Il 2021 è un anno che ricorderemo per la pandemia, e per le numerose vite che ha sottratto alle nostre famiglie e alle nostre comunità, ma anche come l’anno in cui abbiamo riscoperto il potere dei libri che ridanno senso e speranza ai nostri giorni nel viaggio che dall’inferno scatenatosi con il covid-19, attraverso il purgatorio dei vari lockdowns, ci hanno sostenuto e incoraggiato alla resilienza e alla perseveranza, nell’attesa di quel paradiso che per molti coincide con un agognato ritorno alla ‘normalità’, per altri con l’inizio di una rinnovata umanità. Non è un caso a mio avviso che il 2021 celebri due grandi scrittori: il primo, il Sommo Poeta Dante, a 700 anni dalla sua morte il 14 settembre del 1321, e il secondo, più contemporaneo, saggista e romanziere, Domenico Rea a 100 anni dalla sua nascita, l’otto settembre del 1921. Il primo, fiorentino e il secondo napoletano, hanno in comune una scrittura civica, quella che smuove le coscienze, quella che nell’ascesa tutta simbolica verso il paradiso celeste, e nella discesa nel paradiso dei diavoli di Napoli offre modelli per costruire un paradiso su questa terra, qui e ora.
Il Poeta e lo scrittore hanno anche in comune una sorta di ossessione con l’acqua e in particolare con quella del Mediterraneo. Dante scrive un poema acquoreo, come definisco la Commedia in Il mare salato. Il Mediterraneo di Dante, Petrarca e Boccaccio (Viella 2020), e Rea fa di quel mare il protagonista indiscusso della sua prolifica opera saggistica e narrativa. Si sa il mare non bagna Firenze, e per Anna Maria Ortese non bagnerebbe neanche Napoli (Cfr. A. M. Ortese, Il mare non bagna Napoli, Einaudi 1953), ma un attento osservatore come Rea indaga su Napoli e lo fa guardando proprio al mare, ispirandosi a un ospite illustre della città partenopea, Boccaccio la cui opera è attraversata dal Mediterraneo, dal Filocolo alla Genealogia degli dèi gentili.
Nel 1958 Rea scrive su Boccaccio a Napoli [1], un soggiorno durato quasi dieci anni, e mette in luce con fare pioneristico il ruolo che il Certaldese affida al Mediterraneo portando a galla, per usare una terminologia marittima, la natura ambivalente e spietatamente realistica del mare, la sua pericolosità e la sua fisicità, il suo essere ‘acqua’, chiara fresca e dolce acqua come lo descrive Valeria Parrella (La Repubblica, 4 giugno 2021), in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente: «quella stantia», scrive Parrella, «non è come quella pura di montagna ed è per questo che va tutelata. Perché ricorda i nostri errori, le correzioni. Perché lega i viventi». E sono proprio i viventi i protagonisti del mare di Boccaccio, quelli che in quel mare hanno bagnato i piedi, uomini e donne che ritraggono una straordinaria umanità in movimento, e storie non sempre a lieto fine soprattutto per le donne rapite, abusate scambiate come merci in un Mediterraneo poco clemente, più per l’azione dell’uomo che per quella delle avversità del tempo [2].
In occasione del centenario della nascita di Domenico Rea, nelle poche pagine che seguono ho voluto omaggiare lo scrittore, e non per ragioni sentimentali visto che nel 1924 si trasferisce a Nocera inferiore vicino alla mia natia Sarno [3]. Ma cosa si intende per dialoghi mediterranei quando si parla di Rea, e che ruolo ha il mare nell’opera di questo scrittore che provava fascino e terrore verso questo spazio che è strada e ponte tra Napoli e il mondo? Come Boccaccio, Rea crede che la ricostruzione delle nostre comunità ferite e lacerate dalla peste, o dalla pandemia come quella da covid-19, avvenga a partire e attraverso il racconto e la scrittura. A questi, ovvero al libro, e alla letteratura, Dante e Boccaccio affidano il progetto di cambiamento e ricostruzione di una umanità ferita che con resilienza e perseveranza, la lieta brigata del Decameron e il pellegrino-marinaio della Commedia, lanciano nuovi modelli di cittadinanza in cui ognuno fa la sua parte e insieme si ricostruisce il lacerato tessuto sociale. Rea ha lo stesso progetto per Napoli, con una scrittura che arriva dentro il cuore delle cose, che racconta e denuncia, affidandosi al mare, come fanno Dante e Boccaccio che al Mediterraneo affideranno un ruolo civilizzatore senza mai cedere al sentimentalismo.
