La complessa situazione storica, politica ed economica di mutazione e disordine globale, la crisi degli stati-nazione, l’intensa mobilità in atto nel mondo che annulla le distanze spazio-temporali, le crescenti emergenze umanitarie, le diaspore conseguenti, la migrazione forzata di milioni di persone, la multietnicità attestata non soltanto nelle metropoli ma sempre di più anche nelle città piccole e grandi, le questioni connesse ai bisogni abitativi, alle convivenze, alla inevitabile conflittualità sociale, ai diversi modelli culturali di organizzazione e di gestione delle città, i processi di gentrificazione sempre più diffusi, s’impongono più che mai all’attenzione di tutte quelle scienze che indagano i molteplici aspetti della città secondo punti di vista diversi e i rispettivi metodi di ricerca.
La città affiora come un referente immaginario globale formato da diverse parti, aree o quartieri che ci permettono di farci un’idea seppure parziale del complesso urbano. Ogni modello si esplicita nella geografia che disegna, nell’urbanistica che costruisce, nel valore che vi conferisce, nell’uso dello spazio, nel significato che vi si attribuisce, nelle relazioni che vi si stabiliscono. Se la mobilità di uomini e merci, e degli stessi luoghi interessati, è il fattore costitutivo della globalizzazione economica e culturale, la gentrification è forse il complesso di fenomeni sotterranei connessi ai contesti in evoluzione, il mezzo attraverso il quale la “gentry” – un tempo la piccola borghesia inglese, oggi la globale classe media ad alto reddito – si riappropria prepotentemente dei luoghi identitari delle città, soprattutto dei centri storici. Spazi urbani prima abbandonati e rigenerati dalla presenza degli immigrati, delle classi operaie, dagli ultimi occupanti il gradino più basso della scala sociale, vengono sempre più spesso sapientemente trasfigurati in elementi di attrazione turistica ed economica, divenendo riferimenti territoriali della selvaggia movida notturna, quartieri elettivi di tendenza, aree fashionable, in cui l’apparire è sovente la forma più alta dell’essere.
Lo sviluppo urbano contemporaneo assume un carattere disneyano, una vera e propria azienda produttrice di spazio e fornitrice di servizi globali localizzati, poiché trasforma l’area “di pregio” e la sua memoria collettiva in isomorfa proprietà pubblica o privata di “gusto internazionale”, destinata alle classi sociali ed economiche “gentrificatrici”, ovvero alla new cultural class produttrice e consumatrice di un urbanesimo alternativo, ai cui bisogni si adatta la città riplasmata in habitus metropolitano economico, culturale e affettivo. Le città in cui viviamo, i loro quartieri, le loro aree, hanno una natura diseguale che si può misurare anche «nello iato tra bisogni attuali e immaginario urbano», nei processi comunicativi, nelle esperienze di consumo omologate che destrutturano l’identità e l’identificazione degli spazi sapientemente venduti al marketing urbano ma spesso deprivati delle proprie radici culturali. Sono concetti e giudizi espressi da Giovanni Semi, in Gentrification. Tutte le città come Disneyland? (Il Mulino 2015), un libro che offre un’articolata e disincantata visione dei mutamenti urbani, delle dinamiche di riqualificazione e rivalorizzazione correlate, vale a dire della complessità del fenomeno della gentrification, analizzato sia sul piano diacronico che su quello sincronico.
L’autore muove dalla storia del termine coniato da R. Glass negli anni Sessanta e ne ricostruisce l’evoluzione concettuale attraverso un excursus storico e teorico che permette al lettore di cogliere la complessità dei fattori che entrano in gioco in tale processo, il ruolo svolto da tutti gli attori coinvolti e i modi in cui i gruppi sociali si fanno consumatori e produttori di luoghi in conformità o in difformità rispetto al processo di omologazione ad uno stile di vita globale. «Forse tutte le città sono Disneyland – scrive Semi – o lo stanno diventando, ma i loro abitanti possono decidere di non essere dei semplici turisti, di non comprare il biglietto o il pupazzo che viene loro venduto». La gentrification è un fenomeno introspettivo e autoriflessivo che assomma e racchiude in sé ogni aspetto legato alla produzione di spazi e luoghi, poiché è il risultato delle nostre scelte, condizionate e condizionanti, che prendono forma «indirizzando la città verso un modello di cambiamento e di sviluppo». Le parole di Semi innescano l’imprescindibile bisogno di osservare gli spazi in cui viviamo la nostra quotidianità, ciò che spesso vediamo ma non guardiamo, ci invita a «cogliere i nessi tra quello che a un occhio non ancora allenato appare una semplice riqualificazione urbana e invece è l’essenza stessa del mutamento sociale in cui siamo immersi». Un bisogno, quello dell’osservazione dei contesti che mutano ad una incalzante velocità gentrificatrice, che si prefigura quasi come un’azione cautelare della condizione soggettiva ed oggettiva di tutti coloro che abitano l’urbano in modi diversi.
