere di Paros dichiarava che Paros sta diventando un posto uguale a tutti i posti turistici del mondo. Una omologazione che significa perdita, e che riproduce più o meno lo stesso schema omogeneizzato: hotel/case vacanze dall’architettura dislocata e atipica, ristoranti e bar alla moda, tali che non dispiaccia non trovarvi assolutamente nessuno e niente di locale, paradossali quanto i negozi di souvenir Made in China e altre attrazioni leggermente altalenanti tra una escursione e una visita guidata. Sembrano pertinenze del territorio: autonoleggio, noleggio di un quad, di un motorino, un po’ di sci acquatico, gita in barca, et alia.
Ma, Pinocchio, può davvero piacere tutto questo ad un visitatore? Un parco a tema uguale dappertutto? Uguali dappertutto sembrano intanto essere i problemi legati all’alto tasso di turisticità, e le contromisure (o presunte tali) che la politica locale vorrebbe adottare.
L’estate ormai trascorsa ha messo a dura prova la Grecia intera, la cui economia pure dipende moltissimo dal settore turistico (rappresenta circa il 19% del PIL del Paese nel 2024) [13]: scatterebbe presto una tassa di 20 euro per i croceristi diretti a Santorini e Mikonos [14], pare con l’intento di limitare gli arrivi; secondo altre fonti, potrebbe invece ammontare a 10 euro, attuarsi sul modello (ma poi così encomiabile?) di Venezia [15].
Santorini, in particolare, ha registrato a luglio di quest’anno un episodio paradigmatico: il presidente del municipio di Fira, Panagiotis Kavallaris, avrebbe addirittura invitato con un post su FB i residenti a non uscire di casa per agevolare l’enorme massa di turisti giunta sull’isola con le innumeri navi da crociera. Il post è stato subito ritirato ma non senza aver scatenato una proverbiale shitstorm [16]: scopriamo che esistono “giorni emergenza” a Santorini in cui il numero dei croceristi che si riversano tra le viuzze dei paesi è talmente elevato da essere ingestibile, 63 gli anni scorsi, ridottisi a 48 quest’anno.
Colpisce quanto dichiarava due mesi fa il vicepresidente dell’associazione del commercio di Santorini ai microfoni di Reuters [17]: «non puoi avere la tua tranquillità e fare soldi». Ma c’è un limite? E chi lo deve porre? La richiesta, sempre più fremente, della politica locale dell’isola greca è di impedire che hotel e Airbnb mettano a disposizione nuovi posti letto sull’isola, che si riduca il numero di visitatori che sbarcano con le crociere, che non si autorizzino nuove edificazioni. Rallentare, quindi, ridurre, normare gli ingressi sull’isola. Porre un limite [18]. Come affisso su un muro a Oia:
Rispetto. È la tua vacanza…ma è casa nostra.
Ad Atene, un documentario ancora di France24 di qualche mese fa [19] descrive il fenomeno della turistificazione dei quartieri della capitale e quello della gentrificazione, che Letizia Bindi già ci presentava nel suo citato articolo per DM.
Pinocchio, leggiamo assieme uno stralcio della definizione che dà di quest’ultimo fenomeno l’enciclopedia Treccani online [20]:
«Processo afferente la sociologia urbana, che può comprendere la riqualificazione e il mutamento fisico e della composizione sociale di aree urbane marginali, con conseguenze spesso non egualitarie sul piano socio-economico. […] il risultato è la sostituzione della popolazione locale, che generalmente occupa un posto marginale nelle gerarchie sociali, con i nuovi “coloni” di fascia medio-alto borghese. Il maggiore potere d’acquisto di quest’ultimi provoca un notevole squilibrio nel sistema economico locale che, traducendosi nell’aumento dei prezzi degli affitti e del costo della vita, costringe la popolazione autoctona alla migrazione verso aree più sostenibili».