Molti saggi di Rea, incluso Boccaccio a Napoli provengono da Il re e il lustrascarpe, scrigno a cui lo scrittore affida le sue riflessioni sulle “due Napoli” [4], quella del re e del lustrascarpe, un testamento per le generazioni di scrittori successivi, una testimonianza di un amore per la città nella sua ambivalenza, l’invito a una scrittura engagée, impegnata e politica, a vantaggio della polis, della comunità che egli si propone di descrivere e di accusare sulla scia di Brecht, per poter operare un cambiamento proprio sotto il segno del Boccaccio del Decameron dove si racconta come, davanti ai disordini morali, sociali ed economici portati a Firenze dalla peste, sette donne e tre uomini gettano le basi per ricostruire la comunità. Una scrittura civilizzatrice, quella è capace di una «energica chirurgia» (Boccaccio a Napoli) per incitare al cambiamento, e all’immagine del tutto inedita di un Boccaccio mediterraneo, prima che napoletano.
Rea celebra Boccaccio per la sua rappresentazione del mare e dei suoi pericoli reali: mare di tempeste, di naufragi, di pirati e mercanti senza scrupoli che poco hanno di diverso dai pirati proprio come quel Landolfo Rufolo che per trasricchire (si veda Decam. II, 4), lui che aveva già accumulato ricchezze commerciando nel Mediterraneo da Amalfi a Cipro, decide di darsi alla pirateria. Boccaccio, come se avesse vissuto in prima persona la furia del mare, lui che non aveva mai messo piede su una barca, descrive una tempesta e il naufragio, e offre un dettagliato e concitato racconto della vicenda di questo personaggio del Decameron [5].
Ma che cos’era il mare per Rea? Rea coglie lo sguardo di Boccaccio circa l’aspetto infuriato del Mediterraneo e fa propria quella descrizione dell’«aspetto fisico del mare che resterebbe un elemento superficiale se non vi si aggiungesse quel sentimento tipicamente avventuroso che sta alla base della rappresentazione del mondo napoletano, città di terra e di mare, da cui passa tante gente e ciascuno con la sua storia» (Cfr. Boccaccio a Napoli).
E Rea anche in questo mostra di essere di nuovo un lettore attento del Decameron quando, uno dei primi, mette in evidenza che VIII 10 sia l’unica descrizione esistente, utile agli storici dell’economia e della cultura, di una dogana e del suo funzionamento in una novella intrinsecamente mediterranea [6], ambientata a Palermo dove si reca il toscano Salabaetto a vendere la restante mercanzia, panni che non aveva venduto al mercato di Salerno. Il Certaldese ebbe una «minuta conoscenza della vita commerciale, del traffico portuale, della svariatissima gente che gironzola intorno a quei luoghi per guadagnare con ogni mezzo la giornata», in cui sembra di assistere all’equivoco traffico che si aggira intorno al porto di Napoli quando vi sbarcano legni stranieri e marinai e gente d’ogni parte del mondo» (Cfr. Boccaccio a Napoli).
Anche Rea aveva osservato più volte quelle giornate di traffico intenso nei porti, e non solo di Napoli poiché ci racconta anche dei porti di Pozzuoli e Ischia, e del rito della pesca che aveva affascinato Boccaccio al punto da rievocarlo nella novella X 6 ambientata a Castellamare di Stabia.
Da quella continua trasposizione messa in atto nella ‘sua’ lettura del Boccaccio napoletano e mediterraneo, si riconosce quanto la presenza del mare conti nella biografia storica e poetica di Rea che guarda a quel «selvaggio elemento» [7], dei suoi pericoli concreti, senza risparmiarsi. Al mare e ai suoi pescatori Rea dedica le sue riflessioni. In Un mare diffamato, mostra i veri colori di un acquerello stanco di un artista che si arrende e costringe a vedere che il mare bagna Napoli, a differenza di quanto sostiene la Ortese, ma no, non è bello, sfatando il verso di Torna a Surriento «vir o’ mar quant e’ bello».
