Gli italiani in Canada: una grande storia collettiva secondo Harvey
La presenza italiana in Canada, accreditatasi positivamente presso l’opinione pubblica a seguito dell’affermazione in diversi campi di grandi personalità, ha tuttavia all’origine il precedente impegno della collettività che, nel corso del Novecento, ha avuto generalmente come protagonisti persone semplici, poco istruite e dedite ai lavori più umili, per niente apprezzate se non addirittura disprezzate.
Questa peculiare lettura del fenomeno migratorio italiano in Canada si è imposta solo in una seconda fase, quasi non fosse conveniente rifarsi alle umili condizioni dei pionieri. La svolta si è avuta alla fine degli anni 70 con la pubblicazione di un’innovativa ricerca di Robert Harvey. In precedenza, si faceva riferimento a una pubblicazione del 1958 dovuta a padre Guglielmo Evangelisti, che si era soffermato sugli antenati italiani illustri, ponendo in evidenza l’apporto da loro dato allo sviluppo del Canada e dedicando particolare attenzione agli italiani che operarono della “Nuova Francia”, le cui vicende furono intrecciati con quelle del Québec. Quindi, dieci anni dopo un libro del giornalista Antonino Spada si preoccupò nuovamente degli antenati illustri della collettività, presentando in inglese gli aspetti più significativi tratti dal libro precedente di P. Evangelisti, che, essendo stato scritto in italiano, non aveva avuto una diffusione molto ampia [1].
Per Harvey, invece, la grandezza dell’apporto degli italiani non è iniziata con le affermazioni degli italo-canadesi riscontrate nel secondo dopoguerra, bensì ai tempi dell’emigrazione di massa, costituita da umili contadini e manovali, soggetti a una diffusa italofobia nelle aree a prevalenza anglosassone. Essi, nonostante gli stenti e l’emarginazione, diedero un contributo sostanziale allo sviluppo del Paese. Pertanto, secondo Harvey, se questo era stato il ruolo effettivo e fondamentale dell’emigrazione popolare, i professionisti italiani, poi ampiamente affermatisi, non dovevano vergognarsi della storia iniziale della collettività, bensì esserne orgogliosi. L’identità italiana, conclude l’autore, si rifà a queste umili origini, la cui grandezza si è fatta valere nel corso del tempo.
Questo accademico di formazione accademica ha basato la sua interpretazione, radicalmente innovativa, su un ampio ricorso ai documenti d’archivio disponibili sia in Italia che in Canada [2].
Sulla scia del loro maestro si sono inseriti diversi e valenti discepoli con le loro successive ricerche: Bruno Ramirez, John Zucchi a Montreal, Franc Sturino, Roberto Perin a Toronto e Franca Iacovetta a Guelph. Si è attuata, così, una rivoluzione copernicana nella lettura del ruolo svolto dall’emigrazione italiana di massa, finalmente riconosciuta anche a livello istituzionale.
Con questo forte ancoraggio alle origini, anche il presente saggio, agganciandosi a quello ripercorre la tormentata storia degli italiani in Canada, si sofferma sull’ingegno espresso da diversi dei suoi rappresentanti a livello artistico, imprenditoriale e culturale, e infine non trascura il particolare impegno espresso nell’ambito dell’assistenza religiosa agli emigrati che, a nostro avviso, si può qualificare come una sorta di rispetto all’omonima politica adottata nel 1971.
Le affermazioni di persone di grande rilievo qui presentate hanno avuto sullo sfondo e sono state sorrette dalla collettività italo-canadese nel suo insieme ed è stato all’interno di questo sforzo collettivo che sono maturate le singole personalità. A giorno d’oggi, le comunità di italiani, sparse in tutto il Canada, sono consistenti numericamente e richiamano l’attenzione per il rilievo che hanno molti suoi membri in ambito economico, culturale e sociale.
Il riconoscimento canadese: l’Italian heritage Month
Alla celebrazione dell’impegno italiano il Canada ha dedicato il mese di giugno (quello della festa della Repubblica in Italia), che è stato dichiarato l’Italian Heritage Month [3]. Questa iniziativa è nata nell’Ontario ed è stata inizialmente a carattere provinciale, mentre poi è stata sancita a livello federale con una mozione approvata all’unanimità dalla Camera dei Comuni il 17 maggio 2011 Si è inteso, così, esprimere la riconoscenza per i notevoli contributi economici, sociali, culturali, artistici e antropologici, che gli italiani hanno fornito nel corso delle generazioni. In diverse occasioni il primo ministro Justin Trudeau e diversi altri politici si sono riferiti agli italo-canadesi con attestazioni d’encomio.
Nell’ambito del generale apprezzamento della presenza italiana, che ha posto definitivamente fine all’iniziale periodo di forte emarginazione, si colloca anche il riconoscimento della lingua italiana, qualificata come “patrimonio della Nazione”. L’italiano è stata la prima tra le lingue straniere a essere riconosciuta come tale.
Secondo il censimento del 2016, sono solo 375.645 quelli che parlano l’italiano come madrelingua, un numero in calo rispetto al passato (-10% rispetto al censimento del 2011), per cui attualmente sono più diffuse altre lingue straniere (il puniabi, il cinese, lo spagnolo). L’italiano come lingua straniera è stata scelta da circa 40 mila studenti. Tra i canadesi di madrelingua inglese 39.485 parlano italiano. A diffondere lo studio dell’italiano, oltre alle sedi della Società Dante Alighieri, sono numerose associazioni senza scopo di lucro [4]. Sono stati condotti diversi approfondimenti sulle variazioni subito in Canada dall’italiano parlato rispetto all’italiano standard. Si tratta sostanzialmente di due forme: l’italiese (frammisto a parole inglesi) e italianese (frammisto di parole francesi), rispettivamente nelle aree anglofone e francofone, in particolare in Quebec, Ontario e Nuovo Brunswick [5].
Non è poi mancato il riconoscimento indirizzato a singoli membri della collettività italo-canadese. Qui di seguito dedichiamo dei paragrafi al grande pittore Guido Nincheri, alla dimensione multiculturale che si riscontra sia a livello imprenditoriale (nei casi di Guido Marchionne e di Ermenegildo Giusti) che in affermate protagoniste della letteratura femminile (Elettra Becon, Elena Canton, Mary Di Michele, Caterina Ewwards e Mary Merlfi) e, tenendo conto che nella storia degli italiani vi sono stati anche aspetti negativi, alla presenza della criminalità organizzata di origine italiana. Un ulteriore paragrafo è stato dedicato all’assistenza prestata dai sacerdoti italiani agli emigrati andati a risiedere a Toronto e a Montreal, specialmente dal secondo dopoguerra fino ad oggi.
Il bilancio da tirare, indubbiamente positivo, induce a interrogarsi sul significato che può avere per l’Italia la presenza italiana in Canada (come in effetti faremo nell’ultimo paragrafo di questo saggio) sull’importanza di questa collettività, senza indulgere alla retorica degli entusiasmi bensì cercando di esplorare piste idealmente motivate e concretamente percorribili..
The Italian Heritage: il contributo artistico di Guido Nincheri
La presenza italiana in Canada iniziò ad assumere una certa consistenza dai primi anni del Novecento in poi. Tra questi pionieri si inserì Guido Nincheri, un artista dall’eccellente formazione, che divenne famoso quando ancora la maggior parte dei suoi connazionali erano manovali: Qui di seguito prendiamo in esame la vita, la sua esperienza migratoria e il valore delle opere di Nincheri nonché l’eredità da lui lasciata al Paese che lo accolse e anche all’area settentrionale degli Stati Uniti, dove parimenti lavorò. A questo artista, secondo alcuni, è stata dedicata una scarsa attenzione. In effetti, per conoscerlo maggiormente non si dispone di una bibliografia di tipo classico costituita da libri o articoli pubblicati su riviste scientifiche, e si deve supplire con la lettura dei numerosi interventi disponibili su internet [6].
Guido Nincheri nacque a Prato nel 1885, frequentò l’Accademia delle Belle Arti a Firenze dove, usufruendo di una borsa di studio, poté studiare per dodici anni, laureatosi nel 1910 ebbe le prime commesse. Nel 1913 si sposò con Giulia Bandinelli e andò in luna di miele oltre Atlantico anche con il proposito di potersi impegnare all’estero in qualche grande progetto. I coniugi fecero la prima tappa a Boston, ma la destinazione finale sarebbe dovuta essere l’Argentina, dove si erano già stabiliti alcuni compagni di studio di Nincheri. A Boston l’artista fu incaricato di decorare l’Opera House. Qui Nincheri si trattenne più del previsto perché il padre gli raccomandò, per prudenza, di non tornare in Europa dove si temeva l’imminente scoppio della guerra. Alla fine del secondo anno la coppia decise di lasciare la città americana e nel 1915 si trasferì in Canada, stabilendosi a Montreal, ritenuta una città canadese culturalmente a loro più vicina per le sue origini latine: in quell’area, inoltre, già operavano alcune decine di artisti italiani.
Nincheri lavorò inizialmente nel laboratorio di Henri Perdriau, dal quale apprese magistralmente l’arte delle vetrate in metallo, mentre lui collaborava con la sua maestria negli schizzi e nella pittura. Il suo talento non passò inosservato e, aperto un suo laboratorio nel 1924, ricevette numerose commesse anche da altre città canadesi e statunitensi. Oltre alle vetrate, furono molto apprezzati anche i suoi affreschi, che in quell’area rappresentavano una novità.
Artista poliedrico, Nincheri non fu solo un esecutore di opere altrui ma anche un provetto architetto, come attesta la chiesa di S. Antonio di Padova a Ottawa. Il periodo tra le due guerre, quindi, fu per lui quanto mai fruttuoso, mentre il 1940, primo anno della guerra mondiale, non fu affatto propizio. Un affresco raffigurante Mussolini destò nella polizia il sospetto che Nincheri fosse un seguace del fascismo, anche se in realtà non aveva mai manifestato simpatie per quel regime e, al contrario, aveva spesso criticato le sue prolissità. Egli fu arrestato e fu rinchiuso nel campo d’internamento di Petawawa, fortunatamente per poco tempo a seguito di un intervento della moglie che valse a superare l’equivoco[7]. La moglie Giulia, riuscì a farlo uscire libero dal campo d’internamento dopo appena tre mesi perché mostrò alla regia polizia a cavallo canadese (RCMP) i disegni originali del progetto, che valsero a fugare i sospetti di fascismo.
