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Autore ed eroe nei racconti di Angelo Fiore

Angelo Fiore (ph.F. Zecchin)

Angelo Fiore (ph.F. Zecchin)

 di Antonio Pane

I racconti conosciuti di Angelo Fiore sono, ad oggi, ventuno. Agli undici raccolti in un Un caso di coscienza, il volume di Lerici che, nel 1963, segna l’esordio di Fiore (Il paziente, I sordomuti [1], Il concetto di libertà, Il licenziamento, Il veleno per i topi, Il bilancio, L’antropofago, Una sconfitta, Il mago, Il problema di Rodolfo Traina), si devono infatti aggiungere i quattro titoli pubblicati sparsamente durante la vita dell’autore (Un giorno del passato [2], La formula [3], Il buffone dell’universo [4], Il martirio di Giuseppina [5]) e i sei titoli postumi procurati da Sergio Collura (Le voci, Il lavoro di Panozzo, La seduta del Parlamento [6], Il cancerologo, Il morituro [7], Il Circo Fröbe [8]).

Di queste narrazioni [9], quella che conclude Un caso di coscienza, vale a dire Il problema di Rodolfo Traina, si può senz’altro annettere alla categoria del romanzo breve: non tanto per la sua lunghezza (circa 70 pagine), quanto per il fatto che vi si realizza un intreccio complesso, che verrebbe da definire ‘polifonico’, con quattro protagonisti (Rodolfo Traina, Zimmardi, Ciccotti, Lorenzo Nottola) che presidiano altrettanti temi narrativi relativamente indipendenti, nessuno dei quali conquista una posizione dominante. Degli altri racconti, sei raggiungono dimensioni medie, ma rappresentano vicende singole, quasi tutte ben circoscritte nello spazio e nel tempo (Il paziente, I sordomuti, Il concetto di libertà, Il licenziamento, L’antropofago, Una sconfitta), mentre i rimanenti quattordici sono brevi o brevissimi, al limite dell’apologo narrativo.

Nonostante le differenze ‘quantitative’ e la difformità della loro storia editoriale (che riflette in qualche misura quella compositiva) [10], questi racconti ‘fanno gruppo’: costituiscono un’area unitaria e coesa, si fanno leggere quasi come paragrafi di un macrotesto omogeneo. Questa compattezza dipende da ragioni tematiche e da ragioni strutturali.

Partendo dal piano tematico, si deve dire in primo luogo che l’universo dei racconti (e dei romanzi) di Fiore è quasi sempre un quotidiano plumbeo e torvo, allogato in una sorta di inferno o, meglio, limbo burocratico, che si situa –  come nota Antonio Di Grado nella monografia dedicata a Fiore –   «fra i due estremi d’una immota arcaicità precapitalistica e dell’altrettanto angusto e parassitario orizzonte post-capitalistico d’una società ridotta ad ente pubblico, a gerarchia impiegatizia omologata e impersonale» [11]. I personaggi di Fiore sono quasi tutti esponenti di questa società invertebrata e gelatinosa che allignava (e ancora, in parte, alligna) nel nostro Mezzogiorno: oltre a vari insegnanti e dipendenti statali o parastatali (che rinviano alle professioni realmente esercitate da Fiore e al milieu da lui frequentato), vi si incontrano alcuni ecclesiastici, due medici, due ingegneri occupati presso enti pubblici, i sedicenti deputati del Parlamento, e un commerciante di «apparecchi igienici e affini». L’unico operaio, il protagonista del Lavoro di Panozzo, è ritratto in un modo così ambiguo da far legittimamente ritenere che possa farsi figura dell’attività stessa dello scrittore [12].

