di Alberto Giovanni Biuso
Il canto
Le passioni che conducono gli Achei nella piana di Troia a vendicare l’offesa recata da un figlio di Priamo a Menelao sovrano, saranno «anche in futuro, / per la gente di là da venire, materia di canto» [1].
Che cosa narra tale canto? Narra degli umani che sono incapaci «di vedere insieme il prima e il dopo» (II, 343; 143) mentre sapienza e saggezza consistono anche nel sapere «le cose che furono, sono e saranno» (I, 70; 121). Gli umani costituiscono la fragilità stessa della materia, sono come foglie che «il vento ne sparge molte a terra, ma rigogliosa la selva / altre ne germina, e torna l’ora della primavera: / così anche la stirpe degli uomini, una sboccia e l’altra sfiorisce» (VI, 147-149; 383). Tutte le generazioni rimangono composte da «miserabili, che simili a foglie una volta si mostrano / pieni di forza, quando mangiano il frutto dei campi, altra volta cadono privi di vita» (XXI, 464-466; 1093). Ciò accade perché «gli dei stabilirono questo per gl’infelici mortali, / vivere in mezzo agli affanni; loro invece sono sereni» (XXIV, 525-526; 1249). E dunque «non c’è niente di più miserevole di tutti gli uomini fra tutti gli esseri / quanti respirano e arrancano sulla faccia della terra» (XVII, 446-447; 925). Continua a leggere→