Riottenuta la libertà, Nincheri si recò negli Stati Uniti, nello Stato di Rhode Island, per dedicarsi alla costruzione della chiesa di S. Antonio da Padova a Woonsocket. Egli continuò la sua attività, in prevalenza in ambito religioso, e alla fine della sua carriera furono oltre un centinaio le chiese in cui prestò la sua attività. Si distinse anche per la sua generosità, perché non fu esoso con il clero addetto a chiese e dotate di scarsi mezzi finanziari. Le sue opere attestano una religiosità profondamente sentita. Tra l’altro, un suo figlio, George, entrò in seminario, diventò prete rese il suo servizio pastorale tra i migranti: da ricordare che egli, da piccolo, posò da modello per il padre [8].
Dopo aver ottenuto le onorificenze pontificie, nel 1972 Nincheri fu anche nominato cavaliere della Repubblica Italiana. All’età di 88 anni, dopo circa 60 anni di impegno artistico, morì in Rhode Island, a Providence, la città che gli aveva concesso la cittadinanza onoraria.
Nincheri fu, dunque, un artista poliedrico: grande esperto negli affreschi, maestro rinomato nelle vetrate, disegnatore, architetto, intagliatore e scultore. La sua dedizione al lavoro gli permise di produrre il maggior numero di opere religiose realizzate in Canada durante il XX secolo. Come accennato, i suoi lavori si trovano in oltre duecento edifici, per oltre la metà chiese del Canada e dell’America settentrionale. Le sue vetrate censite sono state 1940, numerosi sono stati anche gli affreschi. Il suo capolavoro è considerata la chiesa san Leone a Westmount, dove lavorò tra i l 1928 e il 1944. Pio XI lo definì, sui temi religiosi, il più grande artista dei suoi tempi. Pertanto, è fondato ritenere che Nincheri sia stato un artista immenso, meritevole di essere più apprezzato. A Montreal si trova il museo Dufresne, che ha acquisito lo studio dell’artista e ha aggiunto il suo nome alla denominazione del museo. Si è, inoltre, pensato a una più completa valorizzazione di tutte le sue opere [9]. Nel 1997 le Poste canadesi ripresero la vetrata “Nostra Signora del Rosario”, realizzata nella Cattedrale di Vancouver, in un francobollo realizzato nel periodo natalizio. A Montreal, gli affreschi di Saint-Viateur d’Outremont e St-Léon-de-westmount nel 1997 sono stati inseriti nel patrimonio culturale nazionale canadese [10]. La Chiesa della Madonna della Difesa è stata dichiarata sito storico nazionale del Canada nel 2002. Consacrata nel 1919, la struttura fu completata con la volta dell’abside tra il 1927 e il 1933 ed è arricchita e diventata famosa specialmente per gli affreschi di Nincheri.
Questo ‘è stato l’entusiastico giudizio dei suoi concittadini pratesi: «Oggi Guido Nincheri viene definito uno degli artisti canadesi più importanti di tutti i tempi. Ha introdotto questa tecnica [dell’affresco] nel Nord America riprendendo i canoni rinascimentali (…). Appare lampante il confronto con i grandi del passato: una tecnica simile fu utilizzata nelle pitture di Paolo Uccello, Raffaello e Michelangelo» [11].
Il dibattito sull’affresco con la figura di Mussolini [12]
Il senso preciso degli eventi storici non è del tutto riconoscibile al loro inizio e così fu anche per il fascismo, al quale non mancarono gli entusiasmi iniziali degli emigrati italiani e degli stessi canadesi, almeno fino alla guerra di aggressione dell’Etiopia nel 1935 e agli eventi successivi (patto con i nazisti, leggi razziali ed entrata in guerra), che esacerbarono l’atteggiamento dei canadesi nei confronti della collettività italiana. Nell’affresco risalta la figura di Mussolini, seduto sul suo cavallo e circondato da quattro gerarchi fascisti e da un gruppo di fedeli. Dalla sua rappresentazione non può derivare un messaggio positivo, ma al contrario la stessa è portatrice di una carica di negatività.
L’inserimento di Mussolini nell’affresco fu imposto all’artista. Così i fatti sono stati ricostruiti in un’intervista dal figlio George Nincheri [13]. Quando ricevette la commessa di prestare la sua opera per la costruzione e la decorazione della chiesa della Madonna della Difesa a Montreal, contrariamente a quanto previsto nel suo progetto, a Nincheri fu ordinato di raffigurare Mussolini negli affreschi dell’abside: il sacerdote committente, responsabile di quella chiesa, volle così celebrare il merito di aver sottoscritto con la Santa Sede i Patti Lateranensi che pose fine alla “questione romana”. Nincheri, suo malgrado, fu costretto ad accettare l’imposizione di inserire la figura di Mussolini a cavallo dovuta a un’altra artista che, come precisato dallo storico Filippo Salvatore, lui perfezionò con i colori. Non si è trattato solamente di un’imposizione all’artista ma anche di una forzatura rispetto ai fedeli. L’inserimento di un dittatore controverso non rifletteva il sentimento diffuso tra la comunità cattolica degli italo-canadesi, come apparve più chiaramente nel corso dei successivi anni del fascismo e ancor di più dopo la fine della guerra. Lo stesso Pio XI che subito dopo la firma dei Patti Lateranensi definì Mussolini “l’uomo della Provvidenza”, modificò radicalmente il suo giudizio a seguito dei comportamenti del Duce.
Per superare questa fonte di profondo disappunto dovuta a un’indebita commistione tra sacro e profano non si poteva rimuovere l’affresco dalla chiesa (la figura del dittatore fu comune ricoperta con un panno durante la Seconda guerra mondiale), intervento che sarebbe stato possibile compiere se si fosse trattato di una statua. Neppure era opportuno sovrapporre all’immagine di Mussolini un’altra immagine carattere religioso: un’operazione siffatta sarebbe stata, a sua volta, causa d’interminabili critiche. Un gruppo di esperti, presieduto dall’apprezzato storico della collettività italiana Bruno Ramirez, ha suggerito di “contestualizzare” la scomoda presenza di quell’immagine per evitare che la stessa sia portatrice di un messaggio negativo ai visitatori della chiesa. Si è ritenuto che questo possa essere fatto ponendo dei cartelli esplicativi, all’ingresso e dentro la chiesa, con diciture che illustrino l’origine dell’inserimento dell’immagine nell’affresco, la distanza valoriale da essa della comunità italo-canadese e del Canada stesso oltre che del messaggio cristiano. È stato anche lamentato che di tutto questo non vi sia traccia nell’opuscolo della chiesa della Madonna della Difesa, in cui si presenta l’affresco, nonostante il tempo passato abbia fatto chiarezza sul fascismo, sul cui definitivo superamento è stata elaborata la Costituzione italiana del 1948.
Questo dibattito niente ha tolto alla linearità di Guido Nincheri nel suo comportamento e al suo valore artistico, anche nell’affresco dell’abside della Madonna della Difesa. Egli fu un grande artista e ha lasciato una grande eredità.
Due casi dì imprenditori italo-canadesi: Sergio Marchionne ed Ermenegildo Giusti
Nel periodo degli arrivi di massa l’inserimento degli italiani avvenne a livello sociale basso, ma l’impegno delle generazioni successive ha consentito un riscatto. Si è trattato di un cammino collettivo, al cui interno diverse figure appaiono di maggior rilievo. Per quanto riguarda l’apporto prestato dagli italiani nel settore del lavoro dipendente pensiamo che le pagine precedenti ne abbiano attestato la consistenza. Invece, non essendo funzionale al nostro racconto sintetico la presentazione della panoramica dell’imprenditoria italo-canadese, ci limitiamo alla figura rappresentativa di Sergio Marchionne (1962-2018), un esempio che s impone tra i recenti imprenditori italo-canadesi.
Nato in Abruzzo, emigrò da adolescente con i suoi genitori per recarsi in Canada, dove conseguì la prima laurea in filosofia, completata con una laurea in legge e un master in amministrazione aziendale, che gli permise di entrare nella Deloitte. Per l’apprezzamento riscosso dalla sua esperienza in campo fiscale nel 2000 egli fu chiamato in Svizzera e poco dopo diventò amministratore delegato della SGS, una società di certificazione di cui risanò i bilanci. L’anno seguente fu chiamato alla FIAT, in crisi per la morte di Gianni Agnelli (seguita presto da quella del fratello Umberto). Nel 2004 fino al 2014 diventò presidente e amministratore delegato della grande industria torinese. Riuscì, dopo un duro contrasto, a costringere la General Motors a pagare una penale di due miliardi per il mancato impegno di acquistare le azioni della FIAT.
Di ampie vedute, nel 2009 ottenne il via libera dell’Amministrazione Usa del presidente Obama ad acquistare il 20% della casa automobilistica americana Chrysler, completandone l’acquisto nel 2014 giungendo alla costituzione della FCA (Fiat Chrysler Automobiles). Pensò subito al lancio della jeep e della nuova 500 e riuscì a estinguere i debiti della società: quella fu l’unica occasione in cui, al posto del maglione blu, indossò giacca e cravatta. Un male incurabile, vissuto con discrezione così come fece per le altre vicende personali, lo portò alla morte, lasciando la seconda compagna della sua vita e due figli. La sua fu una vita da “manager migrante”, una figura collocata tra il Paese di origine e il Paese di accoglienza. Si spostò di continuo tra le due sponde dell’Atlantico. Ebbe una visione manageriale da player mondiale, sulla cui maturazione aveva influito il Canada. Il suo stile dirigenziale fu risoluto e strettamente connesso con i fini da raggiungere, che lo portò a innovazioni radicali nei rapporti con la Confindustria e i sindacati. Fu un imprenditore deciso nelle innovazioni, negli investimenti, nei tagli ritenuti necessari, nella scelta dei dirigenti. Pur corteggiato dal colosso Exxon, preferì rimanere nell’azienda da lui risanata. La morte lo colse prima di riuscire a fondere la FCA con un’altra azienda automobilistica, convinto che a livello mondiale il futuro riservasse il posto solo a quattro giganti dell’automobile.
