di Alessia D’Accardio Berlinguer
La città tunisina di Qayrawān, fondata nel 670 da ʕUqba ibn an-Nāfiʕ, fu il primo centro storicamente arabo-islamico del Maghreb (Tunisia, Algeria e Marocco). Scelta come base militare durante le campagne di conquista musulmana del Nord Africa verso Occidente, Qayrawān diventò poi capitale del regno aghlabide nel IX secolo e centro culturale, religioso e giuridico malikita per tutto l’Occidente islamico durante i primi secoli dell’egira. Sebbene già a partire dalla fine del X secolo dovette cedere la sua supremazia alla vicina Mahdiyya, nuova capitale del regno fatimide, Qayrawān è comunque rimasta nei secoli il centro culturale e giuridico-religioso sunnita del Maghreb. Questa città ha ricoperto a lungo un ruolo egemone, non solo per i musulmani, ma anche per i numerosi studiosi occidentali che si sono interessati alla cultura arabo-islamica nordafricana e che ne hanno riconosciuto l’influenza nella regione. Tra questi ultimi, nel presente studio ci si interesserà soprattutto alla figura di William Marçais, pioniere del maggiore filone di studi in dialettologia maghrebina.
Il ruolo di William Marçais
I fratelli George (1876-1962) e William Marçais (1872-1956), come poi anche il figlio di William, Philippe (1910-1984), furono membri del governo francese stabilito in Nord Africa durante l’età coloniale e lavorarono tutti e tre principalmente come direttori di diverse madrase in Nord Africa. Essendosi dedicati anche agli studi archeologici (George) e linguistici (William e Philippe) relativi alla cultura arabo-islamica, essi si distinsero per aver portato a termine lavori di inestimabile valore, tuttavia, non privi di cospicue lacune causate dagli approcci teorici e metodologici utilizzati (Benkato 2019).
Nel suo capitale lavoro sul dialetto tunisino di Takrouna del 1925 e nel suo contributo “Les parlers arabes” in Initiation à la Tunisie del 1950, William Marçais per primo portò all’attenzione della comunità scientifica la profonda “arabicità” non solo culturale, ma anche linguistica, esercitata dalla Tunisia in seno al Maghreb, sia in chiave sincronica, sia in chiave diacronica, presentando l’Ifrīqiya del VII secolo come «foyer d’arabisation plus important» e come base geografica di partenza per l’arabizzazione del Maghreb, della Sicilia e di Malta (Caubet 2004: 62). La centralità della Tunisia nel processo di islamizzazione e (più importante per la nostra analisi) di arabizzazione linguistica del Maghreb è stata inoltre dallo studioso direttamente correlata proprio alla centralità della città di Qayrawān, che nel 1925 definì «mère des cités du Maghreb, métropole du Maghreb, boulevard du mâlikisme» (W. Marçais — Guiga 1925: XXVIII-XXXVII).
Essendo tra i primi studiosi ad occuparsi di dialettologia araba e avendo già descritto alcuni dialetti arabi parlati in Tunisia, Algeria e Marocco, William Marçais fu nuovamente il primo a notare la presenza di caratteristiche linguistiche comuni tra i dialetti cittadini tunisini e i dialetti dei vecchi centri urbani del Maghreb. A partire da questa intuizione, l’arabista arrivò ad affermare venticinque anni dopo che tali somiglianze sarebbero state il risultato di un sostrato linguistico comune, corrispondente alla varietà di arabo parlato proprio a Qayrawān (arabo qayrawānī) e diffusosi poi nella regione maghrebina tra il VII e il IX secolo (W. Marçais 1950: 219). In seguito ai suoi studi, risalenti all’età coloniale francese, e grazie al prestigio di cui la sua figura ha sempre goduto presso la comunità scientifica, la varietà linguistica parlata a Qayrawān a partire dal VII secolo, è stata sempre considerata come la prima varietà di arabo parlato nel Maghreb, nonché la varietà madre degli attuali dialetti dei centri sedentari e rurali della regione.