È la descrizione esatta di quanto accade in alcuni quartieri ateniesi. Ma anche qui, a casa nostra. Sempre in questo documentario, due giovani imprenditori greci si pongono, ansiosamente, un interrogativo: hanno aperto una loro struttura ricettiva in un quartiere dove l’80% degli edifici è Airbnb, per cui ha perso ogni singolo elemento della sua identità; i turisti vogliono l’elemento greco, la cultura greca ma, dal momento che non ci sono più greci che vivono lì, continueranno a venire?
Ahimè, a giudicare da quanto accade a Venezia, purtroppo possiamo rassicurarli, non se ne accorgeranno neanche, nemmeno se la moussaka sarà servita da un cingalese, la calamita da frigo rigorosamente Made in China gli sarà venduta da un bengalese e non si avvisterà l’ombra di un greco sino in Asia Minore; l’elemento omologante, la moda della vacanza, ha il buffo effetto di renderci tutti personaggi in un certo qual senso pirandelliani: e laddove il turismo consumi tipicità e traduca in attrazioni la cultura locale, vi riesce anche attraverso l’umorismo (nero!) dell’avvertimento del contrario. Come scrive Remotti identità è parola avvelenata, perché promette quello che non c’è.
Notano niente di strano, i turisti, i visitatori, se il territorio e alcuni settori della filiera turistica si specializzano su base etnica e la cultura locale, gli aspetti identitari (o presunti tali) si tramutano in spettacolo o dispariscono del tutto?
Se compulsi internet, Pinocchio, questo grande depositario di memorie e pensieri spesso estemporanei, puoi trovare più di una traccia di una certa curiosità dei visitatori rispetto a questo fenomeno che è strettamente legato all’immigrazione da specifici contesti/paesi e riflettere su quali siano le mete e i settori più evidenti: sono interessate le grandi città turistiche in Italia, in Portogallo, la Grecia, Londra…[21]. La macchina turistica, con la sua richiesta di forza lavoro, è tra i più incisivi fattori di attrazione che orientano le migrazioni verso l’Europa; è però anche l’immigrazione a determinare un incremento nel turismo internazionale [22].
Osserva come le mete mainstream del turismo di massa offrano sempre più servizi deterritorializzati e registrino una massiccia presenza di investimenti e lavoratori stranieri, mentre la cittadinanza, i locals, retrocedono. In nota, ho selezionato alcuni articoli di giornali online che descrivono un po’ la situazione a Venezia, in cui imprenditoria cinese e bengalese gestisce la maggioranza delle attività a vocazione turistica, presto seguite da quella albanese e egiziana, ecc. [23]. L’argomento, complesso, meriterebbe certo una trattazione di più ampio respiro, di essere studiato; qui, vi facciamo meramente cenno.
Quindi la macchina turistica rullerà anche senza veneziani a Venezia, messicani in Messico o pisani a Pisa e greci nel Peloponneso, o il turista che entra nel supermercato che vende libertà dal supermercato si ribellerà, sentendosi beffato? Non normalizzerà piuttosto la colonizzazione delle mete turistiche grazie alla convenienza delle offerte a lui riservate?
Non adopro a caso il termine “colonizzazione” (che già faceva capolino nel termine “coloni” presente nella definizione della Treccani), ma vi insisto presentando un’altra considerazione, piuttosto interessante, da un approfondimento recente dell’emittente Al-Jazeera inglese [24]. La presentatrice affronta tre casi emblema delle conseguenze negative del turismo di massa e della gentrificazione nelle Hawaii, a Bali e a Città del Messico, con tre ospiti rappresentativi delle istanze delle diverse comunità. Emerge nella sua spietata efficacia l’effetto emulazione generato dai social media: la terra, la cultura e la popolazione residente diventano un contenuto da postare, uno scatto, solo oggetti, commodities. E vabbè, Pinocchio, tutto il mondo è davvero paese.
Circa al minuto 12:25, commentando i comportamenti non encomiabili dei turisti a Bali, la presentatrice cita quello che definisce “vecchio adagio coloniale”: “A land without people for a people without a land” (una terra senza popolo per un popolo senza terra; si tratta in realtà un motto sionista, più propriamente!) chiedendo se si può ravvisare una dimensione coloniale nell’odierno turismo a Bali.