In lui vi fu una fusione tra l’impronta dalle grandi tradizioni storiche e quella innovativa del Canada, passato da ex colonia ad assumere un ruolo mondiale. La sua scomparsa determinò una perdita difficilmente rimpiazzabile e fece sentire l’Italia e il Canada orgogliosi di averlo cresciuto. A York, un comune vicino a Toronto, fu tumulato nella tomba di famiglia accanto al padre, alla madre e alla sorella: qui lo hanno chiamato “Sergio il canadese”, ma è più corretto pensare a lui come italo-canadese. Non trascurò mai l’ancoraggio ai grandi valori morali della tradizione popolare italiana, come egli stesso precisò poco prima della morte, partecipando a un incontro organizzato dall’Arma dei Carabinieri (di cui suo padre aveva fatto parte come maresciallo): «I valori con cui sono cresciuto e che sono stati alla base della mia educazione sono stati la serietà, l’onestà, il senso del dovere, la disciplina, lo spirito di servizio».
Dopo quella di Sergio Marchionne, Riportiamo alcune altre figure di italiani che si sono affermati in Canada, nelle quali si riscontra, per così dire, la loro impronta bilaterale, l’inserimento nel nuovo contesto senza aver dimenticato l’Italia.
Ermenegildo Giusti è un imprenditore edile leader nella West Coast canadese: un classico esempio della volontà di riuscire in un Paese da lui ritenuto promettente. Partì dalla provincia di Treviso nel 1987, a 18 anni, contro il parere della famiglia, non ricca ma benestante, e si recò in Canada sulle orme dello zio che lì aveva fatto fortuna. Aveva conseguito la licenza di terza media e un’eccezionale bravura come saldatore, che a poco gli servì perché inizio da capo in edilizia come muratore con l’intento di diventare imprenditore, mettendo a frutto la conoscenza del disegno tecnico imparata a scuola. La sua straordinaria riuscita gli è valsa, nel 2007, il conferimento di una laurea honoris causa in dottorato del lavoro e ingegneria edile, rilasciata congiuntamente dagli atenei di Venezia, Padova e da un’università statunitense.
Da una ventina d’anni è molto attivo con i suoi investimenti in edilizia anche in Nord Italia. L’attrazione per il suo Paese d’origine è stata più forte di ogni cosa, Valorizzando la cura ai vigneti della sua tradizione familiare, ha realizzato una cantina modello tra le più belle d’Europa. Egli ritiene che gli imprenditori italiani siano efficaci promotori del made in Italy. Auspica che il Paese in cui tutti vorrebbero vivere faciliti gli investimenti esteri.
Da una parte Il fascino del nuovo: il desiderio di riuscire, il coraggio di misurarsi a livelli elevati. Dall’altra, l’attaccamento alla terra natia, alle tradizioni familiari, a quanto imparato da piccolo: una fusione tra il vecchio e il nuovo dell’esperienza all’estero[14]. Il caso del marchigiano Francesco Bellini propone, con qualche variante, il tema del duplice attaccamento (al Paese di adozione e all’Italia) [15].
Classe 1947, a vent’anni lasciò Ascoli Piceno e partì per il Canada, dove si è naturalizzato e tuttora vive con la moglie e i figli (nel Québec). Il diploma tecnico ottenuto in Italia è stato da lui completato in Canada, nel 1972 con la laurea e nel 1986 con il dottorato. Quindi, ha messo a frutto la grande competenza acquisita nelle scienze farmaceutiche. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi ed è titolare di una trentina di brevetti. Nel 1986 ha fondato la società farmaceutica Biochem Pharma, di cui è stato presidente e amministratore delegato dal 1986 al 2001, facendone una delle principali imprese di biotecnologia nel mondo che opera in 40 Paesi. Inoltre, egli partecipa, a vario titolo, ad altre imprese del settore. Non ha mai dimenticato la sua regione di origine. Come sportivo ha contribuito alla fondazione della società calcistica di Ascoli Piceno e a lungo ne è stato l’azionista di riferimento. Come imprenditore ha valorizzato le eccellenze della sua terra con la creazione, nel 2004, della Società agricola Domodimonti nel comune di Montefiore Dell’Aso, per produrre bottiglie di vini doc in grande quantità (200 mila bottiglie all’anno). A lui, come scienziato-imprenditore, è dovuta la nascita ad Ascoli Piceno della B Health S.p.A., specializzata nei farmaci per le cure delle patologie che colpiscono le persone anziane. Per l’apporto da lui dato nel settore farmaceutico ha ricevuto la laurea honoris causa, nel 2012, dall’Università di Palermo e nel 2016 dall’università di Tor Vergata.
La cosiddetta “fuga dei cervelli” è un problema preoccupante ma, quando questi non vengono presi in considerazione, rischiando di essere inutilizzati, è preferibile che agiscano all’estero e che non si dimentichino dell’Italia.
La dimensione multiculturale tra le scrittrici italo-canadesi
È stata curata una vasta antologia degli scrittori italiani, originari di diverse regioni italiane. Questi autori si sono misurati in più di 50 generi letterari e si sono occupati anche di analisi comparative tra la letteratura italo-canadese e quella canadese[16]. A questo riguardo Alessandro Gebbia sostiene che gli italiani hanno prodotto un’importante e omogenea produzione letteraria da essere considerata una componente inequivocabile della storia letteraria del Paese che li accolti [17]. Senza entrare nel merito di queste analisi a noi preme evidenziare che in Canada, i tempi dell’affermazione sono stati molto accelerati anche per diversi italiani non nati sul posto e anche per le donne. Solitamente i protagonisti dei primi flussi sono gli uomini. Ma non mancano i casi in cui la famiglia parte insieme, portando con sé i figli e tra questi anche le ragazze, che studiano sul posto e riescono ad affermarsi nella nuova società.
I casi qui presentati si riferiscono a donne arrivate in Canada da piccole o relativamente giovani, mentre un caso ha riguardato una madre con i figli. Queste donne, perfettamente plurilingue (inglese, francese e italiano), hanno fruito di una buona formazione universitaria, sono in sintonia con il nuovo ambiente ma non dimentiche della società che hanno lasciato e della relativa lingua (e perfino del dialetto), che in parte hanno conosciuto personalmente e per il tramite dei loro genitori: esempi indicativi dello scambio letterario tra più culture e più lingue nel Paese simbolo del multiculturalismo.
Elettra Bedon, originaria di Padova, ultimati gli studi universitari si trasferì a Montreal, quando i figli, già grandi, erano pronti a iscriversi all’università: La loro fu un’emigrazione dettata dal desiderio di cambiamento. In Canada, conseguito il dottorato sull’uso della lingua veneta nel ventesimo secolo, continuò gli studi letterari, diventando scrittrice per il piacere di comunicare le sue esperienze, provando soddisfazione nel vedere di essere seguita. La sua produzione include poesie, novelle, saggi critici e traduzioni, ha curato anche la sezione “Veneto” in un’antologia dedicata alla poesia dialettale del Nord Italia (Dialect Poetry of Central and Northern Italy), opera completata con Dialect Poetry of Southern Italy. Secondo lei la difficoltà che si incontra nel tradurre il dialetto in un’altra lingua (sia in inglese che nello stesso italiano) consiste nel ricreare l’atmosfera originaria, ma lo sforzo che fa le sembra ben ripagato dalla buona distribuzione di quanto scrive [18].
Licia Canton, ancora piccola dalla provincia di Venezia si trasferì con i suoi genitori a Montreal nel 1967. Aiutò i suoi nella gestione della macelleria, della quale avrebbero preferito che lei continuasse la gestione o, quanto meno, la lasciasse solo per diventare avvocato o notaio anziché studiare all’università la letteratura delle minoranze. Insegna e ha scritto articoli e diversi saggi sullo scambio culturale e sugli scrittori delle minoranze. Da ultimo, con evidenti riferimenti autobiografici, ha scritto una serie di racconti intitolati The Butcher’s Daughter. È stata presidente dell’Associazione Scrittori/Scrittrici Italo-Canadese, prima come responsabile della loro rivista, da ultimo è diventata direttrice della rivista Accenti. “The Canadian Magazine with an Italian Accent”. Nel 2021 ha curato Here & Now: An Anthology of Queen Italian-Canadian Writing. Anche lei è plurilingue, ma preferisce scrivere in inglese. Ma con questa annotazione sulla lingua italiana: «Per alcuni scritti però trovo le parole più consone ed espressive solo in italiano, soprattutto quando scrivo poesie» [19].
Mary Di Michele, originaria di Toronto, vive da oltre due decenni a Montreal, dove insegna all’Università Concordia. In prevalenza poetessa ma anche autrice di testi di letteratura. Il suo libro più noto è Tenor of love, che ha dedicato alla vita di Enrico Caruso.
Caterina Edwards, nata in Istria da padre inglese, è stata la prima scrittrice italo-canadese nell’area occidentale del Paese. Conseguiti i titoli accademici in inglese in scrittura creativa, sposò una studentessa americana di origini siciliane e si stabilì a Edmont, iniziando a pubblicare i suoi racconti e anche a insegnare inglese e scrittura creativa. Nel 1982 The Lion’s Mouth è stato il primo romanzo canadese a congiungere la dimensione etnica con il femminismo. Terra Straniera, commedia del 1986, la prima del genere, parla degli immigrati italiani nelle praterie canadesi, poi pubblicato come romanzo. Mentre porta avanti i due suoi principali interessi (l’attività di scrittrice e insegnamento), non manca d’incoraggiare i giovani scrittori italo-canadesi a seguire la loro vocazione. Presentando il suo libro, Alla ricerca di Rosa (2008), ha spiegato che la forte motivazione a conoscere meglio la figura di sua madre l’ha portata anche ad approfondire la conoscenza della terra in cui è nata. Mary Melfi, molisana, emigrò da piccola a Montreal e qui ancora vive. È autrice di numerose pubblicazioni di poesie, narrativa (specialmente per ragazzi) e testi teatrali. Nel 2009 ha pubblicato il volume Revisited: Conversations with my Mother, in cui ripropone il contesto rurale del Meridione. Ha completato questo impegno con la creazione di un sito che raccoglie le migliaia di foto, scattate tra la fine del secolo scorso e quello attuale. Nel Paese che l’ha accolta, tra i più industrializzati del mondo, ha voluto mostrare, per l’amore portato alla madre, che si è integrata portando con sé un mondo così’ distante e comunque incarnato nella sua personalità.
