di Pietro Clemente
Paul Ginsborg non è stato per me solo un collega, è stato anche un amico, pieno di iniziative, di suggerimenti. Uno di quei fratelli minori che ti aiutano a trovare la strada, che ti accompagnano nel cammino, che ti guardano da fuori e ti aiutano a vederti, come è stato per me anche con mio fratello Carlo morto anche lui – come Paul – anzitempo. Come scriveva Alberto Mario Cirese per le morti dei più giovani di lui, si sente un senso di scandalo per il non rispetto da parte del destino delle sequenze vitali, e anche un po’ di paura per la vicinanza della Nera Signora.
Di questo rapporto fanno fede anche le dediche che fece a tre suoi libri: Il tempo di cambiare (Einaudi 2004), La democrazia che non c’è (Einaudi 2006, uno dei suoi libri che più ho amato), Salviamo l’Italia (Einaudi 2010). Dediche che attestano incontri, attività in comune, sia sul piano dei convegni sul territorio (in specie la Val d’Elsa, con Fabio Dei), che degli incontri di studio in Facoltà, incontri sempre ampi e interdisciplinari [1]. Erano gli anni più densi della nostra vicinanza e colleganza a tutto campo. Ricordo la partecipazione ai Laboratori che promosse a Firenze, con Pancho Pardi come guida, della rivoluzione dei ‘professori’, dove fui impegnato anche con colleghi e allievi antropologi, e il dialogo col Preside Marrassini per rinnovare una Facoltà un po’ statica che non lo aveva accolto con entusiasmo.
Alla fine del millennio (1998 se non erro) mi aveva coinvolto assieme a Fabio Dei nel più originale degli stage di formazione alla ricerca con gli studenti che abbia mai fatto, quello su un condominio di Poggibonsi, alla ricerca della vita quotidiana, dei consumi, delle feste, delle reti del ceto medio, dei familismi amorali. Una ricerca sulla quale noi antropologi non facemmo bilanci né scritti e lui in parte utilizzò (quanto era più veloce di noi nel valorizzare i dati, nello scrivere i suoi progetti!) [2] .
Nelle sue dediche usa la parola amicizia e la parola affetto, non troppo consuete al suo stile britannico. Ci siamo incontrati con lui e con Ayse Saracgil poche volte. Paul era sempre molto concentrato nel lavoro, e quando gli chiedevi una collaborazione non voleva dire di no per amicizia e curiosità, ma non voleva dire di sì perché aveva altro da fare, ma alla lunga diceva di sì. Almeno due volte su tre. E forse per questo era anche più critico nelle scritture che gli chiedevi. L’ultima che fece per me era una sorta di box in cui commentava il racconto autobiografico di Vittorio Meoni, partigiano senese, fondatore dell’Istituto storico della Resistenza e importante figura del PCI senese:
«Dopo avere letto circa due terzi del manoscritto, ad un certo punto ho scritto una nota a margine del testo e mi sono chiesto “Ma dove è finita sua moglie?”. Qualche cenno, forse suggerito dall’intervistatore, viene fuori alla fine, con la rievocazione della famiglia d’origine di Meoni, con particolare riguardo a sua moglie Mara. Ma la famiglia non occupa un posto di rilievo analitico nella struttura generale della biografia»[3]. E per concludere: «Come possiamo mettere queste differenti sfere – il pubblico e il privato – insieme in modo che una non sia semplicemente un’aggiunta a quell’altra? Non è un compito facile, ma vale la pena di provarci».
Riportare all’attualità, dare sempre alla storia un valore di spazio attivo di valori e di progetti era il suo ideale ‘professionale’ in quegli anni. Lo faceva però mentre lavorava a una ricerca innovativa di bilancio comparativo sulla storia delle famiglie europee. Era quel ’passo indietro del torero’ che gli studi devono fare per capire meglio lo scenario da cui nasce il presente [4].
Paul per me è stato anche un maestro di ‘stile relazionale’ del docente. Non accettava per principio e per formazione profonda di essere corrivo, complice, solidale con lo studente quando era nella sua posizione di docente. Quando era relatore o correlatore pensava fosse giusto essere critico anche con lo studente ‘amico’, al quale aveva dato confidenza e dialogo. Invece noi italiani abbiamo sempre sofferto di quel familismo amorale che denunciò proprio lui. Spesso siamo protettivi verso i nostri studenti, li difendiamo come fossero ‘parenti’ e non soggetti attivi di processi di formazione che ci coinvolgono.
Più volte Paul anche nella vita della nostra Facoltà fiorentina praticò il detto – che il mio Maestro Cirese aveva quasi come emblema – «Amicus Plato, sed magis amica veritas». La differenza sta nel fatto che per Paul la verità era un processo in itinere mentre per Cirese era da scoprire dietro le strutture del mondo.
