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Quando il Jazz si chiamava Jass

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Nick La Rocca e la Sicilian jass band, primi 900

 di Antonino Cangemi

La culla del jazz è stata New Orleans. Lì, certamente, quella musica sincopata protagonista di tutto il Novecento nacque, anche se non si sa bene come e quando. Vi è pure chi sostiene che a inventare il jazz sia stato un siciliano originario di una famiglia del Trapanese emigrata in America; o, comunque, che nella sua affermazione vi sia stato un significativo contributo dei musicisti siculo-americani. Vi sarebbe, perciò – se si dà credito a questa tesi –, un’inattesa parentela tra le nostre marce e mazurche e lo swing. Sarà vero? Quanto vi è di credibile in affermazioni apparentemente ardite? Potremo capirci qualcosa di più indagando sulla vita di Nick La Rocca [1].

Alla fine dell’Ottocento gli italiani emigrati a New Orleans erano circa 12 mila, in buona parte siciliani. Da Palermo partiva periodicamente, per approdare a New Orleans, il “Montebello”, un grande piroscafo che riusciva a ospitare non meno di mille emigranti. Quella nave non trasportava soltanto persone (nuclei familiari poveri in cerca di fortuna soprattutto del Palermitano, del Trapanese e dell’Agrigentino), ma anche merci: prodotti agricoli in special modo, primi tra tutti agrumi. Nel viaggio di ritorno, l’imbarcazione si caricava di balle di cotone, che poi prendevano la direzione, via mare o via treno, di Genova; e a Genova il cotone era utilizzato per confezionare singolari pantaloni di lavoro, che verranno chiamati, in omaggio alla città ligure, jeans [2].

Correva l’anno 1876 quando la famiglia La Rocca s’imbarcò sul “Montebello”. Girolamo La Rocca era poco più che ventenne: a Salaparuta, suo paese nativo, faceva il calzolaio e suonava la cornetta nella banda, aveva assolto gli obblighi di leva ed era stato caporale-trombettiere nei Bersaglieri del generale La Marmora; affianco a lui, la moglie Vittoria Di Nino, di Poggioreale.

Sbarcati in Louisiana, i coniugi La Rocca trovarono alloggio a New Orleans in un’abitazione di Magazzine Street, occupando il primo piano e il piano terra. Quel piano terra serviva a Girolamo La Rocca come bottega di calzolaio, ma anche di riparatore di sedie (l’uomo si adattava a diversi mestieri, come tutti gli emigrati siciliani del tempo); ma un angolo del “laboratorio” era utilizzato per suonare la cornetta insieme ad altri siciliani d’America [3]. D’altra parte, ai La Rocca la musica scorreva nel sangue, tant’è che i quattro figli nati dal matrimonio – Rosario, Nick, Antonia e Maria – sapevano tutti suonare uno strumento.

Tra loro, fu Nick a essere più attratto dalla musica e a rivelare presto il suo talento. Nick predilesse, come il padre, la cornetta. Giovanissimo, trascrisse sul pentagramma le sue prime composizioni e, si racconta, fosse solito suonarle e dedicarle alla cassiera del teatro che si trovava dinanzi l’abitazione della famiglia La Rocca. La musica che più gli piaceva era quella bandistica: il piccolo Nick restava ore incantato ad ascoltarla al grammofono, per poi riprodurla ad orecchio con la sua cornetta.

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Nick La Rocca e la sua band, anni 20

La sua passione per la musica fu però avversata dal padre, che aveva immaginato per lui un futuro di medico. La vita di stenti di chi lascia la propria terra ha sempre un fine: il riscatto sociale garantito dalla prole. Se carmina non dant panem, lo stesso poteva dirsi della musica: solo una dilettevole distrazione, purché non si esagerasse mettendo al rischio la salita – da percorrere ogni giorno senza maledire la fatica – per le tante scale e i tanti gradini della società. Sicché Nick fu costretto agli studi. Dapprima frequentò la St. Alphonsas Parochial School, poi la Scuola Media di New Orleans per tre anni. Sordo ai richiami del padre, Nick però non mise mai da parte la cornetta e anzi, oltre a studiare le note, passava le domeniche ad ascoltare gli italiani in America già bersaglieri in patria che si riunivano sotto lo Spanich Fort per intonare le loro marce.