The Italian Heritage al negativo: la criminalità organizzata degli italo-canadesi
La storia degli italiani in Canada è stata caratterizzata nel complesso da un positivo inserimento nonostante le difficoltà incontrate, ma non è mancata qualche ombra, segnatamente quella della criminalità organizzata. Rappresentativo è il caso di Rocco Perri (I887-1944), detto anche “l’Al Capone del Canada” (Perri conobbe personalmente Al Capone) e anche “the King of the bootleggers” per la sua eccezionale maestria nel contrabbando [20]. Calabrese, Perri emigrò nel 1903 negli Stati Uniti per poi trasferirsi cinque anni dopo in Canada, nella città di Hamilton. Dopo aver svolto diversi lavori (da ultimo fece il panettiere), intraprese con successo la pratica del contrabbando quando, nel 1916, una legge dell’Ontario proibì il commercio degli alcolici. Perri andò ampliando la sua attività di contrabbandiere anche ad altri ambiti. Si legò alla polacca Bessy Starkman, dando inizio a un sodalizio non solo affettivo ma anche funzionale allo svolgimento delle attività illecite. Per un breve periodo (1918-1920) Perri si legò sentimentalmente a un’altra donna (Sarah Olive Routledge), che, dopo aver avuto da lui due figlie e avendo ottenuto un rifiuto al matrimonio, si suicidò.
Perri ampliò moltissimo le sue attività, coinvolgendo diversi clan italiani con il costante ausilio di Bessy. Questa nel 1930 fu assassinata mentre entrava nel garage di casa. I sospetti caddero su Antonio Papalia, un sodale nel malaffare che si era visto rifiutare come socio. I funerali furono imponenti e diedero un’idea dell’influenza del “re del contrabbando”: 200 mila persone si assieparono ai bordi delle strade lungo il corteo funebre e centinaia di macchine seguirono il feretro. Nel 1933 Perri visse con un’altra donna, Annie Newman (anche lei professionista del crimine come Bessy), che gli fu d’aiuto per consolidare la sua impresa criminale, attiva ormai anche nel mercato della droga. Nel 1940 Perri fu internato nel campo di Ottawa per sospetta vicinanza al fascismo e rilasciato tre anni dopo. Nel 1943 Annie Newman fu imprigionata per contrabbando d’oro. Perri fu visto per l’ultima volta il 3 aprile 1944 e poi scomparve senza essere più ritrovato. Anche in questo caso si pensò a un regolamento di conti da parte del clan Papalia.
Antonio (Tony) Papalia, nato in Calabria nel 1894, arrivò in Canada passando per gli Stati Uniti e si stabilì nel ghetto italiano di Hamilton, iniziando a collaborare con Perri. Anche sua moglie proveniva da una famiglia malavitosa. Come accennato, di Perri prima fu socio e poi avversario. Il figlio Johnny Papalia, noto come “The Enforcer”, nato a Hamilton nel 1923, fu quindi un malavitoso di seconda generazione, raccolse e potenziò l’eredità del padre e la estese a diversi campi, espandendo l’area territoriale d’influenza e intrattenendo contatti anche con l’estero [21]. Morì assassinato a 73 anni ad opera del clan rivale Luppino. Per la sua attività criminale, nel corso del funerale religioso gli fu negata la celebrazione della messa completa e ciò fu causa di polemiche.
Ad Hamilton, tra i principali clan criminali bisogna includere anche i Mussitano e i Luppino. L’attività criminale degli italo-canadesi è andata ampliandosi fino ai nostri giorni, con nuovi personaggi, ulteriori ramificazioni territoriali, nuovi ambiti d’intervento e potenziamento dei contatti internazionali) a partire dalla ndrangheta calabrese).
L’assistenza della Chiesa cattolica
Nel processo d’inserimento della collettività italiana in Canada fu di notevole sostegno la presenza dei sacerdoti cattolici [22]. I sacerdoti italiani si recarono in Canada inizialmente per occuparsi delle popolazioni indigene: ne fu un esempio la straordinaria figura del gesuita Francesco Giuseppe Bersani. Poi, al tempo delle migrazioni di massa, i sacerdoti inviati dall’Italia si occuparono dei loro emigrati. Nel presente saggio trattiamo il tema dell’assistenza spirituale limitatamente alle grandi aree di Toronto e di Montreal. Nel caso di Toronto siamo entrati nel merito della dinamica pastorale italiana facendo perno su un documento riguardante mezzo secolo di operatività della commissione pastorale italiana costituita in quella diocesi, unitamente alle testimonianze di mons. Silvano Ridolfi, un sacerdote che è stato a lungo protagonista nei contatti bilaterali tra la Chiesa italiana e quella canadese. Nel caso di Montreal, invece, abbiamo cercato di mostrare come la nascita delle parrocchie e dei centri pastorali italiani abbia seguito le tendenze d’insediamento territoriale dagli italiani, per poi soffermarci sulla nascita di quel processo socio-culturale (denominato la “rivoluzione tranquilla”), che ha portato nel Québec a una radicale secolarizzazione, destinata a rendere più difficoltosa l’attività pastorale. Abbiamo indicato, in entrambi i casi, i nomi di diversi sacerdoti impegnati in questo compito, pensando che ciò possa stimolare ricerche specifiche. Un altro aspetto meritevole d’attenzione è stata la vicinanza di diversi preti e vescovi canadesi alla collettività, incentivata dal fatto che essi avevano perfezionato gli studi ecclesiastici a Roma, imparando sul posto la lingua italiana. Su un piano più generale, abbiamo esposto il passaggio delle competenze operative dalla Santa Sede alla Conferenza Episcopale Italiana, da cui è derivata un’intensificazione dei rapporti tra Chiesa d’origine e Chiesa d’inserimento. Non poteva non essere posta in evidenza l’impronta lasciata dagli italiani nell’ambito religioso, essendo il filo conduttore di questo studio basato sull’Italian Heritage riscontrabile in Canada.
Nel periodo iniziale delle migrazioni di massa dall’Italia, la presenza di sacerdoti italiani fu inizialmente sporadica. La loro presenza dipese dalle iniziative dei singoli vescovi canadesi, che stabilirono appositi contatti con qualche vescovo italiano per mettere a disposizione un sacerdote della loro diocesi. Oppure si trattava di istituti religiosi interessati a stabilirsi in Canada e a occuparsi anche della pastorale migratoria. Su questo spostamento di sacerdoti era direttamente competente la Santa Sede, tramite la Sacra Congregazione Concistoriale, che esercitò un’opera di supplenza fino a quando trasferì tali compiti ai vescovi italiani. Dopo la Seconda guerra mondiale, la Santa Sede emanò nuove disposizioni sulla pastorale migratoria con la Costituzione apostolica di Pio XII Exul Familia (1952) e poi con il Motu Proprio di Paolo VI Pastoralis Migratorum Cura (1968).
In Canada, come avvenne negli Stati Uniti, il modello pastorale preferito nell’applicazione delle disposizioni pontificie fu quello della “Parrocchia Nazionale”, basato sulla confluenza sui membri della collettività italiana in un’unica parrocchia, appositamente incaricata di rispondere a tutte le loro necessità di quell’area. Solo più di recente alle “Parrocchie nazionali” è stata affiancata un’altra formula pastorale prevista dalle disposizioni pontificie, e cioè la “Missione con cura delle anime”, comunemente nota come Missione Cattolica Italiana (MCI), autorizzata ad agire trasversalmente su un determinato territorio. Una caratteristica della “Missione con cura delle anime”, rispetto alle parrocchie, è quella di non essere legata a un determinato territorio e di poter agire trasversalmente. La pastorale italiana in Canada non fu condotta in maniera diversa nei contesti rurali rispetto ai quelli centri urbani. Così come non mancarono le differenze tra le province aglofone e quelle francofone [23].
Dal proselitismo dei protestanti ai missionari cattolici
Riprendiamo qualche spunto da uno studio dello storico Filippo Salvatore dedicato agli italiani in Canada e in particolare nel Québec, che dedica un paragrafo specifico intitolato “Cattolici, protestanti e canadesizzazione degli italiani”, fornendo un’ampia documentazione [24]. Nel 1905, quando agli italiani fu assegnata la prima chiesa a Montreal, essi erano circa 5.000 e a favorire l’assegnazione giocò, senz’altro, la presa in considerazione del loro numero. All’interessamento della Chiesa locale non fu, però, estranea la preoccupazione suscitata dalla sistematica azione di proselitismo svolta dai protestanti: anche questo era un indicatore della tendenza alla “canadesizzazione” degli italiani, includendovi la scelta religiosa e anche le modalità di esprimerla.
L’opinione canadese di area anglofona non riusciva a capire come un paese, che era stato la culla del Rinascimento e aveva dato i natali a un personaggio così apprezzato come Garibaldi, fosse anche la patria di questi navies, lavoratori di basso rango e di rudimentale cultura, sottoposti all’oppressione della Chiesa cattolica. Perciò, con un atteggiamento simile a quello dei missionari di fronte ai selvaggi, i protestanti locali cercarono di sottrarre gli italiani all’influenza cattolica, per convertirli al cristianesimo così come lo intesero Lutero e Calvino, liberando la pratica religiosa ritenuta superstiziosa. A tal fine furono fatti venire dei pastori dall’Italia e da qualche città dell’America settentrionale. Uno di questi pastori che operò nel Québec ed ebbe un grande prestigio fu Liborio Lattoni (1874-1958) [25].
