Santo Lombino, autore del recente libro dal titolo Bolognetta. Quattro secoli di storia (I Buoni Cugini Editori, Palermo 2022), ha portato a compimento la sua ultima fatica storiografica, ampliando precedenti contributi specifici e approfondendo la conoscenza sulle vicende del suo paese di origine ‒ prima denominato Santa Maria dellʼOgliastro (per unʼimmagine di Madonna in prossimità di un ulivo selvatico) ‒ fondato al finire del Cinquecento da un discendente dei Beccadelli originari di Bologna.
Quattro secoli di storia che scorrono tra le pagine di un testo, frutto di lunghe e laboriose ricerche dʼarchivio, nelle quali si intrecciano storia agraria, politica, economica e sociale, con dovizia di dettagli, in un tessuto narrativo che riesce a tenere insieme rigore scientifico e finalità di divulgazione tra i lettori non specialisti della materia. Una mole considerevole di informazioni e di dati tratti da documenti inediti, che illustrano quanto ci sia di unico e quanto di universale nella storia del paese.
L’identità di un piccolo comune – al pari di quella di una grande città ‒ è determinata dalla sua storia. E la storia stessa della Sicilia è incomprensibile senza lo studio dellʼorigine e della formazione dei suoi centri rurali e urbani, che deve portare a cogliere, per esempio, le differenze, talvolta marcate tra abitati dellʼentroterra agrario e borgate della fascia costiera, tra paesi degli ex feudi a coltura cerealicola e quelli che hanno vissuto di pesca, consentito lʼimpianto di numerose tonnare e la formazione di una élite di raisi e marinai abilissimi; tra Sicilia degli agrumi e Sicilia dello zolfo, tra economia dei gelsi e della produzione della seta e industria delle cannamele che nel Cinquecento ha portato lʼIsola ai vertici della produzione dello zucchero nel cuore del Mediterraneo.
Alcuni decenni fa un nutrito gruppo di storici coordinati da Giuseppe Giarrizzo e da Maurice Aymard, in occasione della pubblicazione del volume sulla Sicilia, pubblicato da Einaudi, ha mostrato un nuovo orizzonte nellʼinterpretazione della storia dellʼIsola, invitando a considerare le capitali minori di una Sicilia policentrica e ad avviare unʼindagine analitica sulle gravitazioni territoriali, cioè sulla rete di connessioni che legavano agglomerati di comunità ad un centro urbano maggiore. E su questa strada Lombino ha svolto la sua vasta ricerca e sviluppato la trama del libro, spingendosi fino agli inizi degli anni Sessanta del Novecento.
Lʼarrivo in Sicilia del primo Beccadelli (Vannino) risaliva al 1303 e non rappresentava certo unʼeccezione, considerata la centralità e rilevanza dellʼisola nel cuore del Mediterraneo. Mercanti, banchieri, eruditi, magistrati, diplomatici, militari, maestranze specializzate «di fuori Regno» erano molto presenti e attivi fin dal medioevo: genovesi, pisani, lombardi, veneziani, per limitarci a quelli giunti dalle aree della penisola continentale, che fecero fortuna e che vi si trasferirono stabilmente, come nel caso dei Beccadelli:
«Si trattava di un clan familiare che, con accorta e spregiudicata strategia, aveva scalato nel giro di un secolo molte posizioni, accumulando una vasta proprietà immobiliare ed occupando incarichi di rilievo a livello religioso e politico, in Sicilia come alla corte imperiale. I Bologna che ebbero nei vari rami il titolo di principi di Camporeale, duchi dʼAragona e marchesi di Capaci, Sambuca, Altavilla Milicia, furono tra i più attivi nel promuovere il ripopolamento delle zone interne dellʼisola, dove fino ad allora era prevalsa la pastorizia, con la fondazione di nuovi paesi».
