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Jean Sénac incontra Pier Paolo Pasolini

Jean-Senac

Jean Senac

di Diletta D’Ascia

Ce qui fait scandale c’est plutot sa sincérité.

Mi sono imbattuta in questa frase che scrisse Jean Renoir a proposito di Pier Paolo Pasolini, per caso, come spesso accade, quando ho iniziato a leggere Ebauche du père di Jean Sénac e, istintivamente, ho pensato alle parole di questo autore a proposito del suo unico romanzo – «Non mancherò di scandalizzare. Ma scrivo per l’uomo che viene. L’uomo dall’obiettività fremente. L’uomo libero e vigilante» – e a quanto la vita e la poetica di Sénac si avvicinassero a quelle di Pasolini. L’impressione era che ci fosse qualcosa di più profondo delle somiglianze a cui si fa riferimento in un primo momento davanti a questi due autori: un profondo turbamento, un’inquietudine di fondo che si percepisce in entrambi e che pervade le loro opere.

Le similitudini tra i due autori sono molteplici e vanno al di là di un comune destino, entrambi omosessuali assassinati in circostanze misteriose e violente, a due anni di distanza l’uno dall’altro. Sénac e Pasolini sperimentano varie forme d’espressione arrivando a una produzione vasta e variegata nata dall’urgenza di scrivere, che è anche un’urgenza di esprimersi, di vivere, dalla figura del padre e il rapporto con la madre, alla sessualità sentita insieme come liberazione e senso di colpa, al rapporto con la religione e con la politica affrontato in modo contraddittorio, ma totalizzante, queste solo alcune delle tematiche analoghe nei due autori.

La figura paterna è l’immagine attorno alla quale si sviluppa il romanzo di Sénac, una dichiarazione di guerra contro il simbolo della paternità; in effetti vi è, nei due autori, una simile operazione figurale nei confronti del Padre, la cui assenza è un filo rosso che corre tra le pagine, tuttavia, così come in Pasolini, la continua negazione fa emergere la sua assenza, o meglio la presenza di quest’assenza e, dunque, la sua presenza. Entrambi cercano di liberarsi da questa figura, sebbene si abbia l’impressione che il complesso edipico non venga mai totalmente superato.

Pier-Paolo-Pasolin

Pier Paolo PasolinI

La presenza della coppia purezza-impurezza, espressione di una contami- nazione tra sacro e profano, è una delle similitudini che possiamo ritrovare nella poetica dei due autori; l’omosessualità è una delle tematiche più o meno esplicitate nei loro versi e nelle loro parole e viene vissuta sia da Pasolini che da Sénac con un costante senso di colpa, retaggio di un’educazione cattolica che ha profondamente influenzato la loro vita e le loro opere. L’immagine dell’angelo impuro, che in Pasolini ritroviamo in tutta la sua produzione, può essere vista come l’espressione dei tormenti, di un’attrazione per la colpa e rimorso per la stessa. 

Pasolini, in La realtà, dice di sé di essere «giovane figlio candido/santo barbaro angelo», questi versi riportano alla mente molti passaggi di Ebauche du père, d’altronde le immagini angelico-demoniache, mortuali e tragiche, sono tutt’altro che inconsuete nelle poesie di Pasolini; le ritroviamo anche nei testi filmici, rese attraverso contaminazioni musicali e figurative, e la sovrapposizione di toni e registri contrastanti all’interno di uno stesso fotogramma. Un «angelo impuro», come scrive nella poesia omonima, simbolo di innocenza e di peccato, puro e impuro allo stesso tempo.

