La storia del Mezzogiorno è attraversata, da una parte, dalla ricostruzione fatta dai piagnoni e vittimisti, che attribuiscono tutti i mali ai piemontesi prima e alla politica nordista dopo, colpevoli di aver sempre sfruttato il Sud; dall’altra, da coloro che attribuiscono la condizione di sottosviluppo del Meridione alle responsabilità delle classi dirigenti, di destra ma anche di sinistra, non soltanto politici ma anche burocrati, imprenditori e ceto intellettuale, nonché al clima culturale di rassegnazione e di acquiescenza delle classi subalterne, trasformate da cittadini in clienti, che si muovono in maniera isolata per ottenere qualche prebenda o un lavoro, perseguendo la via individuale alla soluzione dei problemi.
Pur riconoscendo qualche piccola verità alla prima tesi, la mia convinzione è decisamente favorevole alla seconda. Già quasi un secolo fa Gaetano Salvemini scriveva che «i governi italiani, per avere i voti del Sud, concessero i pieni poteri alla piccola borghesia, delinquente e putrefatta, spiantata, imbestialita, cacciatrice d’impieghi e di favori personali, ostile a qualunque iniziativa potesse condurre a una vita meno ignobile e più umana, finché il predominio politico e la rappresentanza parlamentare del Mezzogiorno furono esclusivamente nelle mani della piccola borghesia». Anche Giustino Fortunato ha scritto cose fondamentali sul carattere e sui limiti delle classi dirigenti meridionali e sulla plebe.
Penso che se le classi dirigenti avessero avuto un po’ di amore e di orgoglio per la loro terra, con i fiumi di miliardi che sono arrivati nel Sud, prima dalla Cassa del Mezzogiorno fino al 1984, poi dall’Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno fino al 1993 e poi Agensud e infine dall’Europa, dovremmo avere le migliori infrastrutture d’Italia, specie in Sicilia, considerata la condizione di autonomia di cui ha goduto. E invece, proprio l’autonomia ha finito per trasformarsi in un boomerang, che ha permesso a queste classi dirigenti corrotte di trasformarsi in una casta parassitaria e spesso apparentata o contigua alla mafia, accontentandosi dei suoi piccoli privilegi, facendo ingrassare le mafie e lasciando il Sud in una condizione di sottosviluppo.
Il libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo (Se muore il Sud, Feltrinelli 2013) dà un quadro raccapricciante – talvolta anche esilarante se non ci fosse la tragicità di chi ne è vittima e di tutti noi che paghiamo le tasse – della condizione del Meridione, uno scenario dal quale emerge il fallimento di decenni di politiche meridionaliste, il cui risultato è un Mezzogiorno sempre più povero, sorpassato perfino dalla Bulgaria. La mafia gioca un ruolo importante in tutto ciò, incentivando il sommerso, premiando le imprese colluse, strozzando la concorrenza e lo sviluppo. Le ingenti risorse che affluiscono al Sud dallo Stato italiano e dall’Unione Europea non vengono utilizzate per lo sviluppo, a beneficio della collettività ma vanno in mano direttamente a insospettabili burocrati e imprenditori, vicino a Cosa Nostra che, dopo la sconfitta della mafia militare, si sono sostituiti ad essa, dando vita a una criminalità senza coppole e pizzini. I due autori raccolgono una serie di fatti, eventi e situazioni che, seppure in gran parte noti, perché riportati dalla stampa, da saggi o da convegni, rapporti e autorità varie, tuttavia, messi tutti insieme, offrono un quadro desolante e suscita, al tempo stesso, un senso di rabbia e ribellione.
Girando per le città del Sud ci si presenta uno scenario di servizi pubblici inesistenti o fatiscenti. Se prendete l’Università, incorrete nei concorsi truccati, baronie e parentopoli, anche se questo non è solo un fenomeno meridionale. Per quanto riguarda la scuola, dai rapporti OCSE del Pisa (Programme for international student assessment), i ragazzi siciliani sono collocati sul gradino più basso, l’abbandono scolastico è del 20 per cento in Puglia, del 22 in Campania, del 25 in Sicilia, del 26 in Sardegna. Poi c’è il grande affare dei corsi di formazione in Sicilia, che avrebbero dovuto offrire ai giovani un servizio di consulenza, orientamento ed apprendistato con successivo sbocco lavorativo. Si sono rivelati una truffa che, secondo il rapporto dell’Olaf (Office européen anti-fraude), ha succhiato oltre 10 milioni di euro alla UE più 5 di contributo italiano, mentre nessun giovane dei 600 che dovevano trovare lavoro è stato assunto. Anche per quanto riguarda falsi invalidi ed evasori sembra che il Sud sia sempre ai primi posti, per non parlare delle opere incompiute (ponti, viadotti, capannoni industriali, piscine pubbliche…), dei cantieri aperti e mai chiusi per prosciugare i fondi statali e della Cassa.
