Moscarda, l’inetto apparente
Vitangelo Moscarda, dilaniato da un tragico disagio esistenziale, è un giovane uomo di 28 anni che arriva a scelte estreme pur di trovare l’autenticità dell’esistenza e affrancarsi da tutte le fonti di rabbia nel mondo: si può ritenere questo il nucleo attorno cui ruotano le dinamiche di Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello, del 1926. Moscarda è un uomo la cui epifania è la consapevolezza di doverne trovare una. È mosso dall’ossessivo bisogno di guardare e osservare, che però non è un semplice atto di uso della vista ma una contemplazione attiva della realtà, per vedersi vivere e non essere solo ciò che vedono gli altri in lui, e risolvere così la crisi della propria identità, che riflette «la grande crisi d’identità che investe l’uomo moderno» (De Michele, 2008: 161).
Moscarda è il narratore intradiegetico, omodiegetico e autodiegetico della sua storia, tutta incentrata su di sé e sui propri stati mentali, nonché su quelli che lui attribuisce alle persone attorno a lui coinvolte nelle vicende che narra; infatti la focalizzazione del romanzo è assolutamente interna. Si muove nella fittizia Richieri (modellata su Girgenti) in un intreccio scritto nello spirito del simbolismo, che si esprime nella solitudine evidenziata nell’approccio autoriflessivo del protagonista: sconvolto dalla scoperta improvvisa della forma del suo naso, il giovane uomo sprofonda in sé, isolandosi dagli altri.
Moscarda pare un personaggio contemplativo e sognante, infatti nell’incipit della narrazione egli si descrive come uno che non ha concluso mai nulla, privo di virtù pratiche, e incapace a orientarsi nella realtà circonstante, almeno finché non accade l’evento inaspettato del naso che dà il via al tutto, un evento narrato già in atto (in medias res), che coglie il protagonista nella sua quotidianità, segnando il suo destino. La ricerca identitaria, in Moscarda, si scatena in modo impetuoso e dirompente («La scoperta improvvisa e inattesa di quel difetto perciò mi stizzì come un immeritato castigo»: Pirandello, 1996: 3) e lo porta subito all’azione, oltre che a rivedere il suo passato. Moscarda inizia ad acquisire una nuova coscienza che lo porta a vedere la propria vita sotto una luce nuova ma al contempo a distaccarsene, fino a operare tagli netti.
Lo strumento di questo stravolgimento è lo specchio davanti al quale il protagonista vede un riflesso sconosciuto, ma comprende che quel riflesso era già visto dagli altri e allora deve ammettere: «dunque per gli altri sono quell’estraneo sorpreso nello specchio: quello, e non già io quale mi conosco» (Pirandello, 1996: 12).
Ecco la dolorosa lacerazione tra l’identità propria, consapevole, e quella “speculare”, ignota. I personaggi pirandelliani spesso sono sconfitti dall’alterità, perché nell’altro essi vedono riflessa la propria inconsistenza, il divario tra ciò che pensavano di sé e ciò che sono; così allo stesso modo l’altro diviene, per Moscarda, nella sua lotta interiore, la conferma delle disperate conclusioni alle quali era già pervenuto ben presto, dopo la scoperta della forma del suo naso, così evidente agli altri. L’identità è un processo in divenire che si svolge in relazione agli altri e alla cultura (Erikson, 2008): dunque è sugli altri e sulla loro cultura condivisa che Moscarda deve agire, dopo aver iniziato questo logorante lavoro interiore di de-costruzione dentro di sé.
Infatti non rinuncia a priori a una speranza, a trovare la conferma che la sua lotta per la propria identità è giusta, e per tale conferma si reca al Palazzo Vescovile a parlare prima con il Monsignor Partanna e poi con don Sclepis, ma anche queste conversazioni lo gettano in «un mare d’incertezze senza fine» (Pirandello, 1996: 123).
