Come un Omero dei giorni nostri Mario Genco, non nuovo a “navigazioni” nella memoria spesso perduta del mare siculo, stila un catalogo delle navi e dei loro capitani che per duecento e passa anni, dalla metà del Settecento agli albori del Novecento, hanno fatto grande la marineria siciliana. Navigazione difficile, perché la rotta è stata data da mire fuggevoli, che sovente svanivano all’orizzonte come l’isola di Gozzano, la “più bella” che Guccini tradusse in “non trovata”. Indizi labili di percorsi attinti ai registri della gente di mare, sparpagliati negli archivi delle capitanerie, dei municipi e delle sagrestie, a volte solo un nome e la data di nascita che si rincorrevano su fogli sbiaditi per ricreare un viaggio, una vita, un’avventura, tutte trascorse sul mare. E tante vite messe insieme fanno una storia. Tante storie fanno La Storia.
Dal Mediterraneo all’Oceano (Torri del Vento Edizioni, Palermo, 2016) è il primo volume della trilogia Gente di Mare con cui Mario Genco prova a ricostruire duecento anni di marineria nell’Isola; la collana che accompagnerà il lettore nella perigliosa navigazione è L’Agave diretta da Daniele Anselmo e Rosario Lentini.
Il “Catalogo” di Mario Genco ci porta alla scoperta di uomini e bastimenti; dei primi spesso riusciamo a seguire il percorso rintracciandone le orme ora in un registro, ora in un altro, perché la gente di mare non cambia professione, sulla plancia, appesa ai pennoni o giù in macchina, interamente a bordo trascorre la sua vita lavorativa; le navi invece a volte le perdiamo di vista perché non sempre nascono e muoiono col medesimo nome, sovente cambiando armatore cambiano anche il nome e allora è difficile stare sulla loro scia, seguirne le vicende e accompagnarle nelle navigazioni che possono essere di piccolo cabotaggio o oceaniche.
Navigando tra le 176 pagine del volume [1] attraversiamo mari a volte a noi noti, e ci stupisce apprendere della rivoluzione sociale che li ha sconvolti. Se il passaggio dalle vele alle macchine a vapore in questi due secoli ci sta tutto e al massimo ci possiamo meravigliare di come un capitano – facesse di cognome Fileti o Stabile – riuscisse a soggiogare con le sole vele il rissoso Golfo del Leone o lo sterminato Atlantico, quello che invece ci riesce difficile credere è che in un passato tutto sommato recente – gli anni 1861/63 – le coste siciliane fossero ancora infestate dai pirati. E non erano più i barbareschi eclissatisi ormai da quasi cinquant’anni, ma marinai e pescatori di Cefalù, delle Eolie, delle contrade marinare di Palermo, trapanesi. Capo San Vito oggi meta di turismo internazionale, nel 1861 fu teatro di due assalti pirati a navi della società Ingham&Withaker, con sparatorie e feriti; la barche scorridoje e le cannoniere governative riuscivano appena ad arginare quel fenomeno che minacciava i commerci isolani.Sofia e Alessandrina i nomi delle due martingane assalite e depredate, Giuseppe Picone («che si salvò a nuoto») e Baldassare Virzì («talmente maltrattato da dover restare nello spedale di Trapani») i nomi dei rispettivi capitani.
Né i pirati né il maltempo e i naufragi frequenti valevano però a tenere a terra quegli uomini per cui il mare evidentemente non era solo lavoro, ma anche passione e dedizione. E qui i decenni passati non hanno stravolto l’essere intimo della gente di mare, oggi come ieri tenacemente attaccata all’universo liquido dal quale dipendono emotivamente prima ancor che economicamente.
Il Seminario Nautico di Palermo iniziò i suoi corsi nel maggio 1789 con l’obiettivo di creare una marineria mercantile di alta professionalità che potesse curare rotte sicure per i mercati europei e americani; lo scetticismo di molti fu tacitato dall’ardore di pochi e il Seminario fornì per decenni capitani alla marineria palermitana e siciliana in genere.
A Trapani i meno giovani si ricordano ancora di Nanai Genovese, preside dell’Istituto Nautico “Marino Torre”, che la mattina si faceva il giro delle sale da biliardo e tirava per le orecchie gli studenti che al sestante avevano preferito le stecche. Anche dal Nautico trapanese sono usciti grandi capitani che hanno solcato e solcano gli oceani, e tra questi quel Nino Rallo che ha reso in saggi e romanzi di grande impatto emotivo le conoscenze acquisite prima sui banchi di scuola e poi sulla tolda delle navi prima di approdare all’insegnamento.
Uomini e navi alla ricerca gli uni delle altre, come se un destino attendesse il loro rendez vous; se nel 1892 il capitanoGiuseppe Dominici, che trent’anni prima era andato e tornato da New York col “brick barco” Cerere, diventò armatore acquistando il piroscafo Pietro Tagliavia, ci sono navigatori che per una vita cercano la “loro” barca come Abdul Bashur che sognava le navi, e a Trapani si chiamano Raimondo Meles che per una vita ha cercato la barca che facesse per lui, la trovava e la rimetteva a posto lavorandoci mesi o anni, poi subito dopo sbarcava e iniziava a cercarne un’altra, più bella più grande più sicura. La “sua” per sempre.