Se è vero che non esistono puri e assoluti spazi euclidei, non essendo dati o fondali neutri ma costruzioni dell’uomo ed esistendo in quanto produzione socio-culturale, nei contesti urbani l’uso differenziato degli spazi riflette rapporti di potere all’interno della società, ideologie politiche ed economiche, divisioni sociali, intraetniche ed interetniche. In questo senso, la gentrification muta innanzitutto la concezione socio-culturale dello spazio urbano, fortemente influenzata da una serie di dinamiche economiche, geografiche e urbane, quali la riqualificazione edilizia dell’area degradata, il cambiamento della gestione abitativa da affitto a proprietà, l’ascesa dei prezzi, l’allontanamento (displacement) o la sostituzione (replacement) dei preesistenti ceti popolari con le classi medie gentrificatrici. La sua conoscenza non può dunque prescindere dalle relazioni tra le società e gli spazi a cui queste danno vita, per effetto del costante dinamismo sociale, economico e politico che caratterizza le città.
Gli studi antropologici, geografici e sociologici sui fenomeni urbani muovono dagli orientamenti scientifici maturati nella Scuola sociologica di Chicago tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. I sociologi sottolineavano l’utilità del metodo etnografico per osservare le città nordamericane, le loro dinamiche interetniche, sociali e generazionali. Il metodo dell’osservazione partecipante proprio dell’antropologia permetteva allo studioso di fare esperienza del contesto, di cogliere dagli spazi urbani oggetto di analisi i luoghi investiti di significato e i tratti cruciali dell’interazione, nonché le storie di vita degli attori abitanti. La dimensione microscopica dell’ambiente urbano corrispondeva ad unità di analisi analoghe a quelle che gli antropologi avevano individuato nelle società tradizionali: si va alla riscoperta del quartiere, del vicinato, della subcultura e si concepisce la città come un “mosaico di comunità”, ognuna delle quali assumeva le caratteristiche di un mondo sociale e morale definito, i cui confini erano individuabili in termini etnici o di classe sociale. «Descrivere le differenti “regioni morali” o “mondi sociali” divenne il principale obiettivo dei sociologi di Chicago», ha scritto a questo proposito Hannerz. Allo stesso tempo gli studiosi rilevano nella vita urbana l’aumento della divisione del lavoro, l’indebolirsi dei legami di parentela, l’acuirsi della lotta per l’esistenza e la competizione per lo spazio, con particolare attenzione alle questioni relative alle loro interferenze reciproche.
Uno degli esponenti di spicco dell’Università di Chicago fu R. Park, fondatore insieme agli allievi E. Burgess e R. Mc Kenzie, della scuola ecologica di Chicago. Nell’analizzare i meccanismi sociali della vita in città, Park si basa sui quartieri della Chicago degli anni Trenta – un vero e proprio laboratorio sociale, caratterizzato da un rapido sviluppo industriale e da una conseguente grande crescita demografica dovuta soprattutto a massicce ondate migratorie, documentate anche attraverso la divisione dello spazio urbano. All’interno dei quartieri che non rimangono stabili nel tempo giocano un ruolo fondamentale i processi di concentrazione e/o segregazione etnica e residenziale, fortemente influenzati dalla competizione per lo spazio, che fa della città «un mosaico di piccoli mondi che si toccano, ma non si interpenetrano». Da questi presupposti Park sviluppa una “ecologia umana” concernente l’interpretazione della città attraverso le idee della biologia evoluzionista: una teoria dell’adattamento delle società umane all’ambiente in cui i processi selettivi tra i gruppi sono applicati all’analisi delle zone urbane. Queste ultime vengono considerate delle “aree naturali” formate spontaneamente e non pianificate, nelle quali solamente gli individui più adatti si affermano sul territorio urbano, ricorrendo spesso al conflitto e alla lotta per la sopravvivenza, in funzione di una sorta di “darwinismo sociale”. È appena il caso di precisare che nella loro creazione svolgono un ruolo di primaria importanza i processi economici (per esempio il processo di industrializzazione a Chicago): coloro che non possono permettersi il costo dei trasporti si concentrano nelle vicinanze del luogo di lavoro, solitamente la zona abbandonata dai residenti autoctoni, trasferitisi nei sobborghi.
