di Paolo De Simonis
en abri
«Ma Pontito dov’è ?» si chiede retoricamente Alessandro Salvini, psicoterapeuta interazionista [1]: nei libri, a partire da quello di un celebre neurologo, ma anche a Pontito, ‘piccolo centro’ del Comune di Pescia a 750 m s.l.m. Uno dei suoi vicoli esibisce dal 2016 un «piccolo ritratto pitturato sullo sportello del contatore dell’acqua, fatto da Sara Caprini, – molto carino raffigura parte della Via dell’Aiannino e la Porta di Sopra» [2].
Rappresentazioni visive di Pontito erano già apparse in pubblico, dai primi anni ’80 del secolo scorso, a San Francisco: non in centro ma nella banlieue, parente per etimo tanto di ‘banale’ quanto di ‘abbandono’. In una piccola galleria d’arte aveva infatti iniziato a esporre le sue opere un pittore autodidatta che ritraeva perfettamente, a memoria, solo scorci diversi di Pontito: il paese dove era nato e cresciuto ma che non aveva più visto dal 1958. Lasciandolo aveva contribuito al suo abbandono e dipingendolo ossessivamente lo ha reso noto al mondo, scientifico e letterario.
Pontito ‘è’ dove vivono oggi i suoi circa cinquanta abitanti e come viene immaginato da ‘fuori’ e da ‘lontano’. Passa parola: «Pontito, il fascino del borgo abbandonato» [3]. «Sperduto entro la nuda cerchia dei monti, chiusi dalla Bastia, porta sull’infinito, più che vero sembra disegnato» [4]. «Capriolo sbranato dai lupi a Pontito. Cresce l’allarme» [5].
Ci si arriva, come pellegrini fascinati dal santuario, risalendo molti tornanti proprio per non trovare quasi nessuno meritandosi un luogo finalmente en abri.
la ranz de vaches
«Che meraviglia! Ma questa è la Svizzera Pesciatina!» [6]: Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi, economista e storico, non lo ha mai scritto ma molti scrittori, credibilmente ‘fingendo’, sostengono che l’abbia detto. I Sismondi arrivarono a Pescia nel 1795 per sfuggire alle persecuzioni che il nuovo governo rivoluzionario di Ginevra era in procinto di riservare alle famiglie patrizie. Jean Charles acquistò nella nuova patria la villa di Valchiusa, situata allo sbocco della valle del Pescia, per nostalgia della sua casa di campagna ginevrina, protetta dalle Alpi e aperta verso il Salève [7].
È agli svizzeri, d’altronde, che dobbiamo la nostalgia: diagnosticata come fenomeno patologico, e così per la prima volta nominata, nel 1688, dallo studente di Basilea Johannes Hofer nella sua tesi di laurea [8]. Pare che i mercenari elvetici mandati a combattere lontano da casa rimanessero rapiti e sconvolti dal rimpianto per i loro monti, fino ad ammalarsi gravemente, quando udivano una melodia usata dai mandriani per richiamare gli armenti: la ranz de vaches, da cui trassero ispirazione, per ottenere effetti di ‘colore locale’, vari importanti musicisti tra cui Rossini nell’ Ouverture del suo Guglielmo Tell [9].
‘Svizzera pesciatina’ è quindi un neologismo toponomastico prodotto dalla nostalgia di un immigrato e successivamente fatto proprio dalla cultura locale. Nelle Guide turistiche appare già in uso nella seconda metà dell’800: «Le alte montagne delle Pracchie di Pontito […] costituiscono il fondo di una delle vedute più pittoresche dei dintorni, che meritarono il nome di Svizzera di Pescia» [10]. Dal 900 in poi ‘Svizzera pesciatina’ si consolida e precisa come brand spendibile su più fronti: dalla candidatura [11] per il riconoscimento UNESCO di ‘paesaggio culturale’ Patrimonio dell’Umanità alla DOP del ‘fagiolo senza buccia di Sorana’.
Qualche passo indietro: nel 1792, quando Sismondi ancora studiava a Ginevra, Lazzaro Papi slargava il suo sguardo, nato e formato in Pontito, imbarcandosi a Livorno per aggregarsi in India, come medico, alle truppe coloniali di sua maestà britannica. Risale a dieci anni più tardi la sua ‘rimessa dell’emigrante’, di natura narrativa: «un saggio di osservazioni sopra la religione, le scienze, le arti, i costumi, gli usi, il governo e lo stato presente degl’ Indiani» [12].