Da tali incertezze non lo salva neanche Anna Rosa, amica della moglie Dida e personaggio cruciale. Anna Rosa, che lo aveva portato a conoscenza delle intenzioni dei parenti di interdirlo, diventa presto un legame importante, ma dalle conseguenze nefaste. Anna Rosa è l’unica persona con la quale Moscarda si confessa, e l’unica che lo segue nelle sue «curiosissime considerazioni sulla vita» (Pirandello, 1996: 131), ma tali considerazioni sono così scioccanti che lei vede Moscarda con orrore e cerca di ucciderlo: dunque il rapporto tra i due non solo non è costruttivo, ma accelera la disgregazione della vita del pover’uomo. Ormai tacciato di essere pazzo in modo irrimediabile, il protagonista rifiuta in maniera definitiva ogni forma e si dà completamente alla vita, attraverso la natura.
Moscarda e la Forma nelle maschere
Vitangelo Moscarda è l’emblema di quel divario significativo, enorme, tra chi siamo in concreto (cioè la Vita), e come veniamo percepiti dagli altri o come scegliamo di presentarci (cioè la Forma). Questo divario è fonte di conflitto interiore e di dissonanza esistenziale per i personaggi pirandelliani, che lottano per giostrarsi tra queste due realtà, dovendo indossare una o più maschere che non si sono scelti loro. Se (usando un’immagine sociologica che a Pirandello sarebbe piaciuta) l’identità è un palcoscenico dove ogni persona recita il proprio ruolo in base alle aspettative sociali (Goffman, 1959), allora Moscarda si ribella a queste aspettative cercando non di scendere dal palcoscenico bensì di farlo proprio, sconvolgendo uno per uno gli altri attori suoi comprimari.
In effetti, ben tre dei romanzi di Pirandello (Il fu Mattia Pascal del 1904, I quaderni di Serafino Gubbio operatore del 1925, Uno, nessuno e centomila del ‘26) sono una sorta di trilogia della ribellione, perché in tutti e tre il protagonista, sempre a séguito di una fatale epifania, si rende conto di queste maschere e si ribella. Più nello specifico, il viaggio esistenziale di Moscarda è la tragica ricerca di una soluzione a questo contrasto e ha un esito ancora più tragico: egli perde i confini della propria identità, accetta di essere visto come un pazzo e, in un’apparente felicità, inizia un «annullamento ascetico nella natura» (De Michele, 2008: 168).
Il protagonista s’imbatte nella devastante realizzazione che la sua identità è frantumata in un mosaico di percezioni altrui, ognuna delle quali riflette solo un aspetto della sua persona, nessuno dei quali dice davvero chi è lui, ma neanche lui sa dire a sé stesso chi è, se non nella “vista degli altri”. La sua crisi deriva dal tentativo disperato di liberarsi di queste molteplici versioni di sé, nella ricerca della sua identità autentica. Attraverso il contrasto dentro Moscarda, Pirandello mette in luce la fragilità dell’io in un mondo sociale che, in quanto tale, è complesso. Le apparenze sono illusorie ma, quando vengono messe in discussione, portano a una frantumazione reale della propria identità, nonostante questa ricerca identitaria sia sincera.
Dunque la comprensione di sé e degli altri è un processo continuo, contraddittorio e intrinsecamente conflittuale, ma in Pirandello ha una carattere assolutamente distruttivo, perché la Forma cerca di imbrigliare la Vita attraverso le maschere, le quali non lasciano mai impunito chi si ribella a esse, ma lo ripagano con la reificazione o la pazzia. Le centomila maschere di Moscarda gli erano state utili, benché lui prima non fosse consapevole della loro esistenza, per navigare nel suo mondo sociale, fatto essenzialmente dai parenti e dalla comunità di Richieri, ma colmo, seppur così piccolo, della complessità di tutte le identità umane e dei conflitti tra l’io autentico di ciascuno e le pressioni esterne per conformarsi a ruoli e aspettative dati. Pirandello non vede le maschere solo come falsità o negazioni dell’autenticità, invece le riconosce come componenti inevitabili dell’esistenza umana, sono gli strumenti con cui le persone tentano di dare Forma alla Vita.
