L’International Mother Language Day, istituito dall’UNESCO nel 1999 e riconosciuto nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU, a partire dal 2000, ogni 21 febbraio, viene celebrato per promuovere la lingua madre (insieme alla diversità linguistico-culturale e al multilinguismo). Bisogna tuttavia premettere che la definizione di ‘lingua madre’ – comunemente indicata anche come madrelingua o lingua materna – resta tuttora oggetto di dibattito tra i linguisti. Al riguardo, è innanzitutto opportuno sgomberare il campo dall’equivoco più ricorrente, quello cioè secondo cui la genitrice avrebbe necessariamente un ruolo privilegiato nel processo di acquisizione della lingua da parte del figlio, benché ciò risulti indubbiamente assai frequente. La ‘maternità’ andrebbe piuttosto intesa, come alcuni fanno notare, nel senso di ‘origine’, ‘matrice’ o ‘fonte’.
La lingua materna (L1) è ognuna delle lingue naturali che vengono acquisite da un individuo attraverso un processo spontaneo, indipendentemente quindi dal livello e dal grado di istruzione:
«È la lingua appresa per prima, la lingua dell’infanzia, che serve per la prima socializzazione e per lo sviluppo del pensiero, l’espressione profonda del proprio io. “È la lingua in cui una persona pensa tra sé e sé ed in cui si esprime in maniera non controllata in alcune situazioni, quali ad esempio momenti di ira o di pericolo. Alcune persone bilingui possono giungere a pensare in più di una lingua, ma rimane quasi sempre una lingua dominante” (Balboni). Questa non sempre coincide con la lingua nazionale del Paese di appartenenza» [1].
Tali rigorose argomentazioni non bastano però a dissipare del tutto ambiguità e fraintendimenti. La prima lingua, o anche ‘lingua nativa’, potrebbe infatti non essere quella appresa per prima, bensì quella oppure quelle – visto che potrebbero essere, come già detto, più d’una – di cui il parlante possiede una maggiore padronanza. Pertanto, tutte le lingue native, acquisite magari anche in periodi diversi, possono essere a buon diritto designate come prime lingue, a patto che non si consideri l’aggettivo ‘nativa’ come riferito stricto sensu alla nascita (nell’accezione biologico-genetica e/o geografico-temporale) del parlante. Non rappresenta infatti un dato scontato che la lingua nativa di una persona sia la stessa dei genitori, e neppure che essa sia direttamente connessa al momento della nascita, poiché l’acquisizione linguistica da parte del bambino inizia di fatto soltanto dopo alcuni mesi di vita.
Risulta perciò assai difficoltoso formulare una definizione univoca e chiara di ‘lingua madre’, se non declinandola in relazione ai più disparati contesti. Lingua materna potrebbe essere, per esempio, quella che un individuo giudica come propria lingua (per auto-identificazione), quella individuata da altri come lingua propria del soggetto (attraverso l’etero-identificazione), quella – come si accennava poc’anzi – meglio dominata da un individuo (secondo la competenza) o quella maggiormente adoperata da quest’ultimo (in riferimento quindi all’uso funzionale). Tra le molteplici definizioni, è ovviamente da annoverare anche quella che si fonda sulle origini e sulla sfera interiore del parlante, suffragata tra gli altri da Antonio Cuciniello (Fondazione ISMU di Milano), secondo cui la lingua madre è quella in cui si sono stabiliti i primi contatti verbali, cioè
«[…] quella degli ‘affetti’, quella più intensa, quella delle ninnenanne, quella delle prime fiabe raccontate […] la lingua attraverso cui passa la costruzione identitaria, la lingua che nominando il mondo lo crea, fatta di odori, immagini, movimenti, sensazioni nello spazio, vibrazioni della voce, percorsi […]» [2].