Papi importava resoconti speziati mentre esportavano il ricordo visivo del loro paese i tanti migranti economici di Pontito. «Da qui partivano gli uomini per la Maremma, sicché ancora si sente, all’alpeggio, quel malinconico canto di donna» [13] che nella seconda metà del secolo scorso, diffuso su vinile da Caterina Bueno, si è poi saldamente insediato tra le eccellenze del canone folklorico di cui conviene rivendicare la proprietà: non meglio precisati «esperti hanno accertato che la canzone, arcinota, “Maremma amara”, è nata a Pontito, tra la gente che era costretta a percorrere, quasi sempre a piedi, la via Maremmana» [14].
A Pontito, come in altre zone montane della vicina Lucchesia, si producevano statuine in gesso della cui distribuzione itinerante si facevano letteralmente carico gli stessi produttori: «con in capo la tavola della loro fragile merce a buon mercato e una dozzina di forme nel loro picciol bagaglio percorrono ogni angolo dei due mondi» [15].
Nella prima metà dell’ 800 andò sedimentandosi nello scenario urbano di Londra la tipizzazione di una «small army of ‘Italian Boys’ who bilance –on their heads – dozens of figurines on slender boards. These were the ‘Italian Boys,’ sometime called ‘Image Boys’ or ‘Figurinai’» [16]. Ingrossavano le fila dell’armata italica e girovaga anche figure meno professionali: nel 1820 il “Times” segnalava che «il pubblico è da qualche tempo sempre più irritato dalla comparsa di alcuni ragazzi italiani con scimmie e topolini, che vagabondano per le strade sollecitando la compassione delle persone benevole» [17]. Tra questi Carlo Ferrari che, il 3 novembre 1831, venne ucciso da tre resurrectionists [18]: termine amaramente ironico per definire i malviventi che, ‘normalmente’ disseppellivano cadaveri per venderli alle Facoltà di Medicina. Ma ‘the fresher the body, the higher the price’ e capitava che al disseppellimento si preferisse l’assassinio, come appunto capitò al quattordicenne Ferrari che, attorno al mercato di Cover Garden, cercava di attirare spettatori esibendo topolini e tortore ammaestrate al grido di «Donnez un louis, signor».
Da Parigi hanno scritto a Pontito, nel 2015, vari immigrati di seconda generazione preoccupati dalla notizia dell’arrivo nel non più loro paese di una decina di immigrati africani: «siamo lontani di Pontito, e vorei sapere come va le cose con i profughi?? siamo un po’ preocupati ! si sono sempre ??? Scusati il mio Italiano, ma non lo mai studiato. lo scrive come mi viene».
Il Valleriana forum [19] ricostruisce puntualmente la filiera canonica della vicenda: dall’annuncio improvviso e temuto all’intervento di Casa Pound passando per assemblee e polemiche giornalistiche. «Di solito li mandano dove ritengono opportuno senza tenere conto del parere di nessun residente (già tutto deciso quanti e dove ) in Italia funziona così buona fortuna». «Come pensano possano trovarsi i virgulti stranieri iphone muniti in piccoli paesi montani dove i servizi scarseggiano e l’inverno sarà lungo e freddo?». «Ho avuto gli immigrati a cento metri da casa per mesi: non hanno mai creato un problemino vero. Solo chi lo voleva cercare per forza lo ha trovato». «Abbiamo avuto gli stessi problemi in Francia e soprattutto nella periferia di Parigi, i migranti vogliamo imporre le loro regole! Io dico solo una cosa, se solo uno di questi emigranti creano grandi problemi Pontito o le persone che vivono nel villaggio, ci sarà vendetta, è su!». «…penso a mio nonno Beppe e mia Nonna Lilia oramai scomparsi a come reagirebbero a vedere il loro paese natio ridotto così… Ora ci sarà da stare attenti a non disturbare le tradizioni altrui!». «per i profughi, si tu a novita, si vano via, fa mi sapere! ma sicuro che arriverano altri !».
tornanti
‘Tornare’, in lingua toscana, significa anche ‘cambiare’: ‘tornar di casa’, ‘tornar di podere’. Perché la parola nasconde, in radice e metafora, il movimento del tornio responsabile dello slittamento di ‘girare’ in ‘cambiare’: dai danteschi «lieti onor» che «tornaro in tristi lutti» [20] agli zoccoli di Gadda «tornati in ciabatte, tant’eran frusti» [21]. Per Daniel Fabre, ogni autobiografia è un ‘racconto di conversioni’ ritmato da eventi separatori: «tournants qui font que l’individualité se recompose» [22].