Ti immagini, Pinocchio, che gran caos nell’eurocentrica e leucocentrica Italia, ipotizzare che esista una dimensione coloniale anche da noi? O forse no, sarebbe O Francia o Spagna purché se magna, o chi per loro, piuttosto pragmaticamente.
Secondo l’accademica balinese invece, magari perché ne sanno qualcosa in più dal loro passato recente, questo è un dato certo e l’eccessivo turismo, irrispettoso delle tradizioni locali, è l’eredità di una mistificazione della cultura dell’isola alimentata dal colonialismo olandese negli anni ’20 del Novecento; un altro esperto dell’intersezione tra decolonizzazione e la cultura del viaggio, intervistato sul tema, giunge all’affermazione controversa che “Tourism is the leisurely face of colonialism” (il turismo è il volto tranquillo del colonialismo). Beh, colpisce sapere che Bali, nel 2023, ha “deportato” 340 stranieri nei loro paesi, a causa di comportamenti inappropriati (sarebbe il nostro daspo, o li avranno effettivamente rispediti a casa?) [25].
L’interrogativo comune è come risolvere l’effetto domino, come rendere sostenibile o rigenerativo l’indotto dell’industria turistica che invece, ad oggi, alimenterebbe un’economia insostenibile anche dal punto di vista ambientale; i profitti non rimangono sul territorio a Bali, vanno quasi esclusivamente alle big corporation e a investitori stranieri, escludendo la popolazione balinese. Si dirà, libero mercato, libera concorrenza: peccato che non sia libera affatto e bisogna potersela permettere. Prendo in prestito questa considerazione di Stirner, che mette un punto fermo alla questione:
«Si dice la concorrenza rende tutto libero per tutti, ma questa affermazione non è precisa e sarebbe meglio esprimersi così: la concorrenza rende tutto venale. Essa mette ogni cosa in vendita, vuole che gli offerenti la valutino e propongano un prezzo» [26].
Oh, ecco. L’industria turistica fabbrica e vende libertà dal supermercato e libero mercato chiede: il turismo di massa è la prosopopea dell’illusione modernista, dei diritti dell’uomo e del mercato mondializzato. Ti eri appuntato la parola diritto, vero Pinocchio? Ci serve per spiegare quest’illusione; come annota Michéa, essa:
«Poggia sulla credenza ingenua che l’accesso a una società veramente universale – detto diversamente, a una società che si sarebbe infine affrancata dai limiti che ciascuna cultura particolare impone, per definizione, ai suoi membri – dovrebbe esigere da ciascun individuo e ciascun popolo che rinuncino definitivamente a tutte le loro forme di appartenenza precedenti (dalla tribù alla nazione, passando dal villaggio o dal quartiere). Forme di appartenenza – o “identità” – che l’ideologia modernista conduce inevitabilmente a percepire come altrettanti ostacoli “arcaici” e “reazionari” all’unificazione promessa del genere umano sotto la doppia insegna dei “diritti dell’uomo” e del mercato mondializzato» [27].
Il villaggio globale, insomma. Che giustifica perché a Creta si voglia andare per fumare una shisha in riva al mare, a Venezia a mangiare “italiano” da un sorridente oste albanese, in Egitto per stare ammollo in una piscinetta attendendo il karaoke serale a cordiale colloquio con posate coppie di anziani britannici o tedeschi.
Rispetto. È la tua vacanza…ma è casa nostra.
Chi vuole incontrare, che cosa vuole davvero trovare chi si mette in viaggio? Una recente puntata del podcast della BBC The Global Story Podcast, dal titolo Overtourism: how to be a responsible tourist, cerca di valutare quale impatto abbia la crescita inarrestabile del turismo sull’ambiente e sulla popolazione residente nelle mete più frequentate [28]. La presentatrice Lucy Hockings colloquia con Rajan Datar, del The Travel Show; definiscono il viaggiare un diritto umano virtuale, purché sia responsabile, rispettoso dei luoghi e delle genti che si vogliono visitare. Ma come può esserlo?