D’altronde l’identità è un progetto riflessivo, che si costruisce attraverso le esperienze e le scelte personali in un contesto sociale (Giddens, 1991). Dunque ogni personaggio porta con sé una pluralità di maschere, necessarie per interagire con gli altri e per funzionare all’interno di vari contesti sociali. Il pericolo sorge quando la Forma usa le maschere per prevalere sulla Vita, quando gli individui perdono la consapevolezza di esse, confondendo l’essere con l’apparire, l’identità con la maschera, la Vita con la Forma, e rimangono ciechi su sé stessi per sempre, incapaci di vedersi vivere, almeno finché un disastro (come per l’anonimo ricco decaduto nella novella pirandelliana Vittoria delle formiche) o un’epifania (come per Myshkow nella novella La tartaruga) li scuote.
Ribellarsi alla Forma
Tra il 1904 (Il fu Mattia Pascal) e il 1926 (Uno, nessuno e centomila), ventennio che racchiude i romanzi di Pirandello, e poi ancora nel ventennio successivo, nonostante le innovazioni letterarie dell’avanguardia, la letteratura torna a essere imbrigliata nell’idealismo estetico crociano e da ideali bellettristici che vogliono una narrazione omogenea e armonica, perciò non è un caso se Uno, nessuno e centomila, al pari de La coscienza di Zeno del ’23, venga sottovalutato al suo esordio: l’opera di Svevo per questioni di lingua e per la novità della psicanalisi, quella di Pirandello perché porta alle estreme conseguenze l’antiromanzo e la mistione dei registri di stile.
Pirandello, ostile all’estetica dell’avversario Benedetto Croce, già quando elabora, nel 1908, la propria teoria nella prima edizione de L’umorismo, si riallaccia a una serie di antecedenti umoristici di varie epoche che hanno in comune la lontananza dalla retorica sublime di timbro armonioso e sono invece uniti, in genealogia, da contaminazioni estrose, dalla propensione all’autoriflessione e dal gusto della sperimentazione. Questo si vede, nelle stesse opere di Pirandello, dall’uso del pronome “voi”, che ha come obiettivo quello di attirare l’attenzione del lettore: a un “voi” si riferisce molto spesso Moscarda; inoltre, il protagonista che racconta di sé e della ricerca del proprio “io” al lettore, mostrandosi un narratore inaffidabile, era stato delineato già ne Il fu Mattia Pascal, il primo romanzo di questa trilogia pirandelliana della ribellione. L’eponimo protagonista Mattia Pascal, alias Adriano Meis, scopre la libertà quando riesce a svincolarsi dai legami sociali e familiari e dalle loro convenzioni ferree, ma ben presto tale libertà si dimostra illusoria, e la sua scelta di vivere una doppia identità si conclude con un fallimento, finché deve scegliere: o l’alienazione estrema ai margini della società, senza documenti e obblighi burocratici che invece renderebbero possibile la socializzazione anche se così lascerebbe la Vita libera dalla Forma, o chiudere la sua Vita in una nuova Forma, accettando le costrizioni della comunità in cui vive.
Le conclusioni di Moscarda, sebbene alla fine egli faccia la scelta estrema di non dare più Forma alla Vita e ciò lo renda in apparenza felice, sembrano ancora più pessimistiche, come il compimento di una follia in atto in lui. Il protagonista, dopo aver scoperto nello “specchio” di sua moglie e degli abitanti del suo paese che l’identità è legata alle immagini che gli altri hanno di lui, capisce che sarà impossibile che dalle centomila immagini se ne possa cristallizzare una, vera e stabile, che impedisca agli altri di farsi di lui l’idea che vogliono loro e che fedelmente rispecchi ciò che egli crede di sé, dentro di sé.
Dunque l’importanza dell’altro, in Pirandello, sembra essere un elemento non solo necessario alla formazione del sé, ma anche, in modo paradossale, pericoloso per l’esistenza della propria identità. Infatti Moscarda sceglie deliberatamente la solitudine e il ritiro dal tessuto sociale che considera ormai malevolo in maniera irrimediabile. Se l’identità è un processo continuo di costruzione e ricostruzione (Bauman, 2020), quella di Moscarda procede di azione in azione verso una de-costruzione che sembra ormai definitiva, irreversibile e pura. In verità, fin da subito il giovane uomo procede dall’inettitudine verso l’azione sperando di averla vinta, e in modo decisivo compie una serie di azioni che mirano a rifiutare tutte le sue identità non volute, ma è solo alla fine di queste vicende che comprende che la sua vera identità non è contro quelle che gli altri gli hanno dato, ma al di là di esse.