Nick dovrà aspettare la morte del padre, avvenuta anzitempo ad appena 51 anni nell’ottobre del 1904, per dedicarsi senza impedimenti e sensi di colpa alla musica. Il primo lavoro di Nick, allora quindicenne (era nato a New Orleans l’11 aprile del 1889), fu quello di elettricista alla French Opera House: un lavoro che lo mise in contatto col mondo della musica e che gli diede la possibilità di acquistare con i soldi delle prime paghe una cornetta nuova – quella che possedeva il padre gliel’aveva quasi distrutta.

L’anno dopo, Nick cominciò a suonare in vari gruppi e nel 1908 formò la sua prima orchestra coinvolgendo musicisti, come il clarinettista Larry Shields, che gli sarebbero stati accanto anche più tardi, quando la sua musica si sarebbe cominciata ad affermare.

Un anno importante per La Rocca fu il 1914. Quell’anno entrò a far parte della band di Jack “Papa” Laine, allora il musicista bianco più noto a New Orleans. Jack “Papa” Laine era un batterista; il suo nome anglosassone non deve trarre in inganno: anche lui, come Nick, era un oriundo siciliano, in realtà si chiamava George Vitale. Allora New Orleans – città portuale cosmopolita, crocevia di genti diverse dove convivevano neri di origine africana ed europei (francesi, spagnoli, irlandesi, oltre a italiani e soprattutto siciliani) – pullulava di orchestrine e la musica si esprimeva con ritmi e connotazioni differenti: il ragtime, il blues, le piccole band con cornetta, clarinetto e trombone, senza dimenticare la tradizione del Marching band, le melodie che accompagnavano le parate funebri. Al punto che gli studiosi del jazz parlano di uno “stile New Orleans” riferendosi al jazz del sud in questa epoca aurorale per la musica di Luis Armstrong e di Charlie Parker.

Quello che per tutti oggi è il jazz, allora veniva chiamato jass. Sulle sue origini etimologiche si contendono il campo diverse tesi. Una di queste fa derivare jass dal francese jaser, che significa fare rumore, chiasso, fracasso, e non è privo di allusioni all’attività sessuale. Questa tesi sarebbe accreditata dal fatto che nella New Orleans degli albori del ‘900 il jass veniva così inteso e spesso al fracasso si associavano riferimenti boccacceschi. Né deve stupire: il jass, e ancor più il ragtime, si suonavano nei bordelli. Tante volte per denigrare questo tipo di musica, si elideva la j e si scriveva ass, una parola dal significato inequivocabile: culo.

Il Gruppo di Nick La Rocca Primi 900.

Il Gruppo di Nick La Rocca, primi 900

Nel 1915 Nick La Rocca entrò a far parte della band del batterista Johnny Stein. Il gruppo cominciò a farsi notare nei locali dove si suonava il jass, si ballava, beveva, e si faceva qualcos’altro…Quel “bordello” di note piaceva, metteva allegria e scatenava danze e movimento. La band di Stein divenne nota tanto da essere scritturata a Chicago. Si racconta che quando i musicisti della band arrivarono dalla calda New Orleans alla settentrionale Chicago, rimasero tanto intirizziti dal freddo che Stein dovette provvedere immediatamente ad acquistare, in cerca di un po’ di tepore, i cappotti: di seconda mano, naturalmente. Col successo crescente, non accompagnato però da contratti soddisfacenti, si manifestarono anche i dissensi all’interno della band. Nel 2016 Stein abbandonò i compagni e Nick La Rocca assunse la leadership. Sotto la guida di Nick La Rocca, il gruppo diventò l’Original Dixieland Jass Band, alla batteria Johnny Stein venne sostituito da Tony “Spargo” Sbarbaro, tanto per cambiare un altro oriundo siciliano.

A Chicago le performance dell’Original Dixieland Jass Band furono sempre più apprezzate, plaudite e ben remunerate dai locali più in voga. La consacrazione del successo di Nick La Rocca e della sua band è attestata dall’incisione di un disco presso la Victor, che allora si contendeva con la Columbia Gramophone Company l’egemonia nella nascente industria musicale discografica. La data memorabile in cui l’Original Dixieland Jass Band di Nick La Rocca incise su disco i primi brani di jazz, anzi di jass, fu il 26 febbraio del 1917. Allora non esistevano microfoni e amplificatori e tutto era frutto di tecniche e strumenti decisamente artigianali. Si può immaginare l’emozione di Nick e della sua band: «Quando la luce rossa si accese – ricordò La Rocca – avemmo il tempo di contare ‘uno-due’ e fu un miracolo come cominciassimo insieme: non so, forse il buon Dio era con noi».

