di Mario Sarica
Con Teocrito, poeta della scuola alessandrina (310-250 a.C. ca.), originario di Siracusa, nasce, com’è noto, il genere poetico-bucolico. I suoi idilli, epigrammi e carmi, costituiscono un vero e proprio archetipo poetico, da cui si alimenteranno nel corso dei secoli i titoli pastorali nobilitati nelle diverse espressioni d’arte (letteratura, pittura, musica), ad incominciare da Virgilio con le Bucoliche.
L’attenta ed interdisciplinare analisi dei versi del poeta siracusano, oltre a cogliere il raffinato registro letterario, animato in gran parte da figure e vicende anche di origine mitologica e scandito da puntuali riferimenti geografico-isolani e di area greca, ci consente di scoprire inaspettatamente uno “sguardo etnografico”. E così, dai testi poetici teocritei ecco riemergere, per flashback, il livello più arcaico della condizione di vita pastorale siciliana, dunque, il paesaggio naturale delle origini e, assieme ad esso, forme di cultura materiale ed immateriale, incredibilmente e sostanzialmente replicate, da padre in figlio, nei secoli, integre ed eguali a se stesse fino ai giorni nostri, pur con l’inevitabile slittamento di senso e funzioni, tra permanenza e variabilità.
Un patrimonio culturale di assoluto interesse, quello pastorale siciliano, e peloritano in particolare, di natura tangibile ed intangibile, da offrire a piene mani all’attenzione e all’interesse di studio interdisciplinare. E ciò in virtù dei suoi singolari tratti formali, variamente connotati, che riportandoci all’origine, meritano l’appellativo di “bene archeologico”. Tale “ardita assimilazione”, a me pare sostenibile perché l’“imprinting” esibito rimanda a quella antica età storico-culturale isolana, perché nei manufatti è impressa la memoria materiale e immateriale del “principio”, anche quello mitologico.
Più specificamente, si tratta, di un repertorio oggettuale, spesso di pregio ed “esotico”, lo definiremmo oggi “storico-estetico”, funzionale ai bisogni quotidiani della pratica pastorale, ma che, grazie al suo registro formale di incisioni (stilliatura e raccami), eccezionalmente figurativo, e di quello organologico-musicale (flauti e ance), ci collega direttamente alla potente sfera dell’immaginario del siciliano antico, rivelandone i legami con le risorse del territorio e, dunque, il suo pensiero forte sul Mondo, e sul senso ultimo del vivere.
A dare poi ulteriore credibilità a questa tesi, i singoli “riflessi” e “tracce” di antica memoria rituale e cerimoniale, che è possibile scorgere, più in particolare, nei manufatti lignei (bastoni, collari, cucchiai, etc) e negli aerofoni pastorali, ovvero l’ampia famiglia di strumenti musicali a fiato (flauti, ance e zampogne). Questo ricco strumentario, espressione tipica dell’homo faber, rimanda per affinità stilistiche e performative alle antiche culture del Mediterraneo, a quella cicladica, minoica e micenea, e naturalmente alla “dominante greca”.
Dunque, sono stati proprio questi oggetti d’uso quotidiano e l’ampia famiglia di strumenti musicali a fiato pastorali, ancora oggi in gran parte integri, sebbene decontestualizzati, riemersi all’attenzione degli studiosi, grazie a sistematiche campagne di ricerca etnografiche ed etnorganologiche avviate già dagli ultimi anni Settanta del Novecento, a guidarci fino agli idilli pastorali di Teocrito.
Un inesplorato sentiero di studi, questo appena intrapreso, che a me sembra unisca felicemente in uno sguardo ampio, fra passato remoto e paesaggio contemporaneo, natura e cultura, storia e mitologia, colto e popolare. E proprio da questo versante d’osservazione, ecco riaffiorare la sorgente dalla quale rifluisce la pienezza dello spirito del logos arcaico, ovvero le espressioni di cultura materiale e immateriale pastorali, dalla radice mitologica (si pensi, fra l’altro, al pastore-gigante Polifemo di memoria omerica, e allo sfortunato pastorello Aci innamorato di Galatea).
Da questo primo “pensiero iniziatico”, che esalta il consonante e primitivo rapporto fra uomo e ambiente naturale, insieme culturale e di profonda armonia con le figure mitologiche, oltre che funzionale ai bisogni quotidiani e alle relazioni fra terra e cielo, esaltando armonicamente la potente sfera dell’immaginario, sono germinate nel corso dei secoli, com’è noto, altre “fioriture” umane dentro quelle che oggi definiamo categorie estetico-artistiche (letterarie, figurative, musicali). E tali forme si sono rese nel tempo autonome e interdipendenti, rivendicando magari gerarchie di merito, preservando, tuttavia, “stili e caratteri” delle diverse declinazioni e idee sul “primitivo”, pur nei rispettivi “recinti” ideologici, concettuali e artistici.