A fronte delle diverse e spesso contrastanti opinioni in materia da parte degli studiosi, vi è altresì una sostanziale identità di vedute nell’affermare che possedere solide e complete abilità nella lingua nativa costituisca il requisito essenziale per ulteriori apprendimenti, incluso quello di altre lingue, poiché esse giocano un ruolo fondamentale a livello intellettivo. Di conseguenza la lingua madre occupa – o, quantomeno, dovrebbe idealmente occupare – una posizione preminente nell’educazione dell’individuo. La questione diventa cruciale se calata per esempio in ambito migratorio, dove la lingua madre (L1) si trova a doversi per necessità misurare con quella usata per la comunicazione nel Paese d’accoglienza, cioè la lingua seconda (L2). A differenza che per la lingua straniera (LS), che è generalmente non presente nell’area geografico-culturale dove viene studiata, la L2 è quella in cui l’immigrato convive ed è immerso quotidianamente, e che viene acquisita contemporaneamente dentro e fuori del contesto di apprendimento: l’(eventuale) insegnante di L2 non rappresenta cioè per l’immigrato la (sola) figura-modello di parlante. Come chiarisce al riguardo il linguista Paolo E. Balboni:
«La situazione di lingua seconda prevede che molto dell’input linguistico su cui si lavora provenga direttamente dall’esterno, spesso portato a scuola dagli stessi studenti; inoltre, nella situazione di lingua seconda, la motivazione è di solito immediata, strumentale, quotidiana, mirante all’integrazione nel Paese la cui lingua è seconda» [3].
Nell’odierna società italiana, che, con oltre 150 lingue immigrate attestate all’interno del territorio nazionale, ha registrato nel corso degli ultimi decenni un incremento esponenziale del multilinguismo [4], il tema delle lingue madri sta assumendo una rilevanza sempre maggiore. La L1, la sola in grado di dare pienamente voce alle storie personali ed identitarie dei parlanti, soprattutto per quanto riguarda le nuove generazioni di immigrati, rischia la stagnazione, la graduale perdita di valore e infine l’estinzione, per cedere progressivamente il passo all’italiano L2, che tende inesorabilmente ad affermarsi soppiantando la prima lingua. Pur riconoscendo l’assoluta importanza dell’apprendimento della lingua propria del Paese ospitante, Cuciniello evidenzia quanto drammatico possa essere per un individuo recidere i legami con la terra d’origine, la sua lingua e la sua cultura:
«Molte sono […] le storie di fuga dalla lingua materna (L1) a favore della lingua del Paese d’accoglienza (L2), per conflitti in famiglia o per la storia avuta nel proprio Paese: la lingua materna può risvegliare dolori e discriminazioni. Ma spesso la si sopprime per facilitare il percorso scolastico dei propri figli, preferendo parlare una lingua più modesta e trascurando la competenza nella lingua d’origine capace di esprimere parole ed emozioni che restano inespresse, ‘mute’, nella nuova lingua. La perdita della lingua materna, la lingua prima che guida gli esseri umani nella prima infanzia e nel corso della vita, è un dolore interiore tra i più grandi e riapre dentro e attorno a sé la domanda irrisolta sulla propria identità. In altri casi, quando la L1 continua a essere parlata e ascoltata anche nel Paese di emigrazione, in famiglia e tra conoscenti, è destinata a sbiadire e a regredire, se non è coltivata. Normalmente sono mantenute le abilità relative all’ascolto e alla parola, ma si perdono quelle relative alla lettura e alla scrittura. Il danno della perdita non è soltanto affettivo e culturale, ma anche linguistico: le competenze acquisite in L1 sono infatti trasferite in L2» [5].
L’istituzione della Giornata Internazionale della Lingua Madre ha sortito anche in Italia una grande risonanza, dando prontamente l’avvio a numerose iniziative culturali, direttamente oppure indirettamente collegate o ispirate alle celebrazioni del 21 febbraio, tra cui spicca, ormai da diversi anni, il Concorso letterario nazionale “Lingua Madre”. Ideato nel 2005 dalla scrittrice, saggista e giornalista torinese Daniela Finocchi, esso costituisce un progetto permanente della Regione Piemonte e del Salone Internazionale del Libro di Torino, destinato alle donne straniere o di origini straniere (anche di seconda o terza generazione) residenti in Italia che intendano narrare attraverso brevi scritti e/o scatti fotografici le proprie esperienze di vita nel nostro Paese, nonché alle italiane che vogliano raccontare l’incontro con donne di differenti nazionalità e culture, le quali abbiano saputo trasmettere loro «altre identità»[6].
