di Giacomo Mameli
Oràni, un paese sardo in provincia di Nùoro, 540 metri sul livello del mare, oggi è definito “paese d’arte”. Perché molte Muse sono venerate ai piedi di Gonàre: pittura e scultura, architettura, politica, poesia e prosa, l’uso sapiente delle mani nelle sartorie di Mura o Mòdolo con velluti Visconti di Modrone o nelle botteghe artigiane con le lamiere di Roberto Zirànu maestro di brunitura e incisione. Nelle pasticcerie trovate tanti dolci a basi di mandorle e miele. E c’è una montagna – Gonàre – dove secondo una leggenda vivevano le sirene. Al centro del villaggio, in piazza Santa Croce, nel 1388 fu firmata la pace tra la giudicessa Eleonora d’Arborea e gli Aragonesi. In una delle tante chiese c’è un organo del 1732, ha 369 canne.
Arrivarci è facile. Dal Sud della Sardegna (Cagliari) ma anche dal Nord (Alghero e Olbia). O dal cuore della Barbagia che ha Nùoro per capitale e dalla quale dista trenta chilometri. Da qualunque città si parta, avrete davanti a voi sempre la vetta di Gonàre, una montagna a triangolo isoscele, è una vetta-cometa che a Oràni vi guida. Deve il suo nome a Gonario II di Torres, giudice e poi monaco nell’abbazia cistercense di Clairvaux. Mille anni fa rientrando in Francia dalla Terra Santa, si salvò da uno tsunami, invocò la Madonna e apparve il sole nel cielo chiaro. Lo considerò un miracolo e fece costruire una chiesa nella vetta più alta cha aveva visto dal mar Tirreno. Ogni anno, a settembre, festa religiosa e laica, con canti, inni e sfilate di costumi. Festa in condominio annuale con un paese vicino, Sarùle. La montagna è sacra e contesa.
Per l’arte Orani è legato soprattutto a due nomi universali fra Americhe e Africa: Costantino Nivòla (1911-1988, morto a Long Island, New York) e Mario Delitàla (1877-1990, morto a Sassari). Nivola e Delitala sono un tutt’uno col paese dove sono nati e amati. Nivola – scultore e pittore – nella casa di Santa Rosa, Delitala – pittore e professore – a Su Postu.
Prima di sbarcare a New York con la moglie ebrea Ruth Guggenheim, Nivòla lavora alla Olivetti di Ivrea. Diventa direttore artistico di “Interiors” e “Progressive Architecture”, firma la prima personale alla Nagy Gallery a New York, partecipa alla Quadriennale di Roma, poi la cattedra ad Harvard, continua a scolpire e dipingere. Nel 1958 torna a Orani, completa la facciata della chiesa dell’Itria. In un libro-amarcord scrive di essere «nato tutto rosso, come un coniglio appena spellato. Era mezzogiorno e mezzo, il 5 luglio 1911: dalla finestra della stanza entrava l’aria tiepida e con essa migliaia di suoni gradevoli, prodotti dagli uccelli, i grilli, le api e anche dagli scoppi dei piselli selvatici». Il resto parla dell’American Academy of Arts, professore tra Harvard e la University of California di Berkeley; nel 1982 è alla Reale Accademia di Belle Arti all’Aja. Torna a Orani e descrive «le due minuscole finestre delle due altrettanto minuscole stanze da letto della casa dove sono nato e che davano sull’orto di don Pietropaolo Meloni». Ritrova Elias «uno dei quattro manovali che lavoravano alla costruzione della villa Cusinu a Orotelli» e potrà scrivere la poesia-epitaffio con sei versi: «Sono tornato a Orani/ annunziato dalle tue comari/ “ricco potente è”/ hanno detto/ “meschino”, hai risposto/ “costretto a vivere in terre straniere”». Orani lo venera. Gli dedica un museo. Con iniziative intelligenti.
