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#10YearsMigrationChallenge. Alcune osservazioni etnografiche sulle comunità mauriziane induiste a Palermo (2009-2019)

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Palermo (ph. Attilio Russo)

di Giulia Viani

Abbiamo assistito di recente al “dilagare” sui social network dell’ultima moda del #10yearschallenge, ossia la “sfida” che consiste nel pubblicare una foto di dieci anni fa e metterla a confronto con una di oggi, poi declinata in innumerevoli e immancabili varianti su tema, ora in chiave ironica ora ambientalista ecc. L’occasione, unita a personali vicende “biografico-accademiche”, è molto invitante per immaginare un’altra variante della sfida, ossia sul tema delle migrazioni nelle “nostre” città. Mi si perdonerà la digressione autobiografica, ma con la “svolta postmoderna” ogni antropologo ha imparato che nessuna osservazione è neutra e che non si può prescindere dal proprio posizionamento soggettivo. Il caso ha voluto, infatti, che il mio lavoro di tesi in antropologia culturale sulle comunità mauriziane a Palermo risalga proprio al 2009 e che, dopo aver esplorato altri orizzonti di ricerca, religioni e paesi, mi sia ritrovata oggi un po’ inaspettatamente a tornare su temi e luoghi, nell’ambito di un dottorato di ricerca nella mia città natale. Ho ricominciato inevitabilmente a interrogarmi e a riflettere su cosa fosse successo da allora a oggi (cambiamenti e/o persistenze) e, soprattutto, ho (r)incontrato persone. D’altronde la specificità e la bellezza, ma anche la difficoltà e la complessità della ricerca antropologica risiedono proprio in questo: avere “soggetti” al posto di “oggetti” di ricerca.

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Cavadee a Palermo, 2019 (Centro culturale mauriziano)

Avevo lasciato la comunità mauriziana induista alle prese con un “problema d’identità” [1]: apparentemente omogenea agli occhi di un osservatore esterno (anche perché riunita in uno stesso tempio e associazione culturale, quindi sotto un’unica “etichetta”), la comunità si era rivelata invece complessa e differenziata in quattro gruppi “etnici” (hindu, marathi, telugu e tamil), riconducibili alla variegata composizione del Paese d’origine, conseguente a sua volta alla politica coloniale inglese e alle migrazioni indiane dell’Ottocento. Tale pluralità emergeva soprattutto durante la dimensione festiva, tra celebrazioni collettive e specificità di gruppo (come le feste “patronali” di Ganesha Chaturthi e Durga Puja), in quanto i riti sono contesti privilegiati in cui si mettono in scena e si manifestano i tratti distintivi e le dinamiche dell’identità.

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Cavadee, una decina d’anni fa a Catania (Associazione Mauriziana, Palermo)

Cosa è successo in questi 10 anni? Le prime discrepanze evidenti riguardano la percezione stessa (purtroppo spesso distorta) della migrazione, l’accentuarsi dell’inquietudine da parte dell’opinione pubblica unita tuttavia a un maggiore interesse a riguardo, la presenza sempre più significativa e stabile dei gruppi migranti visibile nel territorio attraverso negozi e ristoranti “etnici”, ma anche mediante riti e processioni che rappresentano ormai un appuntamento fisso e si vanno “tradizionalizzando” accanto alle feste siciliane [2]. Anche qui il caso ha voluto, per rendere ancor più evidente il confronto, che l’ultimo rito del 2009 e il primo seguito a distanza di dieci anni fosse il medesimo: la processione del Cavadee [3]. Il rito deve il suo nome al giogo di legno (cavadee appunto) portato a spalla dal devoto in ottemperanza a un voto fatto in precedenza al dio Murugan [4]: il penitente chiede alla divinità di ripagare le sue sofferenze con un atto di grazia e di accoglimento nei confronti della sua richiesta (come la guarigione da una malattia, la benedizione di un figlio, il conseguimento di un traguardo importante come la laurea o la riuscita del viaggio migratorio) e per questo rappresenta una festività molto sentita dai fedeli.

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Palermo (ph. Attilio Russo)

Confrontando le “immagini” del Cavadee di ieri e di oggi, la prima e più vistosa differenza è il luogo in cui si svolge il rito: Catania 2009 e Palermo oggi. Nel 2009 infatti il Cavadee non si svolgeva a Palermo, ma solo a Catania ed è lì che si recavano i Mauriziani palermitani (e io con loro) per celebrarlo. Il Cavadee è infatti un rito molto delicato [5] che prevede, oltre al trasporto del giogo, anche la perforazione della lingua e delle guance con i vel, ossia aghi d’argento a forma di piccole lance: ci si affida alle mani esperte di un pandit (officiante) proveniente direttamente dalla Madrepatria e soltanto la comunità mauriziana catanese, più numerosa, poteva permettersi tale organizzazione. Oggi anche Palermo ha il suo Cavadee, addirittura due volte l’anno, nel mese di Thai (gennaio-febbraio) e di Sittirai (aprile-maggio), primo segnale della maggiore “strutturazione” della comunità.