Tanti allora, in questo senso, i tornanti percorsi da Franco Magnani attorno a Pontito: dove è nato nel 1934, entro una forma di vita tradizionale anche nel doversi cercare il pane altrove. Come fece suo padre, per qualche anno in America ma poi, per nostalgia, tornato al paese dove morì, per un incidente, nel 1942. Tre anni dopo la guerra in casa. ‘Pontito’ divenne nome di battaglia del comandante partigiano Manrico Ducceschi [23] e il paese fu devastato e saccheggiato dai tedeschi: immagini di ‘com’era prima’ iniziarono a fissarsi, trovandovi spazio e ragione, nella mente di Franco. Alle ferite della guerra si aggiunsero subito dopo quelle, non meno epocali, di un nuovo sviluppo che sembrava toglier completamente senso ai piccoli centri: il futuro abitava altrove e per incontrarlo occorreva muoversi, lasciare il paese ormai «disteso come un vecchio abbandonato» [24].
Franco, senza dimenticarlo, andò a Lucca per studiare e a Montepulciano per imparare invano il mestiere di falegname. Scelse allora di farsi cuoco, prima trasferendosi a Rapallo e infine imbarcandosi su di una nave da crociera. I conti con la memoria li aveva impostati scrivendo una sua autobiografia che lanciò in acqua poco prima di salpare: non era evidentemente la scrittura il mezzo migliore per gestire la sua angoscia di esule. Pendolò qualche anno fra i Caraibi e l’Europa finché, nel 1965, gli parve di aver completamente saldato i debiti con il paese natale e decise di stabilirsi in America ‘tornando di casa’ a San Francisco. Cadde però, o pour cause, in uno stato mentale di grave disagio che l’obbligò al ricovero ospedaliero: aveva la mente invasa ogni momento da immagini straordinariamente nitide di Pontito. Non della sua gente ma del suo volto urbanistico che prese compulsivamente a raffigurare su tela riportandone «con precisione quasi fotografica ogni edificio, ogni strada e ogni singola pietra […] da lontano, da vicino, e da ogni angolatura possibile» [25]. Non aveva mai dipinto prima: il suo primo impegno a riguardo era stato un ritratto a matita, copiato da “Playboy”, di Ursula Andress che esce dal mare [26]. Eppure, pur non disponendo di precedenti formazioni o esperienze, fu eccellente l’esito formale dei suoi quadri dedicati a Pontito: come dimostrò il successo riscosso nel 1987 da una mostra organizzatagli, assieme ad un convegno sulla memoria, dall’”Exploratorium” di San Francisco, istituzione culturale soprattutto interessata a far convivere l’arte con la scienza.
La mostra si impresse tra l’altro nella sensibilità esule di Oliver Sacks che da Londra, dove era nato nel 1933, aveva dovuto fuggire dai bombardamenti tedeschi: subì poi maltrattamenti in collegio e a 18 anni si sentì ‘diviso’ dalla madre che, venuta a conoscenza della sua inclinazione gay, gli disse: «Tu sei un abominio. Vorrei che tu non fossi mai nato» [27]. Quattro anni dopo lavorò per alcuni mesi in un kibbutz israeliano e dopo la laurea in medicina lasciò in Inghilterra la famiglia per trasferirsi oltre oceano, negli USA, dove divenne celebre come neurologo e ancor più come scrittore delle sue esperienze cliniche: «Mi sento infatti medico e naturalista al tempo stesso; mi interessano in pari misura le malattie e le persone; e forse sono anche insieme, benché in modo insoddisfacente, un teorico e un drammaturgo, sono attratto dall’aspetto romanzesco non meno che da quello scientifico» [28]. Sachs poneva al centro dei suoi interessi quella irriducibilità dell’individuo avvertita come ostacolo dai suoi colleghi devoti alla durezza della scienza quantitativa. Il suo schema narrativo era molto antropologico: partiva attratto dall’esplorazione di alterità e bizzarrie del comportamento altrui che però, avvicinate e ascoltate, si rivelavano specchi individuali di una comune umanità che lo riportava a casa. Anche Franco Magnani non era per lui solo un ‘caso’ da aggiungere alla quadreria degli ipermnesici sofferenti: magari nei pressi di quel Solomon Veniaminovitch Cherechevski che, reso celebre dagli studi di Alexandre Luria [29], Borges aveva eletto ad antigrafo del suo Funès el memorioso.
