Ho incontrato il poeta algerino Jean Sénac per la prima volta durante il mio viaggio ad Algeri i primi giorni del 2015 e la definizione di “Pasolini d’Algeria” mi ha indubbiamente colpita. Un autore che non avevo mai sentito nominare e che nessuno o quasi ho scoperto conosceva, certamente non in Italia né in Francia e perfino in Algeria. In ogni caso noto come poeta, così per altro si definiva, nessuno era a conoscenza del suo unico romanzo, incompiuto, autobiografico, che ho deciso di tradurre e portare in Italia e che mi ha ricordato da vicino Le premier homme (Il primo uomo) dello scrittore francese d’Algeria, Albert Camus, suo padre spirituale e poi definito égorgeur per le diverse posizioni sulla guerra d’Indipendenza algerina.
La sorpresa di una scrittura folgorante e del mondo interiore lacerato, specchio del Mediterraneo, non mi ha delusa; anzi sono convinta che si tratti di un autore che vale la pena di far emergere dall’oblio e far conoscere. Nasce così Ritratto incompiuto del padre (Ebauche du père, titolo originario, edito da Oltre edizioni, 2017). In occasione del Convegno internazionale di Studi Mediterranei 2018, tenutosi a Tunisi lo scorso febbraio nei giorni 19 e 20, ho scelto di parlare di Mediterraneo attraverso la visione di Sénac proprio per la sua idea di fratellanza tra i popoli e dell’arte e della scrittura come un ponte tra le genti, oltre che per quanto si evidenzia delle genti che vivono su queste sponde. Ogni uomo mediterraneo nel suo DNA ha inciso la mediterraneità prima che altre identità, siano nazionali, linguistiche o religiose. Cercando se stesso il poeta racconta quindi la complessità del Mediterraneo.
Il Mediterraneo è una visione, una categoria dello spirito e la sua forma geografica, chiusa, come un enorme lago salato, lo disegna come un luogo di corrispondenze e di intrecci anche se conflittuali. Se dovessimo utilizzare un linguaggio contemporaneo diremmo che qui le migrazioni prendono forma di pendolarismo se non altro come pendolarismo del cuore: nel tempo chi parte, se anche non ritorna nel luogo di origine, mantiene un legame pur talora lacerante con i luoghi lasciati alle spalle, nel segno di un’appartenenza duplice o plurima perché spesso è nel luogo di approdo che rintraccia vestigia di quello passato ed è per così dire costretto e non dimenticare le proprie origini. Basti pensare in termini linguistici o culinari. Il Mediterraneo è una presenza costante per chi ne abita le sponde e disegna un continente fluido dalle frontiere mobili, un mare chiuso dove la società è necessariamente aperta con le sue contraddizioni e i suoi scontri. Quando si nasce mediterranei questa è l’identità primaria, prima che la lingua, la religione o altro perché diventa il massimo comune denominatore.
Il poeta algerino di origini andaluse, “il Pasolini d’Algeria” (la definizione che mi ha colpita a suo tempo è della rivista letteraria LivrEsQ, non mia: così il titolo di un articolo nel gennaio 2015 in occasione di un numero speciale dedicato ad Albert Camus e alla sua cerchia), racconta il Mediterraneo e soprattutto quello di Orano, città multietnica per eccellenza dove il mare è una colonna sonora, quasi un personaggio, che cerca la propria identità: alla ricerca di un padre mancante che lo ossessionerà tutta la vita, in effetti crea una corrispondenza con il destino comune delle genti del “mare bianco di mezzo”. Il Mediterraneo fa da sfondo alla sua scrittura, è l’orizzonte del suo sentire e – come mi ha detto Aziz Chouaki, il drammaturgo e compositore jazz algerino (residente a Parigi, ha vinto tra l’altro il premio Flaiano con La stella di Algeri) che lo ha conosciuto un anno prima della sua morte avvenuta la notte del 29 agosto 1973 – ha portato il sole dove Camus ha portato le nubi del nord. Proprio con un sole a cinque raggi era solito firmarsi. Personaggio mediterraneo a tutto tondo, cantore di questo mare straziato.
