Cosa è pubblico e cosa è privato. Quando una parola viene pronunciata pubblicamente non appartiene più a chi l’ha pronunciata. Nel momento in cui si fa una dichiarazione a una radio, in diretta nazionale, in un’intervista, o si scrive un libro, un articolo, le parole uscite fuori dalla nostra bocca non ci appartengono più. Si scrive e si parla in pubblico per dare una divulgazione, generalmente il più ampia possibile, a ciò che si vuole dire. Consegnare le proprie opinioni a qualcun altro è dunque un’azione di grande responsabilità, che fa sì che si stringa un patto tra chi parla pubblicamente e chi raccoglie quelle parole. Maggiore è la responsabilità se chi parla è investito del compito di parlare a nome di molti.
La classe politica italiana sembra in questo senso aver completamente perso di vista il valore ed il peso delle parole che pubblicamente pronuncia a reti unificate e su tutti i mezzi mediatici che abbiamo oggi a disposizione. Le dichiarazioni di un rappresentante politico, così come quelle di persone che ricoprono ruoli di rilevanza pubblica, non possono dunque essere valutate come quelle di un comune cittadino e le loro ripercussioni non possono e non devono passare in sordina. Da cosa è fatto il potere se non dalle parole?
Chiamare le cose con un particolare nome, pronunciarsi o non pronunciarsi su alcuni temi, scegliere dei termini piuttosto che altri, sono tutte azioni che costruiscono la realtà e che nell’Italia di oggi hanno plasmato il Paese, contribuendo alla diffusione di un clima di forte tensione e conflitto sociale.
Non richiamerò in questo contributo tutte le dichiarazioni pubbliche, atti di pura e durissima violenza simbolica, diffuse nelle ultime settimane da testate e telegiornali, che pure, disattendendo in moltissimi casi la deontologia e l’etica professionale, hanno una grandissima responsabilità nel vagliare le notizie da divulgare (cosa è notizia e cosa fa notizia) e nell’utilizzare parole cariche di aggressività. Mi limiterò a citare in nota alcuni passi a titolo esemplificativo [1]. Non si può certo parlare di dirette conseguenze tra dichiarazioni pubbliche e fatti di cronaca, ma risulta veramente difficile non vedere una connessione tra il clima di tensione ed astio che si respira pesante nelle nostre città e gli episodi di grave violenza razzista e neofascista che si registrano sempre più numerosi. Dalla più nota tentata strage di Macerata, in cui un militante di estrema destra ed ex candidato della Lega Nord, sotto il vessillo del tricolore, ha sparato su tutte le persone nere che incontrava per la sua strada, agli spari contro un centro di accoglienza per richiedenti asilo a Pietraperzia, in provincia di Enna, alla denuncia sui social network di un passeggero nero sprovvisto dell’idoneo titolo di viaggio su un treno, denuncia corredata da foto dell’ignaro migrante preso di mira, rivelatasi infine, peraltro, falsa.
Generalmente si è soliti motivare questo violento impeto sociale con un forte sentimento di malessere collettivo. Analisti e sociologi imputano la causa di questi episodi ad un’emotività che spinge le persone ad “agire di pancia”, senza valutare razionalmente i fatti, e a giudicare la realtà attraverso le lenti della paura e del sospetto verso l’alterità. Sentimenti cavalcati all’occasione dai diversi movimenti politici per raccogliere consensi.
Questo giudizio emotivo, e dunque per definizione irrazionale, non può in alcun modo essere arginato, perché qualsiasi tentativo delle scienze (dure e morbide), qualsiasi barlume di ragione o ragionevolezza, viene soffiato via con cieca veemenza. Neanche dopo più di un secolo si è riusciti a scardinare del tutto l’idea dell’esistenza delle razze umane, e ancora oggi archeologi, biologi, genetisti – tra i più noti Barbujani [2] – si trovano a dover spiegare al vasto pubblico (spesso anche invano) ciò che le scienze danno ormai per assodato. Nel 1965 Leonardo Sciascia scriveva così sull’Ora:
« “La più grande disgrazia di un uomo di lettere non è quella di essere oggetto dell’invidia dei suoi colleghi, vittima degli intrighi, disprezzato dai potenti; ma di essere giudicato dagli imbecilli. Gli imbecilli qualche volta superano ogni misura; soprattutto quando il fanatismo si unisce alla stupidità, e il gusto della vendetta al fanatismo. E un’altra grande sventura dell’uomo di lettere è, di solito, quella di non avere alcun appoggio”. Questo giudizio di Voltaire, che per me è sperimentata verità, confesso che con l’andare degli anni ha quasi il potere – come dice uno scrittore napoletano a proposito degli influssi jettatori dei suoi colleghi – “di fermarmi la penna in mano”. Perché è inutile che diciate, con la chiarezza che gli intelligenti vi riconoscono, cose sensate ed oneste, che s’appartengono ai “destini generali” (e quindi anche a quelli degli imbecilli): gli imbecilli, e gli imbecilli fanatici, stanno lì, pronti a intendere o a farvi dire il contrario» (Sciascia, 19 giugno 1965, in Farinella, Nisticò).