Le opere selezionate – le migliori delle quali vengono premiate nel corso della giornata di chiusura del Salone – registrano annualmente una larga diffusione sia tra i visitatori dell’evento sia tra i lettori: le fotografie sono infatti esposte in una mostra patrocinata dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, mentre i racconti sono raccolti e pubblicati in una specifica collana antologica edita da SEB27. Uno degli elementi più suggestivi del concorso – articolato in due sezioni, rispettivamente denominate “Le donne straniere raccontano” e “Le donne italiane raccontano le donne straniere” – è quello di non porre alcuna limitazione all’estro creativo delle partecipanti, promuovendo al contempo la cooperazione tra le autrici. Come si legge sul sito di “Lingua Madre” e ancor più dettagliatamente all’articolo 5 del bando di concorso:
«Si può scrivere e fotografare a qualsiasi età e in qualsiasi condizione, che si sia una bambina delle elementari o una donna detenuta, e si può partecipare da sole, con opere realizzate a quattro mani, ma anche in gruppo. E se l’italiano scritto non lo si padroneggia ancora, non importa, ci si può far aiutare da un’altra donna italiana. […] Si richiede di scrivere in italiano, perché l’Italia è il paese di residenza e il luogo dove il Concorso è bandito, ma è consentita, anzi incoraggiata, la collaborazione tra donne straniere e donne italiane nel caso l’uso della lingua italiana scritta presenti delle difficoltà. Tutto questo nello spirito della valorizzazione dell’intreccio culturale che è prima di tutto intreccio relazionale: assistenza non è affatto perdita sul piano identitario, al contrario, è proprio nella relazione che l’identità si afferma in modo positivo e non preclusivo».
Alla luce delle considerazioni espresse all’inizio, essendo l’italiano l’unica lingua ammessa dal regolamento, appare evidente come il titolo del concorso non vada interpretato alla lettera (se non per la sezione dedicata specificamente alle donne italiane), ma che sia una mera allusione utile unicamente a coniugare il tema dell’immigrazione con la scrittura ‘al femminile’ (diversamente, il bando avrebbe dovuto contemplare la possibilità di accettare composizioni redatte anche in altri idiomi oltre che in italiano, dando successivamente alle stampe volumi multilingui recanti magari la traduzione nella nostra lingua dei contributi selezionati).
In oltre un quindicennio di attività, intorno all’iniziativa si è creata una rete sempre più vasta di collaborazioni, che coinvolge ad oggi una grande varietà di enti e istituzioni (come ad esempio la Società Italiana delle Letterate), biblioteche, musei, centri SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), ma anche le scuole di ogni ordine e grado, inclusi i Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA). Tra questi ultimi si è distinto in particolare il CPIA1 di Bergamo che, a partire dall’anno scolastico 2018-2019, ha fatto di “Lingua Madre” un vero e proprio laboratorio di scrittura riservato alle studentesse adulte straniere frequentanti i corsi di lingua italiana e di licenza media.
Referente del progetto è Marco Buscarino, insegnante di italiano L2 presso la sede centrale del CPIA bergamasco, già docente di scrittura giornalistica e letteraria presso l’I.T.C.S. Abba Ballini di Brescia, nonché a sua volta narratore, commediografo, giornalista, fondatore e direttore della rivista «Terra di San Marco» per conto della Provincia di Bergamo, curatore di mostre fotografiche, progetti editoriali e culturali. Tra le sue numerose collaborazioni, si citano quelle con i periodici «Sipario», «Amadeus», «Civiltà della Tavola» (Accademia Italiana della Cucina), «Il Notiziario» (Banca Popolare di Sondrio), «Touring Magazine» (Touring Club Italiano), e con i quotidiani «Il Corriere Della Sera», «Il Giorno», «L’Eco di Bergamo», «Il Giornale di Bergamo».