Si potrebbe continuare all’infinito a enucleare tutte le storture d’Italia e soprattutto del Sud, come fanno con acribia gli autori del libro. Dalle ferite ancora aperte del terremoto del Belice a tutti gli altri sismi con i relativi sciacallaggi, dai flop delle cattedrali nel deserto e delle zone industriali alle gigantesche truffe all’INPS per un giro di miliardi, attraverso falsi poderi, falsi braccianti e altrettanti documenti falsi o false cooperative, sorte sotto l’ombra delle mafie. E poi ci sono le truffe e lo sperpero dei Fondi strutturali europei, che avrebbero dovuto servire per costruire porti e aeroporti, strade e autostrade, doppi binari e alta velocità, banda larga e invece si sono dissolti in mille rivoli clientelari (maratona di Palermo, mondiali di scherma e di pallavolo, campionato di beach volley femminile, open golf, giochi, feste, sagre e fiere di paese, festival del peperoncino ecc.). Desta incredulità ma è così. Anche a Bruxelles non ci volevano credere quando scoprirono che il concerto di Elton John in piazza Plebiscito a Napoli per la festa di Piedigrotta era stato pagato con i soldi dell’UE, senza dire che oltre il 70% dei fondi europei che affluiscono al Meridione non vengono neppure spesi, mentre il Mezzogiorno è pieno di binari morti e di treni che viaggiano a 14 km all’ora. E la sanità? In Sicilia, si spende il 30% di più di quanto si spende in Finlandia, dove c’è un servizio tra i più efficienti del mondo. Eppure ci vogliono mesi per fare una Tac, un gran numero di medici si dà alla politica, mentre macchinari nuovissimi, ancora incellofanati, restano abbandonati negli scantinati.
Non posso tralasciare di fare almeno un cenno all’aberrante quanto irrazionale spreco nell’ambito dei beni culturali e del turismo. Il Mezzogiorno ospita 15 siti Unesco. Eppure tanto patrimonio viene tenuto nell’abbandono o senza servizi di custodia: così a Paestum come a Capua, per non parlare della vergogna di Pompei che cade a pezzi, come in tutta la Campania felix, esaltata da Plinio il Vecchio e da Wolfang Goethe nel suo Viaggio in Italia. Si consideri che tutte le biglietterie dei musei italiani messe insieme, comprese le Regioni a statuto speciale, nel 2012, hanno raccolto 126 milioni di euro, quanto le entrate del Louvre da solo, e si ha un’idea di come il turismo che potrebbe essere una grande occasione di rinascita per il Sud è invece occasione di spreco e malaffare. Le cose sono pure peggiorate da quando è stato cambiato il titoloV della Costituzione, ingenerando conflitti di competenza tra Stato e Regioni e tra queste e Comuni ed enti pubblici.
Il libro di Rizzo e Stella non è solo una raccolta, documentata e arricchita di citazioni dotte, di tante raccapriccianti anomalie, di truffe e degrado, corruzione e disservizi, ma è anche un invito alla speranza, a pensare che cambiare è possibile. A questo proposito gli autori citano alcune eccellenze del Meridione, dalla Puglia all’Avellinese, alla Sicilia, dove dei giovani brillanti, con modesti finanziamenti e buone idee, hanno messo su imprese importanti, che esportano in tutto il mondo. Per quanto riguarda la Sicilia in particolare, vengono segnalati alcuni virtuosi esempi nel settore del vino e dei prodotti alimentari. A guardar bene, concludono Rizzo e Stella, tutto il Mezzogiorno dà segni di vitalità. Ma quanti sono, ci chiediamo, i giovani che hanno idee brillanti e non le possono realizzare perché c’è una classe dirigente politica e burocratica che disperde e dissipa i fondi europei e nazionali per lo sviluppo regionale?