Questi personaggi che, come tanti eroi di Dostoevskij, rappresentano spesso intellettuali sradicati, staccati dall’humus e dalla terra, rappresentanti di una «stirpe gratuita» [13], sono poi altrettanto spesso portatori di istanze spirituali che travalicano decisamente il loro stretto ambito ‘sociologico’, hanno un’«aura iniziatica» che li fa destinatari di «investimenti intellettuali e affettivi spropositati» [14], recano «il sigillo d’un massimalismo morale, di un’ansia di ricerca così densa e problematica, che i contenitori narrativi che dovrebbero racchiuderli ne sono sbrecciati» [15]. Salvatore Orilia parla in proposito dei «prolungamenti che si sentono dietro il personaggio: una presenza insolita e più grande di ciò che viene espresso» [16]. Come tanti personaggi di Dostoevskij, diversi personaggi di Fiore sono portati a ‘meditare il divino e a cercare il divino’, sono dominati da un ‘pensiero grande e irrisolto’[17].

1.Fra gli esempi che illustrano questa loro specifica attitudine si può citare quello di Un caso di coscienza, in cui un mattoide raccoglitore di cicche provoca una crisi mistica nell’uomo che vuole prendersene gioco; o quello del Martirio di Giuseppina, dove una mentecatta nutrita di ossessioni morbose emana un misterioso senso di santità; o quello di Panozzo (Il lavoro di Panozzo), la cui operosità è talmente fervida da disorientare i suoi stessi capi e da provocare una rivolta dei suoi attrezzi. Per questo aspetto, i personaggi di Fiore si avvicinano anche alla dinamica intravista da Benjamin nei «gesti dei personaggi di Kafka», che «sono troppo forti per il loro ambiente, e irrompono in uno spazio più vasto» [18].

In corrispondenza con questa tara tematica, che si risolve in una sorta di oltranza spirituale, i racconti di Fiore presentano una tara costruttiva, uno squilibrio tra le possibilità offerte dalla situazione e lo spazio che i personaggi vi guadagnano o vi perdono: un andamento erratico, sbandato, sfilacciato, che rifiuta il traguardo finale, che si nega a una qualche risoluzione. Paolo Maccari parla delle «improvvise zoomate» che «aprono su un personaggio all’apparenza minore una serie di possibilità d’azione e di riflessione che disorientano e lasciano ammirati; e per converso il protagonista viene privato d’ogni privilegio, abbandonato e di nuovo carezzato secondo una modulazione prospettica che rimane misteriosa» [19]. Francesco Erbani ha scritto che i racconti di Fiore «non protendono a un fine» [20]. Per Silvio Perrella questi racconti «più che finire si dissolvono» [21]. Io aggiungerei che a un certo punto questi racconti vengono meno quasi per un difetto di autoconvinzione, cessano di credere in se stessi, svaporano impersuasi. Questo destino diegetico sembra riassunto, assumendo una portata metaletteraria, nella riflessione del professor Livraghi, lo scrittore protagonista del racconto Una sconfitta, che riflette sul senso della sua vita (e della sua scrittura): «nella finalità, nella meta, era la trappola; nell’impulso e nella necessità d’agire e, agendo, pervenire a una conclusione» [22].

Riguardo a questo regime di «infrazione architettonica» [23], c’è da dire che esso risulta del tutto eterogeneo alla tradizione del racconto. Un regime che si potrebbe in qualche modo giustificare per un racconto lungo e ‘contrappuntistico’ come Il problema di Rodolfo Traina (non a caso giudicato «più un palinsesto di racconti che un racconto vero e proprio») [24], ma che riesce poco o nulla plausibile per i racconti brevi o brevissimi, che, come sappiamo, giocano la loro efficacia sulla parsimonia dei fatti, sull’equilibrio compositivo e sul rispetto delle proporzioni. Alcuni esempi. La vicenda del Paziente, orchestrata sul dialogo sordo tra il dottor Gozza e il professor Covella affetto da cacosmia, si chiude a sorpresa su un terzo personaggio, il dottor Rindone, fuggevolmente apparso all’inizio del racconto. Il licenziamento, impostato come storia dell’ingegner Mione, «capo interinale d’un ufficio governativo», diventa a un certo punto il calvario dell’impiegato Stoppa, per concludersi di nuovo sull’ingegnere che, dopo le proprie dimissioni dall’ufficio, si trova imprevedibilmente ad assistere alla morte per inedia di quel suo ex dipendente. Nel Buffone dell’universo, l’altezza spirituale di padre Zanca, sacerdote ben inserito nelle gerarchie ecclesiastiche e raffinato teologo, precipita senza trapassi dapprima in una squallida riunione del collegio docenti, e quindi nella ‘coazione a dipingere’ che lo induce a schizzare uno dopo l’altro pupazzi sconci e blasfemi. La seduta del Parlamento è una traballante passerella, protratta fino a tarda notte, di discussioni scombinate su eventi subito smentiti, come una guerra che termina appena dichiarata o una alluvione che avviene e non avviene, avanza e si ritira prima di aver prodotto effetti. Nel Cancerologo, un chirurgo ossessionato dall’odore di putrefazione (parente prossimo del professore affetto da cacosmia) si mette a inseguire senza motivo una donna mascherata, che svanisce inesplicabilmente come era apparsa.