Quella dell’uomo di lettere è una condizione ancora oggi molto diffusa, tra tutti i ricercatori e gli studiosi la cui voce, nel corso degli anni, ha sempre di più perso credito nel discorso pubblico [3]. Pur condividendo questa visione della realtà, credo che suddividere in paradigmi manichei la società tra una metà ignorante e una metà che invece possiede la verità, che rimane però sempre incompresa ai più, sia semplicistico e non colga il motivo per cui una grande porzione di popolazione rimane intrappolata in visioni stereotipate del mondo, negando l’evidenza che si manifesta anche davanti ai propri occhi. Questo tipo di interpretazione pone inoltre la questione su un piano che vede contrapporsi ragione e impulsività, epurando totalmente la sfera del razionale dal sentimento e viceversa il sentimento dalla razionalità.
Ho provato dunque, a questo proposito, a leggere un testo, nel quale le motivazioni degli oppositori dell’accoglienza, i teorici dell’immigrazione controllata e regolamentata, sono ampiamente spiegate e corredate da studi, ricerche e dati statistici [4]. Il libro in questione è Immigrazione. La grande farsa umanitaria, edito per Aracne nel dicembre 2017. Gli autori Gian Carlo Blangiardo, Gianandrea Gaiani e Giuseppe Valditara sono rispettivamente un demografo, uno studioso dei conflitti e di analisi storico-strategiche e un giurista ed ex senatore di Alleanza Nazionale e Futuro e libertà.
In primo luogo sarebbe interessante chiedersi perché degli studiosi esperti in conflitti dovrebbero scrivere un libro sulle migrazioni. La risposta è presto detta, una delle tesi principali del testo è quella che vedrebbe nel flusso di migranti, principalmente musulmani, un complotto per conquistare e islamizzare l’Occidente [5]. La tesi di un «disegno egemonico» attraverso il quale i migranti starebbero cercando di conquistare il mondo occidentale è dimostrata con una serie di esempi, tra cui, il più articolato, è quello che descrive il programma politico del primo partito islamico olandese, il Denk, il cui obiettivo sarebbe, a lungo andare, la sostituzione etnica. Il testo comprende anche una serie di esempi storici, principalmente tratti dall’antica Roma, che dimostrano che esistono migrazioni buone e migrazioni cattive. Quelle buone sono quelle controllate, dalle quali si possono anche trarre dei vantaggi economici e demografici e che portano alla totale assimilazione dello straniero, che dovrà in qualche modo rinnegare la propria nazionalità di provenienza, quelle cattive sono quelle non regolamentate, provenienti da culture “non compatibili” con l’Occidente, come lo furono nel passato le invasioni dei barbari, che portarono alla caduta dell’Impero romano, come le invasioni di popoli “incompatibili” potrebbero portare l’Occidente ad uno stato di imbarbarimento ed arretramento.
Sempre restando in linea con la lettura storica proposta, ben selezionata ed epurata da dati antitetici, Valditara sostiene che «realismo e utilitarismo sono alcuni pilastri da cui si è sviluppato il successo della Roma antica. Concretezza e pragmatismo hanno caratterizzato le origini dell’Occidente romano». Il testo prosegue con un’analisi di fatti di cronaca (molto spesso tratti da testate come “il Giornale”) e con una lettura di dati statistici, che pur riconoscendo alcuni benefici derivanti dall’immigrazione, porta a conclusioni quantomeno discutibili [6] e lascia comunque spazio ad un’interpretazione poco oggettiva [7].
Quelli qui presentati in breve sono solo alcuni degli aspetti degni di nota del testo, che è costellato di termini come “odio verso una civiltà”, “tutti clandestini”, “conflitto potenziale”. Non è tuttavia obiettivo di questo contributo proporre un’analisi dettagliata di un testo che già nelle premesse si dimostra fazioso e fortemente lontano dalle posizioni intellettuali e politiche di chi scrive. Ma se, come già Sciascia evidenziava negli anni Sessanta, tentare di controbattere con la razionalità a delle posizioni che appaiono non solo poco razionali, ma addirittura poco ragionevoli, è una partita persa a priori, cosa è possibile fare per aprire un dialogo con chi si trova sul lato opposto del fronte?
Rispondere all’emotività con argomentazioni razionali non risulta ormai essere una strada perseguibile. Si potrà forse tentare di contrapporre ad un sentimento, generalmente di astio, di chiusura se non di forte aggressività, un sentimento di empatia, apertura ed accoglienza. Fuori da ogni retorica buonista, questo ci ricorderebbe che qualsiasi argomentazione, anche quella più razionale e scientificamente strutturata, prende le mosse da un’idea, in alcuni casi da una fede, ed è inevitabile che questo accada. Ricordarsi che non esiste una parte razionale, ragionevole e buona della società che si oppone ad un’altra parte rozza e in definitiva “nemica”, potrà forse aiutarci a comprenderci, o quanto meno a provarci e a ricordarci che in fondo siamo tutti esseri umani che agiscono mettendo in ballo tutte le proprie fragilità.
