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EDITORIALE

SOMMARIO N. 7

cent0anni di solitudine

Ci sono dei luoghi che, pur non essendo reperibili sulla carta geografica né visibili nello spazio della realtà fisica, esistono tuttavia con netti e precisi contorni identitari, solo perché la letteratura ne ha certificato l’esistenza. Così come i miti sono veri non meno dei fatti storici in quanto gli uni e gli altri opere dell’uomo storicamente determinate e concretamente agite, anche i luoghi prodotti dalla narrazione letteraria hanno una loro vita reale, hanno nomi e forme, architetture e paesaggi proprio perchè narrano storie, raccontano memorie, costruiscono geografie e descrivono orizzonti di senso. Macondo è uno di questi, un luogo immaginario eppure reale, di quella realtà fatta “della stessa sostanza dei sogni”, metafora dell’abitare la terra come iscrizione della presenza umana nel mondo.

Se quando diciamo Mediterraneo pensiamo all’arte dell’affabulazione visionaria che risale ad Omero e passa per Cervantes, allora è eminentemente mediterranea la letteratura di Gabriel García Márquez, appartiene all’antropologia mediterranea l’umanità che ha rappresentato e raccontato nei suoi romanzi, a quel Mediterraneo riplasmato e reinventato nella lingua e nella cultura dell’America latina. Mediterraneo è quel microcosmo nel quale lo scrittore ha coagulato la trama dei legami territoriali e genealogici, il centro di ricapitolazione dello spazio e del tempo, il paese per eccellenza di fondazione e di epifanie. Tra le pagine di Cent’anni di solitudine nella prima edizione economica Feltrinelli, molti di noi hanno rinnovato o maturato le ragioni della fascinazione letteraria, la magia di quel realismo che in fondo sosteneva le idee e le passioni libertarie della gioventù degli anni sessanta. Abbiamo trovato in Macondo l’estro della vita, l’iperbole della fantasia, quell’immaginazione al potere invano invocata in Occidente. Per quel che è stato e per quel che ha rappresentato, il libro che narra la storia esemplare dei Buendìa a lungo ci ha accompagnato, incantandoci non per effimero esotismo ma se mai per suggestione etnografica, per il modello letterario che si offre al lettore nelle forme di un’antropologia della memoria, per quella scrittura che non cambia la vita ma ci aiuta a comprenderla.

Per tutto questo e molto altro ancora, apriamo questo numero di Dialoghi Mediterranei nel ricordo di Gabriel García Márquez, scomparso da poche settimane, nella convinzione che la letteratura, nelle sue più alte espressioni, è strumento prezioso di conoscenza della natura dell’umano e della cultura dell’uomo, la più illustre testimonianza del narrare quale dispositivo elementare e radicale del vivere. Ecco perchè una rivista che si occupa di scienze umane e sociali non può non ospitare contributi di riflessione su temi letterari o aspetti che con la letteratura hanno a che fare.

In questo numero, che va in rete dopo l’anniversario della Liberazione e nel giorno della Festa dei lavoratori, resta ancora centrale lo spazio dato allo studio e all’analisi dei processi migratori, nelle diverse e complesse implicazioni, dalle vicende storiche nel Mediterraneo alle dinamiche urbane e antropologiche, dalle questioni giuridiche a quelle relative alla comunicazione mediatica. L’immigrazione – per quanto sia ancora drammaticamente impigliata nella cronaca quotidiana degli sbarchi e dei beceri appelli di quanti, seminando odio tra gli italiani, vorrebbero bloccare le operazioni di soccorso per “fermare l’invasione” – si pone simbolicamente al centro di questi due eventi storici, nel punto di snodo cruciale tra la memoria della guerra partigiana fondativa della nostra Repubblica e il patrimonio di valori etici e civili custodito nel diritto costituzionale al lavoro. Oltre l’orizzonte delle contingenze emergenziali, colpevolmente irretite nella gestione politica delle frontiere, il sommovimento epocale dei popoli del sud del mondo pone una sfida più alta, impone uno sguardo più ampio, sicuramente più lungimirante. Proporre alcune riflessioni sulle prospettive sociali e culturali che questo fenomeno dispiega sul piano globale e locale è obiettivo che Dialoghi Mediterranei si è dato, senza velleità o ingenue presunzioni ma anche senza dogmatismi o enfatiche retoriche, non tralasciando di indagare temi e casi specifici attraverso puntuali ricerche sul campo né rinunciando a studi e approfondimenti sui modelli teorici di analisi e interpretazione.

Mentre ci prepariamo alle elezioni del nuovo Parlamento Europeo, non è forse inutile ricordare che i migranti – esploratori delle frontiere ed esperti saltatori di fili spinati– sono partecipi del processo di decostruzione dei tradizionali confini del vecchio continente, sono i soggetti destinati a riplasmare i regimi e le regole di cittadinanza, a rinsanguare quella civiltà dei diritti che, nata in Europa, appare oggi estenuata e minacciata dall’imperversare della precarizzazione del lavoro e delle nuove forme di schiavismo. Ecco perchè chi pensa e progetta un’Europa senza il Mediterraneo si illude di fermare il carro della Storia che, sobbalzando sui dirupi e sui deserti, scavalcando gli abissi e le montagne, avanza, nonostante tutto, anche senza di noi, anche contro di noi. Ci piace immaginare che a guidare quel carro siano uomini come Gabriel García Márquez, che ha dato voce ad un immaginario Mediterraneo non cessando mai di credere nella verità dei sogni che raccontava.

Dialoghi Mediterranei, n.7, maggio 2014

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