I dati demografici più recenti indicano che la popolazione del pianeta ha raggiunto gli otto miliardi. Se a questo fenomeno si aggiunge lo straordinario, recentissimo sviluppo di tutte le forme di comunicazione e delle possibilità di incontro si potrebbe dunque pensare che la “vicinanza” tra umani non è mai stata così stretta nella storia di Homo sapiens. Ma le cose non sembra stiano proprio così.
Paradossalmente, alla maggiore vicinanza “corporea” e alle maggiori possibilità di “contatti” e di “incontri” in molte delle nostre società contemporanee, ed in particolare in quelle più avanzate, si sta assistendo ad un consistente aumento della Solitudine, ovvero di quel devastante sentimento soggettivo che un individuo prova, pur essendo circondato da familiari, amici o conoscenti. Questo doloroso e multiforme “paradosso” sociale, che riguarda tutte le fasce di età, ma che è particolarmente evidente ed importante nelle persone anziane, ha cause profonde e complesse, affrontate con rigore e ricchezza di informazioni e prospettive nel volume dal titolo inquietante, ma icastico Io sono la solitudine. Guida pratica per conoscerla e affrontarla, di Diego De Leo e Marco Trabucchi (Gribaudo editore 2020). Gli autori, il primo psichiatra e il secondo neuro-psico-farmacologo, si servono di una metodologia multidisciplinare come dimostra la sua articolazione in dieci capitoli.
La solitudine, un oggetto di studio recente, è diventata una grave “epidemia comportamentale” che investe non solo gli anziani, ma anche gli adolescenti, i giovani e gli adulti in tutte le parti del globo. Indagarne le sue cause è un’operazione ardua, ma gli autori provano a farlo partendo da un’analisi che affonda le sue radici nei differenti contesti storico-culturali. Nel medioevo soprattutto, nei monasteri veniva definita “beata” perché favoriva la meditazione e l’esercizio spirituale, mentre nell’Ottocento, in epoca romantica, essa veniva evocata dai poeti per mettere in luce la loro sensibilità e per favorire il rapporto con i paesaggi sublimi della natura. Inoltre, è interessante osservare che la lingua inglese, a differenza dell’italiana, per indicare la solitudine distingue la loneliness che ha connotazioni negative, da altre che ne sono prive come onelines (l’essere uno) o solitude e solitariness (il vivere da soli o l’essere isolati).
La parola solitudine, quella che genera sofferenza, oggi è vista come una pericolosa malattia che investe non solo la psiche degli individui, ma anche il corpo ed è «un serio fattore di rischio per molti problemi di salute fisica».
A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, i ministri di varie nazioni si sono resi conto che la solitudine, che fa soffrire, è diventata una grave piaga sociale, perché non solo è causa di pericolose depressioni, ma anche di suicidi. Nel gennaio del 2018 Theresa May istituì in Inghilterra un Ministero per sovrintendere al problema della solitudine e a tutt’oggi sono trenta le nazioni con programmi in atto per contrastarla. A questo proposito è importante, per chiarire il concetto di solitudine, la differenza che oggi gli autori e la letteratura scientifica fanno tra solitudine e isolamento sociale, perché nella prima è sottolineata la percezione che l’individuo ha di essa e risulta enfatizzato il ruolo chiave dell’esperienza soggettiva. Infatti, non sempre esiste una correlazione tra solitudine ed isolamento sociale perché «un numero limitato di relazioni non causa necessariamente solitudine» oppure viceversa personaggi pubblici che hanno avuto ruoli istituzionali molto importanti hanno rivelato la loro solitudine, come ad esempio, la regina Vittoria che, dopo la morte dell’amato consorte, ha scritto lettere che testimoniano la sua sofferenza.
Il volume possiede una ricca e aggiornata bibliografia che permette al lettore/lettrice di indagare i vari aspetti di questo oggetto di studio: quello socioeconomico, l’urbanistico, la vita nelle metropoli e l’architettura delle abitazioni, le case di riposo per le persone anziane non auto-sufficienti, la condizione dei migranti, dei carcerati, dei poveri, dei senza tetto e degli uomini di chiesa anziani.
I dieci capitoli in cui è suddiviso il libro esaminano in Italia questa malattia nei vari gruppi sociali, cercando di offrire alcune possibili soluzioni che si basano su una serie di studi di specialisti in questo specifico settore. Proprio per questo, nonostante la gravità dell’oggetto di studio che investe la nostra vita ontologica ed esistenziale, la lettura offre una speranza per il futuro. Io sono la solitudine è pervaso dalla fiducia che questa dolorosa malattia possa venire curata dagli specialisti coadiuvati dal volontariato e da una comunità di persone consapevoli dell’importanza di questo problema.
Il volume scritto negli anni del lockdown e della pandemia covid risente di questa tragica esperienza, mettendo in risalto come sia stato importante il senso di solidarietà che ha accumunato i cittadini. Numerose sono le affermazioni degli autori sui limiti della nostra società capitalista e sull’urgente bisogno di progettare nuovi modelli di vita comunitaria in cui sia presente un serio impegno collettivo:
«oggi – scrivono – sappiamo che una società costruita sulle solitudini individuali non è sostenibile, destinata a soccombere sotto il peso di una organizzazione civile che va progressivamente sgretolandosi. Una società in questa direzione pervasa dall’egolatria non permette la vita di una collettività fondata sull’interazione, il rispetto reciproco e il servizio…E anche il mondo del lavoro, se vorrà continuare a creare ricchezza e benessere, dovrà svincolarsi dalle dinamiche produttive e di potere che sfruttano la separatezza e l’alienazione tra persone. Insomma, in futuro il problema della solitudine sarà un problema eminentemente politico».
