di Pietro Piro
L’uomo non porta come suo pathos in sé un unico dio; ma l’animo dell’uomo è grande e vasto. A un vero uomo appartengono molti dèi ed egli raccoglie nel suo cuore tutte le potenze che sono sparse nella cerchia degli dèi; tutto l’olimpo è raccolto nel suo petto.
G.W. F. Hegel, Lezioni di Estetica
L’uomo del nostro tempo, così docilmente programmato a vivere nella dimensione ovattata e sterilizzata del sistema tecnico [1], attinge raramente in maniera diretta agli elementi naturali che nutrono la vita [2]. L’aria, l’acqua, la terra, il cielo e tutte le sostanze naturali [3], esistono per lui solamente come materiali di consumo [4].
L’uomo ricorda vagamente la sua origine organica e naturale [5] e solo nei momenti peggiori in cui il corpo – residuo di una caducità carnale che prima o poi sarà superata e dimenticata – reclama attenzioni e cure. Le forze che interessano questo tipo d’uomo sono immateriali e astrattamente simboliche. Non sono fatte di materia organica ma di algoritmi, sequenze, transazioni. Il sistema tecnico garantisce continuità alle esperienze d’isolamento dagli elementi e li eclissa in una lontananza abissale.
L’uomo del sistema tecnico non ha dimenticato l’Essere [6] – occupazione di cui non conserva nessuna memoria e nessuna abilità – ma la totalità degli elementi naturali (che fino a pochi secoli fa rappresentavano il suo ambiente) che lo sostengono. Padrone autoproclamato del proprio destino, lo modella su macchine alla soglia della presa di coscienza della propria identità.
La connessione con il mondo che questo tipo d’uomo cerca non è armonica e naturale ma disarmonica e artificiale. Per sopravvivere gli bastano piccole, nevrotiche, distratte conferme narcisiste [7], ricavate attraverso un profilo digitale esposto al massacro.
Lontanissimo è il tempo in cui gli elementi naturali suscitavano un timore capace di terrorizzare e di generare la prima luce della coscienza religiosa. Il fulmine non è più un segno caduto dal cielo per ammonire gli uomini ma una scarica di energia elettrica che condiziona il traffico aereo e causa ritardi inaccettabili.
Persino un’eruzione vulcanica – segno innegabile della potenza degli elementi magmatici che agitano il sottosuolo – si trasforma in un’immane causa d’inceppamento di flussi umani, in una volgare materia di discussione tra studi legali addetti al calcolo dei rimborsi.
Certo, la vita continua a suscitare emozioni, ma solo se scorre entro gli schemi rigidissimi dei dispositivi sanitari, sociali, politici ed economici. Altrimenti, si trasforma facilmente in emergenza, devianza, malattia da contrastare con tutte le armi accumulate negli arsenali.
Anche la fede in un Dio subisce il fascino del dispositivo regolante e normativo che legiferando e giudicando, rende la vita religiosa tediosa e asfissiante. Pochissimi gli asceti che si ritirano nelle selve o in alti monti, desiderosi di un contatto diretto e implacabile con gli elementi. Forse, sono i soli che godono ancora del potere luminoso [8] di un fuoco nella notte oscura o dell’influsso notturno e benevolo della luna.
Per tutti gli altri, un ambiente quasi totalmente artificiale [9], garantisce esistenze precarie, indebitate, frustrate, monotone, ampiamente sostenute da rappresentazioni tanto oscure quanto ridicole dalla società dello spettacolo.
Gli uomini antichi sapevano bene che il mondo è dominato da potenze sacre [10]. Potenze il cui segno più riconoscibile è agire contro il quotidiano. Potenze in grado d’invertire il corso degli eventi, di sottomettere i flussi ordinari al proprio potere, d’ingaggiare battaglie sconvolgenti contro tutto ciò che rende il mondo prevedibile.
Se l’uomo vuole vivere in armonia nel mondo, deve necessariamente conoscere queste potenze e sapere come trattare con loro. Il rischio, altrimenti, è altissimo. Tutta la vita può essere in pericolo e non solo, anche la vita stessa del mondo e dell’universo. È questo, forse, il significato più antico dei sacrifici: mantenere in vita un ordine in grado di sostenere tutto l’Universo [11]. A quest’ufficio l’uomo antico si è sempre dedicato con la massima attenzione, dedicandogli tempo ed energie, saggezza ed esperienza, potere e denaro, pur di mantenere “l’ordine cosmico” [12] di cui le potenze tessono continuamente la trama.