La circostanza dellʼesistenza di qualche fondaco e qualche masseria sparsa nel territorio della terra di Ogliastro ha fatto probabilmente la differenza nel momento in cui un facoltoso discendente dei Beccadelli (Aloisio) ottenne nel 1570 ‒ senza tuttavia sfruttarla ‒ lʼautorizzazione regia (licentia populandi) a far sorgere un abitato nel feudo di Casaca, non lontano da Marineo. Come opportunamente sottolinea Amelia Crisantino nella Prefazione: «Lʼessere feudatario di un centro abitato comportava il diritto di voto nel braccio feudale del parlamento isolano; e ogni nuovo centro abitato guadagnava un voto in più al barone che ne era signore».
I Beccadelli, generazione dopo generazione, diventarono una delle dinastie più prestigiose e influenti tanto che a metà del Cinquecento si collocavano al quindicesimo posto nella graduatoria dei signori siciliani. Se, quindi, originariamente non erano mercanti né di estrazione nobiliare, in Sicilia acquisirono titoli e patrimoni. Ma dalla seconda metà di quello stesso secolo, cessata la fase espansiva dellʼeconomia agraria, il problema principale dellʼaristocrazia siciliana non fu solo di accrescere peso politico, quanto, soprattutto, di spezzare la spirale dellʼindebitamento crescente e di riuscire a mantenere un equilibrio patrimoniale che impedisse di ricorrere al credito o nella forma di anticipazioni finanziarie erogate da ricchi mercanti o nella forma di soggiogazioni, cioè di rendite sui loro patrimoni, costituite a favore dei creditori.
«Nel 1572 viene venduta la baronia di Cefalà a Luigi Scavuzzo, che poi lʼavrebbe passata a Nicolò Diana (da cui il toponimo odierno Cefalà Diana), mentre nel 1600 cambiano di proprietà il feudo “delli Mendoli” e la masseria di Villafrati, che vanno allʼavvocato De Spuches e il feudo di Casaca che va a Marco Mancino».
E sarà proprio il Mancino ad aggiudicarsi allʼasta, nel 1600, il feudo di Casaca e relativo fondaco «che la tradizione orale chiama U voscu rʼalivi, cioè il Bosco degli ulivi per antonomasia, e un precedente fondaco indicato come “fondaco di Ogliastro”». Singolare appare, inoltre, la clausola del contratto di acquisto con la quale il Beccadelli imponeva al compratore di denominare Bolognetta il feudo oggetto della transazione.
Il caso dei Mancino, forse di origine genovese, era emblematico di una diversa fase della storia della Sicilia, nella quale cominciarono a emergere nuove figure che si inserirono nelle amministrazioni civiche e che iniziarono la loro scalata sociale, avendo fatto fortuna nel commercio o nellʼintermediazione o con i prestiti a usura o, come la maggior parte dei gabelloti, arricchendosi sulle spalle dei contadini, dei salariati e degli affittuari. Nel caso di Ogliastro i proprietari Mancino tennero il feudo ‒ e lo popolarono ‒ ininterrottamente fino allʼOttocento, trasmettendo la proprietà, di generazione in generazione, ai primogeniti maschi, al fine di preservare lʼintegrità patrimoniale.
Le dimensioni demografiche della comunità di nuova fondazione erano ovviamente modeste e sulla base dei riveli delle anime e dei beni, dagli iniziali circa centodieci abitanti del 1606 si passò a 351 nel 1682. Il primo vero incremento significativo di popolazione si ebbe intorno alla seconda metà del Settecento, quando risultarono registrati 1.268 abitanti, grazie alla sana e lungimirante amministrazione di Marco Mancino VII, principe di Torrebruna il cui attivismo nellʼincentivare le concessioni enfiteutiche diede impulso allo sviluppo dellʼeconomia agricola di quel territorio, fondata principalmente sulla coltivazione dei cereali, della vite e dellʼulivo:
«Il 28 giugno 1787 Marco Mancino VII principe di Torrebruna, con lʼassistenza dellʼagrimensore Luigi Furitano di Misilmeri, concede in enfiteusi, cioè in affitto perpetuo, le terre della contrada di Casaca, “detta anche Bosco”, a centinaia di affittuari. Le condizioni contrattuali dovettero essere così favorevoli e allettanti da indurre centinaia di famiglie a trasferirsi a Ogliastro per meglio seguire i poderi concessi».