Le opere prodotte dalle corsiste del CPIA1 di Bergamo hanno riscosso fin da subito l’interesse della giuria del concorso, composta per la maggior parte da scrittrici, giornaliste, rappresentanti politiche e studiose del pensiero femminile. Il racconto dal titolo Mi chiamo Angela della nigeriana Angela Okungbowa, in cui l’autrice auspica genuinamente di potere un giorno chiamare l’italiano sua «lingua madre», è stato infatti pubblicato nella raccolta antologica del 2019 [7].
Aderendo ancor più pienamente allo spirito di ‘sorellanza’ propugnato dal concorso, l’anno scolastico 2019-2020 ha visto costituirsi il Gruppo Interculturale del CPIA1 di Bergamo, formato da otto studentesse di diverse età anagrafiche e nazionalità, che ha prodotto il racconto collettivo Storia di una, storie di tante, storie di mille in Italia, anch’esso incluso, per il secondo anno consecutivo, nella silloge di “Lingua Madre” (edizione 2020)[8]. Le autrici dell’opera sono l’ucraina Tetiana Boiko, la peruviana Linda Kandia Zapata Cardenas, la cinese Yan Zhang, la marocchina Marieme El Ghilani, la boliviana Rocio Guevara Mansilla, la venezuelana Mariella Luz Genty De Aroldi, le brasiliane Ruth Dos Santos Riberio e Debora Salete Piva (quest’ultima menzionata anche per la sezione fotografica).
Come scrive Finocchi, curatrice del volume, si tratta di pagine che «narrano di donne figlie di una lingua che le ha messe al mondo, e che sono diventate adulte, talvolta madri, in una lingua altra che le mette alla prova, quotidianamente», storie che, «con sguardo lucido e critico, attraversano il dipanarsi di vite che non si rassegnano ai pregiudizi e alle discriminazioni». Nel coordinarne la stesura, Marco Buscarino ha fornito al gruppo di lavoro indicazioni utili al fine di realizzare un prodotto che non si risolvesse in una pura e semplice miscellanea di resoconti individuali e personali, ma che potesse assumere la forma di una testimonianza polifonica, corale. Dall’archivio dello stesso insegnante, che ha anche generosamente accettato l’invito alla seguente intervista, provengono alcune delle fotografie riprodotte a corredo del presente articolo.
Com’è nato il laboratorio di scrittura “Lingua Madre” del CPIA1 di Bergamo? Quali sono state le reazioni delle studentesse nel cimentarsi con tale attività?
«Il laboratorio rientra in un progetto didattico finalizzato all’approfondimento della lingua italiana da parte di discenti adulti attraverso i mezzi informatici, attività che conduco da qualche anno presso il CPIA in cui insegno. Esso prevede, tra gli altri, un modulo incentrato sull’apprendimento delle tecniche di scrittura e fotografia di taglio giornalistico, che è anche volto alla produzione di articoli per alcune testate online create a tale scopo, tra cui, per esempio, la piattaforma Gedi di Repubblic@scuola. Un ulteriore ambito del medesimo progetto, quello dedicato appositamente alla scrittura letteraria, si avvale appunto del laboratorio “Lingua Madre”, nell’ambito del quale sono stati composti i racconti destinati al concorso – l’idea di parteciparvi mi è stata suggerita da alcuni colleghi della scuola. Le allieve, dal canto loro, si sono immediatamente dimostrate entusiaste e collaborative. Molte si sono aperte spontaneamente, instaurando da subito una comunicazione diretta con le compagne e l’insegnante. Per loro il laboratorio ha rappresentato un’esperienza estremamente arricchente e formativa, che non si è fermata alla sola scrittura di un racconto collettivo, ma che ha trovato altri codici espressivi: quello fotografico, con la realizzazione di una mostra, e perfino cinematografico, con la produzione di un cortometraggio. Il coinvolgimento dell’intera comunità scolastica aveva non soltanto lo scopo di consentire a tutti gli studenti di fruire di ciò che era stato prodotto dalle loro compagne, ma soprattutto quello di dar voce anche ad altre e ad altri che desideravano a loro volta raccontare il proprio vissuto, i propri sogni e le proprie speranze».