In Pasolini, come in Sénac, siamo lontani dalla leggerezza dei versi di Sandro Penna, vi è piuttosto da una parte l’immagine di un uomo condannato per i suoi peccati e per i suoi falsi rimorsi, e dall’altra un atteggiamento contemplativo verso la sua spensieratezza e la sua gioia di vivere. Entrambi gli autori vivono la loro omosessualità in totale libertà, tuttavia portano dentro quasi un’inconfessata vergogna, forse per questo affiora nelle parole dei due poeti un’impudica insistenza, che in Pasolini fa emergere una fisicità quasi sensuale e sacrilega quando ad esempio descrive il «corpo di giovinetta» di Cristo o quando, in La Crocifissione, la morte del Cristo è rappresentata come spettacolo di «morte, sesso e gogna». L’impressione che ricaviamo da entrambi gli autori è quella di un essere incolpevole, che lotta in modo sì ripugnante, ma con “ingenuità”; una figura di innocenza impudica, un’immagine fatta di purezza e cattiveria innocente, in cui dolcezza e ferocia istintiva sono sempre pronte a riemergere.

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Susanna Pasolini in Il Vangelo secondo Matteo

Jean Sénac e Pier Paolo Pasolini sono accomunati anche dalla presenza della figura materna nella loro vita e nella loro opera; Ebauche du père è pervaso dall’amore di Jean Sénac per la madre, un amore contrastante da parte di entrambi, a tratti feroce, a tratti tenero. Pasolini si sentiva realmente e totalmente compreso solo dalla madre Susanna, a cui affiderà il ruolo della Vergine Maria nella sua rilettura cinematografica del Vangelo di Matteo; lo sguardo di Susanna, nelle inquadrature mantegnesche e caravagge- sche della scena della crocifissione, è quello che ha per il figlio, l’amore di una madre così forte da non poter essere sostituito o ostacolato. Questo forse è l’aspetto che più differenzia Sénac e Pasolini, nell’uno un rapporto sofferto, contraddittorio, mentre nell’altro sfocia in un amore immenso, puro, di cui sono testimonianza tante fotografie ove traspare la tenerezza, la fiducia e l’affetto tra Susanna Colussi e suo figlio.

In L’Usignolo della Chiesa Cattolica è ampiamente presente il rapporto tra la Madre-Madonna e il figlio-Cristo, un Cristo eretico, un figlio “diverso”, con cui il poeta si identifica; si arriva a un’identificazione tra la madre e la Madre-Vergine-Madonna, simbolo di una purezza non contaminata, figura materna per eccellenza, che sembra racchiudere in sé tutte le immagini di madri. Nel testo filmico Mamma Roma vi è un’assimilazione della figura di Cristo al personaggio di Ettore, un’identificazione blasfema, soprattutto perché la madre di Cristo-Ettore è una prostituta.

Ennesima contraddizione che, in modo differente, sentiamo anche tra le righe di Ebauche du père; in Sénac, ritroviamo una contrapposizione presente anche nei versi di Pasolini, l’amore nei confronti della figura materna, infatti, è spesso posto in antitesi agli occasionali incontri amorosi.

Pasolini nei dieci distici Supplica a mia madre scriverà: «Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu/sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù», esprimendo l’amore totale, incondizionato, nei confronti della madre. Con queste affermazioni apodittiche rivela tutta l’angoscia per l’amore «di corpi senza anima», corpi che si contrappongono a quello della madre, figura incorporea, unica compagna della sua solitudine, anima senza corpo, destinataria di un amore puro, assoluto, che lo rende schiavo e che, allo stesso tempo, li unisce nella condizione di sopravvissuti, di “superstiti”.

L’amore tra madre e figlio, nelle poesie e nei film di Pasolini, è sempre un amore sofferto e costantemente minacciato; vi è sempre una minaccia che incombe, la sensazione che si arrivi a una separazione forzata, che «la cattiveria del mondo», come dice in Mamma Roma, ostacoli irreversibilmente e ineluttabilmente quest’amore. In Ebauche di père, si avverte la stessa sensazione di un amore tra madre e figlio da cui viene perennemente escluso il padre, figura che risulta essere di impedimento al loro amore e alla loro felicità.