Seppure i sociologi della Scuola di Chicago hanno suscitato le critiche di molti studiosi, queste teorie ci permettono di focalizzarci su alcuni degli elementi ancora oggi fondamentali nell’analisi spaziale: l’importanza del metodo etnografico dell’osservazione partecipante e della ricognizione dell’ambiente urbano nelle sue interne articolazioni, la centralità della competizione per lo spazio, in conseguenza dei flussi migratori, della crescita demografica, dei processi di urbanizzazione e di suburbanizzazione, della speculazione immobiliare. Si tratta della trasformazione della natura sociale del quartiere di cui parla Glass in riferimento al primo caso di gentrification nella storia urbana, la Londra degli anni Sessanta, «una trasformazione che è innanzitutto abitativa e la cui manifestazione fondamentale è il ricambio di popolazione che genera» per mano dei gentrificatori con “atteggiamento colonizzatore”.
Dal momento che tutte le pratiche di un gruppo sociale si possono tradurre in termini spaziali, ogni luogo ha un suo significato, intelligibile solo tra i membri di quel gruppo; allo stesso tempo le pratiche del gruppo sono modellate anche dall’abitudine, e così portano il segno di vecchie configurazioni spaziali. A loro volta, le forme dei luoghi sono segnati da vecchi rapporti sociali, da preesistenti pratiche, da abitudini radicate in territori ancora più antichi; quindi identità sociale e identità spaziale si producono e riproducono a vicenda l’una in rapporto all’altra. In altre parole, quando un gruppo prende possesso di un territorio, lo trasforma materialmente a sua immagine, sulla base delle proprie visioni del mondo e delle attività a cui si dedica, ma allo stesso tempo il gruppo subisce le costrizioni materiali della propria creazione e dei sistemi di valori che custodisce. Lo spazio diventa pertanto contenitore e contenuto, avendo densità di memorie storiche conserva e mette sotto gli occhi dell’osservatore di oggi tracce delle organizzazioni sociali, degli stili di vita e dei sistemi simbolici di ieri. Pensiamo alla conformazione dei paesaggi e dei campi, alla struttura delle città, all’impianto delle strade, all’articolazione dei quartieri, alla tipologia delle abitazioni: un insieme che riesce a durare più a lungo delle circostanze che hanno prodotto ciascuno elemento, un organismo urbano complesso che, con il passare del tempo e delle diverse società che vi abitano, subisce un processo di rifunzionalizzazione e di riutilizzo. Si aggiunga che, pur nel divenire delle trasformazioni, rimane la forma, per esempio l’architettura delle città o di un quartiere, ma se ne perde il suo senso originario, sostituito dai nuovi significati che vengono attribuiti.
L’aspetto evidente della città contemporanea spesso non corrisponde alla vera realtà, ciò ne fa un campo privilegiato della ricerca semiotica del “senso”, non soltanto per quanto riguarda le forme, che utilizzando una prospettiva di studio empirico della significazione urbana, cerca di far interagire tali prospettive con l’immaginario a fondamento della metropoli. Se consideriamo la città come fonte di interazione e comunicazione, stratificazione di messaggi storici custoditi dalla sua memoria, possiamo semplificare lo studio urbano dal punto di vista semiotico distinguendo tra la “città enunciata”, «come è organizzata e costruita ma anche come è rappresentata, messa in scena, immaginata, raccontata, descritta, criticata, spiegata, abitata da una serie di linguaggi, o per meglio dire di discorsi, anche molto diversi» – per usare le parole del semiologo Gianfranco Marrone –, e la “città che enuncia”, la città-soggetto, e le società che abitano e vivono gli spazi della città, i produttori di senso che in essa creano la propria identità.
Se è vero che l’uomo costruisce la sua socialità anche attraverso gli spazi che plasma in base alle sue esigenze, adattandoli così al suo stile di vita, gli spazi e i luoghi hanno una valenza simbolico-cognitiva e sono legati indissolubilmente all’uso che ne fa e alle relazioni che istituisce in essi, con essi, attraverso essi. Vivere in uno spazio, però, non significa semplicemente farne uso, ma significa soprattutto identificarsi con l’uso che di quello stesso spazio si fa, significa riconoscere la complessità di un mondo sociale, allo stesso tempo individuale e collettivo, in cui ognuno vi costruisce e proietta la propria identità, i propri modelli socio-culturali. Per questo in un approccio analitico interdisciplinare, una chiave di lettura socio-spaziale della gentrification potrebbe essere offerta anche dalla semiotopia, la quale suggerisce di guardare allo spazio urbano, la città, come un testo spaziale polisemico e stratificato, in continua trasformazione, che l’uomo deve decifrare sulla base delle unità e delle relazioni proprie di ogni “testo” spaziale, delle interazioni tra uomini e cose, e non semplicemente degli elementi architettonici e paesaggistici.