Veniamo ora in particolare al laboratorio di scrittura del Gruppo Interculturale nato nel 2020. Come è stata gestita l’attività?
«Si è partiti dal presupposto che fosse di primaria importanza che le partecipanti condividessero tra loro ciò di cui intendevano scrivere e che lo conoscessero a fondo. Per questo motivo le ho incoraggiate a narrare liberamente e diffusamente del loro vissuto in Italia. Ognuna ha quindi raccontato la propria esperienza alle altre per poi stilarne una sintesi al computer (all’occorrenza, con il mio supporto tecnico). Utile è stato anche predefinire una precisa scaletta dei contenuti da trattare affinché i contributi risultassero concisi ed efficaci. Una prima lettura della bozza era già sufficiente alle autrici per poter constatare da sé se i testi fossero adeguatamente strutturati o se, al contrario, si presentassero per certi versi ‘sbilanciati’ o disorganici. A quel punto, si poteva rimediare facilmente, intervenendo opportunamente per ristabilire i giusti equilibri. Oltre che ai contenuti, si è prestata massima attenzione anche alla forma, alla scorrevolezza e allo stile».
In quale misura l’insegnante è intervenuto nelle varie fasi di scrittura oppure sullo stile?
«Mi sono limitato a correggere soltanto i refusi e le imprecisioni linguistiche. Anche le scelte lessicali di ciascun racconto sono state lasciate inalterate, nel pieno rispetto dei prodotti originali, frutto di una scrittura prevalentemente di getto, che assecondasse cioè il libero flusso del pensiero delle scriventi. Ho dunque lasciato alle allieve completa autonomia, e le sistematiche revisioni dei testi da parte delle stesse autrici sono state determinanti per l’autocorrezione».
Come si è giunti infine alla forma del racconto collettivo?
«Ultimato il proprio scritto, ogni autrice ne ha dato lettura alle compagne, al fine di individuare insieme i punti di contatto o di consonanza con le altre storie. Ha così preso forma la struttura del racconto collettivo finale, all’interno del quale ciascun contributo è stato collocato e ‘armonizzato’ con gli altri in funzione del messaggio che si intendeva trasmettere».
In un suo intervento pubblicato nel 2014, Antonio Cuciniello, ricercatore presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha scritto: «Il movimento tra la lingua materna e quella di accoglienza è un movimento che sviluppa l’abilità di ‘abitare le lingue’ e non produce né una somma, immaginando di aggiungere una cultura, una lingua ad un’altra, né una sottrazione, pensando di perdere l’una a favore dell’altra. Solo mediando tra la ‘propria cultura’ e ‘quella dell’altro’ si può tentare di costruire una sintesi di culture all’interno di uno spazio mentale e fisico in cui tutte le etnie condividano gli stessi spazi, comunicando, discutendo, dialogando» [9]. Le differenze linguistico-culturali hanno costituito un ostacolo per il gruppo di lavoro? Quale importanza ha rivestito in tal senso l’uso condiviso dell’italiano come L2?
«Le differenze linguistiche e culturali non hanno ostacolato il lavoro, sono state anzi il principale stimolo all’interno del gruppo, il motore primo del confronto e dello scambio. La sfida dell’uso condiviso della lingua italiana ha indotto le studentesse allo sforzo di esprimere al meglio le rispettive differenze, rendendole al contempo più sicure e consapevoli nell’affermare le proprie unicità».