La sua vita è già un racconto mediterraneo e una testimonianza del crocevia rappresentato da questo grande lago salato: come ebbe a dire di sé stesso «Sono nato algerino. Che nascita!» e sono «algerino, ebreo, francese, spagnolo, mozabite [1] e costruttore di minareti», per dire la complessità delle suggestioni che si intrecciano nella sua vita e formazione anche a livello linguistico. Nasce nel 1927 a Béni Saf, zona di miniere di ferro, nipote di un andaluso emigrato e pioniere tra i minatori: nel suo sangue scorre la Spagna dei Mori e la lingua spagnola; cresce nel quartiere popolare ebraico di Garbarout (nella traduzione francese) del quale ha grande nostalgia da adulto, di sapori e odori e la madre “cattolicissima” gli ricorda che gli ebrei le facevano credito mentre il rabbino lo teneva sulle sue ginocchia, lui bastardo (quando l’essere senza padre era una colpa oltre che un destino) e cristiano. In effetti la sua vita è ossessionata dalla ricerca del padre, simbolo di identità, che diventa una metafora dell’identità plurale delle società che si affacciano sul Mediterraneo. Eppure sembra dire, come il giornalista e scrittore algerino Amin Zaoui (editorialista di Liberté Algérie), che tutti gli scrittori e intellettuali sono bastardi perché con un solo padre si è sterili, si ha una voce monocorde.
Cresce all’ombra di una madre cattolica, guèbre [2], e avventista per un periodo, ma anche pagana senza saperlo, di quella religione popolare che mischia santi e superstizione, figlia della mitologia pagana, tipica del Mediterraneo del sud che non è fatto per “religioni ariane”. Dopo l’infanzia nel quartiere popolare ebraico, come accennato, cresce in mezzo a berberi ed arabi perché l’Algeria è il Paese dei due popoli e in questo sta la sua ricchezza.
Tutto il Mediterraneo è una storia di stratificazioni, molto più che il nord (in Finlandia dopo l’invasione degli Svedesi non è restato nulla): l’anno scorso il convegno era centrato sulla Sicilia, a mio parere la metafora per eccellenza della stratificazione e della contaminazione. Ricordo che ho conosciuto il poeta Flaviano Pisanelli grazie a Silvia Finzi (direttore della Dante Alighieri di Tunisi e storico editore del Corriere di Tunisi) alla librarie Millefeuilles a la Marsa proprio in occasione della presentazione di un suo libro e parlava della Trinacria come della congiunzione delle due rive in un bacio. Sénac respira anche il mondo spagnolo già “contaminato” dalla cultura araba e dalla presenza francese che è soprattutto la sua lingua e quindi la visione della vita.
Che il Mediterraneo sia lo sfondo è evidente quando, ricordando la propria infanzia, il poeta dice che ha imparato a nuotare prima che a camminare. Nella sua narrazione parla di mito, e raccontandosi racconta in qualche modo il mito del Mediterraneo che ha creato il mito di Edipo e che storicamente ha sostituito il matriarcato originario di Creta e dei nomadi del sud con il patriarcato, attraverso la mitologia greca.
Culla del mito che è scandalo, dice Sénac, che in più occasioni ribadisce come il suo romanzo sia una confessione, uno streptease perfino, una mitologia e per questo scandaloso; così il Mediterraneo può però anche sanare la contraddizione del vivere. Ne Le Mythe du spermei – Méditerranée, è il Mediterraneo stesso che traccia la via per superare la contraddizione, maschio e femmina ad un tempo, un lit conjugal, dove appunto la differenza è ricchezza. Il mito è ritenuto il livello superiore di una speranza che si è sbriciolata, naufragando, nella derisione; lo sperma come zampillante riproduttore verso l’assoluto; il Mediterraneo come il luogo “matrice” (matriciel) e primario. È nel ritrovare la composizione tra la diversità archetipa e storica, come l’Algeria dei due popoli, nomadi e arabi, e di molte altre stratificazioni, che esiste la risposta per una fratellanza comune e il superamento della rivoluzione, affinché non diventi restaurazione o nuova dittatura.
Sénac come Camus – al quale fu legato da lunga amicizia con un carteggio durato anni, prima della rottura violenta, sulla posizione verso la Guerra d’Indipendenza algerina – cerca nel Mediterraneo l’uomo nuovo, storicizzando il mito: non rincorrendo un’età mitica ma auspicando la realizzazione di una fratellanza inclusiva che il mito aveva intravisto senza annullare le rivalità (come alcune cattive interpretazioni delle religioni monoteiste o visioni politiche legate al partito unico o ancora i nazionalismi dell’Ottocento). Solo che per Camus il Mediterraneo è quello della mitologia greca, orientale. Per Sénac è il Mediterraneo della sponda sud, l’estremo Occidente, che dialoga ocn l’entroterra, con il deserto.