Sacks entrò nella casa di Magnani, a San Francisco, «come un cercatore di uomini e di umane dimenticate istorie, che al tempo stesso spia e controlla la sua propria umanità» [30]: così notificando al mondo nome e cognome dell’autore di un’impresa personale grandiosa, altrimenti destinata al silenzio o ridotta a compulsività operativa causata da malattia encefalica. Su scala internazionale segnalò Magnani nel 1989, a Firenze, durante un importante convegno dedicato alla memoria cui parteciparono, tra gli altri, Paolo Rossi, Umberto Eco, Gerald Edelman. C’era anche Israel Rosenfield, che nell’intervento di Sacks sul pittore di Pontito vide «un caso clinico interessante, ma di scarsa rilevanza scientifica [perché] con gli aneddoti non si fa scienza» [31]. Sacks sapeva sicuramente trarne anche best seller dovunque tradotti e più volte ristampati: quanto già accaduto con L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello [32] e Risvegli [33] trovò conferma, nel 1995, con Il paesaggio dei suoi sogni, uno dei Sette racconti paradossali assemblati in Un antropologo su Marte. A Sachs la divulgazione non pareva diminutio. Si dichiarava felice «di aver saputo scrivere decine di libri e di aver ricevuto innumerevoli lettere da amici, colleghi e lettori. Di aver goduto quella che Nathaniel Hawthorne aveva definito “una comunione col mondo”» [34].
L’incontro con Magnani deve la sua profondità anche a questa facilità di relazione e di scrittura che favorisce la messa a fuoco dei ‘dettagli primari’. Sacks ricorda che, a dieci anni, davanti alle rovine della sua casa e del paese, Magnani «disse alla madre: “La ricostruirò; ricreerò Pontito per te”. E infatti, quando dipinse il suo primo quadro (che raffigurava la casa dov’era nato), lo mandò alla madre: in un certo senso, era il suo modo di mantenere la promessa fattale quel giorno» [35]. Un frame che inquadra bene la vicenda del pittore della memoria. Quel patto, stipulato con la madre e con il paese, costituisce un impegno solenne prossimo alla religiosità. È in gioco una purezza originaria da preservare conservare ‘com’era e dov’era’ in termini di ripetizione liturgica integralista, di restauro che considera blasfema ogni variante: la maniacalità del riprodurre esattamente la Pontito di prima della guerra. Il rito compromette inoltre il corpo in forme cenestetiche: deve orientarlo «girandosi a destra per immaginare quel che si trova sulla destra della scena di Pontito [e] le sue apparizioni non sono solo visive. Franco sente le campane della chiesa suonare (“Come se fossi lì”); può toccare il muro del cimitero e, soprattutto, percepisce l’odore di quel che vede: la fragranza dell’edera sul muro della chiesa» [36].
I quadri che dipinge sono altrettanti cartelloni di cantastorie cui si appoggia, in presenza di pubblico, la sua narrazione orale quasi drammaturgica. Perché la fedeltà al vero di Franco è di natura artistica e, come si sa, nell’arte «bisogna scegliere. Una cosa non può essere nello stesso tempo vera e verosimile» [37]. La riproduzione conservativa appena ricordata è un apparato liturgico che copre l’intensità del sentimento religioso. Anima le tele di Franco una tensione forte tra memoria-registrazione e memoria-invenzione. Tra memoria ipermnesiaca, mero accumulo di dati percettivi, e memoria proustiana dove «invece il passato è sempre un pezzo di tempo perduto, di vita sepolta, di infanzia. Non è un deposito di informazione, ma è un pezzo perduto di me stesso» [38]. Magnani e Pontito sono entrambi ‘ultimi testimoni’[39] di forme di vita ormai lontane dal presente e proprio per queste risignificate in valori dall’approccio patrimonializzante.