Questa teoria è, infatti, rimasta cardinale all’interno degli studi di dialettologia maghrebina ed è stata in seguito ripresa dalla quasi totalità degli studiosi che si sono confrontati con la complessa questione dell’arabizzazione del Nord Africa. Tra tutti, ricordiamo il linguista francese David Cohen che nel 1988 definì le varietà linguistiche in cui erano state riscontrate le suddette somiglianze da William Marçais come parlers kairouanais, proprio perché considerate in origine le parlate delle antiche città del Maghreb dove i primi abitanti di Qayrawān si erano installati e dove il loro prestigio culturale avrebbe portato le popolazioni che coabitavano con loro ad adottarne la lingua. Tra queste varietà linguistiche, si contano le sedentarie di Tlemcen e Nedroma in Algeria, le sedentarie giudaiche di Fes e Sefrou in Marocco, di Tunisi e di Algeri e le parlate di villaggio della Jbala in Marocco, di Trara in Algeria e di Mahdiyya in Tunisia (Caubet 2004: 64).
Approccio metodologico coloniale e attuale dibattito scientifico
Tuttavia, allo stato attuale dell’arte, disponiamo di relativamente pochi studi sui temi dell’arabizzazione del Maghreb e dell’evoluzione linguistica in diacronia dei dialetti maghrebini. Si registra una grave mancanza di descrizioni dialettali esaustive e puntuali per gran parte dell’area linguistica arabofona del Nord Africa e soprattutto non sono stati ancora effettuati studi di rilievo nemmeno su aspetti base dell’arabo qayrawānī che risulta oggi praticamente ignoto. Di conseguenza, se la centralità culturale e religiosa della città è stata da sempre ampiamente riconosciuta e dimostrata dalla comunità scientifica, la sua paternità nel processo linguistico di arabizzazione del Maghreb è solo un’affermazione diffusa come verità, ma mai verificata. Risulta evidente, pertanto, la presenza di un significativo paradosso che sta alla base degli studi di dialettologia araba maghrebina perseguiti fino ai tempi più recenti.
Rimanendo nel contesto di quest’ultima riflessione critica, è opportuno evidenziare che è in corso anche un più ampio dibattito sull’affidabilità degli studi dialettologici, perlopiù di scuola francese, portati avanti in età coloniale, poiché troppo spesso questi non si sono basati su dati linguistici raccolti sul campo, ma sulle intuizioni ed esperienze personali di singoli studiosi di grande prestigio: proprio come emerge dal presente studio con il caso di William Marçais (Benkato 2019: 14).
Tra le teorie attualmente più dibattute dalla comunità scientifica, ricordiamo quella relativa alla classificazione stessa dei dialetti nordafricani. Anche quest’ultima si basa sulle analisi condotte principalmente da William Marçais (W. Marçais — Guiga 1925; W. Marçais 1950), il quale suddivise le varietà di neoarabo sulla base di criteri tipologici influenzati dall’antica opposizione sociolinguistica “sedentario-beduino” proposta da Ibn Khaldūn nella sua Muqaddima del XIV secolo (Benkato 2019: 3). Per l’arabo maghrebino, a differenza delle altre varietà di arabo, tale bipartizione ha poi anche una dimensione diacronica (Caubet 2004: 64), poiché corrisponde alla bipartizione tra varietà hilaliche e pre-hilaliche, generatesi a partire dalle due ondate di arabizzazione del Maghreb. Dalla prima ondata, avviata dal VII secolo da contingenti militari, avrebbero avuto origine i dialetti sedentari o pre-hilalici (tra cui l’arabo qayrawānī); dalla seconda ondata, cominciata invece nell’XI secolo da parte delle tribù nomadi beduine dei Banū Hilāl, dei Banū Sulaym e dei Maʕqil, sarebbero derivati i dialetti beduini o hilalici (W. Marçais 1938).
