di Luigi Lombardo
Chi non ricorda un famosissimo “Dialogo” leopardiano, precisamente quello Di un venditore d’almanacchi e di un Passeggere? Ne riporto l’attacco per quei pochi che non lo hanno letto:
«Venditore: Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano Signore almanacchi? Passeggere: Almanacchi per l’anno nuovo? Vend.: Sì, Signore; Pass.: Credete che sarà felice quest’anno nuovo? Vend.: Oh illustrissimo sì, certo; Pass.: Come quest’anno passato? Vend.: Più più assai. Pass.: Come quello di là?; Vend.: Più, più illustrissimo […]».Lo scambio di battute continua nei modi della filosofia leopardiana di assoluto pessimismo e sfiducia nella forza delle illusioni e delle convenzioni sociali. Dopo un dialogo serrato e stringente il venditore di almanacchi continua a vendere almanacchi, il “passeggere” Leopardi si allontana compiaciuto della sua stringente logica nichilista, ciascuno ritorna al proprio “modus vivendi”. A me è sembrato assai interessante il dialogo ai fini dell’illustrazione del concetto di tempo nella cultura popolare, e non solo, per il modo assolutamente geniale di contrapporre la forza della ragione a quella delle abitudini e convenzioni: la prima se soddisfa da una parte, dall’altra conduce alla scoperta del nulla, la seconda che consente di accettare e dominare la realtà cangiante, anche se fondata sull’illusorio e il consuetudinario.
La “misura” del tempo fu fra le prime scoperte dell’uomo, il risultato di una costante preoccupazione di domesticare il flusso inesorabile della vita. L’uso degli almanacchi, dei lunari e degli oroscopi ad inizio anno rispondeva ad un bisogno, oltre che di misurare il tempo, di stendere su di esso il velo della speranza, così che il tempo apparisse sub specie aeternitatis.
L’uso degli almanacchi, dei lunari, degli oroscopi e dei calendari venduti a inizio anno continua ai giorni nostri per quella forza che hanno le tradizioni di perpetuarsi per il fatto di dare soluzione alle altrimenti non risolvibili e stranianti domande sui quesiti fondamentali, fra cui si colloca quello davvero angosciante: Cos’è il tempo, quando è iniziato e quando finirà? Per dare una risposta a questo quesito (una risposta apparentemente non scientifica) è stato elaborato il concetto di tempo ciclico e di “Eterno ritorno” su cui si fonda la “filosofia” dei calendari e soprattutto dei lunari contadini.
Il tempo contadino, fondato sul ciclo della produzione agraria (naturalmente ritornante), con le sue alternanze di caldo e freddo con le sue stagioni e con il suo ciclo annuale eternamente ricominciante, è per eccellenza il tempo ciclico ritornante, eterno e indistruttibile, discreto e frazionato, esemplato sui ritmi naturali su cui si costruiscono tutti i mitologemi del “Mito dell’eterno ritorno”. Il calendario, come misura del tempo, si basa sul ciclo dell’anno, che nelle più antiche rappresentazioni è espresso dall’immagine del cerchio. Anno deriva etimologicamente dalla radice “an”, da cui viene annulus, cerchio, anello, e “annus”, cioè il nostro anno, che notoriamente si rappresentava attraverso l’immagine dell’uroboros, il serpente che si morde la coda, l’anello del tempo nel suo moto infinito e circolare.
«Il calendario – afferma J. Le Goff – dipende dal tempo cosmico, regolatore della durata che s’impone a tutte le società umane; ma queste lo recepiscono, lo misurano e lo trasformano in calendario secondo le loro strutture sociali e politiche, i loro sistemi economici e culturali, i loro strumenti scientifici e tecnologici». Dividere è dominare: come dividere lo spazio significa controllarlo e dominarlo, così il dominio del tempo (e starei per dire il “possesso”) è stato un appannaggio delle classi al potere, che oltre allo spazio hanno preso possesso molto presto del tempo. A tale dominio si contrappone il dominio esercitato sul tempo dall’ideologia contadina: al tempo che finisce (la “finis temporum” cristiana) si sostituisce il tempo che ritorna, che ricomincia ogni anno, dopo una breve e caotica sospensione rappresentata dal Capodanno coi suoi straordinari riti legati alla ripetizione della cosmogonia e al ritorno fondante dei morti (maschere carnevalesche).
Il dominio del tempo in questo contesto non si esercita più sulla società per il possesso degli strumenti di misurazione, ma è proiettato e si forma per dare risposta ad esigenze primarie della collettività, contro il pericolo delle carestie e della morte, contro il persistente pericolo di esaurimento del ciclo, per propiziare il ritorno del nuovo anno, e delle nuove crescite sulla terra.