Soffermandoci, nella circostanza, solo agli Idilli di Teocrito, avendo tuttavia ben presente la “prospettiva” di generi di ispirazione pastorale, che hanno innervato la storia culturale “alta” europea, come si diceva prima, con periodici richiami alla lontana e felice età dell’oro pastorale del dio Pan, abbiamo individuato nell’opera poetica d’apertura Tirsi o il canto la prima ed esemplare chiave d’accesso all’arcaico cosmo pastorale siciliano.
La scelta di questo titolo, che riprende un tema narrativo gia presente nella produzione letteraria antica, non è stata affatto casuale, in quanto proprio in esso emergono prepotenti e inequivocabili i caratteri del paesaggio pastorale siciliano, riconducibili alle pratiche giunte fino a noi. Ci riferiamo all’ambientazione naturale, perfino alle essenze vegetali, ai primi segni di antropizzazione del territorio (le “armacie” ad esempio, vale a dire i muri a secco); al legame stretto fra uomini e capre, quest’ultime con l’aurea di animali“sacri”; fino all’incontro dei due caprai “vantaroli”, e dunque all’evocazione della triste storia di Dafni, primo pastore-poeta; e poi al confronto “agonistico”, ancora oggi praticato, sul registro poetico e al suono degli strumenti a fiato, come codice di comunicazione alto, che sublima in pensieri forti la fatica quotidiana del vivere.
I suoni che scandiscono la vicenda, in grado di evocare prepotentemente la pratica strumentale ancora oggi in uso nei Peloritani, e il centrale riferimento al doloroso canto per la tragica morte di Dafni, arcaica figura tutelare della poesia bucolica siciliana, richiamano alla mente la presenza ancora viva nella nostra area dei pastori-poeti. Ma c’è di più, i “lascivi” flauti e zampogne che animano le relazioni poetiche, ci riconducono alla temibile, e solo evocata, nei versi dell’idillio, figura mitologica di Pan, inventore per delusione amorosa del flauto che prende il suo nome. E ancora, i suoni pastorali terragni e lussuriosi rimandano, alla sfida leggendaria e tragica fra Marsia e Apollo, che vedrà l’affermazione del Dio con la sua musica apollinea, quella della lira, eco del suono primigenio delle sfere cosmiche, su quella generata dalle sensuali canne sonore del satiro frigio.
Testo, quello di Teocrito, certamente di alto livello letterario, per le novità stilistiche introdotte, per la centralità del tema pastorale, mai attestato prima, se non in maniera episodica e marginale, e, ancora per la fitta trama e i continui rimandi, che prospetta. E il tutto prende forma originale dentro un registro epico metrico e narrativo rigoroso, in grado ancora oggi di offrirci molti spunti di analisi e riflessione. Ed oltre la necessaria rilettura sul piano esegetico e narrativo-poetico, i versi prorompenti del cangiante registro narrativo si declinano sull’ambiente naturalistico pastorale, pur nella licenza poetica di accostamenti con la più ampia cornice geografica mediterranea, proponendosi come inaspettato e singolare documento etnografico, se rapportato sul lungo periodo storico, in una sorprendente stabilità di forme e contenuti.
Ritornando sulla pratica musicale, sempre centrale e mai accessoria nello svilupparsi delle storie antiche, ecco il finale dell’idillio di Teocrito, con lo struggente canto a Dafni morto misteriosamente e prematuramente, che dona il suo strumento musicale a Pan. E questo insistente richiamo al suono, come forma di comunicazione aperta ad un ampio spettro semantico, prima della parola e della scrittura, che invece cela e mimetizza, ci conduce dritti ai cortei dionisiaci sfrenati, con menadi, baccanti, satiri e sileni, che si affidano a tamburi a cornice, aulos e kalamos, e krotalos. Tutti produttori di suoni necessari per liberare le energie vitali, in un tempo fuori dal tempo, a contatto con una originaria, incerta e indefinita natura umana, oscillante fra il maschile e il femminile.
