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Il mio sguardo sugli uomini e sui luoghi dell’abbandono

 

Calabria 1975 (ph. Piermarini)

Calabria, 1975 (ph. Piermarini)

di Salvatore Piermarini [*]

Sono nato nel 1949 ad Ascoli Piceno. Ho sempre guardato le figure, fin da piccolo. Un’attività intensificata nei primi anni di scuola, quando si moltiplicarono le possibilità di guardarle. Ma già in famiglia questa particolare predilezione era favorita da alcune opportunità che si rivelarono importanti e premonitrici. Il fatto è che in casa, ogni settimana e ogni mese, si comperavano e arrivavano periodici come Tempo illustrato, L’Europeo, Epoca, Oggi, Storia Illustrata, Pirelli magazine, tutte riviste che venivano conservate o addirittura rilegate in volumi annuali. Su quelle pagine passavo ore e ore a guardare le figure; anche dopo aver imparato a leggere, le didascalie e gli articoli scritti mi sembravano un accessorio.

Le fotografie erano la mia lettura preferita e mi piaceva il bianco e nero nonostante l’assenza di colore.  Guardavo di tutto, dal fotoreportage sociale alle foto di cronaca, dallo sport illustrato alle pubblicità e alle prime immagini glamour. Inconsapevolmente esercitavo il mio occhio vorace sulle migliori corrispondenze fotografiche che quei giornali andavano pubblicando con sempre maggiore successo, dai reportage dei fotografi americani di Life a quelli del piccolo gruppo di Magnum, dagli italiani di Publifoto a quelli della scuola dell’immediato dopoguerra. I soggetti e gli argomenti trattati, fossero essi grandi viaggi o eventi storici, curiosità popolari, fatti tragici o di costume, mi inchiodavano a guardare e riguardare.

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Castelluccio di Norcia, piano di pascolo, 1988 (ph. Piermarini)

Quella fu la mia vera, unica e precoce scuola di fotografia.  Anche per le figure del Cinema fu amore a prima vista, grazie a mio nonno Alberto che ogni pomeriggio mi portava con sé trasformandomi in uno strano e involontario cinefilo in erba. Cominciai prestissimo, già in età prescolare, ben felice di partecipare con lui a quelle spedizioni nelle sale cinematografiche e di sedermi in quelle poltroncine di legno: sapevo di essere l’unico bambino presente tra gli adulti alla proiezione del primo spettacolo. Ogni volta era il regalo luminoso ed eccitante di una nuova avventura,  alla scoperta di spericolate inquadrature e di entusiasmanti movimenti di macchina, conditi di musica, dialoghi e intrecci di storie.

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Sardegna, 1977 (ph. Piermarini)

Non avevo preferenze ma a catturarmi erano sempre il bianco e nero e le sue atmosfere grigie, i contrasti abbaglianti e le ombre profonde.  Ma questa del Cinema è un’altra storia di formazione. Per tornare alla fotografia, ricordo bene la meraviglia della prima volta che misi il naso nel pozzetto di una Rolleiflex che mio zio portava sempre al collo quando veniva a trovarci. Dentro quel mirino quadrato vidi il primo, luminosissimo, paesaggio fotografico; non mi fu permesso di scattare la foto ma verificai quanto difficile e importante fosse “tenere” l’inquadratura.

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Calabria, 1974 (ph. Piermarini)

Approdo alla fotografia nel 1966, la promuovo a mio linguaggio d’elezione e comincio a studiarne la storia, i maestri e la disciplina. Da allora realizzo centinaia di reportage sul lavoro dell’uomo, sul mondo dell’arte e della cultura, sui luoghi della metropoli, sul ritratto, sulla fotografia di viaggio, di architettura, di paesaggio.