Anche Sacks, dopo esserci stato nel marzo 1989, finisce per soprattutto refertare di Pontito una immaginazione datata agli anni Trenta: «isolata, immutabile, ferma nella sua tradizione, Pontito era una sorta di cittadella che si opponeva al flusso del tempo e del cambiamento. La terra era fertile e gli abitanti laboriosi: fattorie e frutteti assicuravano loro il sostentamento senza lussi, ma al riparo dalla miseria» [40]. Sacks accenna inoltre alla presenza di peraltro inesistenti tombe etrusche e data a quella civiltà anche i terrazzamenti agricoli che hanno modellato le colline attorno al paese. Indubbiamente, qualunque siano state le sue fonti, Sacks sembra autore e vittima di un luogocomunismo superficiale, allocronico e stereotipo, che si prolunga nella presentificazione della ‘tradizione’: Caterina, sorella di Franco, gli imbandisce un «sontuoso pranzo toscano» costituito da formaggio, pane e vino, olive, pomodori conservati. Tra Omero, Spoerri [41] e la dieta mediterranea baciata dall’Unesco. Leggendo questa pagina mi sono sentito, in prima istanza, un tipico insider alquanto infastidito per l’incursione perpetrata nella sua intimità culturale dal tipico americano capace di leggerla solo attraverso le lenti leggere del turista lettore di siti e dépliant.
Il tornio della memoria girava anche quando a Pontito, nel 1990, ritornò per la prima volta Magnani. Il desiderio, se appagato, ‘torna’ in delusione come da Pessoa davanti alla sua Lisbona sognata da lontano: «Un’altra volta ti rivedo, ma, ahimè, non mi rivedo!» [42]. Sempre il solito l’errore: confondere il luogo con la propria giovinezza, sede della felicità che per Agostino si manifesta per recordationem: la proustiana ‘intermittance du coeur’. Intuendone l’esito amaro, Magnani ‘voleva e non voleva’ rivedere Pontito: infine volle, scoprendo che le misure del ricordo non ‘tornavano’ affatto una volta poste a confronto diretto con la realtà. Quel che vedeva si sovrapponeva a quel che aveva dipinto: doveva praticare un vero jonglage di sguardi per mantenere distinti i due livelli, corrispondenti a tornanti diversi del suo sé. Avvertiva peraltro di aver cumulato un tesoro memoriale il cui senso si sarebbe pienamente compiuto nel condividerlo con la comunità di Pontito. Da qui l’idea di un museo templum dove raccogliere ed esporre tutti i suoi quadri: un luogo di memoria della sua memoria di Pontito che aveva sempre concepito come un ‘insieme’ da non smembrare [43]. Il costo dell’idea lo indusse però a una prima negoziazione: prese a dipingere anche soggetti diversi da Pontito la cui vendita avrebbe finanziato il museo.
Ma non è andata così. Di fatto: il 6 giugno scorso appare nel “Valleriana Forum” una mail inviata da Magnani a Renato Papi: «Ho deciso di vendere le mie opere d’arte originali (pittura della memoria) attraverso il sito. Aggiungeremo le foto mentre procediamo. Posso pubblicizzare la vendita della mia pittura attraverso il tuo sito web? Non appena potrò vendere un dipinto, mi piacerebbe molto tornare a Pontito un’ultima volta prima di andare alla casa del Signore».
Oggi, comunque, Magnani si dimostra del tutto autonomo nella gestione dell’ e-commerce delle sue opere [44], proposte peraltro a prezzi molto alti: quelle fondative, espressioni della sua lunga fedeltà al paese natale, rappresentano soltanto ‘una’ delle voci di un articolato menu tematico che mette in verticale Colorado, Duck Pond, Fruit & Tie, Golden Gate Bridge, Kerry County Ireland, Landscape, Sacramento Delta. La home, a proposito del ‘tornare a casa’, si apre con un nudo di Ursula [Andress] in waterfall. Più sotto la memoria su tela della sua casa natale: un ‘one million dollar painting’.
«È qui che si vive…/Fanculo le Maldive!!!»
