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Storie di corpi: la fotografia di Francesco Faraci

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

di Antonina E. Ferruzza Marchetta 

La fascinazione per il potere evocativo del corpo delle periferie urbane non è un fattore che si insinua casualmente nel percorso di Faraci, ma si inscrive come preciso riscatto personale ed autobiografico. La sua infanzia è per l’appunto marchiata dalle stesse dinamiche di cui tiene meticolosamente traccia nel proprio lavoro fotografico. L’elemento determinante però a livello stilistico è la scoperta di Pasolini che con i suoi Ragazzi di vita folgora e impregna i suoi futuri progetti, nonché l’ossatura filosofica del suo agire.

Nel suo primo libro fotografico, Malacarne, (Faraci 2016) seguito nel 2020 da Atlante umano siciliano – troviamo un preciso rimando all’anelito pasoliniano di narrare i contesti di vita degradati – ed in particolare i corpi che li abitano – esaltandone il carattere puro, disinvolto, pre-morale, estraneo alla disciplina del soma e all’ipercontrollo comportamentale che contraddistingue la borghesia.

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

I corpi e le loro conformazioni, l’abbigliamento – unitamente ai luoghi nei quali sono iscritti – denunziano irrevocabilmente una certa provenienza.

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

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Ove la vita scorre apparentemente indisturbata i volti sono distesi, smaglianti, i corpi slanciati e tonici, patinati dal denaro – remedium all’ageing tanto quanto alla malattia – non lesi nella loro facies fisica. Invece in altri quartieri segnati da una pervasiva atmosfera di melanconia:

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

«Le scosse della vita si ripercuotono negli sguardi. I visi asciutti, trasformati  dal tempo in fiumare, occhi che assumono la consistenza di frastagliate scogliere. Su certi solchi della pelle è possibile rintracciare il magma che li ha nutriti. La fisionomia delle persone è come una lettera che disvela innominabili segreti. Le fattezze di un viso raccontano, inducono al viaggio»  (Faraci 2022: 45). 

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Sono segni – nell’accezione latina di signum – squarci, ferite, nel reale che cercano di comunicarci qualcosa di estremamente limpido, cristallino: storie di individui che si arrabattano in un clima malavitoso dove il cibo è un bene di lusso, la sopravvivenza un miracolo che fa tirare sospiri a fine giornata.

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Il corpo ritratto di queste creature, eternato da un bianco e nero che mette in risalto il pathos che li attraversa, le ombre di cui sono portatori, è un significante ancorato al suo significato: dunque un atto costitutivamente rivoluzionario, per la sua disarmante onestà.

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Il processo percettivo richiamato da queste foto fa pensare alla gamma dei lemmi che si annidano attorno al termine claritas: «Simplicitas significa tutto questo: simultaneità di percezione. Semplice è ciò che mostra la completezza della sua condizione nell’attimo presente, immutabilmente. Semplice significa unitario» (Gardini 2018: 141).

E ancora, citando Barthes: «Si direbbe che la fotografia porti sempre il suo referente con sé, tutti e due contrassegnati dalla medesima immobilità amorosa o funebre, proprio in seno al mondo in movimento; essi sono appiccicati l’uno all’altra, membro per membro, come, in certi supplizi, il condannato incatenato al cadavere» (Barthes 2009: 9). 

La dignità attribuita al corpo, limpido, parlante, è riscontrabile anche nei reportage condotti per personalità dello spettacolo, quali Lorenzo Cherubini e Achille Lauro. La folla che si accalca ai concerti di Jovanotti – in  diverse località balneari italiane – durante i suoi ‘Jova Beach party’ richiama a quella quotidianità nobilitata dei ragazzi di strada.

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Così come le foto al cantante Lauro, ripreso nel quartiere della sua infanzia, tornano ricorsivamente allo stesso tema: la natura umana, nuda e cruda, ripresa senza veli, nel suo gradiente 0, nella sua eleganza e fatiscenza intrinseca, universale.

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Gli sguardi e le pose delle celebrità non si distinguono così nettamente da quelle dei ragazzi dello Sperone intenti a fissare le onde del mare, nei bambini di Brancaccio che giocano tra le macerie, perché in entrambi i casi è lo spirito della vita, in quanto slancio vitalistico, a trionfare solenne. Nonostante ciò, tale intento universalizzante, non cancella il desiderio del fotografo di fare spiccare attraverso i connotati estetici le storie biografiche, soggettive.

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

«Nei volti degli zingari ho scorto il destino del loro popolo. Sulla pelle, nei loro movimenti, mi è parso di intravedere la sofferenza tramandata di madri in figli, come se fosse inscritta nel loro sangue. Ho visto la guerra nei loro occhi, l’essere scampati alla morte. Ho visto lo sradicamento, l’esilio nelle loro mani callose. Il sibilo delle bombe e dei missili nelle fessure tra i denti dei bambini» (Faraci 2022: 49).

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Da due anni a questa parte Francesco frequenta, giorno per giorno, il quartiere di Brancaccio: una lingua di terra, poco distante dalla marina di Palermo, segregata dal resto del mondo da uno spesso muro di confine, costeggiato da un passante ferroviario. Lì lo aspettano ansiosi i ragazzi e bambini del luogo: Marianna, Ivan, Carlotta, Emily, per citarne solo alcuni. È’ con loro che passa la maggior parte del tempo, intervallando momenti di tacita osservazione all’ascolto delle avventure dei ragazzi, al dispensare piccoli consigli e punti di vista.