Tra i diversi aspetti della storia di Bolognetta ‒ che prenderà ufficialmente questa denominazione solo dal 1° febbraio 1883 ‒ Lombino affronta anche la questione dei difficili rapporti tra gli abitanti di Ogliastro e quelli di Marineo. La storia della Sicilia è costellata di conflitti e discordie interpaesane che spesso sfociavano in scontri violenti. E le vicende accadute a Ogliastro nel 1852, in occasione della tradizionale corsa di cavalli che si svolgeva il lunedì di Pasqua e che ebbe un seguito di incidenti molto gravi, meritava giustamente di essere trattata.
«Gli abitanti di Marineo, ad esempio, venivano apostrofati col dispregiativo di tabbariati, ovverossia “linguacciuti”. Per tutta risposta, i marinesi marchiavano gli ogliastresi con appellativo di panzuti. La pancia di molti di loro, infatti, cresceva a causa dellʼingrandirsi del fegato dovuto alla malaria […]. Capitava anche che si passasse dalle parole (e dai pregiudizi) ai fatti, arrivando perfino a scontri fisici di massa. A metà ottocento una furibonda lite portò gli abitanti della futura Bolognetta e quelli di Marineo a scontrarsi in modo tale da indurre le autorità borboniche, tra cui il famigerato direttore di Polizia, Salvatore Maniscalco, ad intervenire severamente».
Nonostante gli arresti, le faide e gli scontri, seppur limitati a gruppi di giovani, proseguirono nei decenni successivi.
A Bolognetta, come nella quasi totalità dei comuni, il fenomeno delle usurpazioni delle terre comunali si manifestò diffusamente, mostrando una propensione a violare le regole generalizzata, che riguardava piccole e grandi infrazioni, come si evince dai documenti individuati, relativi alla seconda metà dellʼ800. Sindaci, assessori, consiglieri comunali, semplici cittadini, in una competizione di abusi edilizi e di appropriazione di spezzoni di terre del comune. Le amministrazioni venivano sciolte, commissariate e ricostituite, ma le usurpazioni compiute rimanevano quasi sempre intangibili:
«Nel maggio 1884 il prefetto di Palermo […] fa presente la necessità di far pagare agli abitanti di ogni categoria una tassa annuale o una tantum per avere occupato con edifici e manufatti porzioni più o meno ampie di suolo pubblico. Intervenendo nellʼassemblea municipale, lʼassessore Bongiorno afferma, non sappiamo con quanta convinzione, che chi ha costruito senza permesso è in genere “persona di bassa condizione” che con tale attività edilizia ha portato solo vantaggi alla comunità. A suo giudizio, infatti, tale cittadino ha riparato fabbricati rovinati dai movimenti franosi, ha ridotto le cause di insalubrità dovuta ai cumuli di immondizie nei terreni comuni (ʼu cummuni), ha lodevolmente cercato di ingrandire il “ristretto paese”».
La proposta del prefetto di imporre una tassazione venne perciò rigettata allʼunanimità dal Consiglio comunale.