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Palermo (ph. Attilio Russo)

Il momento principale del rito (in cui vengono conficcati gli aghi nel volto e si mette a spalla il bilanciere cerimoniale) si svolge in una spiaggetta del cosiddetto Foro italico di fronte al mare. È in questo frangente, mentre si è ancora nelle fasi di preparazione, che ritrovo conoscenze e amicizie, come Deepa [6], che mi invita ad andare a trovare lei e la sua famiglia nella nuova casa, o Nitya, che mi mostra sul cellulare le foto del matrimonio della figlia alle Mauritius (con un «indiano “vero” dell’India!») e del nipotino nato pochi mesi fa nel nord Italia dove si sono trasferiti. C’è anche Anjali, che vive in Francia da qualche anno ed è tornata qui appositamente per il cavadee; mi dispiace solo non poterla abbracciare come le altre, ma si appresta a compiere il rito come penitente e secondo le “regole di purità” non può avere contatti con nessuno [7].

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Palermo (ph. Attilio Russo)

Una volta terminato il rito in spiaggia, la processione si avvia verso il tempio attraversando le strade principali della città come corso Vittorio Emanuele e via Maqueda. Una novità anche questa: ero abituata alla processione di Ganesha Cathurthi che arrivava al mare dell’Arenella attraverso vie cittadine periferiche, cercando di non dare eccessivamente nell’occhio (almeno anni fa, oggi anche qui qualcosa è cambiato), osservata soltanto dalla mia telecamera e da qualche passante incuriosito. Il Cavadee palermitano, invece, sfila fieramente tra le arterie principali della città nell’ora di punta di una mattinata domenicale, tra una folla vociante di palermitani e turisti intenti a immortalare questo “strano” e inaspettato evento con i propri cellulari.

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Cavadee a Palermo, 2019 (Centro culturale mauriziano)

Da parte della popolazione locale c’è molto interesse e curiosità (anche se magari con uno “sguardo esotico”), ma la conoscenza dei culti e delle pratiche cerimoniali dei migranti – e del loro senso – sembra ancora scarsa: problemi tipici della contemporanea “città globale multireligiosa”, dove i simboli delle religioni coesistono, ma non godono di reciproca co­noscenza e non sono inclusi in un comune patrimonio culturale [8]. Qualcuno pensa che sia una festa musulmana o cingalese, altri un matrimonio o il culto di una dea (i paramenti del dio Murugan sono tutti rosa!), ma l’apertura al confronto, l’accoglienza e la voglia di trovare somiglianze sembra avere la meglio anche di fronte agli aspetti più “crudi” della processione come gli aghi infilati nelle carni, come commenta un maturo osservatore «ormai anche i nostri figghi c’hanno i piercing!».

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Palermo (ph. Attilio Russo)

Direzione tempio. Ma dove? Nei miei ricordi il tempio è lontano, dall’altra parte della città, più che altro un garage adibito a luogo di culto e condiviso con i tamil dello Srilanka, che però celebravano i loro riti nella fascia oraria precedente a quella dei mauriziani (tanto che, recandomi in anticipo, riuscivo a seguirli entrambi). No, non è più così. Negli anni il tempio ha cambiato più volte sito in giro per la città e, soprattutto, si è “differenziato” in vari templi dislocati in diversi quartieri cittadini (problemi tipici da ricercatrice… non mi resta che confidare nello “sfasamento” di orari o giorni dei riti principali delle feste, come nell’ultimo Novaratri [9] in cui la comunità mauriziana ha anticipato per comodità alla domenica, mentre quella srilankese ha preferito mantenere la data calendariale esatta, anche se infrasettimanale).

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Cavadee a Palermo, 2019 (Centro culturale mauriziano)

La processione si conclude, infatti, in un tempio per me nuovo in una delle viuzze del centro storico, al “Mariammen Kovil”, un negozio adibito a luogo di culto tamil mauriziano, da non confondere con il tempio tamil srilankese [10] né con gli altri due templi mauriziani hindu. Srilankesi e mauriziani, infatti, non condividono più lo stesso luogo di culto, ma anche le comunità etnico-religiose mauriziane più piccole (come tamil e telugu) sono riuscite ad avere un tempio autonomo e specifiche associazioni culturali con propri rappresentanti, coordinate da un’associazione mauriziana “centrale” a cui far riferimento. È bello vedere tra questi rappresentanti anche la cosiddetta 2^ generazione e riconoscere, per esempio, il volto cresciuto della figlia dell’ex presidente, oggi giovane 23enne neolaureata in economia, tra i nuovi componenti del direttivo dell’associazione (come dice suo padre «adesso tocca a loro!»).