Era il miracolo della musica, la sua magia. I due brani incisi furono Dixieland Jass One Step e Livery Stable Blues: nel mezzo del trambusto di note, il trombone, il clarinetto e la cornetta simulavano i versi, rispettivamente, del gallo, del cavallo e della mucca. Quel disco fu baciato da un successo eccezionale, vendette un milione di copie superando persino le incisioni di Caruso. La band si avvaleva di cornetta, clarinetto, trombone a coulisse, pianoforte e batteria. Particolare che testimonia l’influenza di quell’evento nella storia del jazz è che diverse band si omologarono nelle loro formazioni agli strumenti utilizzati dall’Original Dixieland Jass Band, debellando il violino allora in uso in tanti gruppi.

Quel disco contribuì non poco nell’affermazione dell’Original Dixieland Jass Band, che due anni dopo, nel 1919, dopo una tournée a New Jork, approdò in Europa, sostando per ben dieci settimane a Londra e a Glasgow. E l’evento più straordinario fu quando, nel giugno di quell’anno, La Rocca e la sua banda suonarono al cospetto di Giorgio V e della famiglia reale per festeggiare la firma del trattato di Versailles che poneva fine alla prima Guerra Mondiale.

Nick la Rocca anni 50

Nick la Rocca, anni 50

In America, però, cominciava l’era del proibizionismo, venivano messe al bando le bevande alcoliche e i locali dove si faceva musica e si ballava battevano la fiacca: erano costretti a chiudere dopo una certa ora, quando non vi erano addirittura vietate le esibizioni jazz e le danze. A New Jork, agli inizi degli anni ’20, era impossibile suonare il jazz, e così anche in altre città. Fu un duro colpo per Nick La Rocca e per l’Original Dixieland Jass Band, che ridussero sensibilmente le loro performance; di contro la radio, che iniziava ad assumere rilievo, apriva uno spiraglio per la diffusione della loro musica.

Non avevano più il vento in poppa, La Rocca e la sua band; e, come spesso accade quando le cose non girano più per il verso giusto, si accesero i diverbi, si acuirono i contrasti interni. Motivi delle liti: la spartizione dei soldi, le rivendicazioni della paternità dei brani, le contese sui diritti d’autore. Anche Johnny Stein, il primo leader legato a quella formazione, si fece vivo per sostenere che l’Original Dixieland Jass Band in fondo era una sua creatura. A tutto ciò si aggiunga che Nick La Rocca non era certo un uomo di docile carattere: irascibile, vanitoso, borioso non era affatto incline a conciliazioni bonarie. E il suo sistema nevoso era abbastanza fragile, tant’è che nel 1925 in preda a un grave esaurimento nervoso sciolse l’Original Dixieland Jass Band e ritornò a New Orleans. Vi rimase per un buon decennio occupandosi della sua impresa edile e allontanandosi dalla musica, anche su prescrizione del suo medico. In quel periodo, gli vennero pure avanzate proposte musicali (la sua notorietà non si era spenta), ma li rifiutò categoricamente.

Fu nel 1936 che il jazz tornò a tentarlo. Complice la radio che diffondeva lo swing: nuove sonorità catturavano il gusto degli ascoltatori. Il successo dello swing ferì l’orgoglio – smisurato e mai sopito –  dell’oriundo siciliano e riaccese il suo spirito competitivo. Lo swing, a detta di La Rocca, altro non era che il suo jass. Era lui “il Cristoforo Colombo del jazz”, l’inventore di quella musica. Sicché, messi da parte gli antichi rancori, riunì nuovamente i componenti del gruppo, che mantenne l’antica denominazione sostituendo a jass, termine ormai sorpassato, jazz. La band conobbe, pertanto, un revival della sua popolarità: si esibì in tournée, incise nuovi dischi, fu ospite di importanti trasmissioni radiofoniche. Tra gli altri, il clarinettista Benny Goodman, il più importante protagonista dello swing, invitò La Rocca alla radio e riconobbe pubblicamente di essere stato influenzato da giovane dall’Original Dixieland Jass Band.