In sintesi, le problematiche che emergono nel dialogo sono: la rapida consunzione delle risorse e dell’energia nelle località turisticizzate, in primis l’acqua, ma anche il suolo, perché le strutture turistiche hanno consumi elevatissimi e privilegiati rispetto alle necessità della popolazione e delle altre attività produttive del territorio (tra cui l’agricoltura); l’effetto contagio dei selfie postati sui social network che contribuiscono a sovraffollare alcune mete; la volatilità dei soldi spesi sul territorio dai turisti e che, spesso, non rimangono nell’economia locale e a beneficio della cittadinanza, un fenomeno questo chiamato leakage (a sfatare il mito che il turismo di lusso sia preferibile, si sottolinea come sia una presenza molto più sostenibile, educata, e riduca il leakage lasciando più soldi nell’economia del luogo quella dei backpackers, forse perché si muovono con mezzi pubblici e pernottano in strutture gestite da locali, con una migliore attenzione alle peculiarità del territorio); l’aumento delle persone in viaggio a partire dalla classe media cinese, ormai raggiunta da quella indiana, e che potrebbe far raggiungere numeri esorbitanti; la concentrazione dei viaggi nei medesimi periodi. Conseguenze: l’insofferenza, la rabbia delle comunità locali, ricacciate fuori dal mercato immobiliare dagli affitti brevi, e l’invivibilità dei luoghi sovraffollati e denaturalizzati dall’overtourism, l’inquinamento.
Caro Pinocchio, almeno in questo contributo Venezia non spicca per prima: si parla di Barcellona, di Bali, del Kenia, del lago di Bled in Slovenia, del monte Fuji, di Hallstatt: in queste due ultime località, per difendersi dall’emulazione indotta dai social media, per scelta politica si è deciso di bloccare, di impedire l’accesso ai punti spot dove i turisti accorrevano per scattare i selfie, di fatto riuscendo a dissuadere le orde dal recarvisi in massa. L’intento è cercare delle possibili soluzioni nei centri turistici e nelle città d’arte in cui le masse di turisti mettono a rischio la sopravvivenza degli stessi monumenti che giungono a visitare [29]; si prospettano due diversi piani d’azione: quello politico delle municipalità locali, e quello in cui possiamo agire noi come individui.
Ed ecco che, parlando di ciò che possono fare i posti, che ricampeggia l’esempio di Venezia, con il contributo d’accesso introdotto in via sperimentale quest’anno. È interessante, Pinocchio, che Rajan Datar dica di aver avuto un colloquio con vicesindaco “responsabile per il turismo” (non dice il nome, ma il vicesindaco di Venezia è Andrea Tomaello mentre l’assessore al turismo è Simone Venturini) che gli avrebbe detto, apertamente, che l’obiettivo del contributo di 5 euro non è di raccogliere soldi o dissuadere o contenere l’afflusso di turisti, ma di individuare i giorni del picco turistico, cercando di spargere, deconcentrare l’afflusso di turisti in giorni infrasettimanali o in periodi di bassa stagione.
Un altro dato interessante dell’analisi in questo podcast è che le alte temperature registrate in Grecia e in Italia nel periodo estivo (parlano di cambiamento climatico, più precisamente) inducano il coolcationing¸ neologismo che unisce cool fresco, e vacationing, andare in vacanza [30]: la tendenza a prediligere regioni fresche per trascorrere il periodo estivo. Il coolcationing potrebbe cambiare radicalmente la mappa delle destinazioni turistiche nel prossimo futuro. Un’altra misura possibile per limitare l’afflusso di turisti e che, molto probabilmente, verrà adottata in modo estensivo, è introdurre delle quote per accedere ai siti; sarà una strategia molto perseguita, anche se in modo certamente non inclusivo, quella di alzare i prezzi, di rendere tutto più costoso. Un ventaglio di azioni piuttosto sottile, mi pare: più incisivo appare porre un limite e normare gli affitti brevi, sforbiciare le visite in giornata come già alcuni sindaci hanno ottenuto [31].