Prima della soluzione della “Questione Romana” con i Patti Lateranensi del 1929, i consolati italiani, non riscontrando una grande disponibilità alla collaborazione tra i sacerdoti cattolici, spesso preferirono sollecitare la collaborazione dei pastori protestanti. Si spiega così la straordinaria importanza assunta dal pastore Liborio Lattoni all’interno della collettività italiana a Montreal. Questo pastore protestante dalle indubbie capacità di trascinatore fu un grande protagonista nell’ambito delle organizzazioni vicine al fascismo. Arrivato a Montreal nel 1908, si convertì al protestantesimo e divenne pastore, si dedicò con successo alle conversioni dei suoi connazionali, sostenuto finanziariamente dai metodisti. Questo poliedrico personaggio viene annoverato anche tra gli iniziatori della letteratura degli italiani in Canada con le sue poesie, i suoi scritti in versi e in prosa e con i suoi numerosi discorsi, trasudanti un’ammirazione sconfinata dell’antica Roma e di Mussolini che ad essa si ispirava, era promotore dell’incarnazione della italianità e del patriottismo e un valido argine contro il comunismo. Le “conversioni”, che secondo gli intenti dovevano costituire il passaggio necessario dalla superstizione a una religiosità più profonda, non mancarono ma, in generale, furono piuttosto di facciata. Agli immigrati poco importava delle impostazioni dei riformatori sul percorso salvifico ed erano, piuttosto, interessati a sottrarsi alla miseria e al disprezzo, anche a costo di accettare la religione del Paese ospitante, ma senza però rinunciare alle loro tradizioni [26].
Pur con i limiti dell’intreccio tra fede e politica e dei limiti culturali propri di quel periodo e le misere condizioni di vita degli emigrati, l’azione pastorale dei sacerdoti italiani fu vicina alle persone loro affidate, sostenendole spiritualmente con la presenza fisica e le azioni di carità, e assicurando un sostegno alla loro o coesione. Le riflessioni che seguono si soffermano unicamente sullo sforzo fatto a livello organizzativo per rendere possibile la vicinanza dei sacerdoti italiani ai loro emigrati.
A Toronto nell’Ontario
Nel mese di novembre del 2008 fu celebrata la ricorrenza del centenario della prima chiesa italiana a Toronto, dedicata a Nostra Signora del Monte Carmelo. Mons Silvano Ridolfi partecipò all’evento insieme a una delegazione della Fondazione Migrantres (già Ufficio Centrale dell’Emigrazione Italiana o UCEI, di cui lo stesso mons. Ridolfi fu direttore) [27].Tale ricorrenza si presentò come un’occasione privilegiata per fare il punto sulla pastorale tra gli italiani nell’Ontario.
A Toronto, all’inizio del Novecento, ia piccola comunità dei metodisti italiani vide arrivare dall’Italia due pastori (Giuseppe Merlino e Alfredo Tagliatela). Non godeva, invece, di un tale supporto pastorale la comunità dei cattolici italiani, forte di 5.000 persone, per la metà residenti in città e per la metà lavoratori stagionali. Essi potevano seguire la liturgia in lingua materna solo presso la cappella di St. John nella Cattedrale, grazie alla disponibilità di qualche sacerdote canadese, a volte anche proveniente da altre città. A rendersi disponibili erano sacerdoti che avevano imparato l’italiano durante i loro studi a Roma. Durante una di queste messe, il 1°ottobre 1908, l’arcivescovo Fergus Patrick Mc Evay, che aveva parimenti studiato a Roma, comunicò alla comunità d’avere assegnato agli italiani una chiesa (quella di S. Patrick), affidandola ai Padri Redentoristi. L’edificio sacro assunse il nuovo nome di chiesa della Madonna del Carmine.
Secondo lo studio fatto da Pautasso sull’opera svolta da Italian Pastoral Commission (studio che citeremo anche a conclusione di queste riflessioni), questo fu «il primo segno di accoglienza e riconoscimento della presenza italiana da parte canadese»[28]. L’arcivescovo di Toronto, oltre a essersi preoccupato di mettere a disposizione una chiesa, in quell’occasione comunicò ai fedeli italiani di aver stretto accordi per far venire dall’Italia un sacerdote, che si sarebbe occupato della loro assistenza religiosa, nella persona di Carlo Doglio. Da allora fino alla seconda guerra mondiale giunsero dall’Italia pochi sacerdoti. Anzi i Padri Salesiani, che, per la loro azione apostolica nel 1924 avevano avuto a disposizione la chiesa di S. Agnese, esattamente dieci anni dopo dovettero lasciare Toronto su disposizione del loro Superiore Generale.
Dopo la Seconda guerra mondiale si determinò in Canada, specialmente a Toronto, l’afflusso di massa degli italiani e ciò accentuò il problema del servizio pastorale. Negli anni ’60 intervenne una importante modifica riguardante l’organizzazione dell’assistenza spirituale degli italiani all’estero con il passaggio ai vescovi italiani delle competenze esercitate prima direttamente dalla Santa Sede. Fino ad allora la Sacra Congregazione Concistoriale, come in precedenza accennato, esercitò un servizio di supplenza tramite l’apertura al suo interno di un’apposita sezione competente per l’emigrazione italiana. La Sacra Congregazione provvedeva a qualificare i sacerdoti inviati tra gli emigrati con un rescritto riguardante la loro attività, indipendentemente da quale rispettive diocesi o comunità religiosa.
Costituita la Conferenza Episcopale Italiana nel 1962, ad essa furono trasferite le le competenze pastorali prima esercitate dalla predetta Congregazione pontificia. A tal fine la CEI nominò una Commissione Episcopale e aprì contemporaneamente un Ufficio operativo, l’Ufficio Centrale per l’Emigrazione Italiana (UCEI). Questo passaggio di competenze rese più agevole ai vescovi italiani il compito di intrattenere contatti più frequenti e fruttuosi con i vescovi canadesi [29]. Particolarmente fecondi furono i colloqui con Mons. Philip Francis Pocock (1906-1984), prima vescovo ausiliare e poi arcivescovo di Toronto, che da giovane sacerdote aveva soggiornato a Roma per perfezionare i suoi studi teologici, conseguendo il dottorato in diritto canonico. Fu questo presule, in occasione di una sua visita a Roma, a prendere l’iniziativa e a recarsi presso gli uffici dell’UCEI, dando inizio a un dialogo [30]. L’arcivescovo di Toronto discusse con l’allora direttore dell’UICEI, Mons. Gaetano Bonicelli, un piano per l’assistenza pastorale agli italiani di Toronto, che costituivano un terzo dei cattolici della sua diocesi. Mons. Pocock si preoccupò anche di dare a un vescovo ausiliare l’incarico di seguire e coordinare l’azione dei sacerdoti italiani secolari e religiosi, che già allora erano una quarantina.
Nel periodo successivo al Concilio Vaticano II (1963-1965) a Toronto fu costituita la Italian Pastoral Commission (IPC), che, oltre a fare da supporto a tale Coordinamento, favorì anche un maggiore coinvolgimento dei laici. Tuttavia, non fu sempre agevole fare accettare al clero locale lo stile pastorale italiano, come ricordato dal Vicario Episcopale per gli italiani Mons. Giovani Iverinci nell’omelia pronunciata durante la celebrazione eucaristica del 2008 in occasione del primo centenario della chiesa della Madonna del Carmine: «Per i primi arrivati, senza dubbio è stato molto difficile rompere il ghiaccio e vincere il pregiudizio e l’indifferenza, (…) l’incomprensione. La resistenza è stata vinta dalla dedizione, dalla passione, dalla disponibilità e lavoro dei sacerdoti» [31]. I sacerdoti, naturalmente, poterono contare anche sul prezioso supporto delle religiose e anche dei laici, coordinati dall’IPC. Tra i preti addetti alla pastorale degli italiani, vi furono anche quelli provenienti dalle stesse aree di partenza degli immigrati, ben a conoscenza delle caratteristiche della loro religiosità e in grado di facilitare la mediazione necessaria con l’ambiente religioso locale.
Le Congregazioni religiose, che operarono nell’arcidiocesi di Toronto furono diverse nel corso del tempo: qui giunsero gli Oblati di Maria Immacolata, i Passionisti, i Redentoristi e gli Scalabriniani. I sacerdoti di questi istituti religiosi, mostrarono nel loro complesso di avere acquisito un’approfondita conoscenza dell’ambiente canadese. Nel 2008, l’anno del centenario della prima chiesa concessa alla collettività, i sacerdoti operanti nella diocesi di Toronto, seppure diminuiti rispetto agli anni ’60, erano ancora circa 60 e una quarantina erano i centri pastorali per gli italiani, tra parrocchie italiane vere e proprie ed altre chiese con un servizio liturgico in italiano. Sono stati poi di grande portata i successivi fenomeni sociali, che hanno influito anche sulla pastorale. Le prime generazioni sono invecchiate ed è anche diminuita la loro incidenza percentuale sull’intera comunità. Le generazioni e quelle successive sono andate prevalendo sempre più e si è rafforzata la loro integrazione nel contesto canadese. Di grande portata sono stati anche gli spostamenti degli italiani verso altre zone residenziali, da cui è conseguita una più ampia conoscenza dello stile socio-culturale-religioso italiano. Questa dispersione, quindi, da una parte ha favorito una maggiore diffusione dell’impronta italiana e, dall’altra, ha visto i membri della comunità diventare sempre più italo-canadesi piuttosto che restare semplicemente italiani.
La riflessione su quanto avvenuto consente di evidenziare l’importanza degli italiani anche nell’ambito della pastorale cattolica in questa come in altre grandi città. Toronto è la città che conta il maggior numero di cattolici (circa 700 mila secondo stime) e più di un quarto di essi è di origine italiana. Grazie alla convivenza di sensibilità religiose differenti l’arricchimento è stato reciproco e il cammino fatto ha portato gli italiani ad aprirsi alla modernità e a liberarsi da appesantimenti di stampo tradizionale non più funzionali e i canadesi ad aprirsi a nuove sensibilità religiose.