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Grazie alla complicità con altre figure locali – tra le quali il parroco, Don Maurizio e un’educatrice – vi era il progetto, in cantiere, di costruire una scuola popolare: uno spazio di ascolto, discussione, accoglienza, per valorizzare il potenziale creativo sopito di adulti e bambini, che versano in uno stato di dilagante analfabetismo. 

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

L’eredità dei grandi maestri dell’educativa di strada è chiara e forte, da Don Milani, a Don Ciotti, passando per Danilo Dolci. L’idea di fondo è una lotta condivisa alla società capitalistica, cui si oppongo gli insegnamenti del Vangelo, quale testo di potenza rivoluzionaria per l’amore e gli insegnamenti che rivolge agli oppressi e agli emarginati.

 Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Ma tale processo di acculturazione del margine non può che avvenire tornando a celebrare il fascino della strada – luogo nel quale deve essere realizzata la nuova scuola – con la sua ‘tragica bellezza’, il suo ‘tempo obliquo’, gli odori di sugo e panni stesi, le sue donne dai seni prosperosi ‘come tettoie’, le madonne e i santi appesi ad ogni crocicchio, che si oppongono al turismo di massa e alla glocalizzazione dello spazio. Per ritornare ad apprendere in modo ecologico bisogna tornare a vivere la strada attraverso il corpo: «La strada è dentro di noi, da qualche parte tra il cuore e la pancia» (Faraci 2022: 35). 

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Saturati da questa full immersion nell’universo fotografico di Faraci, ci si potrebbe domandare cosa ci si porti, cosa resti in noi custodito, del suo sguardo verso il mondo. Semplici immagini – facenti parte di una tradizione già percorsa, come dalla celebre Letizia Battaglia – oppure finestre ‘ambigue’, mobili, proiettate verso una realtà nella quale si è spinti a interrogarsi perpetuamente sui valori che costituisco l’essere umano?

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Ciò che rimane, a mio avviso, al fondo di tutto, nello sfaccettato approccio esistenziale, antropologico, sociologico, naif, di Faraci, è un insegnamento collettivo: quello di educarsi ad uno sguardo nuovo, mondato dai pregiudizi che sovente attanagliano la nostra mente, per auto-stimolarci a percepire il mondo in maniera extra-ordinaria. Disciplinare lo sguardo, riportandolo alla sua saggezza emotiva – biologicamente predisposta alla meraviglia – è l’insegnamento più grande che questo fotografo, di grande sensibilità, ci vuole restituire.

Corpi (ph. Francesco Faraci)

Corpi (ph. Francesco Faraci)

«Dieci anni fa, quando iniziai quasi per gioco a scattare fotografie – perché non le “cercavo” ancora – ebbi la sensazione di vedere Palermo per la prima volta. Eppure, le strade, i vicoli, le piazze, interi quartieri erano sempre stati lì, nulla si era mosso. Attraverso il mirino della macchina fotografica, inquadrando qui e là, facevo amicizia con tutto ciò che fino ad allora avevo disprezzato. Trovavo la mia città troppo “stretta” e non sentivo, nei suoi confronti, alcun tipo di trasporto. Potrei dire che la odiassi, ma solo perché non riuscivo a sentire la magia che era capace di trasmettere. Invece, in questa città, ho imparato a perdermi, a lasciarmi attraversare dalla vita. Ho imparato, col tempo e l’esperienza, l’abissale differenza tra vedere e sentire un luogo» (Faraci 2022: 39). 

Dialoghi Mediterranei, n. 70 novembre 2024 
Riferimenti bibliografici
Roland Barthes, La camera chiara, nota sulla fotografia, Einaudi, Torino 2003.
Francesco Faraci, Malacarne. Kids come first, Crowdbooks, Livorno 2016.
Francesco Faraci, Anima Nomade. Da Pasolini alla fotografia povera, Mimesis, Milano 2022.
Nicola Gardini, Le 10 parole latine che raccontano il nostro mondo, Garzanti, Milano, 2018

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Antonina Eugenia Ferruzza Marchetta, dottoressa in Lettere Moderne, presso l’Università di Bologna, laureanda alla magistrale in Psicologia Clinica dell’Infanzia e dell’Adolescenza e al Master di ArtiTerapie e Terapie Espressive – con specializzazione in danzaterapia – alla Cattolica di Milano. I suoi interessi culturali si incentrano sul rapporto tra linguaggio, psiche e corporeità, declinati attraverso diverse discipline di matrice artistica. È practitioner del Metodo Feldekrais (somatica), insegnante e danzatrice di un derivato contemporaneo della bellydance, e ha collaborato con la rivista Balarm.
Francesco Faraci, antropologo di formazione è fotografo il cui stile attraversa il genere del reportage, la street photography e il fotogiornalismo. È diventato celebre immortalando le periferie urbane di Palermo. Tra i suoi lavori si annoverano collaborazioni con personaggi dello spettacolo: Lorenzo Cherubini, Achille Lauro, Alessandro Cattelan. Ha alle spalle diverse pubblicazioni (Malacarne, 2016, Atalante umano siciliano, 2020, Anima nomade 2022) e premi internazionali. Le sue mostre sono allestite, e i suoi workshop condotti, tra l’Italia e il mondo. Ha appena dato alle stampe il suo ultimo libro, un romanzo dal titolo: Brancaccio. Le viscere di Palermo (Zolfo editore).

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