Pinocchio, un cambiamento che però magari non ti immagini può derivare proprio dalla cultura del selfie, apprendiamo da questo video: farsi un selfie è così importante per le nuove generazioni da necessitare sempre di novità, di luoghi esotici, non scontati. Purtroppo, qui di nuovo compare Venezia, con la ressa per il fatidico scatto sul Ponte di Rialto. Potrebbe presto non essere più appetibile, diventare scontato, non richiamare più molte persone, perché visto troppe volte sui social? Come un vecchio trend? Diminuirebbe per questo l’afflusso di persone, che andrebbero altrove a farsi immortalare in questi moderni dagherrotipi? Del resto, l’anno scorso era una moda (poco apprezzabile) fotografarsi davanti alle porte delle case con il civico del proprio anno di nascita: quest’anno, non si è forse quasi esaurita?
Un’altra strategia (ma di chi? delle autorità locali? degli operatori?) potrebbe essere dirottare molti visitatori in luoghi meno conosciuti, in piccoli centri autentici invece che nelle grandi mete, disperdere il turismo in Europa dell’Est e in Asia centrale: funzionerebbe o si vorrebbe comunque fare un salto a Parigi, a Roma, Pisa, durante il viaggio? Non si giunge ad una conclusione: il podcast sembra suggerire che ci si debba, come individui, saper orientare in questo scenario mutevole e complesso, in modo responsabile. L’unica vera soluzione è un viaggio consapevole, rispettoso, studiato, non venduto dal supermercato dell’industria turistica.
Non proprio facile, mi pare. Ma ora entriamoci, in questo supermercato. Quali sono prodotti di questa industria turistica, chi li acquista, dove vanno i profitti, chi la controlla? Di chi è il supermercato che vende libertà dal supermercato?
Proviamo a cercare, Pinocchio, delle risposte; io te ne suggerisco ancora qualcuna. Inizio seguendo l’analisi che conduce, nel 2018, un’altra testimonianza video, Crowded out. The story of overtourism [32], che manco a dirlo inizia dall’Italia e, purtroppo, il caso emblematico di Venezia; seguono Barcellona e altre mete rovinate dall’industria turistica. Sono intervistati semplici cittadini, ma anche esperti del settore e accademici, tra cui Elizabeth Becker, autrice del libro Overbooked. The exploding business of travel and tourism. Un settore che sta esplodendo, letteralmente, e non dà cenno di arresto.
I fattori chiave dei più recenti cambiamenti nel turismo, secondo quanto ricostruisce questo approfondimento video, sembrano potersi ricondurre, principalmente, ai seguenti sei:
- I voli economici delle compagnie aere low cost;
- Le scritture di viaggio, che promuovono alcuni luoghi inducono a scegliere le stesse destinazioni. Aggiungerei, Instagram e in generale i social media;
- “Honeypot sites”, cioè i principali centri di attrazione in cui si concentrano le persone nello stesso luogo e negli stessi periodi;
- Le navi da crociera;
- Le locazioni turistiche e le case vacanze;
- I cambiamenti demografici nella popolazione mondiale che fanno crescere esponenzialmente il numero di persone in viaggio.
Ma chi controlla l’industria turistica, tutti questi sei mondi economici uniti? Sai chi, Pinocchio? Pare proprio… nessuno. Sembra il settore più neoliberista di tutti, ha mano libera. È il settore in cui più si realizza il movimento perpetuo di persone, capitali, merci e servizi, il più capitalista di tutti. La longa manus di un sistema economico che ci chiede di rinunciare al particolare, alla cultura locale, quando sia venuta meno la loro vendibilità.
Rispetto. È la tua vacanza…ma è casa nostra.
Ecco, è ecumenico (così chiariamo anche l’ultimo elemento del titolo, rimasto in sospeso). Il turismo di massa per questo è ecumenico. Universalista e globale. La responsabilità del singolo, da questa prospettiva, appare una consolazione un po’ utopica, un po’ ranocchia.