La forma delle città può non cambiare, ma cambia il loro senso originario. «Ciò che si vede sono le case rimesse a nuovo e alcuni abitanti “diversi” che si aggirano per quartieri precedentemente ritenuti degradati, ma che nasconde, come un iceberg, un passaggio di mani generalizzato delle proprietà immobiliari. Molti proprietari tradizionali lasciano infatti il passo a capitalisti immobiliari più strutturati». Semi sottolinea che le città sono produttrici di cultura: i diversi gruppi sociali producono simboli e li mettono in mostra dando vita a conseguenze materiali; quest’ultimo è proprio il problema sollevato dalla gentrification. Non a caso «i nuovi spazi del consumo sono legati in maniera diretta alla gentrification perché gli attori coinvolti nell’acquisto degli appartamenti rimessi a nuovo sono gli stessi che producono la rappresentazione collettiva del consumo pubblico negli spazi urbani».
A guardar bene dentro la dimensione e la dinamica delle città contemporanee, per capire cosa accade nei diversi contesti interessati da processi di gentrificazione è imprescindibile guardare anche alla produzione politica della città, alle decisioni intraprese in materia di gestione del bene pubblico e di rigenerazione degli spazi, operazioni che intervengono localmente ma proiettano il globale nel locale producendo fenomeni simili in contesti geografici distanti. La gentrification, infatti, precisa Semi, «non è solo una questione di capitali economici e di prezzi, ma mostra bene la relazione che intercorre tra questi, le scelte di politica urbana e i mutamenti nella struttura delle società contemporanee, in particolare la comparsa di nuovi attori sociali di massa». In essa confluiscono e si stratificano «generazioni, valori e culture urbane», l’anima dei quartieri, il flusso di uomini ed eventi che l’hanno determinata geograficamente, storicamente, socialmente, economicamente ed urbanisticamente.
In conclusione, dalle pagine del denso volume di Giovanni Semi affiora tutta la complessità dei fenomeni sociospaziali che, su scale diverse, prendono parte alla trasformazione urbana. La storia evolutiva della gentrification ricostruita dall’autore – dalle metropoli di fine Ottocento al “Quadrilatero romano” di Torino, dal Greenwich Village della New York degli anni Trenta alla disneylandizzazione delle città, dai quartieri per famiglie alle enclave arcobaleno, alle botteghe bio, ai negozi vintage, ai marchi transnazionali, dai ruoli svolti dai policy-maker alla lotta contro la gentrification e ai manuali antigentrification a uso delle comunità locali – si presenta come un’esplorazione stimolante per riflettere criticamente su un termine “cacofonico” relativamente recente, entrato a far parte dell’uso comune seppur poco conosciuto nel suo significato e nelle problematiche a cui rimanda, ma soprattutto per ragionare su quanto le dinamiche spaziali e i luoghi siano specchio e predizione dall’avvicendarsi umano passato, presente e futuro. Il suggerimento che rende ulteriormente prezioso il contributo conoscitivo che questo studio può offrire al lettore è quello di cambiare prospettiva e riconoscere che «un quartiere che cambia è in relazione con la città che lo contiene», poichè «guardare ai cambiamenti di una strada o di un quartiere, se in possesso degli occhiali giusti, consente di avere una finestra sul mondo».
Dialoghi Mediterranei, n.16, novembre 2015
Riferimenti bibliografici
U. Hannerz, Esplorare la città. Antropologia della vita urbana, Bologna, Il Mulino, 1992
G. Marrone, Senso e metropoli. Verso una metropoli post-urbana, Roma, Meltemi, 2006
G. Marrone-I. Pezzini (a cura di), Linguaggi della città. Senso e metropoli II: modelli e proposte d’analisi, Roma, Meltemi, 2008
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Francesca Rizzo, laureata in Beni demoetnoantropologici e specializzata in Studi storici, antropologici e geografici presso l’Università degli studi di Palermo, è impegnata nel volontariato culturale e in attività di ricerca etnografica sul territorio. È interessata ai temi dell’antropologia dello spazio e dei processi migratori.
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