Va in terre straniere anche Mario Delitala, nome già affermato quando Nivòla nasce. Artista da bambino: «avevo una certa tendenza alla pittura che manifestavo disegnando caricature o dipingendo cartelli di réclame per i balli studenteschi o rappresentazioni teatrali». Comincia con le scene per una commedia di Terenzio, poi vita paesana, case e cortili, l’asino alla mola, ritratti di Ziu Predu Costanza. Con gli anni emerge «la predisposizione alla resa somatica dei volti». Sono le basi per i successi prossimi venturi. Alla fine degli anni 20 Delitala decora il Duomo di Lanusei: disegni geometrici, le quattro lunette delle Maddalene nella “cappella Sistina dell’Ogliastra”, le grandi tele della Crocifissione, della Natività e della Deposizione. Vanno viste le forme geometriche della chiesa ma soprattutto le espressioni del volto e del corpo delle quattro Maddalene in quasi tutte le gamme dell’azzurro: la fisicità della Maddalena peccatrice, la dolcezza della Maddalena orante, la compostezza della Maddalena penitente, la grazia celestiale della Maddalena santa. Delitala dalla Sardegna va Venezia, a Roma. Arriva la direzione della Scuola del libro di Urbino, darà valore aggiunto moderno alla città di Raffaello. La stilistica è una delle materie preferite. C’è poi l’Africa per «avvicinare – scrive la critica d’arte Maria Luisa Frongia – nuove culture, paesaggi, abitudini e volti inconsueti». Chi può, guardi i capolavori La donna di Bengasi, i cammelli di Agedabia, la moschea, le spiagge con palme. Torna in Italia, altre città, il trionfo alla Mostra internazionale del libro d’arte alla ventesima Biennale veneziana. La cacciata dell’Arrendadore. E ancora Palermo, Pesaro, in Sardegna lavora a Nuoro, decora l’aula magna dell’università di Sassari, è ad Alghero, Castiàdas, altre città. Lanusèi gli dedica il liceo artistico.
Scrittori, artisti, ma anche altre figure sempre nel nome di Orani. Pietro Borròtzu (1921-1944), eroe della seconda guerra mondiale, comandante partigiano torturato e fucilato a Chiusola di La Spezia dai nazifascisti. Nel 1946-47 ottiene la laurea ad honorem a Sassari, è medaglia d’oro al valor militare.
E poi una donna, la prima femminista del Partito sardo d’Azione quando era autonomista e federalista. Si chiamava Marianna Bussalài (1904-1947). Piccola di statura, non vendeva salute, la chiamavano “Marianedda de sos Battor Moros”, che vorrebbe dire “Mariolina dei Quattro Mori” ricordando il simbolo-bandiera del partito che fu di Camillo Bellièni ed Emilio Lussu. Instancabile lettrice dei classici, la Bussalài è così ricordata dallo storico Francesco Casùla: «Marianna è stata una donna di valore, con la quarta elementare, malaticcia, da autodidatta si è fatta una cultura, non solo letteraria ma anche filosofica e politica, diventando scrittrice, poetessa, leader politica. I suoi amici erano Montanaru e i grandi dirigenti sardisti: dai senatori-costituenti Luigi Oggiànu e Pietro Mastìno, dai fratelli Melis (compreso il futuro presidente della Regione Mario Melis) a Emilio Lussu e Dino Giacòbbe eroe della guerra civile spagnola. E Sebastiano Satta, il cantore della sardità. Tutti ricordano uno scritto radicale che la Bussalài inviò a Oggiàno: “II mio sardismo nasce da prima che il Partito sardo sorgesse, da quando, sui banchi delle scuole elementari, mi chiedevo umiliata perché nella storia d’Italia non si parlasse mai della Sardegna. Giunsi alla conclusione che la Sardegna non era Italia e doveva avere una storia a parte”».
Ieri e oggi. Perché la tradizione letteraria, nel paese dell’arte, continua con poeti dialettali. È di Orani lo scrittore Salvatore Niffòi. È di Orani Bastiana Madàu, scrittrice raffinata, direttrice-mito della biblioteca di Orgòsolo dove aveva portato anche Sebastiana Papa che con Il femminile di Dio aveva suscitato l’interesse di Sonia Ghand. Oggi la Madàu organizza pomeriggi letterari in una casa padronale dell’Ottocento, casa Maninchèdda. Ha scritto Nascar, più recentemente Simone. Le Castor, La costruzione di una morale dove emerge una modernisssima Simone De Beauvoir. Madau, parlando della Bussalài, nel saggio L’antifascismo di madre in madre, ha scritto: «La bara leggera fu trasportata dalla casa alla chiesa al camposanto antico, dagli amici, che a turno la sollevavano con tenerezza composta, percorrendo i vicoli di Oràni. Arrivarono da Sassari, Cagliari, Nuoro, da ogni paese della Barbagia, dell’Ogliastra e del Campidano, a dare l’ultimo saluto alla nobile ragazza, amica degli umili, libera e ribelle». È di Orani Ignazio Camàrda, uno dei botanici più scrupolosi. È di Oràni Angelo Zirànu, architetto, è lui a dirigere i lavori di restauro della Sagrada Familia di Gaudì a Barcellona. È scritta a Orani l’epopea dei minatori delle cave di talco e delle cave dei graniti verdi e grigi di Gonàre.