Partendo dal naso storto alla scoperta di essere visto solo come “un usurajo figlio di usurajo” e come una marionetta, Moscarda riesce ad arrivare solo, come estremo tentativo di libertà, alla propria completa scomposizione, tanto, che nelle sue ultime parole, «non lo vediamo più» (Sciascia, 2010: 40). La rovina economica e sociale non sembra preoccupare Moscarda, la cui pazzia, nella fusione con la natura, sembra una sorta di “santa follia” dal sapore francescano (Wincław, 2020: 133). La totale libertà sta nel rinunciare persino a essere “uno per sé”, e questo non è prescindibile dal rinunciare al proprio patrimonio e vivere in povertà, anche se nemmeno la francescana rinuncia ai propri beni è sufficiente. In tal senso, proprio colui che è l’ispiratore di quest’idea, il buon sacerdote Antonio Sclepis, che Moscarda ammira sinceramente, è l’esempio di chi, pur vivendo per gli altri senza aver cura di sé, comunque in maniera contraddittoria si compiace di sé: la vanagloria di chi si stima da solo per il bene che fa agli altri e non si rende conto di essere, così, superbo. Don Sclepis è davvero un buon cristiano, ma ancora si lascia condizionare dalla Forma e anzi se ne compiace, convinto di dominarla e di averne gioia, ma gli occhi di Moscarda, ormai avvezzi alla distinzione tra Forma e Vita, lo riconoscono meglio di quanto il religioso conosca sé stesso (Pirandello, 1996: 135):
«Ecco: per sé, nessuno.
Era questa, forse, la via che conduceva a diventare uno per tutti.
Ma c’era in quel prete troppo orgoglio del suo potere e del suo sapere. Pur vivendo per gli altri, voleva ancora essere uno per sé, da distinguere bene dagli altri per la sua sapienza e la sua potenza, e anche per la più provata fedeltà e il maggior zelo».
Moscarda invece, anche se al tragico prezzo di perdere tutto, sembra alla fine ritrovare la gioia di vivere nella vita stessa, senza definizioni, ma non è chiaro se davvero sia felice nell’aver perso totalmente la propria identità, giacché «ogni ribellione dell’individuo alla sua condizione esistenziale è persa in partenza, perché nessuno conosce così bene sé stesso da potersi proporre come è realmente» (De Michele, 2008: 168). L’identità è sempre in movimento, mai fissa, in quanto prodotto della cultura, della storia e della società (Hall, 2006): non si scappa. Dunque l’unico esito per chi si è impadronito del proprio palcoscenico, al prezzo di venirne tirato giù, sembra quello di farsi annullare tanto dagli altri, facendosi bandire dalla società, quanto da sé stessi, accettando l’etichetta di pazzi e reietti, come fa appunto questo antieroe pirandelliano.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
Riferimenti bibliografici
Aguirre D’Amico M.L., Album Pirandello, Mondadori, Milano 1992.
Andreoli A.M., Diventare Pirandello, Mondadori, Milano 2020.
Bauman Z., Interviste sull’identità, a cura di B. Vecchi, trad. di F. Galimberti, Laterza, Bari 2020.
Collura M., Il gioco delle parti. Vita straordinaria di Luigi Pirandello, TEA, Milano 2010.
D’Amico L.F., L’uomo delle contraddizioni. Pirandello visto da vicino, Sellerio, Palermo 2007.
Danelon F., “Appunti per ‘Suo marito’ di Luigi Pirandello”, in Gli Scrittori d’Italia. Il patrimonio e la memoria della tradizione letteraria come risorsa primaria, Atti dell’XI congresso dell’Adi – Napoli, 26-29 settembre 2007, Graduus, Grottammare (AP) 2008: 1-15.
De Michele F., Rössner M., Sorrentino A. (a cura di), Pirandello e l’identità europea, Metauro Edizioni, Pesaro 2007.
De Michele F., “L’io, il personaggio, la maschera e la crisi d’identità”, in Lauretta E. (a cura di), Attualità di Pirandello, Metauro Edizioni, Pesaro 2008: 161-181.