«Avendo scritto una poesia (su alcuni lavori necessari in paese) agli “Americani” suoi paesani a Pittsburgh (USA), questi risposero inviando una busta di dollari, su iniziativa del compagno Papi Bruno, e da questo felice fatto, il Beppinella fece scattare la sua Musa con questa poesia in risposta: […]. Sia benedetta la gente di Pontito/specialmente quelli di là dal mare,/m’han fatto tanto bene, io ve lo dico,/di tutti quanti mi vò ricordare» [45].
‘Beppinella’, glossa Renato Papi nel suo http://spazioinwind.libero.it/pontito/, era il soprannome di Giuseppe Braccini, deceduto nel 1952. Nel popolo web si incontra e si mostra una comunità locale eterogenea: composta da poche decine di residenti stabili ma arricchita, nei fine settimana e nelle vacanze estive, dalla pendolarità formata da immigrati di ritorno e da passaggi temporanei di turisti non solo italiani. Teste Tripadvisor: «Foto van Pescia: Small Mountain Town in Italy-Pontito». Ne risulta nuova declinazione di vari importanti aspetti relazionali (dall’opposizione centro/periferie alle modalità dei processi di identificazione) nonché la conferma di quanto segnalato dall’archivista Stefano Vitali: va formandosi un nuovo pubblico che nutre e frequenta siti dedicati e si dimostra «animato in genere dal desiderio di recuperare o coltivare memorie individuali, familiari, di gruppo, di riscoprire e valorizzare identità territoriali, o, più genericamente, di stabilire una qualche forma di rapporto con momenti e aspetti del passato sentiti come vicini e importanti, un rapporto il più possibile ‘diretto’ e immediato, non [o molto meno] filtrato dalle tradizionali figure dei mediatori di conoscenza storica: la scuola, gli storici professionali, i mass media»[46].
Lo spazioinwind.libero di Renato Papi si presenta ‘personale’ sia nello stile grafico che nella scelta di rappresentare Pontito tramite cinque temi, ognuno dotato di «short recapitulation in english language». Nei primi due scendono in campo gli eroi locali attraverso pertinenti riproduzioni di testi: il capitolo di Sacks [47] dedicato a Franco Magnani e una biografia [48] di Lazzaro Papi datata 1906. Le informazioni del terzo «sono state in parte tratte da “Domenica a Pontito”- Anno 1984 Etruria Editrice Via Porta al Borgo, 9 Pistoia» con «Aggiunte ed integrazioni a cura di: Renato Papi». Il quarto è un album fotografico promozionale dei valori del territorio, ambientali e storico-artistici.
Complessivamente, come si vede, emerge un’autonomia dagli ‘standard laureati’ che evoca abbastanza lo scarto creativo e resiliente della ‘scrittura popolare’ rispetto alla grammatica ufficiale. La pervasiva eterogeneità di fonti e stili potrà risultare un disinvolto «agglomerato indigesto» [49] per gli sguardi e gli stomaci della ‘casta’ ma corrisponde pienamente ad un ‘diritto di parola’, individuale e comunitario: tra l’altro più volte sancito, in apertura di terzo millennio, da importanti Convenzioni internazionali. Per l’Unesco, dal 2003, «il valore patrimoniale di un elemento (tangibile o intangibile) non è più stabilito dai detentori di un sapere tecnico-scientifico ma dal gruppo che lo produce o lo riproduce e in base a logiche e categorie emiche»[50].
Al ‘diritto di parola’ interno sarebbe bene corrispondesse dall’esterno un ‘dovere di lettura’ non superficiale. Un solo esempio: la riproduzione on line rende pubblici e gratuiti, a portata di click, testi rari, o comunque non di immediata disponibilità, individuando quindi, già di per sé, una pratica di servizio democratizzante. Nella scia poi di Pierre Menard: per quanto ‘identica’, ogni parola assume significati diversi in diversi contesti. Le parole di Sacks e le vicende di Lazzaro Papi non sono le stesse una volta sbarcate in http://spazioinwind.libero.it/pontito/.