Venerdì 9 febbraio 2018. È un giorno feriale da pomeriggio letterario. Al paese si arriva questa volta dalla strada di Nùoro, quella che – passando il valico di Corr’e boi – porta nell’Ogliàstra di Lanusei. La vetta di Gonàre è sempre lì. Belle campagne anche se fanno capire di essere assetate, querce secolari e roverelle, qualche agrifoglio con foglie verdissime e drupe che più rosse non si può. Cartelli con nomi belli di campagna e aziende agropastorali: Talèri, Baraùle, Istalài, Lòsore, Monte Nule, Ohto che era zona abitati dai prenuragici e dai nuragici. All’ingresso del paese l’insegna di Zichi Graniti, il cartello d’ingresso indica i gioielli del paese, le chiese di Gonàre, la torre pisana di Sant’Andrea, Sa Itria, San Giovanni, i santuari di San Giorgio, Sant’Elia e Santo Spirito, il galoppatoio comunale, tanti nomi di tanti nuraghi, le domus de janas di San Salvatore, le tombe dei giganti, la zona termale, il Museo Nivòla. Per le strade insegne di botteghe artigianali dove si lavora il ferro. Nei bar si parla del Carnevale, delle corse con i cavalli e dei costumi da usare. In tutti i bar: che si chiamano Tzillèri (ricordando il latino cellarium) ai nomi esterofili Charlìe bar e Snack bar, c’è anche il Millennium.
Al centro del paese, attaccata alla sartoria dei Mura, la “Casa Maninchedda”, casa padronale dell’Ottocento. Qui il pomeriggio letterario di Bastiana Madau propone il tema “Sguardo interno, sguardo esterno, Raccontar fole”. Tanta gente, c’è anche il sindaco. La Madau parte da uno scrittore sardo, Sergio Atzeni (1952-1995) che poco apprezzava le fake news raccontate nei romanzi di scrittori europei che si erano occupati di Sardegna. In una lettera inedita inviata nel 1988 a Massimo Loche, allora direttore del quotidiano di Cagliari L’Unione Sarda, aveva scritto: «Caro Loche, acclusa troverai la follia – descrizione della vita sarda a cavallo fra Sette e Ottocento, quando altrove si facevano Rivoluzione industriale e Rivoluzione Francese – costruita usando soltanto scrittori non sardi: italiani, tedeschi, francesi, inglesi. I sardi del passato non raccontati da se stessi ma da un occhio esterno: un po’ perché a quel tempo da sé non si raccontavano – chi scriveva preferiva inventare storie giudicali – un po’ perché gli stranieri sono talvolta divertenti, un un po’ perché l’occhio esterno vede con più freddezza, con meno affetto. Naturalmente, quando gli stranieri hanno raccontato fole ho cercato di smontarle».
Il pubblico – in maggioranza donne – ascolta la Madau con attenzione. Che parla di «scrittori, romanzieri e giornalisti come Honoré de Balzac, Elio Vittorini, Carlo Levi, David Herbert Lawrence (autore del capolavoro L’amante di Lady Chatterley ma anche il diario intitolato Mare e Sardegna). Abbiamo i resoconti di viaggio di Paul Valery, Massimo Bontempelli, Nino Savarese, Virgilio Lilli, di grandi linguisti come Max Leopold Wagner. Di letterati come Auguste Boullier. Di politici come Carlo Cattaneo ed Eugene Roissard De Bellet. Di antropologi come Paolo Mantegazza e Franco Cagnetta. Di un accademico dei Lincei, Maurice Le Lannou, uno dei più grandi geografi europei del secolo scorso che ci ha lasciato in particolare un’opera straordinaria intitolata Contadini e pastori di Sardegna, dove la geografia dell’isola viene letta come un libro di storia, per cui “l’inaccessibilità” spiega il perché la Sardegna sia storicamente defilata dai processi che hanno sconvolto il Mediterraneo». E racconta di Carlo Cattaneo che descrive la geologia della Sardegna senza averci mai messo piede.