3Nel suo romanzo, Sénac fa spesso cenno al rapporto della madre con la religione, una fede che vive in modo “pagano”, impregnata di superstizioni, che la rende una “donna nel vento”, libera, forte, audace, una figura quasi mitologica. «Mamma, vi amo, mamma voi siete pagana! Che lo siate, sapendolo o senza saperlo! Cattolica, israelita, avventista, musulmana e guèbre, adoratrice del sole. E talvolta indù e libera pensatrice. E tutto questo senza cercarlo, senza saperlo, dal fondo dell’anima, e ogni volta profondamente. Oh quanto! La libertà, è quello che mi avete insegnato!». La figura materna, in Pasolini, sfiora questa stessa immagine di Sénac, mantenendo tuttavia una maggiore purezza, una profana verginità; l’essere pagana in Sénac conferisce a sua madre una forza e una concretezza che non percepiamo nell’essere quasi evanescente e puro della figura materna presente nella poetica pasoliniana.

L’amore materno, assoluto, distruttivo e “cieco”, come scriverà nel componimento Memorie, è protagonista anche in Mamma Roma; sin dal nome questa donna viene identificata nel ruolo di madre, invadente e oppressiva, tenera e amorevole, quasi fosse destinata a non essere altro che madre. Nella Ballata delle madri, scritta nello stesso periodo del testo filmico, Pasolini ci presenta una carrellata di madri, simili a Mamma Roma, «vili, mediocri, servi,/feroci»,«intente a difendere quel poco che, borghesi, possiedono», e decise a far sì che i figli trovino “un posto”, così come Mamma Roma si serve del ricatto pur di ottenere un lavoro per il figlio e coronare, in tal modo, il suo sogno piccolo-borghese.

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Anna Magnani in Mamma Roma

Nel testo filmico traspare lo stesso cieco amore materno, devastante e feroce tanto da portare fino alla distruzione di ciò che più ha importanza nella vita di Mamma Roma: suo figlio. L’amore di Mamma Roma per Ettore, nel tentativo di dare al figlio una vita migliore della sua, diventa sempre più soffocante; la donna non fa che imporre le sue scelte e i suoi desideri, comportandosi come una Regina, padrona assoluta, sebbene amorevole, di suo figlio; «vedrai chi te fa diventà tu’ madre! Te fa invidià da tutti. (…) Tu l’hai da pensà come la penso io». L’«amore materno», è un «amore straziante» ma è anche oggetto dell’«ambivalenza emotiva» dei figli, il cui amore è, a volte, tenero e devoto, a volte aggressivo, così come avvertiamo spesso nelle parole di Sénac.

Ciò che forse più accomuna Pasolini e Sénac è quel medesimo essere oppositori solitari, fuori e contro le istituzioni, entrambi pervasi dal motivo dell’eccesso come componente intrinseca alla loro vasta e variegata opera, autori di una produzione intellettuale segnata dall’antitesi, dalla sperimentazione, ma anche da un vuoto incolmabile, causato in modo seppur differente dall’assenza paterna.

Ciò che a noi lettori resta è la sensazione di trovarci di fronte a due autori che con i loro eccessi, il loro scandalizzare, hanno aperto una nuova strada, obbligandoci a riflettere e a guardare oltre, entrambi pervasi dall’idea tragica della contraddizione che li ha resi scandalosamente innocenti e attuali.

Dialoghi Mediterranei, n.30, marzo 2018
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Diletta D’Ascia, laureatasi a Roma al D.A.M.S. in Teorie psicoanalitiche del Cinema, ottiene un riconoscimento di merito al Premio Tesi di Laurea Pier Paolo Pasolini, con la sua tesi “L’Usignolo della Chiesa Cattolica e Mamma Roma: due testi a confronto alla luce della psicoanalisi”. Dirige e scrive vari cortometraggi e mediometraggi e pubblica articoli e saggi in varie riviste. È fondatore e Presidente dell’Associazione Culturale Gli Utopisti, con cui dal 2010 si occupa di realizzare corsi di formazione di cinema per i giovani e progetti legati al sociale, in particolar modo contro la violenza sulle donne.
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