Erikson E., Gioventù e crisi d’identità, trad. di G. Raccà, Armando Editore, Roma 2008.
Ferroni G., Storia della letteratura italiana: Il Novecento, Einaudi scuola, Milano 1991.
Giddens A., Le conseguenze della modernità, trad. di M. Guani, Il Mulino, Bologna 1994.
Giovannetti P., Il racconto. Letteratura, cinema, televisione, Carocci, Roma 2012.
Goffman E., The Presentation of Self in Everyday Life, New York, Bantam Doubleday Dell Publishing, 1959.
Grignani M.A., “Innovazioni narrative negli ultimi romanzi di Pirandello”, in Lauretta E. (a cura di), Attualità di Pirandello, Metauro Edizioni, Pesaro 2008: 87-104.
Hall S., Politiche del quotidiano. Culture, identità e senso comune, trad. di E. Greblo, Il Saggiatore, Milano 2006.
Lauretta E. (a cura di), Attualità di Pirandello, Metauro Edizioni, Pesaro 2008.
Manotta M., Luigi Pirandello, Pearson Italia S.p.a., Milano 1998.
Marsili Antonetti R., Lina e Luigi Pirandello: una vita straordinaria, Azimut, Roma 2007.
Langella G. e Savio D., “Introduzione”, in L’umorismo, Mondadori, Oscar Moderni, Milano 2021.
Marcheschi D., “Caro Pirandello, ti ho beccato a copiare”, Il Giornale del 31 marzo 2009.
Marcheschi D., “Introduzione”, in Pirandello L., L’umorismo, Mondadori, Milano 2010.
Pecoraro A., “Uno, nessuno e centomila a puntate”, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, Serie III, Vol. 15, No. 4 (1985): 1243-1263.
Pirandello L., Novelle per un anno, Newton Compton, vol. III, Roma 1993.
Pirandello L, Teatro, Luigi Riverdito Editore, Varese 1995.
Pirandello L., Romanzi. Uno, nessuno e centomila – L’esclusa, Editoriale Zeus, Cerbara – Città di Castello (PG) 1996.
Pirandello L., L’umorismo, a cura di D. Marcheschi, Mondadori, Milano 2010.
Pirandello L., Ultime novelle, Rusconi Libri, Santarcangelo di Romagna (RN) 2011.
Pirandello L., L’umorismo, a cura di G. Langella e D. Savio, Mondadori, Oscar Moderni, Milano 2021.
Pirandello L., Il piacere dell’onestà, Culturea Editions, Héreault 2023.
Puppa P., “La ideologia dell’uomo e della vita”, in Lauretta E. (a cura di), Attualità di Pirandello, Metauro Edizioni, Pesaro 2008.
Salvaggio M., La lontana Girgenti scenario del teatro greco del lontano Luigi Pirandello. Studio pirandelliano-agrigentino con lettere di Giorgio Bárberi Squarotti, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2017.
Sanguinetti Katz G., “L’umorismo di Pirandello come specchio dell’alienazione dell’uomo moderno”, in Lauretta E. (a cura di), Attualità di Pirandello, Metauro Edizioni, Pesaro 2008.
Sciascia L., Pirandello e la Sicilia, Adelphi, Milano 2010.
Wincław D., “Quanto Pirandello (c’è) in Tabucchi? L’influenza di Luigi Pirandello nella narrativa di Antonio Tabucchi a partire dal confronto della costruzione dei personaggi di Vitangelo Moscarda (Uno, nessuno e centomila) e di Pereira (Sostiene Pereira)”, in Kwartalnik Neofilologiczny, LXVII, 1/2020.
__________________________________________________________________________________
Claudio Gnoffo, dottorando in “Scienze Umanistiche” presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma e cultore di “Storia dell’Arte Medievale” presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, è stato coordinatore nel 2022 del convegno internazionale “Realtà mediali. Sociologia, semiotica e arte negli immaginari e nelle rappresentazioni” e co-curatore del 1° volume tratto da esso, Realtà mediali. Medialità, arte e narrazioni, per UniPa Press; è inoltre autore di diversi articoli scientifici, fra cui, con regolarità dal 2019, per “Le nuove frontiere della scuola” de La Medusa Editrice.
______________________________________________________________