Compaiono anche i classici. Con Cicerone che chiama i sardi “mastrucati ladruncoli”, domandandosi: «Dal momento che nulla di puro c’è stato in questa gente nemmeno all’origine, quanto dobbiamo pensare che si sia inacetita per tanti travasi». Per Dante, addirittura, nessun isolano è degno di stare in Paradiso, molti invece vengono collocati nell’Inferno – poiché i Sardi, fra tutti i Latini, «sembrano proprio gli unici a non disporre di un proprio volgare imitando la grammatica latina come le scimmie imitano gli uomini».
Tutti ascoltano con interesse. La Madau passa il microfono a un’attrice, Valentina Loche, che propone la lettura di diversi brani autentici. Eccone uno di Carlo Cattaneo che, è bene ricordarlo, mai era stato nell’Isola: «Il granito rosso del Monte Nieddo è sìmile all’egizio; il roseo dei Sette Fratelli a quello del Verbano; il grigio abonda nel Gocèano e nella Nurra; il pòrfiro trachìtico e le basaniti dànno màcine; il marmo ha belle varietà: il cipollino del Correbòi, il bardilio di Mandas, il nero di Flùmini Maggiore, la breccia d’Eglesia, il bianco zuccherino d’Ozieri, di Chirra, di Teulada. Abonda il gesso; e l‘alabastro veste le grotte di Porto Conte, Tiesi e Domus Novas. La Nurra fornisce schisto tegolare; sono frequenti le pozzolane, le pùmici, i tufi, le argille, il nitro, l’allume, il bolarmeno, le rocce magnesìfere, le terre coloranti; si raccòlgono diaspri, àgate, calcedonie, cornaline, ametiste e giadi. Negli stagni marìtimi abonda il sal commune, ed anche il solfato sòdico; nelli interni il carbonato. Molte fonti salutari dei tempi romani sono smarrite; ma si frequèntano le termali di Sàrdara e Fordungiano, le acidule di Codrungiano, le iodurate di Villacidro, le marziali di Benetutti, ove i bagnanti sono costretti a ripararsi in una chiesa, o sotto frascate, o all’ombra d’un fico gigantesco; così poca cura si ha d‘ogni util cosa».
Ci si rinfranca lo spirito ascoltando parlare di fotografi. Madau: «Abbiamo i repertori dei primissimi fotografi, che sono stati i dagherrotipisti itineranti francesi, di Delessért, di Ugo Pellis, dei fratelli Sella, di Henri Cartier-Bresson, Josip Ciganovic, Bruno Barbey, August Sanders, Thomas Ashby, Fausto Giaccone, Italo Zannier, Paolo di Paolo, Gianni Berengo Gardin, Adriano Mordenti, Tano D’Amico, Franco Pinna, Lisetta Carmi, Sebastiana Papa, Marianne Sin-Pfältzer». Poi si parla di scrittori sardi contemporanei, si annunciano i prossimi incontri: Luciano Marroccu, Omar Onnis, il giornalista Angelo Altea, il ricordo della criminologa Nereide Rudas. La serata a Casa Maninchedda finisce col tè caldo offerto in tazze di ceramica Old England.
Da Casa Manichedda al Museo dedicato a Costantino Nivòla, a mezza collina, sotto Gonàre. E si passa dagli artisti oranesi del passato a quelli contemporanei. Anche qui tanta gente anche se la serata è decisamente gelida. Voci di bambini e bambine. C’è l’inaugurazione della mostra “I’m bach” di Christian Chironi, 43 anni, nato a Nuoro e cresciuto a Orani. Ha studiato all’Accademia di belle arti di Bologna, utilizza diversi linguaggi facendoli dialogare spesso insieme. Come Nivòla, anche Chironi è partito da Orani e vi torna in questa occasione dopo una serie di esperienze che lo hanno condotto in luoghi e contesti differenti, nell’ambito del progetto My House is a Le Corbusier sostenuto dalla Fondation Le Corbusier e ora anche dalla Fondazione Nivola. Nei primi anni Ottanta Costantino Nivòla, ormai malato, telefona da Long Island al nipote Daniele, chiedendogli di andare nella sua abitazione in Toscana, in un ultimo tentativo di riportare le sue cose a Orani. Daniele ricorda: «Mi ha detto: vai a Dicomano e cerca di prendere quello che c’è. Compresa la macchina! Ci sono due manifesti artistici di un certo valore… Steinberg… C’erano sculture sue, quadri… Alla fine ho anche lasciato dei bozzetti. Non ci stava tutta la roba nella macchina». Daniele si imbarca dal porto di Civitavecchia con una Fiat 127 carica di opere d’arte, facendo rientro in paese con la consapevolezza di avere portato con sé solo una piccola parte di quel patrimonio culturale e esistenziale. Cosa trasportava quell’auto e cosa ha riportato indietro? Un lascito materiale, ma anche l’avvio di una staffetta simbolica, un incitamento ad ’andare’ e sentirsi abitante del mondo.