La ricerca come il viaggio, fine e non mezzo. Il mare riesce spesso a capovolgere realtà e convenzioni. Oggi è politicamente scorretto che un ragazzino, un bambino, possa tralasciare gli studi per andare a lavorare, ma nel Catalogo di Mario Genco di bimbetti che a otto anni si imbarcavano come mozzo ne troviamo più d’uno; tanti ne aveva Francesco Caravello quando il 2 ottobre 1916 si iscrisse fra la gente di mare col “consenso del Consiglio di famiglia”, e la medesima età aveva Salvatore Ajena nel 1860 quando fece il suo primo imbarco da mozzo. I registri consultati con certosina pazienza da Mario Genco non lo riportano, ma ancora negli anni ’20 del secolo trascorso molti erano i bambini che fuggivano dalla scuola per nascondersi sotto i banchi della barca del padre e andarsene a mare piuttosto che in aula. Lo faceva Girolamo Solina a Bonagia, siamo intorno al 1926, e al padre “pescespadaro” di tonnara che lo sgridava per aver marinato le lezioni (“marinato” … ironia del lessico) diceva che da grande avrebbe voluto fare il rais. «Ma chi ddici? Rais ci nn’è quanto i partualla», ce ne sono tanti quanti le arance rispondeva l’anziano pescatore. E invece Mommo Solina dopo la metà del secolo divenne uno dei più grandi rais del Mediterraneo. Il mare l’aveva dentro fin da piccolissimo.
Capitani coraggiosi erano, certamente, molti di quelli la cui vita – uno stralcio di essa – ha ricostruito Genco. Andrea Migliore, Giuseppe e Pietro Passantino, Salvatore Carciola e Pietro Luna partirono da New York il 10 ottobre del 1878 col brigantino palermitano Nuovo Rattler e scomparvero nell’Atlantico in quella che il Times di Filadelfia definì la tempesta più violenta scatenata nell’Atlantico occidentale negli ultimi quindici anni.
Non navigavano nell’Oceano ma davanti casa, a poche miglia dalla spiaggia di Trapani, i quattro del peschereccio Agostino Padre che nell’inverno 1982 venne inghiottito dai marosi forza otto: quando le altre barche erano già in porto con gli ormeggi raddoppiati il comandante Nunzio “bobby” Calamia (perché a mare i capitani veri sono chiamati col soprannome conquistato o ereditato) era ancora con le reti a mare. Aveva fiducia nella sua barca Nunzio, niente scuole e tanta sapienza marinara: nell’estate 1980 si trovava con l’Agostino a Salina, nelle Eolie, per cercare il corallo con una squadra di sommozzatori, ma di rami preziosi non ne avevano trovati; parlando nottetempo alla radio cb potenziata dal “lineare” col fratello Peppe “sigarro” che col Rosaria si trovava sul Banco Scherchi, 300 e passa miglia a ponente in mezzo al canale di Sicilia, seppe che questi aveva trovato con i suoi sub uno scoglio pieno di corallo ma doveva tornare immediatamente a Trapani per impegni, se voleva gli avrebbe lasciato un “pedagno”, una bottiglia di plastica, attaccato allo scoglio. Gli descrisse l’andamento del fondale nella zona che si trovava a mezzogiorno del Banco. Non poteva fornire altri elementi, non si usavano allora i Gps né i due pescherecci erano dotati di radar. Nunzio partì dalle Eolie, costeggiò la Sicilia fino a Trapani, puntò a ovest e aiutandosi solo con bussola, orologio e scandaglio dopo due giorni di navigazione in mezzo al Canale, 120 miglia da terra, l’uomo a prua gridò: “La bottiglia!!!!”. Era bravissimo Bobby Calamia, ma l’Agostino Padre, 13 metri scarsi, non era il Nan-Shan del capitano Mac Whirr e non resse al tifone dell’inverno ’82.
Nomi di uomini e di barche, che vivranno nelle marinerie finché il loro ricordo sarà affidato alla memoria di chi li ha conosciuti, poi rotoleranno «come stella e trasmarina perla azzurra per i mari siciliani» a volerla dire con Rafael Alberti. A meno che un altro Mario Genco un giorno non decida di salvare quel patrimonio impalpabile eppure così radicato nella cultura della gente di mare.
Potrà capitare, allora, di incontrare il consulente del comandante Schettino, un ammiraglio che di mare salato ne ha navigato tanto, e ascoltandolo magari verrà voglia di scrivere le “note” al romanzo del naufragio della Concordia.
Perché il mare e la sua gente avranno sempre storie da raccontare.
Dialoghi Mediterranei, n.25, maggio 2017
Note
[1] Sono stato molto aiutato nel gustare appieno lo scritto di Mario Genco dalla lettura di: Abdul Bashur, sognatore di navi, Alvaro Mutis; Marinero en tierra, Rafael Alberti; Tifone, Joseph Conrad Una ballata del mare salato, Hugo Pratt; La più bella, Guido Gozzano (ripresa pari pari da Francesco Guccini in L’isola non trovata); Un mare di navi, Nino Rallo; oltreché, ovviamente, dell’Iliade (e dell’Odissea, che permea ogni romanzo di mare che si rispetti)
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Ninni Ravazza, giornalista e autore di diversi volumi sul mare e la sua cultura, è stato per 14 anni il Presidente della Pro Loco di San Vito lo Capo, che ha organizzato col Comune il Cous Cous Fest. Nell’ambito della manifestazione ha tenuto diversi Laboratori del gusto dedicati all’antropologia della pesca e alla gastronomia tradizionale legata ai prodotti del mare siciliano. Ha scritto di salinari, di tonnaroti e di corallari. L’ultima sua pubblicazione è dedicata al noto capitano d’industria Nino Castiglione, Il signore delle tonnare, fondatore della omonima ditta.
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Caro Saro
non ho l’email di Ninni Ravazza perciò prego te di ringraziarlo da parte mia per la bella recensione. Non capita tutti i giorni di essere accostato, pur se a migliaia di leghe di distanza, a omero, Conrad e compagnia bella.
Ciao con un abbraccio.
Mario