Le potenze possono distruggere tutta la vita, impossessarsene, farsi gioco dei progetti e delle aspettative umane. La creatura uomo sa che il suo creatore agisce con un disavanzo di potenza insormontabile, di fronte alla quale nessuno sforzo umano può resistere. Compito dell’uomo è tenere a bada le potenze. I mezzi per farlo possono essere molteplici e legati da un lato alla fantasia dell’uomo e, dall’altro, all’eclettica bizzarria delle manifestazioni della potenza.
Intrattenere rapporti con le potenze è stato sempre il compito di uomini con caratteristiche straordinarie. Sciamani [13], veggenti, invasati, posseduti, profeti, medium e altri mille termini sono stati utilizzati per definire la loro capacità di entrare direttamente in contatto con le potenze e interpretarne il volere.
Il loro compito è stato sempre difficilissimo. Ogni volo può portare alla caduta rovinosa. Ogni nuova rivelazione può causare la distruzione dell’intera comunità. Ogni dono può suscitare ira e distruzione. Gli uomini ordinari li temono e li invidiano, li ammirano e ne hanno timore. Questi uomini speciali rischiano molto ma, allo stesso tempo, sono portatori di privilegio, di esclusività, di eccentricità. Possono essere gentili e silenziosi, difficili alla parola o prolissi e aggressivi. Possono salire su una corda appesa al nulla o dimorare in una capanna nel centro del villaggio. Possono scomparire e riapparire a cavallo di una freccia o mostrare in pubblico una coscia d’oro. Quello che importa non è la loro bizzarra esistenza di uomini ma la loro capacità di tenere a bada le potenze e fare in modo che gli altri uomini meno capaci non si allontanino troppo dal loro volere.
Anche la potenza stessa può assumere mille volti [14] e mille nomi e può anche eclissarsi per riapparire poi in mille e mille forme ancora. Può agire come singolarità e come pluralità, come un Tutto o come un infimo dettaglio. Potenza/potenze, nomi che non sono altro che semplici rimandi a un indicibile smisurato. Un eccesso che logora le forme.
Colomba o roveto ardente, folgore o fantasma, demone o dea, ninfa o serpente piumato. Non ci sono limiti all’intelligenza della potenza. Confonde e persuade, terrorizza e affascina, riempie i cuori di speranza e getta nella disperazione. Si direbbe quasi che gioca [15]. Ma un gioco grande, indefinito e indefinibile, dove dentro ci sono tutti i piani, tutti i livelli, fisici e metafisici.
Solo la potenza esiste, tutto il resto è manifestazione giocosa dell’illusione cosmica [16]. Debole tessuto che solo il saggio illuminato può percepire e squarciare per poi ricadere però nella matrice che tutto genera e distrugge. Creazione e distruzione, ordine e caos, materia e forma, tutto nasce e perisce nel gioco puerile e vegliardo della potenza.
Compito della cultura umana è provare a ricordare il volto di questa potenza con canti, racconti, immagini, monumenti o solo semplici sussurri. Segni materiali che conservano la memoria di un passaggio, il brivido di un attraversamento.
Le acque che si aprirono, il cielo diurno che si fece notte, il drago sconfitto da un cavaliere, l’ascesa in cielo a cavallo di una mula, il serpente che fa da ombrello. Tutti segni dell’incredibile varietà delle forme della potenza. Forme che celano la sua essenza. Impossibile per l’uomo comprenderla fino in fondo.
Dall’uomo della caverna sino all’uomo sull’astronave si è sempre cercato di dare un volto alla potenza. Un nome e una forma. Non inganni lo stile asettico e distaccato dell’uomo di oggi. Egli si crede padrone del proprio destino. Un dio ben fatto in grado di manipolare con l’argilla della tecnica il futuro. Ma questa illusione dura pochissimo. Qualunque evento esterno o interno che sia capace di scuotere le fondamenta di questa illusione – la morte improvvisa di una persona amata, una malattia incurabile, una sventura economica, una perdita di efficienza, le conseguenze di una dipendenza – e la sua fortezza si sgretola e cade in rovina.