A distanza di molti anni da quel viaggio, Cristian Chironi attraversa l’abitato e parcheggia la medesima macchina nel padiglione del Museo Nivòla per le mostre temporanee, il vecchio lavatoio di Orani, caro allo scultore in quanto luogo-simbolo dell’antica vita comunitaria del paese. E tutti a vedere la Fiat 127. Anche i bambini, anche le bambine. Dice Antonella Camarda, direttrice del Museo: «Un gesto artistico e performativo che rende la temperatura dell’intera mostra-installazione, intitolata I’m back, portando lo spazio del museo sulla strada e viceversa, in un viaggio fatto di partenze e ritorni, di corrispondenze generazionali, di incontri e visioni immaginarie registrate dal finestrino. Dentro l’abitacolo di una Fiat 127 modello Special, ribattezzata Camaleonte per la capacità di mutare colore della carrozzeria a seconda dei luoghi in cui sosta, sarà possibile ascoltare audio degli anni di Nivòla».
La parola alla presidente della Fondazione Museo Nivòla, la storica dell’arte Giuliana Altea: «Il museo Nivola ha, come Costantino Nivòla, una doppia identità: internazionale, per il carattere della sua collezione e della programmazione espositiva, per il suo impegno a intrecciare dialoghi con artisti e istituzioni in tutto il mondo; locale, per la sua volontà di rafforzare il rapporto che lo lega a Orani e alla Sardegna. Va detto che Orani – questo piccolo paese nel cuore della Barbagia – non è semplicemente il luogo fisico che ospita il museo, ma è il fulcro poetico della ricerca di Nivòla, un luogo simbolico in cui agli occhi dell’artista si condensavano i temi della comunità, della partenza, del ritorno, del trapianto culturale e delle trasformazioni identitarie che ne derivano. Temi importanti per Nivòla, ma importanti anche per tutti noi oggi, in qualsiasi contesto e ad ogni latitudine».
Ancora la direttrice Camarda: «Quella di Costantino Nivòla, vissuto a Milano dal 1931 al 1938 e a New York fino alla morte nel 1988, è una storia di partenze e di distacchi, di shock culturali e di incontri con nuovi ambienti. Dalla Milano anni Trenta delle Triennali e dell’Olivetti (ditta di cui il giovane Nivòla fu direttore artistico per tre anni prima di abbandonare l’Italia) alla Parigi degli esuli antifascisti, alla New York della nuova arte d’avanguardia, dalla Berkeley della contestazione studentesca alla Versilia degli anni Settanta meta di scultori da tutto il mondo, Nivòla inanella una serie di rendez-vous culturali indimenticabili; sembra aver conosciuto tutti: è allievo a Milano di Giuseppe Pagano e Edoardo Persico, i maggiori protagonisti del razionalismo italiano tra le due guerre; seguace di Emilio Lussu, di cui sposa le idee politiche durante la guerra; discepolo di Le Corbusier, che incontra nel 1946 a New York e cui resterà legatissimo fino alla morte del maestro dell’architettura moderna; amico di Pollock e di De Kooning, di Steinberg e di Calder e di tutte le figure chiave della New York School; collaboratore di Marcel Breuer, di Josep Lluìs Sert, di Eero Saarinen, dei BBPR e di altri tra i più grandi architetti modernisti; intimo di teorici e pensatori come Rudolf Arnheim e Nicola Chiaromonte. Se la sua biografia è varia, il suo profilo artistico non è da meno. Formatosi come grafico all’Istituto Superiore delle Industrie Artistiche di Monza (il Bauhaus italiano, come lo chiamavano all’epoca) si dedica all’illustrazione; nel 1949 si volge alla scultura inventando una nuova tecnica, il sand-casting, ideale per realizzare sculture a misura di architettura; negli anni Sessanta riscopre la terracotta con opere delicatamente intimiste; nei suoi ultimi anni pratica la pittura e crea una serie di sculture in marmo e in bronzo, le Madri, dalle forme pure e solenni e dall’aperta ispirazione mediterranea».