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Palermo (ph. Attilio Russo)

L’apporto dei giovani è oggi fondamentale, infatti, anche nell’organizzazione e nella riuscita di incontri come il recente “Divali Show”, ultima novità riguardante la festa di Divali [11] e la sua trasformazione in “evento” (operazione culturale non condivisa da alcuni membri della comunità, che hanno commentato negativamente sulla pagina facebook dell’associazione). Rito della luce celebrato in famiglia e al tempio, Divali è oggi festeggiato anche nella “variante” di spettacolo di canti e balli, momento di incontro tra tutte le comunità mauriziane (non solo induiste) e i rappresentanti della Consulta delle culture [12] e delle istituzioni, con cui l’associazione è impegnata da anni in un dialogo proficuo. L’evento è, infatti, occasione per una riflessione “politica”: i mauriziani chiedono una «vera integrazione non solo culturale, ma anche sociale e lavorativa», che possa permettere ai loro figli – nati e cresciuti qui – di diventare anche loro «futuri avvocati, medici e professionisti al pari degli altri italiani». Questa la sfida lanciata dai mauriziani, questa la sfida dell’integrazione per tutti noi… Ai prossimi dieci anni!

Dialoghi Mediterranei, n. 36, marzo 2019
Note

[1] La migrazione mauriziana verso l’Italia risale alla metà degli anni ’80 del Novecento, conseguenza dell’attrazione economica e simbolica dell’Occidente, frutto di una percezione distorta risultante dall’eredità del colonialismo (Lingayah 1991). I Mauriziani sono presenti, in particolare, nelle città di Palermo, Catania (Scidà 1993), Bari (Viola 1995) e, più recentemente, Milano. La comunità mauriziana induista di Palermo è stata finora oggetto di un’analisi comparata con la comunità srilankese nel saggio di Pellegrini 2007 (sui tamil srilankesi in Sicilia e in generale nel contesto italiano il riferimento principale è, invece, Burgio 2007). Una riflessione sulle “ritualità altre”, con un riferimento ad alcune feste mauriziane nel contesto migratorio siciliano, è contenuta in Giallombardo 2007. Per una riflessione sul valore delle icone religiose induiste come “veicoli dell’assoluto” cfr. Buttitta 2008. Sulla questione identitaria della comunità mauriziana e sulla sua articolazione in quattro gruppi “etnici”, mi permetto di rimandare al mio articolo (tratto dalla tesi di laurea specialistica) e alla relativa bibliografia critica sul concetto di “etnia” (Viani 2010). Su induismo/induismi cfr. Filoramo 2007 e Knott 1999.
[2] Sulle domande aperte in merito al “sacro degli altri”, per esempio il nesso tra partecipazione alle pratiche rituali e processo di “appaesamento” e di produzione di spazi d’inclusione/esclusione cfr. D’Agostino 2018.
[3] Per quanto riguarda la traslitterazione dei nomi delle feste e delle divinità induiste, si è optato nella maggior parte dei casi per la forma utilizzata dalle stesse comunità (anche quando questa risente dell’influsso dell’inglese).
[4] Murugan, figlio di Shiva (meno noto al “grande pubblico” rispetto al fratello Ganesh, facilmente riconoscibile per la testa di elefante), è una divinità guerriera di grande importanza che sostiene i fedeli nelle quotidiane lotte esistenziali. Il dio Murugan è conosciuto anche (soprattutto dai non tamil) con il nome di Skanda (per la descrizione di questa divinità cfr. Pellegrini 2003: 1786).
[5] Sui rituali del Cavadee, sulle pratiche di mortificazione corporale, sugli stati di trance e possessione rituale a esso associati, in particolare in occasione della festa del mese di Thai (Thaipusam), cfr. David 2009, Rajaram 2015, Ward 1984.
[6] I nomi reali sono stati sostituiti al fine di garantire la riservatezza.
[7] Prima di compiere il voto per Murugan, il penitente deve sottoporsi a un lungo periodo di purificazione per preparare la mente e il corpo ad accostarsi al divino. Il digiuno prevede una dieta strettamente vegetariana, il dormire in terra, il divieto di indossare indumenti e scarpe di pelle, l’astinenza sessuale e l’obbligo di non toccare nessuno per mantenere la purezza necessaria al rituale; anche gli eventuali consorti devono seguire le stesse pratiche. Dopo undici giorni di digiuno e di preghiera, ha luogo il rito.
