Stampa Articolo

Quando il poeta racconta

de-vita-solo-un-giro-di-chiave-copertinadi Antonino Cangemi

Che cosa ci spinge a scrivere? Come nasce la passione per i libri e l’ossessione, non di rado tirannica, di consegnare a un foglio bianco il nostro sentire e ciò che ci accade attorno durante il tragitto esistenziale che percorriamo? E perché si sceglie la poesia – apparentemente una scorciatoia tra le forme espressive, in realtà la più esigente e più alta benché di sicuro la meno gratificante sotto diversi aspetti – e non la prosa? Quale il confine che delimita la poesia e la prosa? E ancora: ha senso e quanto ha senso ostinarsi a prediligere il dialetto quando pochi, sempre più pochi, lo parlano e sembra destinato a un rapido oblio?

Questi e altri interrogativi sono al centro di Solo un giro di chiave, l’ultimo libro di Nino De Vita edito da il Palindromo, una delle più interessanti realtà editoriali indipendenti siciliane. Interrogativi a cui De Vita offre, a suo modo, delle risposte, che però non hanno la pretesa di essere definitive e assolute. E chi conosce De Vita è consapevole che si guarderebbe bene dal pronunciare massime o azzardare teorie: la semplicità, lontana da astrazioni e da tutto ciò che è categorico, è intrinseca al suo stile di vita e alla sua scrittura, quale ne sia la forma espressiva.

Con Solo un giro di chiave il poeta De Vita si è voluto concedere, se così si può dire, una “licenza”, una pausa dal suo mestiere di scrittore di versi e ha voluto raccontare se stesso, la sua vita, il suo legame con i libri e la scrittura, con alcuni protagonisti della vita culturale del ‘900 (Sciascia, in primo luogo), e con la contrada del Marsalese, quella «striscia di terra…con un poco di case, sparse o raccolte in bagli, prospicienti il mare, salato, chiuso dello Stagnone» chiamata Cutusìo, nel cui dialetto scrive le sue poesie.

Un libro consuntivo della propria esistenza varcata la soglia dei 70 anni, “Solo un giro di chiave”? Una riflessione a 360 gradi su se stesso e ciò che lo circonda in cui si proiettano la sua filosofia di vita e la sua poetica? Un saggio? Un racconto? Niente e tutto di questo. De Vita non ama le etichette e il suo libro – singolare e originale come tutta la sua produzione letteraria – rifugge da ogni catalogazione. Si può solo affermare senza tema di smentita che è un libro scritto col gusto di raccontare e da leggere col gusto di ascoltare l’autore. Sì, ascoltare, perché De Vita allo stesso modo di quando ci regala le sue poesie, anche quando si misura con la “prosa” seduce per quell’oralità che è un tratto saliente di tutta la sua opera. La prima sensazione che Solo un giro di chiave dona è di sentire la voce dell’autore: sobria, misurata, a volte vibrante di emozioni, ma di emozioni sempre controllate.

Svela tanto di se stesso e di come concepisce la scrittura e la poesia, De Vita in questo libro, che già per questi motivi si rivela utile sia a chi si vuole accostare alla sua poesia sia a chi già la conosce e ha occasione di scoprirne e approfondirne le radici.

«La verità è che si è poeti o si è prosatori» – confessa De Vita nelle prime pagine – «Io, scrittore di versi, non ho il respiro del prosatore, e al prosatore manca la possibilità di risolvere, di chiudere, dando un solo giro di chiave». In poche parole, efficacissime, De Vita traccia le differenze sostanziali tra la prosa e la poesia: la prima richiede un’elaborazione articolata e distesa che non si può contrarre e riassumere; la seconda ha la forza della sintesi. Tutto così semplice e risolutivo? No, perché De Vita, come detto alieno agli assioma, riconosce che proprio la sua poesia tende al racconto e pertanto, ferme restando le linee di demarcazione enunciate, i confini tra prosa e poesia sono assai più sfumati di quanto possa ritenersi.

nino_de_vita

Con il padre

Ed effettivamente la cifra stilistica di De Vita – uno dei poeti contemporanei di maggiore spessore in Italia – si connota per la sua vocazione narrativa. Nei suoi versi brevi vi sono sempre (o quasi sempre) delle microstorie, tante volte legate alla sua infanzia e comunque intrecciate a fatti, episodi, accadimenti per quanto minimali, circoscritte a quel minuscolo angolo del mondo che è la contrada in cui vive, Cutusìo, il suo “posto delle fragole” ma anche il suo campo di osservazione di una realtà trasfigurata liricamente. L’accento lirico che rende vitale e palpitante la quotidianità ordinaria non trasborda mai tuttavia in toni eclatanti, nel clamore, nell’eloquenza. È la delicatezza con cui ravviva di sentimenti – mai sentimentalismi – ciò che narra a emozionare non solo i lettori avvezzi alla poesie ma anche, e non è poco, chi con la poesia ha scarsa dimestichezza. Né mancano nei suoi versi, impastati di concretezza e privi di voli pindarici, i rimandi allegorici: ma sempre discreti, soffusamente enunciati.