Ed ecco che, fedele allo spirito di Nivòla, il Museo di Orani organizza una programmazione di mostre incentrate su temi cruciali per l’artista: il rapporto tra arti visive, architettura e design, la dimensione pubblica dell’arte. Il 2018 è iniziato con Bettina Pousttchi. Metropolitan Life, grande installazione fotografica dell’artista tedesco-iraniana basata su un famoso grattacielo di New York. Oggi c’è Cristian Chironi con una tappa del progetto My Home is a Le Corbusier, organizzata con la Foundation Le Corbusier. In primavera sarà il turno di una mostra che ricostruisce la collaborazione tra una serie di artisti italiani (da Kounellis a Paladino, da Carla Accardi a Chiara Dynis) e gli architetti Piero Sartogo e Nathalie Grenon nella chiesa della Magliana a Roma. In estate Tony Cragg, uno dei massimi protagonisti della scultura internazionale e a ottobre si ricordano le grandi battaglie civili del ’68 con una mostra che racconta, attraverso i disegni di Nivòla e gli archivi fotografici del Getty Institute, le rivolte studentesche di Chicago. Si chiude a Natale con Le Corbusier, una mostra straordinaria che porta in Europa la collezione di disegni e dipinti del grande architetto, donata dallo stesso a Costantino Nivola nel corso della loro lunga amicizia.
Parla un dirigente della Fondazione di Sardegna, Franco Carta: «Sosteniamo finanziariamente queste iniziative perché la cultura dovrà essere la cifra della nuova rinascita della Sardegna. Pensare che un piccolo paese ha dato i natali a due grandi artisti come Nivòla e Delitala deve spingere tutti i paesi, tutte le città a valorizzare i propri artisti e i propri monumenti. Tutta la Sardegna è ricca d’arte, bisogna farla diventare patrimonio collettivo». Parla il sindaco. Parla la curatrice della mostra di Chironi, Silvia Fanti. Applausi. La gente, a discorsi finiti, va a vedere la Fiat 127 Camaleonte di Nivola. È come salire su una navicella spaziale costruita da un moderno nuragico della Sardegna 4.0. In fondo alla sala una grande scultura, una Madre Mediterranea di Nivòla.
Il sindaco di Orani è Antonio Fadda, 36 anni, ricercatore all’università di Cagliari e imprenditore da spinn-off. È “strafelice” di guidare un Comune così attivo, che calamita visitatori davanti alla parola cultura. «Ci chiamano un paese d’arte e non possiamo che esserne orgogliosi. Pensare che abbiamo dato i natali a Nivòla e Delitala ci inorgoglisce e investiremo sempre di più in iniziative culturali». Cultura sì, imprese pure (sono oltre 140 le attività artigianali e commerciali) ma anche spopolamento. Nel 2007 gli abitanti erano 3127, al 31 dicembre dello scorso anno 2904. «Il fatto dominante è quello nazionale, il calo demografico, con una media di venti nati all’anno e di quaranta decessi. Anche la fine del sogno industriale, con la chimica di Ottana cancellata del tutto, ha avuto il suo effetto. Ma credo che il fenomeno sia mondiale: crescono le megalopoli, decrescono i piccoli centri. Ma, in attesa che cambino i trend demografici, non bisogna demordere, occorre rendere vivibili i paesi ogni giorno dell’anno, potenziare i servizi rendendoli sempre più efficienti, insistere con le attività culturali. Un Comune non ha altri strumenti al di fuori della valorizzazione della proprie risorse ambientali e culturali. Noi ci stiamo provando».
A Lione vive un vecchio ex muratore di Orani, emigrato in Francia nel dopoguerra. Da operaio è diventato imprenditore, ha costruito interi rioni in diverse città francesi. All’anagrafe fa Antonio Zichi ma nel paese dov’è nato lo chiamano ancora Zacarìa, com’era chiamato da bambino. Ogni due anni, per la festa di Gonàre, rientra al suo paese «proitte in Oràne su coro meu tochèddat pius lèpiu», «perché a Orani il mio cuore batte meglio».