Quanto detto si legge chiaramente nell’unico romanzo del poeta Sénac che ho tradotto e curato, Ebauche du père, anche nella lingua originale con la quale è scritto, che non può fare a meno delle contaminazioni, perfino musicali. Sénac è forse il primo ad aver realizzato il nuovo romanzo maghrebino, quello che oggi si definisce tale, esploso in questi anni recenti, di espressione francese, con una scrittura folgorante che unisce tante lingue in una, lasciando sopravvivere linguaggi locali, che lui stesso traduce; inventando parole nuove probabilmente legate a modi di dire orali o anche a storpiature di alcune lingue parlate non da chi è madre lingua e ancora lascia fluire momenti lirici con un vocabolario forbito. Il francese resta la lingua della scuola che si colora però delle influenze locali.
Concludendo, tra le tante tematiche del Mediterraneo che affiorano dalle pagine di Sénac ne ricordo due che simboleggiano il Mediterraneo. Il mito del viaggio, da cui sono partita, che è sempre un viaggio di fondazione di una città o civiltà o di ritorno: in certo qual modo è sempre un viaggio da pendolari, una sospensione tra due poli, entrambi irrinunciabili. Infine il titolo del romanzo parla del Padre e della sua ricerca, metafora della rivalità, e della figura della madre, ovvero della accoglienza totale – «donna, mia sedentaria; ape operosa notturna» – eppure ingombrante: qui d’altronde, come accennato, è nato il mito di Edipo e l’archetipo si porta dentro non solo nella vita personale ma anche politica: troppo spesso nel Mediterraneo cadono le dittature ma resta lo spettro del dittatore-padre. Il padre è anche metafora della patria, il luogo dell’appartenenza più che dell’identità, stabilita quasi a priori, per questo può essere plurale o può essere un luogo di pluralità come il porto di Orano, un punto di confluenza.
Dialoghi Mediterranei, n.30, marzo 2018
Note
[1] mozabite, mozabita: I Mozabiti in berbero At Yighersan o At Aghlan sono un gruppo etnico berbero che abita la regione di Mzab nella provincia di Ghardaia nel nord del Sahara algerino e parlano la lingua tumzabt (lingua afroasiatica). La maggior parte di loro sono Ibaditi musulmani. Quasi tutti sanno leggere e scrivere in arabo, la scrittura araba viene usata anche per trascrivere la loro lingua. I Mozabiti vivono soprattutto in Ghardaia, Beni-Isguen, El-Ateuf e Guerrara. Secondo le fonti di dello storico Ibn Khaldun la parola Mozabiti deriva da Mzab che significa Al Azzaba (uomini non sposati).
[2] guèbre: seguace dello zoroastrismo, della religione di Aura Mazda.
_______________________________________________________________________________
Ilaria Guidantoni, fiorentina di nascita, vive e lavora tra Roma, Milano e Tunisi. Giornalista e scrittrice, si dedica alla conoscenza e alla scoperta dei temi legati alla mediterraneità, in particolare si occupa del dialogo interreligioso e interculturale, dell’evoluzione del femminile, delle rivolte arabe e della cooperazione tra le due sponde. Laureatasi in Filosofia Teoretica all’Università Cattolica di Milano con una tesi sul filosofo Wladimir Jankélévitch, è autrice di diverse pubblicazioni. Nel 2015 sono usciti Il potere delle donne arabe (Mimesis editore) e Marsiglia-Algeri. Viaggio al chiaro di luna, un reportage sull’attualità algerina (Albeggi edizioni). Nel 2016 per Albeggi Edizioni ha pubblicato la riedizione del libro sulla transizione tunisina, Senza perdere il coraggio. Tunisi, viaggio in una società che cambia e il pamphlet sul Mediterraneo Lettera a un mare chiuso per una società aperta. Sue sono la traduzione e la curatela dell’opera del poeta algerino di espressione francese Jean Sénac, Ritratto incompiuto del padre.
________________________________________________________________