De Vita non è un poeta naif, ha letto molto, divorato fin da ragazzo dalla passione per i libri: passione su cui si sofferma in Solo un giro di chiave e coltivata di nascosto in una casa di contadini dove non c’era posto che per un solo libro, “I vangeli”, e contro le raccomandazioni del padre che gli intimava, invitandolo a seguirlo nei campi: “A sentiri a tò patri: chissa è strata ch’un spunta”. I libri lo hanno formato, educato all’estetica, a distinguere il bello dal brutto, alcuni lo hanno entusiasmato e però è riuscito a costruirsi un’identità senza farsi influenzare dagli autori che più ha amato; e se tutto può dirsi meno che sia un poeta naif, del poeta naif ha la sorprendente genuinità.

de-vita-sciascia

Con Leonardo Sciascia

L’esistenza di De Vita è stata segnata da tanti incontri con scrittori, poeti, intellettuali protagonisti del ‘900 italiano. All’amicizia con Sciascia il poeta dedica più pagine. Ed è un’amicizia che nasce quasi casualmente quando frequenta a Palermo l’università: l’amicizia di un ragazzo devoto ai libri e alla letteratura che vede nello scrittore di Racalmuto un faro, un punto di riferimento, un esempio a cui accostarsi con reverenza. Poi l’amicizia si consolida, giorno dopo giorno, cedono le distanze, anche anagrafiche: ad accomunarli è il carattere schivo, la semplicità e l’amore per la cultura e per la Sicilia.

Né mancano nel libro alcune “chicche” rivelatrici della generosità di un uomo, Leonardo Sciascia, la cui timidezza, introversione e scarsa loquacità sono state spesso erroneamente scambiate per freddezza e scontrosità. Interessanti in Solo un giro di chiave sono pure le pagine dedicate a Vincenzo Consolo, persona complicata non a tutti simpatica ma in cui De Vita scorge una sofferta umanità. Al riguardo degno di nota è quel passaggio in cui De Vita racconta il suo tentativo di fare rappacificare Consolo e Bufalino: lì il poeta di Cutusìo svela la sua natura di uomo mite che si prodiga per gli altri, incline a conciliare, a mettere la buona parola per sanare conflitti e chiarire incomprensioni.

Questa amabile “divagazione” che è Solo un giro di chiave può definirsi una sorta di autoritratto del poeta De Vita. Leggendo il breve libro (112 pagine), si scoprono l’uomo e il poeta De Vita e si comprende perché scrive e perché scrive poesie, al di là delle pagine che ne specificano le ragioni e dell’excursus esistenziale che racconta. Sono la curiosità, l’ansia di conoscere, la benevola predisposizione verso il prossimo – un prossimo non astratto, ma in carne e ossa, indagato, pur con discrezione, nella sua sensibilità – a stimolarne la scrittura e i versi. Un episodio narrato nel libro, apparentemente banale, testimonia la curiosità fuori dal comune di De Vita. Il poeta ha un pungolo che lo assilla: scoprire chi è nato nello stesso giorno e nello stesso anno in cui lui ha aperto gli occhi alla vita. Consultando i registri della scuola in cui insegna, si accorge che una collega hai suoi stessi dati anagrafici. Nel corso di una riunione di lavoro timidamente le segnala la coincidenza nell’indifferenza della coetanea per nulla entusiasta di tale evenienza: non tutti esplorano la vita con occhi di poeta.