Come il sottotitolo del testo indica Io sono la solitudine si propone di essere una guida pratica per conoscerla e affrontarla. Nel testo, infatti, i consigli e i suggerimenti sono messi in evidenza nei vari capitoli sia da un punto di vista tipografico sia dal differente colore della pagina. L’aiuto al malato deve venire prima di tutto dalla “vera” famiglia e dalla comunità che devono saperlo accogliere e sostenere, ambedue aperte ad una comprensione generosa dell’altro. In questo senso le pagine sul rapporto tra tecnologia e solitudine sono illuminanti, l’uso della tecnologia può essere un valido aiuto, ma non può «porre rimedio all’abisso aperto dalla solitudine e tantomeno soppiantare le relazioni e il contatto umano». Inoltre, l’ossessione di essere sempre “on line” rappresenta uno dei maggiori rischi, perché la comunicazione digitale finisce per cancellare quella reale con l’altro.
La sezione dedicata alla differenza di genere nel percepire la solitudine evidenzia l’equilibrio che gli autori assumono nell’affrontare la complessità dei problemi. Essi affermano che a tutt’oggi non esistono studi transculturali della differenza tra i generi nei Paesi occidentali e quelli orientali, e questo costituisce un limite, perché i fattori sociodemografici sono estremamente importanti quanto quelli culturali (vedi per esempio i riti sociali, le credenze e le pratiche religiose). Per quanto riguarda i Paesi occidentali vi sono studi che mettono in evidenza come le donne siano più aperte ad ammettere sentimenti di solitudine degli uomini che hanno maggiore ritegno e si censurano perché «temono lo stigma sociale». Inoltre, le donne proprio perché in genere vivono maggiormente rispetto agli uomini (circa quattro anni di più) soffrono della morte del partner, una delle cause maggiori di questa malattia negli anziani. È però vero che le donne hanno una maggiore “resilienza” nell’affrontare i lutti e i disagi della vita quotidiana.
Si diceva che uno dei pregi di questo volume è quello di studiare la solitudine, un fenomeno complesso, in maniera sistemica: esemplare a questo proposito è la sezione dedicata alla casa, un luogo fisico che deve permettere ai componenti di quella che gli autori definiscono “vera famiglia”, una famiglia cioè dove «le tensioni sono vive, non eliminate ma controllate», di vivere assieme a vari livelli per costruire una vita psichica ricca. Per questo «l’organizzazione razionale degli spazi potrebbe contribuire a una vita senza solitudine» che non è facile nelle case popolari dove lo spazio è angusto e ristretto.
Un altro elemento importante, messo in risalto anche nella Biennale Architettura del 2021 (How will we live together?), è il rapporto centro e periferia nelle metropoli. Da anni Enzo Piano si sforza di attuare un progetto di risanamento delle periferie, luoghi degradati e privi di verde: un progetto «di cucitura tra i due spazi» dove parchi e giardini diventano essenziali per la qualità della vita degli abitanti delle comunità.
Gli autori dopo il segno profondo lasciato dall’esperienza del covid auspicano che siano dati finanziamenti per assicurare una maggiore cura all’assistenza sanitaria negli ospedali e alle case di riposo e alla ricerca scientifica in questo settore che proprio per essere caratterizzato dalla multidisciplinarietà rischia che «nessun ente finanziatore si assuma la paternità dell’area di ricerca, visto il carattere ‘spurio’ della variabile che si dovrebbe indagare».
Ci piace concludere con la citazione di John Steinbeck con cui il libro si apre:
«Siamo animali solitari. Passiamo la vita cercando di essere meno soli. Uno dei metodi più antichi è quello di raccontare una storia pregando l’ascoltatore affinché dica, e senta interiormente: Sì, è proprio così, o almeno é così che mi sento. Non sei così solo come pensavi».
Steinbeck evidenzia l’importanza del racconto per alleviare l’angoscia della solitudine perché nel raccontare una storia s’innescano non solo la capacità dell’ascolto, ma anche l’empatia verso l’altro. In Io sono la solitudine molti sono i riferimenti agli scrittori che hanno sperimentato questa sensazione e l’hanno narrato in storie e vicende di personaggi veri o inventati. Citazioni che testimoniano quanto sia stato essenziale per chi ha indagato la solitudine la lettura dei testi letterari.
Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2022
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Vita Fortunati, ha insegnato Letteratura inglese all’Università di Bologna dove ha diretto per molti anni il Centro Interdipartimentale dell’Utopia. Ha coordinato il primo progetto europeo (ErasmusMundus Gemma) in Women’s and Gender Studies e due progetti europei (“Acume 1” e “Acume 2”) di reti tematiche sull’ Interfaccia tra Scienze Umane e “Scienze Dure” dal titolo “Interfacing Sciences, Literature and Humanities”. Le sue più importanti linee di ricerca hanno riguardato: il Modernismo, la Letteratura Utopica, i “Women Studies”, la Memoria Culturale, la Nostalgia, la Rappresentazione del Corpo Femminile, la Vecchiaia tra Cultura e Medicina. Recentemente ha pubblicato saggi e volumi sulla Letteratura Transnazionale delle Donne, sul tema della Morte in Utopia e sull’Ecologia e il Pacifismo in Aldous Huxley.
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