Il mio fotografo guida è stato Ugo Mulas, lui che viene sempre e solo ricordato come il fotografo degli artisti. La verità è che Ugo era un fotografo totale, capace di raccontare con chiarezza e partecipazione le storie più diverse,  dalla Milano dell’immediato dopoguerra con le sue periferie e i suoi personaggi, ai viaggi in Sicilia e Calabria tra contadini e pastori, dai reportage su Mosca, Danimarca e New York, fin negli studi dei più importanti pittori del Novecento. Il suo esempio è stato quello di passare dall’architettura al ritratto, dalla pubblicità alla moda con il medesimo rigore che applicava ai temi dell’impegno sociale e civile, non perdendo mai di di vista la sua ricerca sull’immagine del reale e sulla realtà dell’immagine fotografica.

Emigranti, Fiumicino, 1968 (ph. Piermarini).

Emigranti, Fiumicino, 1968 (ph. Piermarini)

Studiare la storia della fotografia significa confrontarsi con i suoi maestri, i più diversi per linguaggio e ricerca. Questo ha aiutato a trovare il mio sguardo, a scegliere alcuni punti di riferimento che con il tempo si sono consolidati: la prima fotografia sociale americana, quella umanistica europea, la New Photography statunitense dei Robert Frank, Gary Winogrand, Lee Friedlander, Diane Arbus… Ma, davvero, l’elenco sarebbe lungo e ci porterebbe a varcare confini lontani in tutti i continenti.

Sullo-Stretto-1981-ph.-Piermarini.

Sullo Stretto, 1981 (ph. Piermarini)

La mia fotografia è stata una passione molto più che una professione, non sono mai stato un foto-giornalista, solo in rare e mirate occasioni ho risposto a incarichi e committenze. Una disciplina coltivata attraverso i codici visivi e ripercorrendo ogni volta il loro linguaggio, un percorso di formazione spontaneo e autodidatta che ha permesso di confrontarmi con la realtà, nel rapporto con l’uomo, il paesaggio, il mondo dei paesi e delle metropoli. Insomma sono stato un fotografo volontario, curioso, onnivoro, investigatore e dialogante.

Scilla, 1982 (ph. Piermarini).

Scilla, 1982 (ph. Piermarini)

L’incontro con il mondo degli operai e dei contadini consentiva una sorta di visione umile e un’osservazione diretta, utilizzavo il ritratto come presenza condivisa anche al cospetto di luoghi abbandonati, disabitati, dove l’antropizzazione declinava nel corso degli anni. Non ero e non sono alla ricerca di zone esotiche, ma di evidenze emarginate e silenziose con storie nascoste, minime o anche gloriose: una fascinazione declinata nella rappresentazione minuta della scena, dal totale al particolare.

 Parigi, 1971 (ph. Piermarini)

Parigi, 1971 (ph. Piermarini)

Porto Marghera, acciaierie, cantieri metropolitani, Sardegna, pastori e Supramonte di Orgosolo, Calabria, Sicilia, Lucania, contadini e pastori e pescatori, religiosità e tradizioni popolari, aree industriali, architettura del Novecento e del nuovo millennio, periferie urbane, baraccopoli, zone di confine e frontiera, terreni vacui, terre vaghe e incolte, metropoli europee e nordamericane, emigrazione e migranti. Lo spirito del reportage di viaggio e d’incontro mi ha accompagnato anche nella scena dell’arte contemporanea, della letteratura, della cultura, alla ricerca di molti dei loro protagonisti. L’incontro era cercato e voluto, a volte casuale e fortuito, potremmo ribattezzarlo come la fortuna che premia l’avanguardia del fotografo.

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Roma, 1969 (ph. Piermarini)

È vero che la fotografia ha bisogno di un’etica di osservazione, che declina la vocazione del fotografo nella missione speciale di far vedere senza edulcorare. La “mission” fotografica si traduce nel reportage,  che è in grado di raccontare l’incontro con l’istantanea, il ritratto e la sequenza spazio-temporale del mondo intra-visto nel mirino. Quando si parte per campagne fotografiche vicine e lontane, la borsa è colma di pellicole e fotocamere ma anche di un pensiero visivo consapevole e rispettoso. Solo in quel caso sarà possibile rientrare a casa con negativi sufficientemente “impressionati”.