2Queste caratteristiche tematico-strutturali dei racconti di Fiore si possono forse leggere alla luce della dialettica bachtiniana dell’autore e dell’eroe. Una tale lettura è, a mio parere, incoraggiata dal fatto che questa configurazione narrativa è strettamente connessa al movente autobiografico dell’intera opera di Fiore, cui accennavo all’inizio. L’opera di Fiore si può per certi versi considerare una trasposizione appena romanzata del suo Diario [25]. Non pochi motivi dei racconti (e dei romanzi) di Fiore sono enunciati, spesso con ricchezza di dettagli, nelle pagine del Diario. È il caso, ad esempio, del motivo della astenia sessuale e della difficoltà di rapporti con le donne, che appare ripetutamente nel Diario [26] ed è declinato, oltre che nei romanzi, in vari racconti. Di Gaetano Bonavires, protagonista del Veleno per i topi, si dice: «i desideri della carne – in lui frutto più d’immaginazione che d’altro – s’erano spenti da parecchi anni; e poi, le donne erano state sempre difficili e schizzinose con lui» [27]. Betti, protagonista del Bilancio, «per caso aveva avuto un’amante, ma non s’erano amati né desiderati. Avevano rotto presto, e quanto a lui non aveva mai iniziato» [28]. Livraghi, protagonista di Una sconfitta, si avvede «di non avere desideri carnali consistenti, di non amare la donna» [29]. Zimmardi, uno dei protagonisti del Problema di Rodolfo Traina, mostra «una carnalità arrugginita, balorda»[30].

Proprio nel Diario, Fiore afferma che la sua scrittura è un atto di ‘prepotenza spirituale’ [31]. È un’ammissione importante. Cercherò di interpretarla. Noi sappiamo che Bachtin fonda la sua idea di attività estetica su una distinzione tra anima e spirito. L’anima è la vita interiore vissuta con il supporto dell’altro, cioè mediante la funzione dell’autore. Lo spirito è la vita interiore vissuta per se stessi, cioè mediante la funzione dell’eroe. L’attività estetica, che consiste in un conferimento di forma, in un modellamento che circoscrive la materia greggia della vita, è il dominio dell’anima che vede l’attività interiore dall’esterno, come un tutto virtualmente compiuto, mentre lo spirito non può essere portatore di forma, non può governare l’intreccio, perché «in ogni dato istante esso è un compito, ha ancora da venire» [32]: lo spirito non può insomma assoggettarsi a un recinto formale. Ora, nei racconti di Fiore sembra prevalere proprio questa seconda dimensione: la dimensione dell’eroe dinanzi all’«evento aperto e ancora rischioso della propria esistenza» [33], cioè dinanzi a quello che Bachtin chiama «orizzonte»; mentre risulta debole la dimensione estetica, che contempla il proprio oggetto nella sua integrità e potenziale compiutezza, vale a dire come «contorno». Come il Dostoevskij di Bachtin, Fiore tende a trasferire «l’autore e il narratore, con tutto l’insieme dei loro punti di vista e delle descrizioni, caratterizzazioni e determinazioni del personaggio da loro fornite, nell’orizzonte del personaggio stesso»; e noi sappiamo che l’autocoscienza del personaggio «vive della propria indefinitezza, del proprio essere non chiusa e non risolta», sappiamo che la «parola dell’autore non può abbracciare da tutti i lati, chiudere e compiere dall’esterno il personaggio e la sua parola» [34].