Questo dibattito in corso vede in prima linea, tra gli altri, gli studiosi Adam Benkato, Luca D’Anna, Jairo Guerrero e Giuliano Mion, i quali hanno messo in risalto, quanto la bipartizione sociolinguistica tra varietà sedentarie e beduine e le definizioni storico-sociali “hilalico” e “pre-hilalico” risultino incomplete e limitate per il più complesso panorama della classificazione dei dialetti neoarabi, restando legate ad un approccio metodologico coloniale, non basato su dati linguistici raccolti sul terreno (Benkato 2019: 14). Allo stesso modo, anche la teoria secondo cui l’arabo qayrawānī, di cui non abbiamo dati linguistici raccolti e studiati, sia all’origine dei dialetti sedentari maghrebini è il risultato di antichi studi compiuti secondo un approccio teorico e metodologico coloniale, ormai in gran parte superato.
Avendo considerato, da una parte, necessario e urgente risolvere il suddetto assunto incoerente non ancora verificato e riconoscendo, d’altra parte, la centralità storica, culturale e religiosa della città di Qayrawān, abbiamo iniziato la fase preparatoria per lo studio sul terreno e, quindi, per la descrizione linguistica dell’arabo parlato oggi a Qayrawān. Condividendo l’approccio teorico-metodologico della nuova prospettiva di studi critici e tipologici (Benkato 2019; D’Anna 2020; Guerrero 2018; Mion 2015, 2018) che ridiscutono le tradizionali definizioni e analisi diffuse a partire dagli studi dialettologici di età coloniale in Nord Africa, copriremo finalmente questo punto di inchiesta non ancora studiato e individueremo i criteri scientifici necessari per verificare o smentire in chiave diacronica l’origine dei parlers kairouanais.
Documentare l’arabo qayrawānī permetterà, innanzitutto, di salvaguardare un patrimonio linguistico in evoluzione, destinato, come le altre parlate arabe, a subire un rapido livellamento verso la varietà linguistica parlata nella capitale (Gibson 2002). Portare a termine, poi, un’ampia descrizione linguistica (suddivisa in fonetica, fonologia, morfologia nominale e verbale e morfosintassi del sistema temporale, modale e aspettuale), in chiave sociolinguistica variazionistica, fornirà un importante contributo alla dialettologia maghrebina, colmando almeno parzialmente la grave assenza di descrizioni di arabo sedentario tunisino. La disponibilità di questa descrizione, inoltre, aprirà soprattutto la possibilità di rileggere criticamente il processo di arabizzazione linguistica nel Maghreb. Nel verificare, infatti, se questa varietà di arabo sia effettivamente stata all’origine dei cosiddetti parlers kairouanais, si offrirà una rilettura storica, sociolinguistica e di linguistica del contatto relativa al processo di arabizzazione nel Maghreb che attualmente ci appare oscuro. Questa linea d’indagine, per di più, potrebbe aprire la strada anche a successivi studi di linguistica storica e comparata centrati sui contatti linguistici e sui processi di arabizzazione che hanno avuto luogo in Nord Africa a partire dal VII secolo, rivedendo criticamente il ruolo dinamico e l’evoluzione linguistica dei parlers kairouanais.
In attesa di poter iniziare le interviste sul campo, ritardate a causa della situazione sanitaria attuale, stiamo già lavorando alla comparazione linguistica delle maggiori isoglosse delle varietà sedentarie e rurali di arabo maghrebino, del Maltese e delle varietà di arabo parlate in al-Andalus e in Sicilia, ormai estinte. Queste analisi preliminari verranno poi integrate con la comparazione delle isoglosse attuali dell’arabo qayrawānī, in modo tale da poter verificare effettivamente se vi sono e quali sono i tratti linguistici comuni tra queste varietà. La possibilità di comparare dati raccolti in sincronia a Qayrawān con quelli già raccolti o studiati in diacronia a partire dai primi secoli dell’egira fino ai nostri giorni (cioè la maggior parte dei parlers kairouanais, le varietà di Sicilia di al-Andalus e il maltese) potrebbe sembrare una scelta poco accurata che non permette di giungere a un’analisi equilibrata e plausibile. Al contrario, tenendo conto dei dati linguistici raccolti, delle lingue di sostrato e di contatto che si sono susseguite nella regione e delle fonti storiche sulle prime conquiste arabe e sulla storia locale delle allora nuove città arabo-islamiche, si potranno avanzare sia delle ipotesi relative a cosa realmente potrebbe essere accaduto da un punto di vista linguistico a partire dal VII secolo in Maghreb, sia delle ipotesi di ricostruzione relative ad almeno alcune delle isoglosse del cosiddetto arabo “proto-maghrebino”, parlato nella regione all’arrivo dei primi conquistatori arabi.