Altrettanto rilevante il riferimento “etnografico” alla coppa-premio che il capraio offre a Tirsi, ornata ed incisa con scene di vita quotidiana, che irrompe nella vicenda come emblema dell’homo faber-pastore. E tale manufatto ligneo è sorprendentemente presente ancora oggi nel repertorio oggettuale pastorale come “cuppa” (modellata in gelso o erica, preferibilmente), necessario un tempo al consumo collettivo di cibo. E poi, ci sono le storie nella storia, tipico procedimento narrativo dell’età antica. Sulla coppa-premio, riemergono, infatti, delle gustose scene di vita quotidiana, richiamando per molti versi la più nobile e icastica pittura vascolare siciliota del periodo ellenistico.
Una materia poetica, quella di Teocrito, dunque “proteiforme”, che si presta generosamente ad essere “plasmata”, anche in chiave didattico-interdisciplinare, per svelare “tante storie nella storia”, disegnando un orizzonte culturale ampio e luminoso, quello Mediterraneo, attraversato da, Oriente ad Occidente da tante civiltà, sempre migranti e in ascolto reciproco. E così si unisce in uno sguardo acuto il passato remoto al contemporaneo, individuando una sorprendente linea di continuità, pur con i travestimenti ideologici, concettuali ed estetici, delle diverse età dell’uomo europeo-mediterraneo, restituendoci temi “basici” afferenti agli insopprimibili “bisogni” spirituali e materiali, dell’uomo di ogni tempo, in un perenne fluire ciclico.
Dai pastori peloritani agli idilli pastorali del siracusano Teocrito: un originale percorso
L’ opera poetica di Teocrito, riconosciuto padre della poesia pastorale, come già ricordato, con la sua scrittura “polifonica”, che prende ispirazione creativa dalla osservazione dei contesti di vita pastorale siciliana, animati da presenze mitolologiche, e da uno straordinario e stupefacente meccanismo di “mutazione”, che rende incerto il confine fra natura e cultura, reale e immaginario, si offre, a mio avviso, esemplarmente ad un percorso didattico da rivolgere fondamentale agli studenti dei Licei Classici [1].
Siamo, infatti, consapevoli che interagendo in maniera originale con i diversi e tanti registri della composizione poetica, e con i quali si possono stabilire infinite “connessioni”, è possibile tessere un patchwork narrativo, da “storytelling” come si usa dire oggi, in grado di mettere sostanzialmente in relazione i“nativi digitali”, che affollano le nostre aule scolastiche, per un’esperienza di conoscenza e formazione che, da una autorevole fonte classica, come quella di Teocrito, giunga alla cultura del territorio, di cui l’espressione pastorale costituisce un tratto distintivo. Da qui è ipotizzabile una benefica cascata di “effetti secondari” per le nuove generazioni, anche in termini di ricostituzione di identità e memoria individuale e collettiva.
Dialoghi Mediterranei, n.25, maggio 2017
Note
[1] Approccio multidisciplinare e interconnesso a Tirsi o il canto di Teocriti, poeta alessandrino: articolazione laboratorio didattico
Gruppi di lavoro tematici:
- Livello testuale greco-italiano-siciliano
(il testo dalla versione italiana è stato trascritto in siciliano da Pinello Drago e Mario Sarica):
analisi del testo, metrica, tecnica scrittura, struttura narrativa, plot narrativo, figure che animano la
storia, rimandi mitologici, ambientazione geografica, comparazione testo greco, italiano e siciliano.
- Livello iconografico
individuazione figure iconografiche tematiche all’interno del testo,utile anche per una narrazione per immagini della storia, anche grafico-fumettistica e multimediale.
- Livello forme materiali di vita pastorale
Osservare ed isolare tutte le sequenze narrative che attengono a specifiche forme di vita pastorale, con comparazioni e raffronti con le espressioni materiali di origine pastorale, che emergono dalle collezioni etnografiche del Museo Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso. Si farà specifico riferimento alla coppa-premio, quindi ai manufatti lignei della tradizione pastorale, mettendola in relazione al repertorio iconografico colto vascolare di età ellenistica siciliota.
- Livello sonoro-musicale-canto
individuazione caratteri paesaggio sonoro e riferimenti a strumenti musicali pastorali presenti nel testo poetico, comparazione con strumentario musicale pastorale peloritano, riferimento pratica canto e strumenti nella tradizione siciliana
- Livello performativo
Mettendo a frutto il lavoro di ricerca e “rappresentazione” dei gruppi tematici di lavoro prima indicati, integrare la performance di lettura drammatizzata del testo siciliano, che prevede nel copione parti strumentali e vocali, con l’inserimento da parte degli allievi, per quanto concerne il riferimento al registro linguistico originario greco, immagini originali, parti sonoro-percussive-vocali.
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Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997).
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