In occasione dellʼimportante inchiesta parlamentare sulle condizioni dellʼagricoltura e della classe agricola, meglio nota come Inchiesta Jacini, i cui risultati furono pubblicati nel 1885, i dati e le informazioni raccolte riguardanti il paese (ancora denominato Santa Maria di Ogliastro, nonostante il decreto regio già emanato), con una popolazione di poco inferiore a 2.000 unità, mostravano un quadro contraddittorio. In una superficie di circa 6.400 ettari, la cerealicoltura primeggiava su circa 600 ettari, per il resto 350 di vigneto, 250 di oliveto e 300 di sommaccheto; ma non vi era alcuna industria agraria se non qualche macina per le olive; nessuna cantina né mulino per la polverizzazione delle foglie di sommacco; meccanizzazione agraria inesistente, rapporti di lavoro vessatori e tali da garantire a mala pena la sussistenza dei salariati e dei metatieri. Questa condizione stagnante dellʼeconomia agraria del paese era favorita dallʼassenza di un sistema viario e di trasporti che permettesse una più conveniente mercantilizzazione dei prodotti dellʼagricoltura. Perciò i grossisti e i mercanti intermediari avevano gioco facile nellʼimporre prezzi di acquisto poco redditizi per i produttori locali:
«Il trasporto delle merci provenienti dal sud della provincia verso Palermo e dallʼagrigentino diretti al porto e ai mercati ortofrutticoli del capoluogo era fatta nellʼOttocento e nella prima metà del Novecento con i carretti a strascinu. […] Anche dal paese partivano alcuni carrettieri che trasportavano granaglie, prodotti ortofrutticoli, paglia per il mercato cittadino. A volte trasportavano sul carretto anche persone che avevano bisogno di recarsi in città per qualche necessità o per imbarcarsi».
Solo nellʼestate del 1886 fu inaugurata la prima tratta della linea Palermo-Villafrati e almeno in quellʼoccasione il treno fece sosta anche alla stazione di Bolognetta tra lʼesultanza e lo stupore della popolazione locale.
Nel libro di Lombino si susseguono paragrafi dedicati alle vicende amministrative comunali che sembrano appartenere ad un unico capitolo della storia della Sicilia. Nonostante le dimensioni demografiche modeste di Bolognetta (1.931 abitanti nel 1863), soprattutto in confronto con i paesi più vicini ‒ Marineo (ab. 8.360) o Misilmeri (ab. 7.458) ‒ la paralisi gestionale era determinata dai continui scontri in Consiglio tra le contrapposte fazioni “politiche” e dalla mancanza di volontà da parte dei sindaci e amministratori pro tempore di assicurare equilibrio e stabilità finanziaria nei bilanci dellʼente locale. E persino la nomina dellʼex brigadiere Giorgio Verdura a sindaco, nel 1877, da parte del prefetto, si concluderà tragicamente:
«Verdura, a giudizio del questore di Palermo, gode della pubblica stima, ha una buona posizione economica e sociale e ha fatto parte del corpo dei Reali Carabinieri per tredici anni. […] Oltre ‒ elemento nientʼaffatto trascurabile ‒ lʼex carabiniere viene considerato estraneo alle due fazioni in lotta ed allineato su posizioni filo-governative, il che non dispiace alla questura palermitana».
Ciò nonostante, il comune ricadde ben presto in piena crisi e il neo-sindaco veniva accusato di “smania di potere” mentre questi, a sua volta, denunciava il capo dellʼopposizione comunale di avere ordito il suo assassinio. Gli accertamenti disposti dalla Prefettura, nel vano tentativo di ripristinare un ordinato funzionamento dellʼamministrazione, portarono alla conclusione che quanto scritto dal Verdura potesse verosimilmente essere «una frottola per malevolenza e per passione» e che, quindi, fosse inevitabile la sua rimozione dallʼincarico. Purtroppo, i fatti diedero ragione al deposto sindaco che, il sette maggio del 1879, vittima di un agguato, venne ferito gravemente con due colpi di fucile e, portato in ospedale, sarebbe deceduto poche ore dopo.