È questo il motivo per cui ci terrei a concludere questa breve riflessione con due brani, che non provengono dal mondo scientifico, ma dalla letteratura, e che più di studi statistici, report ed etnografie possono, una volta tanto, raccontarci chi siamo oggi e chi, in fondo, siamo sempre stati.
«Si diffuse il panico di fronte al moltiplicarsi dei migranti sulle strade (…) Dicevano: quei maledetti sono sporchi e ignoranti. Sono maniaci sessuali, sono degenerati. Quei maledetti sono ladri. Rubano qualsiasi cosa (…) Sono sporchi, portano malattie. Non possiamo lasciarli entrare nelle scuole. Sono stranieri. Ti piacerebbe veder uscire tua sorella con uno di quelli? I locali si suggestionarono fino a crearsi una corazza di crudeltà. Formarono squadre e le armarono: le armarono di manici di piccone, di fucili, di gas. Il paese è nostro. Non possiamo lasciare che questi facciano i loro comodi» (Steinbeck, 2013).
L’odio
Guardate com’è sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l’odio.
Con quanta facilità supera gli ostacoli.
Come gli è facile avventarsi, agguantare.
Non è come gli altri sentimenti.
Insieme più vecchio e più giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere
Se si addormenta, il suo non è mai un sonno eterno.
L’insonnia non lo indebolisce ma lo rafforza.
Religione o non religione –
purché ci si inginocchi per il via.
Patria o no –
purché si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all’inizio.
Poi corre tutto solo.
L’odio. L’odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.
Oh, quegli altri sentimenti –
malaticci e fiacchi!
Da quando la fratellanza
può contare sulle folle?
La compassione è mai
arrivata per prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.
Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?
Diciamoci la verità:
sa creare bellezza.
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera
Magnifiche le nubi degli scoppi nell’alba rosata.
Innegabile è il pathos delle rovine
e l’umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.
È un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.
In ogni istante è pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare aspetterà.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro.
– lui solo.
Szymborska, 2007
Dialoghi Mediterranei, n.30, marzo 2108
Note
[1] «Dobbiamo decidere se la nostra etnia, se la nostra razza bianca, se la nostra società deve continuare a esistere o se la nostra società deve essere cancellata» (Attilio Fontana, candidato governatore della Lombardia, http://www.ilmessaggero.it/primopiano/politica fontana_italia_non_puo_accettare_tutti_immigrati_nostra_razza_bianca_rischio-3485303.html ).
«La malapianta del razzismo che in Italia per fortuna non c’è, ancora può mettere pericolose radici, quindi bisogna agire per rimandare a casa con umanità i clandestini e intervenire subito per dare agli italiani più sicurezza con i poliziotti e i carabinieri di quartiere in numero importante e riprendere l’operazione strade sicure per militari in tutte le città» (Silvio Berlusconi, candidato premier alle elezioni nazionali del 4 marzo 2018http://www.ansa.it/lombardia/notizie/2018/02/14/berlusconi-razzismo-puo-mettere-radici_d0d67328-9663-42bc-b8b1-cecfe4dc8242.html ).
[2] Guido Barbujani è uno dei più noti genetisti italiani molto impegnato nella divulgazione scientifica. Tra i suoi testi più noti L’invenzione delle razze. Capire la biodiversità umana, edito per Bompiani nel 2006
[3] Il caso delle posizioni di alcuni gruppi politici e di una parte di cittadini sulle vaccinazioni, contrarie all’opinione di moltissimi scienziati, è emblematica in questo senso.
[4] I dati e le statistiche sono in genere utilizzati per contrastare le teorie sull’invasione e sull’emergenza dei migranti, dimostrando effettivamente attraverso i numeri che i flussi migratori verso l’Italia non raggiungono livelli tali da poter mettere a rischio la sicurezza e l’equilibrio economico del Paese.
[5] «Vi è da chiedersi cosa ci sia dietro questo disegno» (Valditara, 2017: 14)
[6] Qui mi riferisco in particolare all’affermazione in base alla quale l’aumento dell’immigrazione porterebbe direttamente ad un aumento della criminalità o della prostituzione.
[7] Alcuni paragrafi del capitolo dedicato all’analisi statistica sono intitolati: Cento volte più numerosi, Attenti all’Africa, Tutti “clandestini”, e in particolare i paragrafi I dubbi circa la “magica soluzione”: il problema delle “culle vuote”, Gli stranieri un alibi per dimenticarsi della maternità, I dubbi sul risolutivo contrasto all’invecchiamento demografico, prendono atto del fatto che effettivamente il saldo migratorio ha un impatto positivo per il nostro Paese, ma che in definitiva questo elemento positivo potrebbe considerarsi negativo se diventa un alibi per gli italiani per non assolvere al proprio dovere riproduttivo.
Riferimenti bibliografici
Blangiardo G. C., Gaiani G., Valditara G., Immigrazione. La grande farsa umanitaria, Aracne, Roma 2017
Farinella M., Nisticò V. (a cura di), Quaderno di Leonardo Sciascia, l’Ora, Nuova Editrice Meridionale, Palermo 1991
Steinbeck J., Furore, Bompiani, Milano 2013
Szymborska W., Vista con granello di sabbia, Adelphi, Milano 2007
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