Ed ecco i lunari medievali coi loro pronostici e i loro consigli, con gli oroscopi e lo studio delle costellazioni dello Zodiaco: concentrato di sapienza contadina, interessi didascalici, finalità religiose, produttive, sociali ecc. In essi confluisce il sapere della comunità: la meteorologia legata al lavoro, la paremiologia, il cuciniere, le più disparate curiosità. Il principio informatore è la “previsione del tempo”: nel lunario passato e futuro si presentificano in una straordinaria sintesi, che è il fondamento stesso di tutte le civiltà agrarie.
Col progredire delle scienze, con lo sviluppo della meteorologia come previsione esatta, gli almanacchi hanno ridotto di molto la loro presenza nella società contadina. Gli ultimi almanacchi si continuano a vendere a fine anno, pubblicati dalla gloriosa casa editrice “Editoriale Campi” di Foligno, erede del famoso Barbanera, il lunario dell’astronomo mago degli Appennini. Oltre al Barbanera diffusissimi in Sicilia erano alcuni lunari: fra cui ricordo L’Ape: Almamacco e calendario di Agricoltura per i comuni della Provincia di Siracusa, stampato a Noto dalla Tipografia di Andrea Norcia fin dal 1869, lo Almanacco generale del contadino siciliano coi pronostici, ricordi, ed utili aggiunte, pubblicato a Palermo dalla Tipografia Lao (l’edizione in mio possesso è datata 1836); in provincia di Ragusa si pubblicava fin dal 1900 dall’editore Vincenzo Criscione il Lunario astronomico del cittadino siciliano, rivolto non più ai contadini ma ai cittadini, «necessario a negozianti, proprietari e capitalisti, con l’elenco di fiere e mercati e delle feste religiose in provincia», come si legge nel frontespizio. Il più antico Lunario che posseggo è il Lunario e pronostico nuovo dell’anno 1705, pubblicato a Messina nella Stamperia dell’Arena.
Il fine didascalico di questa produzione è fin troppo chiaro, tanto che anche e pour cause in periodo fascista si mise mano ad una almanacco coll’intento di “educare il contadino” soprattutto meridionale. Il compito di redigere un tale almanacco propagandistico fu affidato al grande scrittore siciliano Francesco Lanza, sotto gli auspici della gloriosa “Associazione nazionale per il Mezzogiorno”: dispongo di una copia edita nel 1923, che porta la firma di Francesco Lanza e la dedica di questi nientemeno che a Luigi Sturzo. Il risultato è un’operetta che di per sé è un documento storico e anche testimonianza di un grande sforzo didascalico di un regime che cercò in tutti i modi il consenso, a costo anche di estorcerlo (ma questa è un’altra storia).
Anch’io mi sono cimentato alcuni anni fa (1996) con una sorta di Almanacco, e devo dire che il successo ha arriso a quel libro visto che delle 1000 copie stampate ne sono rimaste appena tre in mio possesso! Fascino e malìa del lunario!
Per concludere voglio ricordare i profumatissimi calendarietti dispensati dai barbieri fino a non molto tempo fa, certo non paragonabili ai Calendari odierni, ricchi di ammiccanti quanto irraggiungibili “bambole” di carta. Ma prima mi piace citare quanto Antonino Cusumano più di venti anni fa scriveva, chiosando l’Almanacco, di cui ho detto:
«Il dominio del tempo è tema storico ed esistenziale che intride e attraversa le culture di tutte le società umane. La realtà magmatica e sfuggente identificata nel flusso casuale e ininterrotto degli eventi si piega alla varietà delle forme di organizzazione e di articolazione che gli uomini hanno elaborato allo scopo di domesticare l’universo in cui vivono. La plasmazione del tempo in sequenze calendariali risponde al duplice bisogno di protezione e di progettazione su cui si fondano le ragioni stesse dell’identità individuale e collettiva».
Già, la progettazione, quella che manca alle società odierne, quella articolazione della mente che apre le strade al futuro, così come facevano nel loro piccolo gli antichi e moderni almanacchi.
Dialoghi Mediterranei, n. 31, maggio 2018
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Luigi Lombardo, già direttore della Biblioteca comunale di Buccheri (SR), ha insegnato nella Facoltà di Scienze della Formazione presso l’Università di Catania. Nel 1971 ha collaborato alla nascita della Casa Museo, dove, dopo la morte di A. Uccello, ha organizzato diverse mostre etnografiche. Alterna la ricerca storico-archivistica a quella etno-antropologica con particolare riferimento alle tradizioni popolari dell’area iblea. È autore di diverse pubblicazioni. Le sue ultime ricerche sono orientate verso lo studio delle culture alimentari mediterranee.
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