fosse-chiti-fronte-348x464De Vita ha esordito con una silloge scritta in lingua, Fosse chiti. Ma poi – e le circostanze particolari che lo indussero a tale scelta sono esplicitate in Solo un giro di chiave – ha compreso che il vernacolo, quello della sua Cutusìo, corrispondeva al suo universo interiore, e ha maturato l’idea di avvalersene per la sua scrittura in versi. Interrogandosi, si è reso conto che in quel dialetto lui pensava, parlava con gli amici, esprimeva la sua interiorità; quel dialetto, che lui considera a tutti gli effetti una lingua, faceva parte di sé, gli era intimo, e in più sprigionava una musicalità straordinaria. Senza contare che in lui s’imponeva una sorta di dovere morale: difenderlo dall’oblio, contribuire a preservarne l’esistenza: «Pensai, decisi, di mettermi a scrivere in dialetto; di conservare, attraverso la mia scrittura in versi, le parole che di più si erano logorate». Poesia di resistenza antropologica e filologica dunque quella di De Vita, o almeno anche questo, àncora cui aggrapparsi in soccorso a un’umanità sorretta da valori insiti nella civiltà rurale minacciata dall’incombere di una soffocante omologazione culturale.

Sono pochi oggi i poeti dialettali. Lo erano già pochi quando Pasolini agli inizi degli anni ’70, in un’intervista a Enzo Golino, notava la loro penuria e tra i giovani ne ricordava solo uno che aveva pubblicato una silloge con la prefazione di Buttitta (era Giovanni Battaglia e la raccolta La piccola valle di Alì edita da Flaccovio). Ve ne sono ancora di meno nei nostri giorni e il dialetto, se si parla, si va sempre più imbarbarendo nella commistione non felicissima con la lingua. L’industria editoriale poi ha convertito questa commistione (fatti salvi autori talentuosi come Camilleri e pochi altri) in una moda.

De Vita rimane uno dei rari poeti dialettali di qualità eccelsa, erede di un genere letterario che in Sicilia annovera autori di primo piano: Antonio Veneziano, Giovanni Meli, Domenico Tempio, Giuseppe Marco Calvino, Alessio Di Giovanni (citato in Solo un giro di chiave in una vicenda che mette in luce il mai ostentato altruismo di Sciascia), Santo Calì, Ignazio Buttitta. L’essere un poeta dialettale – peraltro avverso al folklorismo di maniera e all’enfasi declamatoria – da un lato esalta l’originalità di De Vita, dall’altro lo defila in un contesto letterario, quello della poesia, già di per sé marginale nel panorama editoriale e dominato da circoli e conventicole estranee a chi come lui non cerca la ribalta. Tant’è che tante sue poesie le ha pubblicate in plaquette e raccolte distribuite in poche copie. Ciò però non ha impedito alla critica più accorta di riconoscerne il valore, conclamato da diversi premi letterari prestigiosi in cui si è imposto. A proposito assai significativa è la motivazione, scritta da Enzo Siciliano, al premio Moravia assegnatogli nel ’96: «De Vita pubblica alla macchia, su riviste, per piccoli editori. Lo si vuole premiare per questo, per sottoporlo all’attenzione di un vasto numero di lettori».

Ma Nino De Vita non lascerebbe mai la sua Sicilia e la sua Cutusìo in cerca di una notorietà, maggiore di quella di cui gode, che sa quanto sia effimera. Già, la sua Cutusìo, il suo universo di memorie e di affetti, il suo microscopico privilegiato angolo di osservazione, il passato e il presente da salvaguardare, nella superstite e palpitante umanità, dalle aggressioni di una malintesa modernità orfana di anima. E, come si può immaginare, è la sua Cutusìo a chiudere, con un solo giro di chiave, il seducente libriccino.

Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021

 ______________________________________________________________

Antonino Cangemi, dirigente alla Regione Siciliana, attualmente è preposto all’ufficio che si occupa della formazione del personale. Ha pubblicato, per l’ente presso cui opera, alcune monografie, tra le quali Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi e Mobbing: conoscerlo per contrastarlo; a quattro mani con Antonio La Spina, ordinario di Sociologia alla Luiss di Roma, Comunicazione pubblica e burocrazia (Franco Angeli, 2009). Ha scritto le sillogi di poesie I soliloqui del passista (Zona, 2009), dedicata alla storia del ciclismo dai pionieri ai nostri giorni, e Il bacio delle formiche (LietoColle, 2015), e i pamphlet umoristici Siculospremuta (D. Flaccovio, 2011) e Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, 2013). Più recentemente D’amore in Sicilia (D. Flaccovio, 2015), una raccolta di storie d’amore di siciliani noti e, da ultimo, Miseria e nobiltà in Sicilia (Navarra, 2019). Collabora col Giornale di Sicilia, col quotidiano on-line BlogSicilia.

_______________________________________________________________

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Letture. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>