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Locandina di un film  ispirato alla vita di Nick La Rocca

La quiete nella band durò poco: dopo due anni, nel 1938, i contrasti riaffiorarono e l’Original Dixieland Jazz Band si sciolse definitivamente. In quell’anno La Rocca tornò a New Orleans per riprendere la sua attività di imprenditore edile. Ma il 1938 fu un anno importantissimo per Nick, anche se segnò il suo distacco dalla band che aveva costituito e che gli aveva regalato notorietà e denari. Fu l’anno in cui incontrò la donna della sua vita, Ruth Dorothy Pitre. I due si conobbero un pomeriggio domenicale nella sala da ballo del “Capitol”, un battello da crociera che solcava il Mississippi. Prima un ballo, poi un altro, poi un altro ancora e il sentimento più puro s’insinuava nei cuori dei futuri coniugi. Ruth, ragazza di straordinaria avvenenza attratta dal ballerino Nick (non tanto dalla sua cornetta), avrebbe poi confessato ricordando quella domenica speciale: «Nick mi chiese un ballo e dopo un altro; io gli dissi: ‘Tu puoi chiedermeli tutti’». Nick e Ruth convolarono a nozze il 15 marzo del 1938, in tredici anni ebbero sei figli. Vissero a New Orleans in una casa sufficientemente capiente per crescere la numerosa prole, nel cui portone d’ingresso venne inciso il titolo del più noto brano dell’Original Dixieland Jass Band: Tiger Rag.

La Rocca continuò a esercitare il mestiere di imprenditore edile sino a quando non fu colpito da un attacco di angina pectoris che, nel 1958, lo costrinse a un ricovero d’urgenza. Nei suoi ultimi anni, non abbandonò del tutto la musica: si dilettò a scrivere canzoni dedicandole alla moglie e, soprattutto, continuò a proclamarsi l’inventore del jazz scatenando polemiche e collezionando nemici specialmente tra i musicisti di colore – tra loro Luis Armstrong – che consideravano quella musica una loro esclusiva creatura.

Nel 1960 Herry O. Brunn riuscì a pubblicare la biografia di Nick La Rocca e dell’Original Dixieland Jazz Band [4]. Il libro, The story of the  Original Dixieland Jazz Band, fu frutto di un lunghissimo lavoro, prolungatosi per ben 23 anni. Herry O. Brunn, nel 1937, assistette a un documentario sulla band e rimase folgorato da quella musica e da Nick La Rocca. Da allora cominciò a documentarsi sulla band, a tallonare La Rocca, a scrivergli, a seguirlo nei suoi spostamenti, fino a incontrarlo, scontrandosi col suo carattere scorbutico e con la sua smisurata vanità. Dopo la pubblicazione, l’autore dovette sopportare le invettive dei musicisti negri, che mal tolleravano i tributi riconosciuti all’oriundo siciliano, e dello stesso La Rocca, che avrebbe preteso in quelle pagine ulteriori crediti come unico e assoluto padre del jazz.

Nick La Rocca si spense il 22 febbraio del 1961 all’età di 71 anni. In Italia sono state promosse alcune iniziative per onorarne la memoria (tra cui un docufilm), ma in America, malgrado i tentativi del figlio James,  che ha ereditato la passione per la musica e per la cornetta, il suo contributo al jazz è quasi del tutto ignorato. Al punto che all’aeroporto di New Orleans vi è sì traccia della sua foto, ma il cornettista è ritratto come gregario della band di Johnny Stein. 

 Dialoghi Mediterranei, n.30, marzo 2018
 Note
[1] Su Nick La Rocca e sull’influenza dei musicisti oriundi siciliani del primo ‘900 sul jazz, leggasi Claudio Lo Cascio, Una storia nel jazz, Novecento, Palermo, 2004.
[2] Cfr  Marco Molendini, Nick La Rocca, l’italiano che diceva: il jazz l’ho creato io, in www.ilmessaggero.it
[3] Cfr Claudio Lo Cascio, Nick La Rocca, in www.jazzitalia.net
[4] Leggasi Salvatore Mugno, Il biografo di Nick La Rocca, Arcana, Roma, 2017.
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Antonino Cangemi, dirigente alla Regione Siciliana, ha pubblicato, per le edizioni della Regione, Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi (Palermo, 2007) e Mobbing: saperne di più per contrastarlo (Palermo, 2007); con Antonio La Spina, Comunicazione pubblica e burocrazia (Franco Angeli, Milano 2009); I soliloqui del passista (Zona, Arezzo 2009); Siculaspremuta (Dario Flaccovio, Palermo 2011); Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, Trapani 2013); Il bacio delle formiche (Lieto Colle, Faloppio-Como 2014); D’amore in Sicilia. Storia d’amore nell’Isola delle isole (Dario Flaccovio, Palermo 2015). Collabora con i quotidiani «La Sicilia», «Sicilia Informazioni» e, saltuariamente, con «La Repubblica» (edizione di Palermo).
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