Abbiamo, nonostante tutto, realizzato fin qui una buona sinossi dietro il nostro boccascena, Pinocchio; abbiamo anche dato il nome a tanti attori di cui nemmeno ci eravamo accorti. Possiamo anche tagliare qualche filo, non comportarci sempre da burattini. Non cambieremo il mondo così, ma staremo forse meglio. Ci siamo appuntati aspetti da indagare maggiormente. Sappiamo ora una cosa importante, sappiamo che possiamo pretendere il rispetto.
Abbiamo una rotta da seguire, ci arriva dalla Grecia, da Oia:
Rispetto. È la tua vacanza…ma è casa nostra.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
Note
[1] https://www.facebook.com/oiasantoriniofficial/
[2]https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/venezia-dellisola-bucata-e-delle-diverse-sue-ossessioni/
[3] Hanno partecipato al dibattito i seguenti studiosi, antropologi e non, che qui voglio ringraziare per l’attenzione riservata al mio scritto: Aldo Aledda, “T’invidio turista che arrivi…”. Fenomeni e fenomenologia del turismo italiano; Linda Armano, Turismo indigeno. Un progetto per un Totem Resting Park a Vancouver Island; Letizia Bindi, I piedi in laguna e gli occhi all’Appennino. Riflessioni sparse su overtourism e mercificazione delle destinazioni turistiche; Chiara Dallavalle, Montagne per tutti?; Maria Rosaria Di Giacinto, Accelerazioni palermitane. Rin-correre uno schianto di globalizzazione; Giovanni Gugg, Il paradosso del successo: Sorrento tra turismo di massa e fragilità; Sabina Leoncini, Florentia; Lina Romano, Turismo: impatto ecologico e nuovi orizzonti pedagogici; Giuseppe Sorce, Che fine faranno i luoghi? La città del futuro fra turismo, credenze e conflittualità; Sergio Todesco, Com’è triste Venezia!
[4]https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/i-piedi-in-laguna-e-gli-occhi-allappennino-riflessioni-sparse-su-overtourism-e-mercificazione-delle-destinazioni-turistiche/
[5] Manganelli G. (2007), Mammifero italiano, Adelphi, Milano. Solo il titolo merita tutta la tua curiosità; aggiungici che, se leggerai il libro, godrai non solo di un pensiero indomito e sardonico, ma di una lingua italiana viva, vibrante e fremente nelle sue immense potenzialità lessicali, sintattiche, ortografiche: all’epoca le testate giornalistiche italiane “Corriere della Sera” ed “Espresso”, tra il 1972-1989, potevano agevolmente pubblicare di queste primizie!
[6] Houellebecq M. (2001), Plateforme, J’ai lu Paris: 31 (traduzione dell’autrice).