Il laboratorio di scrittura femminile è stato attivato anche nell’anno scolastico in corso? È prevista una nuova partecipazione del CPIA1 di Bergamo al Concorso “Lingua Madre”?
«Inizialmente, a causa delle difficoltà dovute alla pandemia, si era ipotizzato un laboratorio indirizzato a un’utenza più ristretta e inerente alla sola scrittura giornalistica, ma il perdurare dell’emergenza sanitaria non ne ha permesso l’attivazione. Sono tuttavia riuscito ugualmente a lavorare sulla scrittura letteraria all’interno dei miei corsi curricolari di lingua italiana (livello di competenza B1 secondo il QCER [10]), e due delle mie studentesse hanno già inviato i loro racconti al Concorso “Lingua Madre” 2021. Si tratta di testi alquanto differenti da quelli selezionati nelle scorse edizioni poiché improntati a una maggiore introspezione e che riferiscono tra l’altro dei percorsi artistici maturati dalle autrici nei campi della fotografia e della danza».
Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
Note
[1] S. Cantù e A. Cuciniello (a cura di), Plurilinguismo. Sfida e risorsa educativa, Fondazione ISMU, Milano 2012: 15; P.E. Balboni, Educazione bilingue, Guerra-SOLEIL Edizioni, Perugia 1999: 63.
[2] A. Cuciniello, Lingua materna, lingua interiore, «Yalla Italia», 10 febbraio 2014 (http://www.yallaitalia.it/2014/02/lingua-materna-lingua-interiore/).
[3] P.E. Balboni, op. cit.: 89.
[4] Cfr. P. Brunello, La ricchezza linguistica di un territorio: una lettura dei dati, in AA.VV., Il plurilinguismo come risorsa etica e cognitiva, Guerra Edizioni, Perugia 2010: 198: «Con multilinguismo si intende la coesistenza di più lingue in seno ad un gruppo sociale»; É. Glissan, Poetica del diverso, Meltemi, Roma 1998: 31-32: «Il multilinguismo non presuppone la coesistenza delle lingue, né la conoscenza di molte lingue, ma la presenza delle lingue del mondo nella pratica della propria».
[5] A. Cuciniello, op. cit.
[6] Per maggiori informazioni si rimanda al sito web del Concorso: https://concorsolinguamadre.it
[7] Lingua Madre Duemiladiciannove: Racconti di donne straniere in Italia, a cura di D. Finocchi, Edizioni SEB27, Torino 2019: 225-226.
[8] Lingua Madre Duemilaventi: Racconti di donne straniere in Italia, a cura di D. Finocchi, Edizioni SEB27, Torino 2020: 123-127.
[9] A. Cuciniello, op. cit.
[10] Secondo il Quadro Comune Europeo di Riferimento per la conoscenza delle lingue, cioè il sistema descrittivo impiegato per valutare le abilità conseguite da chi studia una lingua straniera europea, B1 corrisponde al livello intermedio o ‘di soglia’.
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Francesco Medici, membro ufficiale dell’International Association for the Study of the Life and Work of Kahlil Gibran (University of Maryland, College Park), è tra i maggiori studiosi a livello mondiale dell’opera gibraniana. Del celebre scrittore e artista arabo-americano ha curato e tradotto in Italia numerosi scritti, mentre molti dei suoi saggi sull’autore sono stati pubblicati anche all’estero, principalmente in Libano e negli Stati Uniti, oltre che in Europa. La sua bibliografia critica e le sue traduzioni si estendono ad altri eminenti letterati mediorientali della diaspora americana di inizio XX secolo, quali Ameen Rihani, Mikhail Naimy, Elia Abu Madi. Suoi articoli riguardanti la cultura islamica e la letteratura araba in generale sono comparsi su diversi periodici. Si è occupato anche di letteratura italiana moderna e contemporanea, in particolare di Leopardi, Pirandello e Luzi, al quale ha dedicato una monografia. Docente di materie letterarie nella scuola secondaria, lavora attualmente presso un CPIA di Bergamo come insegnante di italiano L2.
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