3Chiamato ipoteticamente a scegliere tra la parte dell’eroe e quella dell’autore, ossia tra il «portatore del contenuto vitale di senso» e il «portatore del suo compimento estetico», Fiore propenderebbe insomma per la prima: la parte per così dire antiestetica, la parte della narrazione disarmonica e ‘maleducata’. Da questo punto di vista si può forse estendere a Fiore la «spiacevolezza» dello stile e l’importunità della parola che Bachtin assegna a Dostoevskij [35].  (Lukács parlerà a sua volta di «mancanza di misura», di «sincerità spinta all’estremo che rasenta quasi la spudoratezza») [36].

Tirando le somme di questi discorsi, i racconti di Fiore, per la cruda e irredenta materia autobiografica che li nutre, per il ductus spezzato e imprevedibile, per l’oltranza dei personaggi che tendono a tracimare dal loro alveo naturale, da ciò che da loro ci si può attendere, si possono ricondurre alla categoria bachtiniana dell’autorendiconto-confessione, dove la posizione dell’eroe e quella dell’autore non sono nettamente distinguibili, dove «è lo spirito che ha la meglio sull’anima nel proprio divenire e non può trovare il proprio compimento» [37]. L’eroe di Fiore produce gli stessi «stenogrammi di una controversia incompiuta e incompibile» [38] che Bachtin vede negli eroi di Dostoevskij.

4.Fiore ha spesso parlato della sua opera (e anche nel Diario) come di un deliberato «fallimento» [39]: la decisione di ‘fallire’, di non approdare, diciamo noi, a un risultato ‘estetico’, corrisponde in questo senso alla scelta di affidarsi al fortunoso e ingovernabile fluire dello spirito. La sua malagrazia è un comportamento per così dire autistico [40] che lo apparenta anche allo jurodstvo, allo ‘stolto in Cristo’, alla cui radice, secondo Bachtin, sta «la vergogna per il ritmo e per la forma», «l’orgogliosa solitudine e resistenza all’altro, l’autocoscienza che ha travalicato i confini e vuole tracciare intorno a sé un cerchio impenetrabile» [41].

Per questo autismo da «uomo che dialoga con se stesso in un ambiente amorfo» [42], riverberato nei suoi personaggi semiciechi e brancolanti, Fiore si può di nuovo ricondurre a Kafka, il Kafka di Benjamin, che «si dilunga senza fine sulla natura incerta, fluttuante delle esperienze. Ognuna [delle quali] cede, ognuna si mescola con l’esperienza opposta» [43] e si può ricondurre ancora al Dostoevskij di Bachtin, quello che realizza «la profonda equivocità e plurivocità di ogni fenomeno» [44], quello in cui ogni cosa «vive esattamente al confine con il proprio contrario» [45]. Alcuni esempi. Gli spettatori del circo Fröbe confessano: «Non si è mai certi di nulla, si rimane sospesi e affranti dal dubbio» [46]. L’esistenza, corporea e spirituale, del professor Betti (Il bilancio) è «una sensazione fluttuante» [47]. Il brigadiere Salviati (Il concetto di libertà) «era in preda al dubbio; e al dubbio succedeva talvolta una illuminazione interiore» [48]. Per l’impiegato Stoppa (Il licenziamento) «il creato, la creazione» non è «un fatto o una realtà seria, salda» [49] e per Nottola (Il problema di Rodolfo Traina) «il mondo non è neppure stato fatto» [50]. La vita trascorsa del pensionato Failla (Un giorno del passato) è «una macchia informe che ballava senza posa» [51]. I deputati del Parlamento (La seduta del Parlamento) hanno addirittura «un’idea confusa dell’ordine del giorno» [52].