Tra gli italiani a Montreal
Ci siamo proposti di esporre l’evoluzione della pastorale tra gli italiani a Montreal, occupandoci dell’espansione dei centri pastorali loro dedicati, che hanno ricalcato le linee della loro dispersione territoriale. Montreal è conosciuta come “la città dei mille campanili” e a questa sua caratteristica hanno contribuito anche gli italiani fin dall’inizio del Novecento [32]. La prima parrocchia per gli italiani a Montreal (e anche in tutto il Canada) risale al 1904 quando, per decisione di mons. Paul Buchéri, incaricato di guidare l’arcidiocesi nei primi anni del secolo e impegnato in tale compito fino alla Seconda guerra mondiale, la chiesa assegnata agli italiani fu quella dedicata alla Madonna del Monte Carmelo, affidata ai Servi di Maria. L’edificio di culto fu ottenuto attraverso un riadattamento del palazzo di Lord Dorchester, il governatore del Canada dal 1786 al 1796. Nel 1910 seguì la Parrocchia della Madonna della Difesa, nel cuore della Petite Italie, famosa per gli affreschi della cupola del celebre Guido Nicheri, l’artista che nei primi anni ’30, come prima spiegato, fu costretto a modificare il suo progetto originale per raffigurare Mussolini a cavallo.
Nel 1949, nel quartiere di Ville Emard, ormai abitato da molti italiani, ai Padri francescani Conventuali (Padre Domenico Cianciulli) fu affidata la Parrocchia di S. Giovanni Bosco. Nel 1953 la chiesa Nostra Signora della Consolata, nel quartiere di St. Michel, fu affidata ai Missionari dell’omonima Congregazione. Nel 1965 fu il turno della chiesa dell’Annunziata a Lacrine, dove furono chiamati i Missionari Scalabriniani. Nel 1967 a reggere la Parrocchia di Nostra Signora di Pompei, nel quartiere St. Michel, furono parimenti i Padri Scalabriniani. Risale al 1970 quando i Missionari della Consolata furono chiamati a occuparsi della chiesa di Maria Madre dei Cristiani. Vanno ricordate anche altre strutture della pastorale italiana nei dintorni di Montreal. Nel 1967 i Salesiani ebbero l’incarico della Missione di San Domenico Savio a Ville d’Anjou e nel 1987 quello della Chiesa Maria Ausiliatrice a Rivière des Prairies. Nel 2005, nella città di Laval, fu autorizzato il passaggio della Chiesa del Divino Amore dall’ambito della pastorale francese alla pastorale italiana. In precedenza l’edificio di culto era conosciuto come Église de Notre-Dame-des-Écores.
Come si è visto, l’organizzazione della pastorale a Montreal conobbe uno sviluppo molto più accentuato nei primi decenni del dopoguerra, sia perché quelli furono gli anni in cui il Canada diventò uno sbocco importante dell’emigrazione degli italiani, sia per il diretto protagonismo della Conferenza Episcopale italiana tramite l’UCEI. Mons. Silvano Ridolfi, per diversi anni assiduo promotore dei contatti bilaterali tra la Chiesa canadese e quella italiana, ha avuto modo di precisare, durante la fase di redazione del presente elaborato, che nella diocesi di Montreal fu di grande sostegno del vescovo ausiliare mons. André Marie Cimichella (1921-202), viterbese di origine. Il missionario scalabriniano Rinaudo Vecchiato, rifacendosi alla sua esperienza di 50 anni di servizio sacerdotale spesi tra l’ America settentrionale e il Canada (da ultimo presso la Parrocchia della Madonna del Monte Carmelo), ha così valutato la sua lunga esperienza: «In questi 50 anni ho incontrato tante giovani famiglie: negli anni ‘60 c’è stato un grande movimento dalla Piccola Italia verso il Mile-End, i quartieri della Consolata e di Pompei, dove ho celebrato fino a 270 matrimoni in un anno. Ho contribuito a formare una nuova generazione, le cui famiglie hanno popolato Stt. Michel, Montreal-Nord. Tutti compatti nel frequentare le celebrazioni liturgiche in italiano» [33].
P. Vecchiato ha riscontrato una differenza rispetto a Toronto, dove le chiese servono tutti i fedeli della zona: «San Pasquale e Santa Caterina accolgono, oltre agli italiani, tanti Filippini, Indiani, Pakistani e Srilankesi. Un sistema che preferisco perché fa più Comunità, mentre qui a Montreal i francesi vanno alle messe in lingua francese, gli anglofoni a quelle in inglese e gli italiani a quelle in italiano: cosa che, secondo me, non ha aiutato la Chiesa locale». Sull’assistenza spirituale ai migranti esercitò il suo influsso la “cosiddetta “rivoluzione silenziosa o tranquilla”, iniziata nel Québec, nel periodo in cui governava la Provincia di Jean Lesagne (1960-1966) e continuato durante il governo dei suoi successori. Tale “rivoluzione” promosse un radicale cambiamento rispetto al passato ed esercitò il suo impatto a livello politico (con il varo dell’autonomia provinciale), economico (con un maggiore intervento dei poteri pubblici ispirato alle proposte keynesiane) e socio-culturale (con la riforma dei settori dell’istruzione e della sanità), il tutto sorretto da un atteggiamento diffuso portato a porre una maggiore enfasi sui diritti della democrazia liberale. L’insieme di questi fattori ha accentuato la tendenza alla secolarizzazione, nonostante le originarie radici cattoliche che ispirarono la “rivoluzione silenziosa” [34]. Anche la collettività italiana è stata influenzata dal diffondersi della secolarizzazione. e dal relativismo religioso. Per giunta, le nuove generazioni italiane, anche quando continuano a essere fedeli alla pratica religiosa, non sempre partecipano alla liturgia celebrata in lingua italiana.
Al termine di questa sommaria esposizione sulla nascita e sullo svolgimento della pastorale cattolica tra gli italiani in Canada è opportuno sottolineare che i sacerdoti italiani non trascurarono, fin dall’inizio, di favorire il loro proficuo inserimento. Ci dobbiamo anche chiedere, come abbiamo fatto parlando degli altri ambiti, quale sia stato l’Italian Heritage in campo religioso. Per dare una risposta pertinente è d’aiuto una riflessione contenuta nello scritto che Luigi Pautasso ha dedicato alla presentazione del primo mezzo secolo di vita dell’Italian Pastoral Commission di Toronto: «Quella che era la Chiesa di una etnia, con il nostro apporto, è diventata una Chiesa dal respiro universale» [35]. Non è un merito da poco acquisito nel Paese che, nel 1971, ha scelto la politica della multiculturalità.
Il grande merito della classe politica canadese è consistito nel riconoscere le esigenze culturali degli immigrati e di assecondarne l’inserimento con una serie di azioni positive in grado di equipararne il loro trattamento a quello degli autoctoni. Questa impostazione è stata facilitata da vari fattori esterni (sicurezza delle frontiere e sviluppo ininterrotto del Paese con crescenti opportunità occupazionali) e, tuttavia, non era a scontata e, la scelta innovativa fatta, in effetti, è stata adottata tardivamente con la scelta di una impostazione aperta, che ha pragmatismo e idealità, altruismo e convenienza, orientamento dei politici e sensibilità della popolazione, obiettivi che in Europa sono di difficile conseguimento. Una riflessione equilibrata sull’esperienza degli italiani in Canada deve unire alle critiche, giustificate dai comportamenti restrittivi addebitabili nel passato alle autorità e alla locale popolazione, gli apprezzamenti per le aperture decise, dagli anni ’70 in poi, con l’adozione delle politiche multiculturali e interculturali, diventate un segno distintivo del Paese.
Superato l’atteggiamento di superiorità con cui prima si guardavano gli italiani, e venute anche le scuse ufficiali del governo per l’adozione della dura misura dell’internamento durante il Secondo conflitto mondiale, è prevalso l’apprezzamento della collettività italo-canadese, come attesta il fatto che il mese di giugno sia stato ufficialmente dedicato all’Italian Heritage. Va nella stessa direzione il riconoscimento dell’italiano come patrimonio culturale del Paese. A livello socio-culturale si possono citare i posti di rilievo che gli italo-canadesi sono riusciti a occupare, senza che la criminalità organizzata italiana, purtroppo presente nel Paese, si sia trasformata in un pretesto per etichettare negativamente l’intera collettività. Questi sono alcuni motivi del grande merito acquisito dal Canada nel corso di questi ultimi 50 anni. Il caso di questo Paese induce anche a riflettere sull’importanza delle politiche multiculturali (o interculturali come si preferisce dire nella Provincia del Québec), che in Europa, da ultimo, stentano a fare breccia, fortemente pregiudicate dalle difficoltà incontrate nel regolare, con decisioni comuni a livello UE, i flussi migratori in entrata.
Il Canada si propone come un modello, per il trattamento ugualitario degli immigrati, per l’apprezzamento e il rispetto delle loro diverse culture e per l’orientamento di cui anche gli italiani hanno potuto godere dopo un lungo periodo iniziale molto travagliato.
In Canada la collettività italo-canadese ha raggiunto una sua rilevanza in diversi ambiti e non solo perché essa continua ad aumentare nella sua consistenza per effetto della sua dinamica demografica.
Non può non colpire questo singolare contrasto: si determinarono i flussi di massa degli italiani, quando le condizioni di inserimento in Canada erano molto dure, mentre è ridotto il numero di italiani che attualmente scelgono la meta canadese, dove invece ora si dischiudono prospettive molto promettenti. Nel 2019 Calgary, Vancouver e Toronto si sono classificate tra le prime dieci città più vivibili al mondo e arrivano in Canada circa 250 mila immigrati ogni anno da tutte le parti del mondo, tra i quali sono pochi gli italiani. Sarebbe insensato auspicare a priori che da un Paese in declino demografico, come l’Italia, emigrino molti giovani laureati. Tuttavia, poiché il loro esodo all’estero continua per mancanza di spazi occupazionali, ci si può chiedere perché alla promettente meta canadese generalmente si siano preferite quelle europee, non sempre così soddisfacenti. Pur essendo severi nei criteri d’ammissione da parte canadese, molti giovani italiani potrebbero superarli. La mancata esperienza canadese si traduce in uno svantaggio non solo per i singoli migranti ma anche per l’Italia, venendo meno il confronto con un Paese moderno, in forte crescita e apprezzabile per molteplici motivi.