Allora, eccolo, pronto a ricercare in ogni angolo recondito del globo interconnesso uno stregone, un guru, un mago, un medium, chiunque dichiara di essere in grado di evocare in suo favore potenze di cui sente l’assoluta necessità.
E non stupisca nemmeno il circo dei presunti addetti alla potenza – moltissimi dei quali non sono altro che ciarlatani incapaci di qualunque sensibilità, straordinari sfruttatori delle debolezze umane [17] – perché la loro funzione è vitale e non può essere sostituita da un algoritmo o da un ufficiale di polizia.
L’uomo oggi, rischia di riconosce la potenza solo nella disperazione. È questa la sua più grande condanna. Conoscere ciò che è più importante conoscere nella vita solo quando il suo universo d’illusioni egoiche cade in frantumi. Se al centro della saggezza antica e della educazione che ne derivava molta importanza aveva la capacità di entrare in relazione con le potenze superiori, oggi, questa strada sembra essere quasi del tutto bloccata dalla valanga dello scetticismo e della tecnologia. Esiste ancora oggi la possibilità di entrare in contatto con la potenza senza esserne stravolti per ottenerne dei benefici? La malattia mentale è un momento privilegiato per entrare in contatto con questo piano di realtà?
Sono contrario all’ipotesi che la malattia mentale sia una porta privilegiata per la comprensione della potenza. Per lo più si tratta solo di sintomi di squilibrio che si può cercare di risanare con molte cure e tanta amorevole pazienza. Solo pochi uomini straordinari possono fare dei loro momenti di follia dei nuovi sentieri da percorrere per accrescere i già alti livelli di coscienza che già possiedono [18] – e se non li possedessero già non sarebbe certo la follia a fornirglieli – ma non è detto che non possano trovarli anche in situazioni più ordinarie che – a guardare bene – in realtà, non hanno proprio nulla di ordinario.
Tutta la vita, infatti, anche quella che sembra più ovvia e banale, poggia su una successione infinita di nessi, di rimandi evocanti, di cerchi concentrici, di piani simbolici, la cui natura ultima sfugge. La follia non parla necessariamente il linguaggio della potenza che però, a volte, per farsi largo nelle coscienze degli uomini deve stravolgere tutti gli ordinamenti, tutte le strutture, tutte le convinzioni.
Oggi possiamo ancora dare voce alle manifestazioni della potenza, ripartendo dal dare ascolto al linguaggio degli elementi naturali, al loro grido [19] di disperazione di fronte a un uomo che inquina, devasta, brucia, accumula, come se non fosse più parte di quel Tutto di cui la potenza è la ragione ultima. Un uomo sordo e cieco, manipolato e manipolabile, preda dei saltimbanco e dei ciarlatani.
Di questo tipo di uomo incapace di ascolto, sono state date descrizioni minuziose nei testi di quegli uomini visionari che hanno cercato una relazione con la potenza. Uomini che sentirono con estrema lucidità il degradarsi delle capacità d’intuizione e di comprensione dei propri simili. Questi saggi hanno descritto questi ciechi che si affrettano all’abisso con ironia e ventre gonfio. Veri e propri signorini soddisfatti [20] che si avviano spediti al macello.
Gli strumenti tecnici che utilizzano – e che li hanno emancipati dalla relazione quotidiana con quegli elementi organici di cui sono composti – potrebbero aiutarli a sviluppare nuove forme di vita e a stabilire nuove priorità. Esplorare nuovi livelli di coscienza ma, purtroppo, come degli stolti, li utilizzano quasi solamente per accrescere il piccolo e limitato Io che li tiene imprigionati nell’illusione.
Pochi uomini dotati di altre sensibilità cercano invece d’invitarci a un diverso modo d’intendere la relazione con quegli dèi e demoni che sembriamo avere dimenticato per sempre ma che riappaiono immediatamente, ogni volta che sfiorando l’abisso della disgregazione finale dell’Io, sentiamo il bisogno di una consolazione più grande, di un destino meno orrendo, che possa dare un senso al nostro soffrire.
A queste voci che gridano nel deserto dovremmo cercare di prestare più ascolto, per non dimenticare del tutto il senso del nostro errare. Possiamo certamente fare a meno di prestare ascolto alla voce dei nostri “dèi” ma il prezzo da pagare sarà il tormento di chi non è più capace di accedere ai livelli più alti della propria coscienza.