Dialoghi Mediterranei, n.24, marzo 2017
Note
[1] Ristampato in «Dove sta Zazà», n. 2, 1993: 52-55.
[2] In «La fiera letteraria», a. XLII, n. 19, 11 maggio 1927: 24. Ristampato in Sicilia fantastica. Racconti sul meraviglioso dal Novecento ad oggi, a cura di Emiliano Morreale, Napoli, L’ancora del Mediterraneo («Gli alberi»), 2000: 97-100.
[3] In «L’Ora», 4-5 luglio 1967, supplemento culturale p. VIII. Ristampato in Le Voci. Testamento spirituale di Angelo Fiore, a cura di Sergio Collura, Catania, Tifeo, 1986: 17-20.
[4] In «Nuovi Argomenti», Nuova Serie, n. 19, luglio-settembre 1970: 118-124.
[5] In «Nuovi Argomenti», Nuova Serie, n. 25, gennaio-febbraio 1972: 38-45. Poi confluito, con varianti, nel romanzo Domanda di prestito (Firenze, Vallecchi, 1976: 177-185).
[6] In Le Voci. Testamento spirituale di Angelo Fiore, cit. Il lavoro di Panozzo è stato ristampato in «Dove sta Zazà», n. 2, 1993: 55-56.
[7] Entrambi in «Plumelia». Almanacco di cultura/e, a cura di Aldo Gerbino, Bagheria, Officine Tipografiche Aiello & Provenzano, 2004: 154-155.
[8] In «Voces in charta. Quaderni dell’Assessorato alla Cultura della Città di Palermo», 2006 (anticipato in «La Repubblica – Palermo», 13 dicembre 2006: I, X-XI).
[9] Ora riunite, tranne Il cancerologo, Il morituro e Il Circo Fröbe, nel volume Un caso di coscienza e altri racconti, a cura di Antonio Pane, introduzione di Silvio Perrella, Messina, Mesogea («La Grande»), 2002.
[10] Sulle date di composizione delle opere di Fiore esistono scarsissime notizie.
[11] Vd. Antonio Di Grado, Angelo Fiore, Marina di Patti, Pungitopo («La figura e l’opera»), 1988: 15-16.
[12] Vd. Giovanni Maccari, Autore di pochi e autorevoli lettori, «Stilos», a. V, n. 7, 18 febbraio 2003: V.
[13] Vd. Michail Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Torino, Einaudi («Piccola Biblioteca Einaudi»), 2002: 33.
[1]4 Vd. Antonio Di Grado, cit.: 13. Tra i molti esempi, l’Attilio Forra del Supplente (Firenze, Vallecchi, 1964), che considera la propria vita una «carriera spirituale» (10) e vive nell’attesa «di uno straordinario avvenimento metafisico o di uno straordinario risultato etico» (14).
[15] Vd. Paolo Maccari, Inchiodati dal gesto, «L’indice», n. 3, marzo 2003: 10.
[16] Vd. Salvatore Orilia, Angelo Fiore, Un caso di coscienza, in Id., Scrittori siciliani di ieri e di oggi, introduzione di Beppe Evola, Palermo, Sicilia Domani, 1964: 291.
[17] Vd. Michail Bachtin, Dostoevskij, cit.:115.
[18] Vd. Walter Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti, traduzione e introduzione di Renato Solmi, Torino, Einaudi («Nuova Universale Einaudi»), 1982: 285.
[19] Vd. Paolo Maccari, cit.
[20] Vd. Francesco Erbani, «La Repubblica», giovedì 30 gennaio 2003: 37.
[21] Vd. Silvio Perrella, Introduzione a Angelo Fiore, Un caso di coscienza e altri racconti, cit.: 10.
[22] Un caso di coscienza e altri racconti, cit.: 94.
[23] Vd. Paolo Maccari, cit.
[24] Vd. Silvio Perrella, cit.: 9.