[7] https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/montagna-per-tutti/
[8] https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/come-triste-venezia/
[9] https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/florentia/
[10] https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/il-paradosso-del-successo-sorrento-tra-turismo-di-massa-e-fragilita/
[11] https://greekreporter.com/2023/08/03/reclaim-the-beach-movement-greece/#:~:text=Hundreds%20of%20Paros%20residents%20gathered%20at
[12] https://www.youtube.com/watch?v=fIVEKJFCuaE
[13]https://www.guidaviaggi.it/2024/09/02/turismo-grecia-ad-un-punto-di-svolta/#:~:text=Il%20turismo%20%C3%A8%20un%20settore%20cruciale
[14] https://amp24.ilsole24ore.com/pagina/AF4ONhoD
[15]https://greekreporter.com/2024/08/22/santorini-overtourism-control/#:~:text=Digital%20berth%20allocation%20system%20to%20tackle
[16] https://www.rivistastudio.com/santorini-turismo-problemi/
[17] https://www.youtube.com/watch?v=TxLCzo-Z7s8
[18] https://www.france24.com/en/live-news/20240726-greece-s-instagram-island-santorini-nears-saturation-point
[19] https://www.youtube.com/watch?v=qxXnr-nRcwU
[20] https://www.treccani.it/enciclopedia/gentrification/
[21]https://www.reddit.com/r/ItalyTravel/comments/1dj1iea/what_is_up_with_all_of_the_bangladeshi_people_in/#:~:text=Not%20meant%20to%20be%20a%20racist https://www.bpb.de/themen/migration-integration/regionalprofile/english-version-country-profiles/507928/a-bidesh-called-italy-migration-from-bangladesh-to-italy-and-beyond/#:~:text=Undocumented%20Bangladeshi%20migrants%20already%20present%20in
[22] https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/00472875211008250#:~:text=The%20findings%20of%20this%20study%20will
[23]https://www.financialounge.com/news/2021/02/24/venezia-cinese-imprese-dieci-anni/#:~:text=Leggendo%20i%20dati%20sulle%20imprese%20registrate ; Il commercio a Venezia parla sempre più cinese, ecco perchè – La Nuova Venezia (gelocal.it) ; Bengalesi a Mestre: sono ottomila e nel 2023 hanno inviato in patria 78 milioni di euro – La Nuova Venezia (gelocal.it); https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-veneto-venezia-e-mestre/20240409/281736979480916 ; Mestre, boom di negozi stranieri. Cinesi superati dai bengalesi – La Nuova Venezia (gelocal.it)
[24] https://www.youtube.com/watch?v=THRDxr6JBP0 ;
[25] https://www.youtube.com/watch?v=tcuqfPkkU7A&t=156s ; https://www.youtube.com/watch?v=5qRn8FiYBQc
[26] Stirner M. (1979), L’unico e la sua proprietà, Adelphi, Milano: 278.
[27] Michéa J. C. (2011), Le complexe d’Orphée. La gauche, les gens ordinaires et la religion du progrès, Flammarion, Paris : 133.
[28] https://www.youtube.com/watch?v=gfcKTMN-5CI
[29] https://www.youtube.com/watch?v=BTS7rsTCppM
[30] https://www.vagabondi.it/coolcationing-la-risposta-al-cambiamento-climatico-per-unestate-fresca-e-sostenibile/#:~:text=Che%20Cos%E2%80%99%C3%A8%20il%20Coolcationing?%20Il%20coolcationing
[31] https://www.greece-is.com/news/santorini-cannot-support-even-one-hotel-airbnb-bed/
https://www.forbes.com/sites/alexledsom/2024/07/26/overcrowded-europe-barcelona-santorini-and-brittany-limit-daytrippers/
[32] https://www.youtube.com/watch?v=U-52L7hYQiE
_____________________________________________________________
Elena Nicolai, dottoressa di Ricerca in Italianistica e in Filologia Classica, si è poi specializzata in migrazioni e politiche sociali a Ca’ Foscari. Ha pluriennale esperienza nell’ambito della Cooperazione Internazionale in vari Paesi, tra cui Pakistan, Togo, India, Tunisia; è stata consulente presso la sede AICS Somalia, Mogadiscio. È docente di Pedagogia Interculturale nel Corso di Specializzazione per le attività di sostegno agli alunni con disabilità presso UNINT e, per il terzo anno consecutivo, membro della commissione ministeriale per l’abilitazione al sostegno presso il medesimo ateneo. Fra i suoi ultimi lavori scientifici ricordiamo: Clorinda e Le Mille e una Notte: donne, distopie identitarie islamiche e pratiche di inclusione, in Pluralismo confessionale e dinamiche interculturali: le best practices per una società inclusiva, a c. di A. Fuccillo e P. Palumbo, Editoriale Scientifica 2023, Napoli: 879-901; Breviario pakistano: mappe interculturali e prospettive pedagogiche (2022); L’Almagesto arabo: alcune note sulle traduzioni greco-arabe di al-Ḥağğāğ e di Isḥāq ibn Ḥunayn-Ṯābit ibn Qurra, QSA (2018).
_____________________________________________________________