Tornando agli esordi, piano piano ho compreso che la misura della fotografia era studio dell’immagine e pratica dell’inquadratura: niente di tecnicistico – le regole meccaniche sono poche e si mandano a memoria con la manualità delle proprie macchine d’elezione – ma ogni attenzione dedicata allo sguardo, un rigore quasi monastico per concentrarsi sull’analisi della realtà.

Toronto, 1990 (ph. Piermarini)

Toronto, 1990 (ph. Piermarini)

La coscienza della visione per documentare e rappresentare, con uno strumento meccanico e assolutamente artigianale e di precisione, la lettura delle immagini incontrate e guardate.

La mia formazione nasceva dall’iconografia neorealista del dopoguerra, una tradizione di cui ero allievo e che avrei trasportato negli anni verso figure, scene e forme fotografiche del cosiddetto, odierno, nuovo realismo.

Il reportage su Melissa fu fondamentale e necessario come esperienza condivisa sul campo insieme a Pino De Angelis, Francesco Faeta e Marina Malabotti, una campagna fotografica “pilota” che mirava allo stato delle cose, degli uomini, delle donne e dei bambini di quel paese che conservava memoria e ferite delle lotte contadine per la terra e per il lavoro. Era il 1975 ma sembrava di essere negli anni cinquanta.

Melissa-Calabria-1976-ph.-Piermarini

Melissa, Calabria, 1976 (ph. Piermarini)

Il reportage realizzato insieme a Vito Teti sul suo paese, San Nicola da Crissa, che mi permise di entrare in una comunità fortemente segnata e dialogante con il tema dell’emigrazione in Canada. Il piccolo universo di qua e di là dell’oceano con forti legami con le tradizioni comunitatrie, religiose e folkloriche: il carnevale contadino, i rituali religiosi delle feste e dei lutti, la vita quotidiana immersa nel paesaggio suggestivo delle pre-Serre calabresi. Quel lavoro diventò Le strade di casa, un libro edito da Mazzotta nel lontano 1983, e una mostra che ha viaggiato molto in Italia e all’estero.

Arquata, 2018 ( Piermarini).

Arquata, 2018 (Piermarini)

I terremoti erano già nelle mie montagne appenniniche, retaggio, racconto e storia di luoghi, villaggi, paesi solitari, città e terre che da secoli ne avevano subìto i colpi. Non è stato un caso, ma quasi un istintivo tornare a faglie sismiche e macerie, fotografare L’Aquila dopo il flagello del 2009.

L’Aquila. Magnitudo zero (Quodlibet 2012) è il libro che raccoglie il repertorio fotografico che ho realizzato insieme a Pino De Angelis, Giampiero Duronio e Mauro Mattia, quattro letture di immagini diverse sui resti di una città colpita e disarticolata.

Oggi 2018, e durante lo sciame sismico che dal 2016 interessa ancora le zone montane tra i confini di Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo, continuo in solitaria a fotografare borghi e villaggi distrutti, già spopolati negli anni e ora rasati al suolo, come Arquata e Pescara del Tronto. La vita dei pochi abitanti e superstiti è sempre più isolata, lontana dai piccoli centri e dalla ricostruzione, nelle seriali casette a schiera di una provvisoria sopravvivenza.

Dialoghi Mediterranei, n.32, luglio 2018
[*] Il testo di queste riflessioni professionali e autobiografiche nasce da un dialogo per mail intrattenuto con Pietro Clemente.
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Salvatore Piermarini, fotografo da sempre su pellicola in bianco e nero, ha realizzato centinaia di reportage sui luoghi della metropoli, sul lavoro dell’uomo, sul mondo dell’arte e della cultura, sul ritratto, la fotografia di viaggio, di architettura e di paesaggio. Autore di numerosi libri, mostre personali e collettive, ha collaborato con prestigiose istituzioni culturali italiane e straniere.
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