Il repertorio canoro napoletano è parte integrante della riflessione di Rea su ciò che ha contribuito a diffamare quel mare mistificandone la rappresentazione, chiudendo gli occhi sulla sua vera natura di «mare mutevole e capace di immobilità da bestia in agguato» (Un mare diffamato), e la vera condizione dei ‘mendicanti subacquei’ come chiama i pescatori [8]. Ma come si diffama il mare? Facendo il contrario di ciò che fece Boccaccio nel Decameron, spacciandolo per un mondo favoloso e fantastico, «un mare da canzonette, un laghetto per gare di canottieri» (191), non il porto che fu al tempo di Landolfo Rufolo, uno dei più importanti del Mediterraneo. Da qui, la fallita scommessa della modernità di Napoli per Rea: non aver sfruttato il suo mare per trarne delle buone entrate come nel passato, quello medievale e post-bellico.
Insomma, da questa recente ricerca su Rea e Napoli, prepotente emerge la duplice natura del mare nostro e familiare, ma anche nemico, «bestia in agguato» [9] come in quella «pagina di mare» che Boccaccio scrive per raccontare di Landolfo Rufolo, mare che è anche quello di Brueghel il Vecchio, tempestoso come il cielo di Napoli, nerissimo ma che ha sempre un foro da cui sgorga una luce abbagliante (D. Rea, Pensieri della notte).
Sul brusìo del porticciuolo, in un mare di rifiuti e turisti distratti, in un affresco che solo Montale prima di lui seppe comporre del Mediterraneo, si staglia l’immagine solitaria di un pescatore, e di un pesce che combatte per la sua sopravvivenza. Vien fuori dal mare come un uomo morente aggrappato a una fune: «se non fosse ferito a morte», scrive Rea, «si ucciderebbe sbattendosi sul basolo». Leggiamo questo accorato grido di Montale davanti a ciò che è diventato il Mediterraneo in una poesia del 1924, e di cui si sente l’eco nelle pagine reane:
Antico, sono ubriacato dalla voce
ch’esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane,
t’era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l’aria le zanzare.
Come allora oggi la tua presenza impietro,
mare, ma non più degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m’hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso:
e svuotarsi cosi d’ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.
(E. Montale, Mediterraneo)
Come in Ferito a morte, titolo di un romanzo che valse un premio Strega nel 1961 a un altro cantore di Napoli, Raffaele La Capria, è l’uomo protagonista dell’opera di Rea. Un’immagine del pesce e del suo pescatore entrambi feriti a morte, che trasmette tutto il senso che Rea come il “suo” Conrad affida al mare inteso nei termini di «misura delle cose», uno spazio affabulatorio che racconta Napoli e un’umanità modesta e sofferente, la stessa che ritrae Caravaggio di cui provo a ripercorrere le tracce nella saggistica e nei romanzi di uno scrittore che con il pittore delle Sette opere della Misericordia (1610, Pio Monte della Misericordia, Napoli), condivide un’irrequietezza creativa.
Sono uomini e donne consumati dalla fame e dalla fatica, a cui Rea, sulla scia di Boccaccio che fa scendere le Muse dal Parnaso (Intro Decam. IV), restituisce dignità immettendoli nella letteratura, ritratti nella loro dignitosa resilienza, e per il loro «sangue freddo», come quel pesce preso al porticciuolo di Ischia, che, pur ferito a morte, «ritorna a sbattere» alla maniera di quelli pescati da Glauco che nel racconto di Ovidio ritornano in vita dopo aver mangiato una certa erba [10]. «Cerca acqua, cerca vita», quel pesce ormai tutt’uno con il pescatore e con il ritratto dell’“altra” Napoli dimenticata dalla letteratura che Rea non esita a definire «dei piagnistei». Le acque del Mediterraneo di Rea non sono tranquille, come ironicamente vorrebbe farci credere in Per acque tranquille, e lo dice in difesa di un mare che è stato diffamato dai suoi scrittori.
Nell’anno delle celebrazioni della sua nascita, la scrittura di Domenico Rea, oggi più che mai, alla luce delle disparità socio-economiche esasperate dalla pandemia, invita a credere fermamente nel valore della letteratura per il progresso della civiltà contro ogni forma di superstizione, una letteratura che si pone in ascolto del mare e registra con fare da antropologo il racconto di una umanità dimenticata per denunciarne e risollevarne le sorti, senza fare sentimentalistico. L’invito di Rea saggista e scrittore innamorato di Napoli, è di guardare a quel pesce, ferito a morte ma che ritorna in vita come quelli nel mito di Glauco di ovidiana memoria, esempio di resilienza e di perseveranza di un popolo, quello napoletano e di un Paese, l’Italia che si rialza e ritrova sé stessa e la sua identità nelle radici millenarie del Mediterraneo, le funi sommerse di un mare di accoglienza e di scambio, luogo di fisicità concreta e tangibile, e non mare da cartolina, perché nessuno sia lasciato indietro e nessun pescatore peschi più per fame, «senza barca, senza remi, senza reti» [11].
Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021
Note
[1] D. Rea, Boccaccio a Napoli, a cura di Raimondo Di Maio, Napoli, Libreria Dante&Descartes, 1995 e in Il re e il lustrascarpe, Napoli Pironti: 252-274.
[2] Ne parlo in Il mare salato, cit.
[3] A sua figlia Lucia, Domenico Rea dedica un racconto di cronaca napoletana, L’albero di Natale con un’epigrafe che racchiude il senso del suo voler raccontare la misera realtà: affinché si trasformi in favola, cfr. Il re e il lustrascarpe: Napoli Pironti 1960: 62. Di Domenico Rea nel centenario della nascita si segnalano le nuove edizioni presso la Libreria Dante&Descartes, Pensieri della notte, Prefazione di Matteo Palumbo, Napoli, Libreria Dante&Descartes, 2020 e Domenico Rea, Le due Napoli, Prefazione di José Vincente Quirante Rives, Napoli, Libreria Dante&Descartes, 2020. Qui si richiama qualche riflessione estratta da un mio libro in uscita presso la Libreria Dante & Descartes: Domenico Rea e Napoli, «città di terra e di mare». Da Boccaccio a Brueghel il Vecchio e Caravaggio, un saggio che raccoglie alcuni miei scritti del 2012, e nuove riflessioni su Napoli e il Mediterraneo per Rea. Il libro riprende uno studio sulla Ninfa plebea, romanzo con il quale nel 1994 Rea vince il Premio Strega (A Plebeian Nymph in Naples: “Representational Spaces” and Labyrinth in Domenico Rea’s Ninfa Plebea, in Women and the city a cura di Daria Valentini & Janet Levarie Smarr, Fairleigh Dickinson UP, 2002: 139-173), e su Boccaccio a Napoli, un saggio magistrale che Domenico Rea scrive nel 1958 (Polyphonic Parthenope. Boccaccio’s Letter XIII and his ‘plebeian’ Naples according to Domenico Rea, in «Quaderni d’Italianistica», 23, 2, 2002-2004: 7-24).
[4] Domenico Rea, Le due Napoli a cura di José Vincente Quirante Rives, Napoli, Libreria Dante&Descartes, 2020.
[5] Morosini, Il mare salato. Il Mediterraneo di Dante, Petrarca e Boccaccio, Roma Viella 2020: 222.
[6] R. Morosini, Decameron VIII 10, in Lectura Boccacii Day 8, a cura di R. Williams, Toronto, University of Toronto Press, 2020, pp. 225-242 e The Merchant and the Siren. Commercial network and ‘Connectivity’ in the Mediterranean ‘Space-movement,’ from Jacopo da Cessole’s De ludo Schacorum to Decameron VIII10, in «Studi sul Boccaccio», 46, 2018: 95-131.
[7] Un mare diffamato, in Il re e il lustrascarpe: 188-192, 192
[8] D. Rea, Una rete per un pesce, in Il re e il lustrascarpe: 146-151, 151
[9] D. Rea, Il mare diffamato, in Il re e il lustrascarpe: 191.
[10] Sul mito di Glauco ripreso da Dante Pellegrino-Marinaio all’inizio del Paradiso cfr. Morosini, Il mare salato.
[11] D. Rea, Una rete per un pesce, in Il re e il lustrascarpe: 151.
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Roberta Morosini, professore Ordinario presso la Wake Forest University (USA , ha scritto numerosi saggi su donne in viaggio nel Mediterraneo medievale, su Dante (Dante, il Profeta e il Libro, L’Erma di Breschneider, 2018), e sulla rappresentazione artistica del mare nel Trecento. È finalista di MARetica con il suo ultimo libro Il mare salato. Il Mediterraneo di Dante, Petrarca e Boccaccio (Viella, 2020). La sua monografia su Domenico Rea e Napoli, «città di terra e di mare». Da Boccaccio a Brueghel il Vecchio e Caravaggio è in uscita per la Libreria Dante&Descartes di Raimondo di Maio, amico e custode fedele di Rea e dei suoi racconti.
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