[8] Sulla “patrimonializzazione” degli elementi religiosi e sacrali “altri” come processo eticamente fondamentale al fine di un’auspicata coesione e solidarietà sociale cfr. Russo 2017.
[9][9] Su Novaratri, festa particolarmente sentita dalle comunità induiste (soprattutto mauriziana hindu) dedicata alle divinità femminili, cfr. Bahadur 2000: 158-185 e Sharma 2006: 36-39.
[10] I tamil srilankesi festeggiano il Cavadee in un altro periodo dell’anno (settembre) con modalità un po’ differenti.
[11] Divali è la festa delle luce, simbolo del dio benevolo che vince sulle forze del male e delle tenebre; si caratterizza, soprattutto, come “family festival” (Sharma 2006: 31), ossia una festa che riguarda la famiglia e la casa. Sul rito di Divali in generale cfr. Bahadur 2000: 208-220 e Sharma 2006: 30-35.
[12] La Consulta delle culture è un organo rappresentativo dei cittadini stranieri creato a Palermo nel 2013.
Riferimenti bibliografici
Bahadur, O.L., 2000 The book of Hindu festivals and ceremonies, UBS, New Delhi.
Burgio, G., 2007 La diaspora interculturale. Analisi etnopedagogica del contatto tra culture: i Tamil in Italia, ETS, Pisa.
Buttitta, I.E., 2008 “‘Veicoli dell’assoluto’ nella tradizione induista”, in Id., Verità e menzogna dei simboli, Meltemi, Roma: 169-229.
D’Agostino, G.,  2018 “Il sacro degli altri. Altri mondi, mondi nostri. Una introduzione”, in G. D’Agostino (a cura di) Il sacro degli altri. Culti e pratiche rituali dei migranti in Sicilia, Edizioni Museo Pasqualino, Mostre. Nuova serie n. 1, Palermo: 7-14.
David, A. R., 2009 Performing for the Gods? Dance and embodied ritual in British Hindu temples, in “South Asian Popular Culture” n. 7 (3): 217-231.
Filoramo, G., 2007 (a cura di) Hinduismo, Laterza, Roma-Bari.
Giallombardo, F., 2007 “Ritualità altre e mondo globale”, in Giacomarra (a cura di) Isole: minoranze, migranti, globalizzazione, Fondazione Ignazio Buttitta, Palermo, vol. 2: 205-217.
Knott, K., 1999 Induismo, trad. it., Einaudi, Torino.
Lingayah, S., 1991 A Comparative Study of Mauritian Immigrants in two European Cities: London and Paris, Mauritian’s Welfare Society, London.
Pellegrini, A., 2003 (a cura di) Dizionario dei personaggi letterari. Appendice al Dizionario enciclopedico della letteratura, UTET, Torino.
2007 “Essere hindu a Palermo”, in Giacomarra (a cura di), Isole: minoranze, migranti, globalizzazione, Fondazione Ignazio Buttitta, Palermo, vol. 2: 281-293.
Rajaram, A.P., 2015 Trance as a State, with Pain to Stimulate and Dance to Contemplate, http://www.jedsonline.net/wp-content/uploads/2015/06/Rajaram-Article.pdf.
Russo, C., 2017 “Patrimonializzare il sacro. Tor Pignattara e i luoghi di culto degli altri”, in A. Broccolini – V. Padiglione (a cura di), Ripensare i margini, Aracne, Roma: 148-163.
Scidà, G., 1993 Senegalesi e Mauriziani a Catania: due risposte divergenti alla sfida dell’integrazione sociale, in “La Ricerca Sociale” n. 47-48.
Sharma, S.P., 2006 Fairs and Festival of India, Hindoology Books, Pustak Mahal, Delhi.
Ward, C., 1984 Thaipusam in Malaysia: a Psyco-Anthropological Analysis of Ritual Trance, Cerimonial Possession and Self-Mortification Practices, in “Ethos” n. 12 (4): 307-334.
Viani, G., 2010 Le comunità mauriziane induiste a Palermo: Marathi, Hindu, Telugu e Tamil a Palermo, in “Archivio Antropologico Mediterraneo on-line”, n. 12 (1): 71-81.
Viola, D., 1995 Indagine socio-economica-demografica sui Mauriziani presenti nell’area barese, in “Bari Economica. Rivista della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Bari”, n. 6: 97-107.
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Giulia Viani ha condotto ricerche sulle comunità mauriziane induiste durante il corso di laurea specialistica in Antropologia culturale. Ha frequentato dei corsi di perfezionamento presso varie università (Sapienza, Alma Mater, Bicocca ecc.) sui temi delle migrazioni, delle religioni e, in particolare, dell’ebraismo. Negli ultimi anni, ha svolto un progetto di ricerca in Svizzera e ha vinto una borsa di studio del Ministero degli Affari Esteri per l’Università di Haifa. Attualmente sta svolgendo il dottorato di ricerca in Scienze umane presso l’Università degli Studi di Palermo.
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