Ho pensato fosse giusto fare a Paul, che ci ha lasciati, un omaggio corale, riportando voci e testimonianze comparse su varie pagine facebook. Ricche di profili, ricordi, storie. Li riporto tutti anonimi come un coro comune, sperando che nessuno se ne abbia a male. Ma suggerisco di leggere i post di Marcello Flores con la storia dell’incontro tra le loro famiglie, bella assai, ma un po’ lunga da riportare qui:
«Nato a Londra, il 18 luglio del 1945 Paul era il secondo di tre figli di genitori ebrei, Rose (nata Gabe), farmacista fino alla nascita dei suoi figli, e Sam Ginsborg, un medico di famiglia. Ogni anno la famiglia si recava in Italia per una lunga vacanza, in auto in Toscana o nel Lazio.
Paul ha vinto una borsa di studio alla scuola di St Paul, a sud-ovest di Londra, e un’altra al Queens’ College di Cambridge, dove ha conseguito la laurea in storia nel 1966 ed è diventato ricercatore (1968-71). Gli avvenimenti del 1968 quando gli studenti di Cambridge protestarono contro il sostegno del governo laburista agli Stati Uniti nella guerra del Vietnam, e nel 1970 quando suo fratello Stephen manifestò contro la Giunta militare greca all’hotel Garden House, lasciarono un grande segno su di lui. Intervistato per la storia orale di Ronald Fraser 1968: A Student Generation in Revolt, Paul ha affermato che la repressione a cui aveva assistito “mi ha insegnato una lezione: gli studenti da soli non sarebbero mai arrivati da nessuna parte”».
«Paul era un inglese divenuto italiano rimanendo inglese, cittadino dell’Europa e del Mediterraneo. Un anglo-fiorentino, come amava dire. Un grande storico che ha scritto opere di notevole rilievo, dal libro su Daniele Manin e la rivoluzione nella Venezia della primavera dei popoli (1978) alla Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, uscito nel 1989, fino a Famiglia Novecento del 2013, passando per volumi molto impegnati sul piano civile e politico, come Il tempo di cambiare. Politica e potere della vita quotidiana, uscito nel 2004, ovvero due anni dopo quella marcia dei professori che nel gennaio 2002 ideò nelle stanze del Dipartimento di Via San Gallo e che poi animò guidando un corteo nel centro della città. Era un vero intellettuale, un grande storico, un docente appassionato, un cittadino che partecipava alla vita politica da protagonista. Una delle sue parole chiave era “connettere”, nello sforzo di creare collegamenti tra discipline diverse, di costruire ponti dalle stanze della Biblioteca nazionale centrale di Firenze alle piazze delle città. Aveva una concezione e una pratica militante della storia. Ed è stato un militante, nell’Italia e nel Mediterraneo degli anni ’70 e ’80, come nell’Università e nelle sale di convegno di fine Novecento e degli anni Duemila, fino a quando ha potuto».
«Ciao Paul.
Ci rivedremo da qualche parte. Ora mi cullo pensando ad alcune delle cose fatte assieme. Vola alto, con leggerezza ed eleganza. Lascia perdere le gelosie. Fai come hai sempre fatto. Ti abbraccio come non ho mai osato fare» [5].
«Una delle eredità più importanti di Paul Ginsborg – forse la più importante – è stata l’influenza che ha avuto sui suoi studenti… l’importanza della chiarezza, della comunicazione al di fuori dell’università, dell’apertura al dibattito, e del non trattenersi oltre il benvenuto. Quando organizzava incontri politici ha stabilito che nessuno dovrebbe parlare per più di 5 minuti».
«Negli anni del social forum era molto stimato da noi studenti no-global dell’Università di Firenze perché dialogava e ascoltava i giovani senza strizzare l’occhio ai nostri estremismi, ricordandoci sempre che lui era un borghese che credeva nella sfida cruciale del rinnovamento della democrazia liberale, fu una bella lezione di dialogo e onestà intellettuale, grazie professore».
«Giusto qualche giorno fa sono passati dieci anni dalla seduta della mia Laurea magistrale. Il professor Paul Ginsborg era mio relatore oltre che presidente di commissione. Appena seduto mi chiese se potevo spiegare il titolo della tesi che aveva trovato criptico e al limite dell’incomprensibile. L’aspetto curioso è che era stato proprio lui ad inventare e propormi quel titolo. Ricordo di aver pensato a non poche parolacce tra me e me in quel momento… poi la discussione fu molto bella perché bello era confrontarsi con lui. Anche negli anni successivi, quando frequentavo molto San Gallo dove lui insegnava, il nostro rapporto umano e scientifico è rimasto complesso e contraddittorio, a volte al limite del conflittuale essendo lui un ironico inglese ed io un testardo calabrese. Mi sembra giusto ricordarlo così, come una persona sempre onesta e sincera nei miei confronti… e di questo lo ringrazio!»
«Iscritto storico alla CGIL, prima al Sindacato Nazionale Università e Ricerca (SNUR) e poi dopo la fusione con la CGIL Scuola alla Federazione dei Lavoratori della Conoscenza (FLC), dal 2019 Presidente emerito di Libertà e Giustizia, di cui era stato fondatore nel 2002, Ginsborg aveva insegnato 15 anni a Cambridge prima di trasferirsi in Italia, dove negli anni ’80 ha avuto incarichi agli Atenei di Torino e Siena. Dal 1991 era professore ordinario di Storia dell’Europa contemporanea alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze dove ha svolto attività di docenza e ricerca fino al suo pensionamento nel 2015».