[25] Angelo Fiore, Diario d’un Vecchio, a cura di Sergio Collura, prefazione di Geno Pampaloni, Catania, Tifeo, 1989 (anticipazioni di questo materiale erano apparse, sempre a cura di Sergio Collura, in Angelo Fiore, I giorni, Catania, Tifeo, 1987, «Arenaria», a. V, n. 10, gennaio-aprile 1988: 38-46, «La terza pagina», a. I, n. 1, novembre 1988: 1-3). Sergio Collura ne ha affidato altri frammenti, non compresi in queste pubblicazioni, a “Plumelia”. Almanacco di cultura/e, cit.: 152-153.
[26] Vd., ad es., Diario d’un Vecchio:150, 200 sgg.
[27] Un caso di coscienza e altri racconti, cit.: 66.
[28] Ivi: 72.
[29] Ivi: 93.
[30] Ivi: 118.
[31] Vd. Diario d’un Vecchio, cit.: 82.
[32] Vd. Michail Bachtin, L’autore e l’eroe. Teoria letteraria e scienze umane, a cura di Clara Strada Janovič, Torino, Einaudi («Biblioteca Einaudi»), 2000: 99.
[33] Ivi: 88.
[34] Vd. Michail Bachitn, Dostoevskij, cit.: 66, 72, 330. Nel Problema di Rodolfo Traina l’autobiografico Nottola confessa: «Cerco di sfuggire a ciò che di puntuale è nella vita».
[35] Ivi: 302, 311.
[36] Vd. György Lukács, Saggi sul realismo, Torino, Einaudi («Piccola Biblioteca Einaudi»), 1976: 289.
[37] Vd. Michail Bachtin, L’autore e l’eroe, cit.: 132.
[38] Ivi: 302.
[39] Vd. Diario d’un Vecchio, cit.: 85 («Quanto a me, sbaglio tutto quello che faccio; non ho categorie morali né spirituali; o meglio, nessuna mi basta e si adatta. Quando ho distrutto e dissolto, ricostituisco e ripropongo, ed è questa la mia fede, o il principio della fede e della vita»), 211 («Al mio gioioso fallimento occorre l’azione altrui, intensa, smodata»), il segmento apparso in “Plumelia”, cit.: 152 («Agisco per chiudere ogni opera col fallimento») e l’intervista con Sergio Collura (in Un prepotente spirituale. Appendice al Diario d’un vecchio, a cura di Cesare Cellini, Catania, Tifeo, 1989: 25): «Tutto qui: il mio lavoro, il mio fallimento». Fra i vari titoli, scartati, del Diario d’un Vecchio, uno recita Il mio fallimento come scrittore. Vd. anche il riverbero narrativo nel Supplente (cit.): le ripetute affermazioni dell’autobiografico Attilio Forra: «Debbo fallire; a me il fallimento è necessario» (10): «attirato dalla persona che incarna ed esprime il mio fallimento» (56).
[40] Anche questo a suo modo riflesso nel Diario di Attilio Forra (131): «Sono compatto, chiuso in me, autonomo».
[41] Vd. Michail Bachtin, L’autore e l’eroe, cit.: 108.
[42] Vd. Salvatore Orilia, cit.: 290.
[43] Vd. Walter Benjamin, cit.: 295.
[44] Vd. Michail Bachtin, Dostoevskij, cit.: 44.
[45] Ivi: 232.
[46] Il Circo Fröbe, cit. (senza numerazione).
[47] Un caso di coscienza e altri racconti, cit.: 73.
[48] Ivi: 43.
[49] Ivi: 58.
[50] Ivi: 120.
[51] Ivi: 157.
[52] Ivi: 189.

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Antonio Pane, dottore di ricerca e studioso di letteratura italiana contemporanea, ha curato la pubblicazione di scritti inediti o rari di Angelo Maria Ripellino, Antonio Pizzuto, Angelo Fiore, Lucio Piccolo, Salvatore Spinelli, Simone Ciani, autori cui ha anche dedicato vari saggi: quelli su Pizzuto sono parzialmente raccolti nel volume Il leggibile Pizzuto (Firenze, Polistampa, 1999).

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