In conclusione, per rispondere alla principale domanda di ricerca che coincide con il titolo stesso di questo breve studio, possiamo affermare che da un punto di vista storico, religioso e culturale, Qayrawān sembra essere stata almeno fino al X secolo la «mère des cités du Maghreb». Tuttavia, è prudente iniziare a dubitare che l’arabo qayrawānī sia stato davvero la varietà di arabo da cui derivano tutti i dialetti maghrebini sedentari e rurali parlati ancora oggi in Tunisia, Algeria e Marocco. Ci auguriamo che ulteriori studi, non solo linguistici, ma anche storici potranno in futuro aiutarci a rispondere a questo quesito con più certezza.
Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021
Riferimenti bibliografici
Benkato, A. 2019. “From Medieval Tribes to Modern Dialects: on the Afterlives of Colonial Knowledge in Arabic Dialectology”: Philological encounters 4: 2-25.
Caubet, D. 2004. “Dialectologie et histoire au Maghreb : pour une sociolinguistique historique”, in J. Dakhlia (a c.): Trames de langues, Usages et métissages linguistiques dans l’histoire du Maghreb, Paris: Maisonneuve et Larose: 59-70.
Cohen, D. 1988. “Arabe”, in J. Perrot (a c.): Les langues dans le mondes ancien et moderne. Langue chamito-sémitiques, Paris: Editions du CNRS: 105-124.
D’Anna, L. 2020. “The Arabic dialect of Chebba. Preliminary Data and Historical Considerations”: ZAL.
Gibson, M. 2002. “Dialect leveling in Tunisian Arabic: towards a new spoken standard” in A. Rouchdy (a c.), Language contact and language conflict in Arabic: Variations on a sociolinguistic theme, London: Routledge Curzon: 24-40.
Guerrero, J. 2018. “Les Parlers Jbala-Villageois. Étude Grammaticale d’une Typologie Rurale de l’arabe Dialectal Maghrébin”. Dialectologia 20: 85–105.
Marçais, W. 1938. “Comment l’Afrique du Nord a été arabisée. I. L’arabisation des villes”: Annales de l’Institut d’Etudes Orientales 4: 1-21.
— 1950. “Les parlers arabes” in A. Basset (a c.): Initiation à la Tunisie, Paris: Adrien Maisonneuve: 195-219.
Marçais, W. — Guiga, A. 1925. Textes arabes de Takroûna (Textes, transcription et traduction annotée), Paris: Ernest Leroux. Introduzione.
Mion, G. 2015. “Réflexions sur la catégorie des «parlers villageois» en arabe tunisien”: Romano-Arabica 15: 269-279
— 2018. “Pré-hilalien, hilalien, zones de transition. Relire quelques classiques aujourd’hui” in G. Mion (a c.): Mediterranean Contaminations. Middle East, North Africa and Europe in Contact, Berlin: Klaus Schwarz Verlag: 102-125.
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Alessia D’Accardio Berlinguer, dottoranda in dialettologia araba presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, dove nel 2019 ha conseguito la laurea magistrale in Lingue, Storia e Culture del Mediterraneo e dei Paesi Islamici. Diplomata in Lingua araba presso l’Institut Bourguiba des Langues Vivantes di Tunisi, è membro del gruppo di ricerca dell’Atlante Linguistico Mediterraneo per la Tunisia e co-fondatrice e editore di Maydan – Rivista sui mondi arabi, semitici e islamici.
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