«Un ricercatore rigoroso e appassionato di grande spessore, ha saputo raccontare l’Italia come pochi altri e, fra le sue numerose pubblicazioni, spiccano i 2 volumi della Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988 (1989, poi aggiornata fino al 1996 nell’edizione del 1998), una delle prime opere ad aver ricostruito la storia dell’Italia Repubblicana fino alla caduta del muro di Berlino, formando generazioni di studenti».
«Ma è stato il suo forte impegno civico in difesa della democrazia, della legalità e della giustizia sociale a renderlo un vero intellettuale organico-gramsciano dei nostri tempi. Già attivo nelle lotte della sinistra in Inghilterra prima di trasferirsi in Italia, nel nostro Paese con la crisi della democrazia e la deriva berlusconiana era diventato un essenziale punto di riferimento del mondo progressista. Nel gennaio 2002 con decine di altre colleghe e colleghi dell’Ateneo fiorentino – professori, ricercatori, lettori, tecnici amministrativi e precari, ma anche docenti della Scuola, in gran parte iscritti alla CGIL – aveva promosso dal suo appartamento in Oltrarno la “Marcia dei Professori” con oltre 10 mila manifestanti sotto una forte pioggia che aveva attraversato il centro di Firenze in difesa dell’indipendenza della magistratura e della libertà di informazione. Da quella mobilitazione sarebbero nati a Firenze il “Laboratorio per la Democrazia” e in tutta l’Italia tantissimi comitati e coordinamenti di base conosciuti poi come “il movimento dei girotondi”, animato in gran parte da quel “ceto medio riflessivo” da lui teorizzato. La ricca esperienza del Laboratorio fiorentino dal 2002 al 2005 viene documentata in un libro del 2012 a cura di Cristiano Lucchi, Il Laboratorio per la democrazia. La politica dal basso. Sempre nel 2002 Ginsborg e gli attivisti del Laboratorio hanno dato un contributo importante ai lavori del Forum Sociale Europeo a Firenze».
«Signorile, elegante nelle giacche di tweed, spesso sorridente, comunque sempre gentile e raffinato, lo storico Paul Ginsborg, nato a Londra e naturalizzato italiano, si è spento ieri dopo una lunga malattia a 76 anni nella sua amatissima Firenze. Grande lavoratore e metodico ricercatore, ha rivoluzionato la storiografia italiana lasciando un segno profondo con i suoi studi dedicati alla Penisola, tra cui il fondamentale Storia dell’Italia dal dopoguerra ad oggi (edito da Einaudi nel 1989). Con questa opera in due volumi ha innovato il modo di raccontare le vicende storiche italiane: oltre che alle dinamiche politiche, la sua visione ha avuto la peculiarità dell’attenzione alle mentalità, al costume, ai rapporti familiari, alle trasformazioni della società civile».
E tanto altro. Addio caro Paul.
Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022
Note
[1] Nell’iniziativa che diede luogo al volume Comparativa/mente (SEID, Firenze, 2009) a cura mia e di C. Grottanelli, Paul non scrisse ma fu un discussant straordinario.
[2] P. Ginsborg, Francesco Ramella, Un’ Italia minore. Famiglia, istruzione e tradizioni civiche in Valdelsa, Giunti, Firenze 1999
[3] V. Meoni, Alla macchia sempre. dialoghi su una vita tra antifascismo e democrazia, Betti, Siena, 2016 l’intervistatore ero io con Ida, mia moglie
[4] P. Ginsborg, Famiglia Novecento. Vita familiare, rivoluzione e dittature 1900-1930, Einaudi, Torino, 2013 anche questo lo ho con dedica “Con grande affetto e stima, Paul”, forse immeritata, certo mi riempie di nostalgia e di dolore a ripensarci
[5] Un testo intenso e emozionato in cui mi riconosco molto.
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Pietro Clemente, già professore ordinario di discipline demoetnoantropologiche in pensione. Ha insegnato Antropologia Culturale presso l’Università di Firenze e in quella di Roma, e prima ancora Storia delle tradizioni popolari a Siena. È presidente onorario della Società Italiana per la Museografia e i Beni DemoEtnoAntropologici (SIMBDEA); membro della redazione di LARES, e della redazione di Antropologia Museale. Tra le pubblicazioni recenti si segnalano: Antropologi tra museo e patrimonio in I. Maffi, a cura di, Il patrimonio culturale, numero unico di “Antropologia” (2006); L’antropologia del patrimonio culturale in L. Faldini, E. Pili, a cura di, Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea (2011); Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita (2013); Le culture popolari e l’impatto con le regioni, in M. Salvati, L. Sciolla, a cura di, “L’Italia e le sue regioni”, Istituto della Enciclopedia italiana (2014); Raccontami una storia. Fiabe, fiabisti, narratori (con A. M. Cirese, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); Tra musei e patrimonio. Prospettive demoetnoantropologiche del nuovo millennio (a cura di Emanuela Rossi, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021).
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