Non si riscontra neppure un flusso in senso inverso, non tanto di lavoratori canadesi (le cui attese trovano in loco un ampio soddisfacimento) quanto di studenti canadesi (in particolare di quelli di origine italiana), per trascorrere un semestre di studio in Italia, in un contesto molto apprezzabile del punto di vista climatico, artistico e culturale, così come da tempo fanno diverse università statunitensi: ciò servirebbe a rinforzare legami tra le due sponde. A nostro avviso non basta accontentarsi della grandezza dell’Italia riferibile a prestigiosi casi di successo di diversi italiani all’estero, senza che da ciò siano tratti utili stimoli per rinnovare le linee operative, anche se per farlo sarebbero sufficienti piccole azioni per la cui attuazione, piuttosto che grandi risorse dopo la diffusione di internet, serve una grande progettualità.
Il tema dell’italianità, affrontato con concretezza e senza retorica, s’inserisce anche in un discorso di geopolitica. Già prima della crisi energetica e della guerra scatenata dalla Federazione russa contro l’Ucraina si parlava dell’importanza delle materie prime, di cui l’Unione Europea è carente pur avendone un continuo bisogno, specialmente nel caso di Paesi ad alta intensità manifatturiera come la Germania e l’Italia. Le collettività all’estero sono, per così dire, un vasto giacimento di risorse umane, che non solo possono facilitare i contatti per l’acquisizione delle risorse energetiche ma possono procurare anche diverse altre opportunità. Più volte è stato detto e scritto che le collettività italiane all’estero hanno agito efficacemente, nei rispettivi Paesi d’insediamento, per la promozione del turismo in Italia. Questo è solo uno dei “benefici di ritorno”, che riguardano diversi altri ambiti: dalle università alle imprese, dall’amministrazione alla politica, dal settore religioso all’associazionismo, dal commercio alla collaborazione industriale e così via. Una potenziata coscienza delle proprie origini sarebbe una solida base per molteplici intrecci e darebbe consistenza concreta alla teoria di quanti ritengono che la presenza all’estero sia di per se stessa una lobby a favore del Paese di origine.
Gli italiani all’estero sono una sorta di riserva strategica: l’Italia è un Paese che conta una popolazione raddoppiata rispetta alla quota che risiede sul territorio nazionale: l’altra metà è sparsa in altri Paesi. L’italianità si colloca anche sul piano dei sentimenti, dell’attaccamento al passato, della storia degli antenati e della loro terra d’origine, ma non è solo questo. Manca la riflessione su un accostamento percorribile tra emigrazione e geopolitica. La base (in Italia e all’estero) non è stimolata a muoversi in tal senso e, di conseguenza, mancano le iniziative specifiche. Il poco che si fa con la progettazione attuale è molto distante da questa visione geopolitica e, occorre ribadirlo, non è tanto una questione di fondi ma una questione di idee.
Gli italo-canadesi, anche quando non sono più cittadini italiani e non parlano più la lingua, conservano per l’Italia un legame di fondo, come lo conservano per i loro genitori o i loro nonni: ciò attesta che la cittadinanza non deve essere considerata l’unico legame con l’Italia. Si apre, così, l’immenso (e in larga misura inesplorato) discorso di un loro maggiore coinvolgimento per sostenere il futuro dell’Italia. Serve, però, che l’Italia stringa con loro un legame che sia stretto, più innovativo nelle idee e più dinamico nell’operatività.
Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023
[1] Cfr. Evangelisti, G. Gli italiani in Canada, Montreal, Madonna della Difesa, 1958; Antonino Spada, The Italians in Canada, Ottawa-Montreal, Edizioni Riviera, 1969. Antonino Spada era un antifascista, arrivato nel Québec verso la metà degli anni ’20, che, su pressione del consolato e delle autorità provinciali, fu colpito da un provvedimento di censura, per cui la sua testata, l’unica critica del regime, fu costretta a chiudere.
[2] Robert F. Harney, Italians in Canada, Toronto, The Multicultural History Society of Ontario, 1979.
[3] https://www.labparlamento.it/il-mese-del-patrimonio-italiano-celebrato-in-canada/
[4] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_italiana_in_Canada.
[5] Cfr., Villata B., L’italianese. L’italiano comune parlato a Montréal, Montréal, Lòsna & Tron, 2010; Andrino A., “Associazionismo, folklore e…italiese”, Andrino A., “Sui calabresi a Toronto: http://www.icsaicstoria.it/wp-content/uploads/2018/03/CM_06_Zanfino.pdf
[6] Come pubblicazione abbiamo trovato solo questo titolo: Azione di Guido Nincheri: a Florentine artist in North Americ. Si tratta di un opuscolo pubblicato nel 2001 da Chateau Dufresne.
[7] Il 17 gennaio 2020 a Montreal fu organizzato un convegno sulle lettere scritte dall’internamento da Guido Nincheri:https://www.casaditalia.org/t-it-it/coming-up/archives-out-loud-guido-nincheri-letters-from-the-internment
[8] George esercitò il servizio pastorale tra gli immigrati a Ottawa e a Montyre , in quell’ambiente plurilinguistico gli fu di grande utilità la conoscenza di tre lingue.
[9]http://www.chateaudufresne.com; https://it.frwiki.wiki/wiki/Ch%C3%A2teau_Dufresne,_mus%C3%A9e_et_lieu_historique_patrimonial
[10] Guido Nincheri Symbolism in the St-Viateur d’Outremont Painting of the Blind Leading”, https://ilmarcopolo.com/guido-nincheri-symbolism-in-the-st-viateur-doutremont-painting-of-the-blind-leading/
[11]https://www.welcome2prato.com/2009/01/guido-nincheri-un-pratese-montreal.html#:~:text=Guido%20Nincheri%20(1885%20%2D%201973),la%20Galleria%20delle%20Belle%20Arti.. Cfr. il giudizio postivo anche in https://www.ottawaitalians.com/People/guidonincheri.htm
[12] Oltre agli articoli apparsi sul quotidiano di Montreal Le devoir,cfr., ad esempio: “Les dessous de l’histoire: Mussolini à Montréal/Confronting History: Mussolini in Montreal”, su https://www.change.org/p/les-dessous-de-l-histoire-mussolini-%C3%A0-montr%C3%A9al-confronting-history-mussolini-in-montreal; “Nincheri e Mussolini, un affresco che fa ancora discutere”,
https://www.corriereitaliano.com/attualita/quebec/10728/nincheri-e-musni-un-affresco-che-fa-ancora-discutere/; https://www.ledevoir.com/opinion/idees/581820/mussolini-a-. Sul quimontreal
[13] Cfr, “Intervista a George Nincheri”,
http://www.italiancanadianww2.ca/it/collection/details/icea2011_0057_0001. Oltre alla testimonianza del figlio, è disponibile anche la testimonianza del cognato Gabriel Bocchini, di cui la sorella Ellie aveva sposato Gabriel, l’altro figlio dell’artista. Roger Nocchini, figlio di un emigrato in Canada e cognato di Gabriel figlio di Guido Nincheri (per via della sorella Ellie che lo sposò) racconta episodi della vita dell’artista e si riferisce anche all’affresco: raffigurante Mussolini:
http://www.italiancanadianww2.ca/it/collection/details/icea2011_0065_0001/
[14] Il profilo tracciato da Giuliano Di Flavio, https://www.qdpnews.it/comuni/montebelluna/ermenegildo-giusti-ho-investito-su-questo-territorio-perche-tra-50-anni-sara-un-italia-piu-bella-non-piu-quella-dei-furbetti/
[15] Una sua dettagliata biografia si trova su Wikipedia
[16] Privato J. (a cura), The Anthology of Italian-Canadian Writing,Guernica Editions Canada, 1996. Joseph Privato è stato titolare della cattedra Italian Canadian Studies alla York University e poi ha insegnato alla Atlanta University di Edmonton in Atlanta.
[17] Gebbia A., “Italiani in Canada: storia e cultura”, Semestre di Studi e Ricerche di Geografia (Foma, Università Ka Sapienza),, XX, 2008: 61-71; /rosa.uniroma1.it/rosa03/semestrale_di_geografia/article/view/15322.
[18] Cfr, le interessanti precisazioni in una intervista da lei rilasciata: https://www.morfoedro.it/doc.php?n=1087&lang=i
[19] (https://www.societadelleletterate.it/2013/05/intervista-canadese/
[20] Cfr. le pubblicazioni di uno studioso della criminalità italiana nel nord America: Nicaso A., Rocco Perri: la storia del bootlegger più famoso del Canada, John Wiley & Sons Canada, Toronto, 2004. Cfr. la biografia Idem, Il piccolo Gasby, La storia di Rocco Perri, il re del contrabbando dei liquori, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, 2012.
[21] Humphreys, A., The Enforcer: Johnny Pops Papalia, A Life and Death in the Mafia. Harper Collins Yotonto, 2009.
[22] Pizzorusso G. e Sanfilippo M., “Dagli indiani agli emigranti. L’attenzione della Chiesa romana al Nuovo Mondo, 1492-1908”, in Archivio storico dell’emigrazione italiana
[23] Rosoli, G. (a cura di), Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo, CSER, Roma, 1989: 491-509 (cfr. in particolare l’approfondimento di J. Zucchi); Sanfilippo M., “Chiesa e immigrati italiani nel Nord America: il caso dell’Ontario”, in Studi migrazione, XLVIII, n. 184: 201,
https://dspace.unitus.it/bitstream/2067/2237/1/Se-184-03%20Sanfilippo.pdf.. Per l’esperienza sul campo di un missionario degli Oblati di Maria Immacolata, che operò nella diocesi di Toronto fino alla metà degli anni ’80, cfr. Framarin B., I cattivi pensieri di don Smarto: un prete italiano in Canada, Padova, Edizioni Messaggero 1986.