La parte dedicata alla triste stagione dello spopolamento del paese per emigrare allʼestero, è anchʼessa ben documentata e trattata. Va ricordato, peraltro, che Lombino ha studiato a fondo il fenomeno con altri saggi specifici ed è attualmente direttore scientifico del “Museo delle Spartenze dellʼarea di Rocca Busambra”. Se negli ultimi due decenni dellʼOttocento le partenze per le Americhe erano state sporadiche e non più di poche decine, con lʼavvio del nuovo secolo tutto cambia: tra il 1904 e il 1908 un terzo della popolazione (760 bolognettesi) lasciano il paese, seguiti da altri 577 nel successivo quinquennio:
«La massiccia presenza della componente femminile e infantile nelle fila della diaspora e la vendita dei pochi beni posseduti sembrano dimostrare la pianificazione, da parte di molti nuclei familiari, di una emigrazione definitiva. In senso contrario va interpretato lʼinvio, alla parrocchia di Bolognetta, di decine di certificati di battesimo delle bambine e dei bambini che, nati da genitori bolognettesi a cavallo dei due secoli, ricevevano il sacramento a New York, con padrini provenienti dallo stesso paese o dalla vicina Marineo. La maggior parte è battezzata da preti di origine italiana nella chiesa della Madonna di Loreto in Elizabeth Street, un numero minore a S. Patrick, la vecchia cattedrale della città oppure a Brooklyn nella chiesa della Madonna del Rosario di Pompei. […] Nei registri parrocchiali del paese vengono annotate tra il 1895 e il 1908 le comunicazioni dagli States di 82 battesimi: come a dire, prima o poi ci sarà bisogno di dimostrare che siamo battezzati come quelli che sono rimasti in Sicilia».
È un filo rosso che non si è mai spezzato e che ha tenuto insieme il paese di origine con le comunità dʼoltreoceano.
Il nono e ultimo capitolo del libro comprende le pagine più drammatiche del nuovo secolo, dalla Grande Guerra alla Guerra Fredda, costellate da vicende che danno la misura di come gli eventi nazionali e internazionali si siano riverberati nella microscopica comunità di Bolognetta, con il loro carico di tragedia: i 43 giovani del paese che persero la vita durante il primo conflitto e poi le vittime di unʼepidemia di colera e della “Spagnola”; lʼomicidio di Carmelo Lo Brutto che al rientro dal fronte aveva fondato lʼAssociazione dei reduci e organizzato manifestazioni di protesta per ottenere allʼamministrazione comunale una più equa distribuzione delle imposte e che venne ucciso davanti casa, nellʼaprile del 1922.
Ma tra i tanti episodi di cui Lombino ricostruisce i dettagli è ancora il caso di ricordarne un ultimo e cioè quanto accaduto a metà di agosto del 1925:
«[…] in occasione della festa della Madonna del Lume, avviene allʼinterno della Chiesa madre uno scontro fisico tra una squadra di contadini e una di mafiosi. Causa del contendere, la pretesa di questi ultimi di imporre la loro presenza per portare a spalla la vara della santa, senza rispettare le prenotazioni effettuate con un fazzoletto. I mafiosi, benché maggiori di numero, sono costretti a cedere: quei pugni e quelle bastonate tra le opposte fazioni resteranno impresse per decenni nelle menti di piccoli e grandi».
In conclusione, si può certamente sostenere che il prezioso libro di Lombino è un vero e proprio viaggio non solo nella storia di Ogliastro-Bolognetta, ma soprattutto in quella della Sicilia.
Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023
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Rosario Lentini, studioso di storia economica siciliana dell’età moderna e contemporanea. I suoi interessi di ricerca riguardano diverse aree tematiche: le attività imprenditoriali della famiglia Florio e dei mercanti-banchieri stranieri; problemi creditizi e finanziari; viticoltura ed enologia, in particolare, nell’area di produzione del marsala; pesca e tonnare; commercio e dogane. Ha presentato relazioni a convegni in Italia e all’estero e ha curato e organizzato alcune mostre documentarie per conto di istituzioni culturali e Fondazioni. È autore di numerosi saggi pubblicati anche su riviste straniere. Tra le sue pubblicazioni più recenti si segnalano: La rivoluzione di latta. Breve storia della pesca e dell’industria del tonno nella Favignana dei Florio (Torri del vento 2013); L’invasione silenziosa. Storia della Fillossera nella Sicilia dell’800 (Torri del vento 2015); Sicilie del vino nell’800 (Palermo University Press 2019).
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