[24] Salvatore F., “Il fascismo e gli italiani in Canada”, in Storia Contemporanea, XXXVIII, 5, ottobre 1996: 844-847.
[25] . Salvatore F., “Liborio Lattoni, pastore protestante e pioniere della letteratura italo-canadese”, in II Cittadino Canadese, 4 ottobre 1995. Cfr. anche “Liborio Lattoni: da missionario protestante a poeta nella Montreal del primo Novecento”, Canadiana Vol. 13 (1996): 80-106.,
https://www.google.com/search?q=liborio+lattoni&oq=liborio+lattoni&aqs=chrome..69i57j35i39.8309j0j15&sourceid
[26] Su temi quali le generali condizioni socio-culturali degli italiani emigrati, le loro forme di religiosità popolare e la fede, bisogna astenersi dal ricorrere subito all’etichetta “superstizione”, perché all’origine di riti, poi diventati abitudinari, vi erano significati profondi.
[27] Le riflessioni dei membri della Delegazione italiana recatisi a Toronto furono raccolte in un apposito dossier nella rivista Servizio Migranti, n.1 del 2009. Inoltre, si sofferma sull’evento anche Delfina Licata in Fondazine Migrantes, Rapporto Italiani nel mondo 2009, Edizioni Idos, Roma, 2009: 360-362. Si veda, inoltre, Zucchi J., “Church and Clergy, and the Religious Life of Toronto’a talian Immigrants, 1900-1940”, https://www.erudit.org/en/journals/sessions/1983-v50-n2-sessions1827474/1007221ar.pdf. 8 Cfr. Migranti-press n. 47, 15-21 novembre 2008; Servizio Migranti, 4/, 2006: 367-378.
[28] Cfr. Migranti-press n. 41 del 10.10.2008:
[29] Negli anni ’50, pima che si attiva l’UCEI per l’invio dei sacerdoti erano giunti a Toronto P. Pileggi nel 1951, P. Mauro Mastrodicasa e P. Mirko Soligo nel 1958 e P. Giuseppe Sbrocchi nel 1959.
[30] L’UCEI ha, poi, assunto la denominazione “Fondazione Migrantes”, il presidente è il medesimo della competente Commissione Episcopale sulle migrazioni.
[31] Virgolettato desunto dalla relazione scritta di Luigi Pautasso sui primi 50 anni dell’Italian Pastoral Commission.
[32] Giordano V., “Montréal, città dei mille campanili!”, Messaggero di S. Antonio, 23 agosto 2019,
https://messaggerosantantonio.it/content/montreal-citta-dei-mille-campanili.
[33] Giordano V., “Padre Rinaudo Vecchiato da 50 anni in missione”, in Cittadino Canadese, 28 marzo 2017,
https://cittadino.ca/2017/03/28/padre-rinaldo-vecchiato-da-50-anni-in-missione/
[34] Gauvreau M, The Catholic Origins of the Quiet Revolution, Montreal, Fides, 2008. Sui più recenti sviluppi della secolarizzazione cfr, Pittau F., Vacaru N. (a cura), Migrazioni e integrazione tra le due sponde dell’Atlantico, Edizioni Idos, Roma, 2020: 90-97.
[35] Pautasso L., “Quasi quarant’anni della Commissione Pastorale Italiana di Toronto (1969-2007)”, http://www.ucemi.it/Notizie/Toronto_230607.pdf.
Riferimenti bibliografici
Nel selezionare questi sommari riferimenti bibliografici abbiamo tenuto conto che l’istituto Italiano di Cultura di Montreal ha pubblicato l’accurata Bibliografica sull’italiano e gli italiani in Canada: storia, antropologia, sociologia. L’inserimento delle è stato curato da Gianna Bardotti, M. Serena Bruttini e Alessandro Corsi. La rassegna è limitata a quanto pubblicato nel periodo 1979-1995. Seguendo l’orientamento proposto da Robert F. Harvey sono indicati i titoli che aiutano a meglio rendersi conto delle diverse comunità italiane nelle loro implicazioni storiche e sociologiche (vedi nota 35). Inoltre, di grande aiuto è stata l’ampia bibliografia curata dall’Università di Lipsia. Invece, nell’ampio elenco di pubblicazioni segnalate nel sito dell’Associazione Italiana di Studi Canadesi, non abbiamo trovato titoli dedicati all’immigrazione [35]. Titoli aggiuntivi, per lo più riferiti a interventi curati dalle stesse comunità territoriali degli italiani, sono stati da noi segnalati nelle note, indicando possibilmente il link su internet.
a. Pubblicazioni apparse in Italia
Anselmi W., William H. Hogan L., “L’emigrazione italiana in Canada nell’era globale tra aspetti culturali e risvolti economici”, in Memoria e ricerca 18, 2005: 61-78.
Baldi S., “Aspetti e problemi della collettività italiana in Canada”, in Affari Sociali Internazionali, 1, 1988: 71-90, https://baldi.diplomacy.edu/articles/Canada_ASI_Baldi.pdf.
Bruti Liberati, L., “Le relazioni tra Canada e l’Italia e l’emigrazione Italiana nel primo Novecento”, in Studi Emigrazione 22, 1985: 44-67.
Cagiano de Azevedo R., La società in transizione: italiani ed italo-canadesi negli anni Ottanta, Franco Angeli, Milano, 1991.
Kinsman J. E., “I rapporti tra l’Italia e il Canada all’inizio del terzo millennio”, in Rivista di studi canadesi 13, 2000: 5 ss.
Gebbia A., “Gli italiani in Canada: storia e cultura”, Semestrale di studi di geografia, Roma, XX, 2008: 61-72.
Maglio A., “Gli italiani del Canada, una lobby dimenticata”, in Limes, 2, 1998: 231-239.
Harley T.F., Dalla frontiera alle little Italies. Gli italiani in Canada (1800-1945), Mondadori, Roma, 1984.
Idos, Università Laval, Pittau F., Vacaru N. (a cura), Migrazioni e integrazione tra le due sponde dell’Atlantico, Edizioni Idos, Roma, 2020.
Ramirez, B., “Operai senza una ‘causa’? I manovali Italiani a Montreal, 1900-1930”, in Studi Emigrazione, 22, 77, 1985: 98-111.
Ramirez B, Cancian S S., “Post migration ‘Italo Canada’: new perspectives on its past, present and future”, Studi emigrazione, n. 44, 2007: 259-272.
Salvatore F., “Il fascismo e gli italiani in Canada”, in Storia Contemporanea, XXXVIII, 5, ottobre 1996,:83-862, https://spectrum.library.concordia.ca/id/eprint/6904/1/salvatore_storia_contemporanea.pdf.
Tosi A., L’italiano d’oltremare. La lingua delle comunità italiane nei paesi anglofoni”, Giunti, Firenze, 1991.
Vedovelli, M., L’italiano lingua seconda, in Italia e all’estero, Institut de linguistique de l’Université de Neuchâtel, 2001: 11–48: https://core.ac.uk/download/pdf/20650553.pd
b. Pubblicazioni apparse in Canada
Bouchard G, Lamonde Y., La Nation dans tous ses États. Le Québec en comparaison, Éd. L’Harmattan, Paris/Montréal, 1997.
Bouchard G., L’interculturalisme. Un point de vue québécois, Éd. Le Boréal, Monbtreal, 2011.
Cameron E, (a cura), Multiculturalism and Immigration in Canada: An Introductory Reader, Paperback January 1, 2004.
Gouvemement du Québec (a cura), Portrait statistique de la population d’origine ethnique italienne, recensée au Québec2006, http://www.quebecinterculturel.gouv.qc.ca/publications/fr/diversite-ethnoculturelle/com-italienne.pdf.
Perin R., Sturino F, (a cura), Arrangiarsi: The Italian Immigration Experience in Canada. Montreal: Guernica Editions, Montreal, 1989.
Pozzetta, E. G., Ramirez B. (a cura), The Italian Diaspora. Migration Across the Globe, The Multicultural History Society of Ontario, Toronto, 1992.
Pivato, J. (a cura), Contrasts. Comparative Essays on Italian Canadian Writing, Guernica Editions, Montreal, 1985.
Ramirez, B., Les premiers Italiens de Montréal. Montréal, Moréal Express, Montreal, 1984.
Ramirez B., The Italians in Canada, Ottawa, Canadian Historical Association, 1989: https://cha-shc.ca/_uploads/5c374d645ea1e.pdf.
Scardellato G. P.,Scarci, M. (a cura di), A Monument for I, talian-Canadian Immigrants. Regional Migration from Italy to Canada, Department of Italian Studies, University of Toronto and The Italian-Canadian Immigrant Commemorative Association, Toronto, 1999: 40-45.
Statistics Canada, Immigration and Ethnocultural Diversity Highlight Tables, ww12.statcan.gc.ca, 25 ottobre 2017.
Zucchi J., “The Italian Immigrant Presence in Canada, 1840-1990”, in Tomasi L. F., Gastaldo, P., Row T. (a cura di), The Columbus People. Perspectives in Italian Immigration to the Americas and Australia, New York: Center for Migration Studies, New York, 1994: 368-380.
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Franco Pittau, dottore in filosofia, è studioso del fenomeno migratorio fin dagli anni ’70, quando ha condotto un’esperienza sul campo, in Belgio e in Germania. È stato ideatore del Dossier Statistico Immigrazione (il primo annuario del genere realizzato in Italia). Già responsabile del Centro studi e ricerche IDOS (Immigrazione Dossier Statistico), continua la sua collaborazione come Presidente onorario. È membro del Comitato organizzatore del Master in Economia Diritto Intercultura presso l’università di Roma Tor Vergata e scrive su riviste specialistiche sui temi dell’emigrazione e dell’immigrazione.
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