Approccio analogo conviene adottare per il quinto tema al cui interno scorrono canti, leggende e novelle, filastrocche e indovinelli, tre modalità di Maggi di questua (Sacro, di Maria, Buffo). A Pontito, si direbbe, continua oggi quel che iniziò con le raccolte e le pubblicazioni che nell’800 hanno costruito il folklore e si continuò a produrre, con altri mezzi e fini, nel folk revival della seconda metà del 900. Ma in realtà, anche in questo caso, entro la continuità formale agiscono notevoli varianti.
Sono anzitutto cambiati i ruoli in commedia: i ‘ricercatori’, nelle due fasi storiche appena ricordate, appartenevano a livelli socio-culturali esterni ed alti rispetto ai loro ‘informatori’. Oggi invece figli e nipoti dei nonni informatori hanno pieno diritto di autonoma ricerca e cercano di esercitarlo con i mezzi a disposizione in loco, ossia in aree periferiche dove non sono arrivati quelli funzionanti nei laboratori centrali degli studi. Non ne derivano però, inevitabilmente, prodotti obsoleti perché omologati ai vecchi modelli: l’autonomia ha in sé, comunque, la volontà e capacità di reinterpretarli e deviarne. La cultura tradizionale da ricercare e valorizzare terminava, nei vecchi manuali, alle soglie della modernità: ‘a trattore escluso’ nel caso degli ambienti rurali. Il sito di Papi, diversamente, sposta in avanti i picchetti cronologici: la memoria di Pontito, da fissare e tramandare, ingloba il passato prossimo con una nostalgia che scomoda gli anni ’70 e temi che il senso comune non assegnerebbe alla ‘cultura popolare’.
Paolo Sgandurra «detto “Lucca” (artista poliedrico)» dedica una poesia «all’Unione Sportiva Calcio PONTITO. L’ho scritta esattamente il 24 Luglio del lontano 1976 e l’ho rivisitata oggi con aggiunte e correzioni». Tutto questo mentre sulla home scorre un floating banner erogante informazioni su orari dell’autobus, apertura dell’ambulatorio, annunci matrimoniali e di lavori pubblici, lutti e matrimoni, indicazioni per la raccolta dei funghi, orari della messa, apertura del Circolo ricreativo presso cui «sono disponibili le T Shirt di Pontito in tutti i colori».
Decisamente attuali, anche nella forma, si presentano altre due finestre web aperte sul territorio: il “Gruppo pubblico Amici di Pontito”, amministrato e moderato da Carla Pomaro e Graziano Zomini, e il succitato “Valleriana Forum”, di scala più ampia sostanzialmente coincidente con il territorio della Svizzera Pesciatina. Frequentandoli appare evidente come, per argomenti e partecipanti, si trovino con grande frequenza in connessione: tra loro e anche con il sito di Papi.
Molte indicazioni fornisce l’insieme delle immagini, fisse o dinamiche, in particolare relativamente al ‘volto del paese’. Dalla prevalente architettura vernacolare si estraggono gli elementi di maggior prestigio zoomando su tabernacoli e portali anche quattrocenteschi, stemmi gentilizi, architravi scolpiti. Domina una cura generale dell’ambiente legata al ruolo di ‘seconda casa’ svolto da vari edifici: «È una delle antiche case in pietra che hanno visto tante vite passare fra le loro mura ed ora, ristrutturata con attenzione ed amore dalla proprietaria, offre confort moderni inseriti in una ambientazione paesana: un giardino piccolo, ma completo di tavolo, sedie e barbecue, una pergola di kiwi e molte graziose decorazioni fra i fiori e le piante».
«Com’era una volta la chiesa di Pontito» è la didascalia che accompagna una vecchia cartolina ‘viaggiata’: postare immagini e documenti del ‘com’era’ è pratica ricorrente del già ricordato ‘fai da te” che in rete evolve in dialoghi e interrogazioni circa curiosità e indagini storiche. Il sapere vira in sfida sul riconoscimento di particolari qualificanti: «Qualcuno sa dove si trova questo passaggio?». A riguardo entra in gioco anche il confronto ieri/oggi introdotto da Magnani: «Metto una CHICCA, la foto originale della via del Grottesco e il quadro della stessa via, pitturato da FRANCO MAGNANI, PITTORE DELLA MEMORIA, EMIGRATO, IN AMERICA da oltre di 60 anni. Ha fatto diversi quadri, pensando al suo paese d’origine, solo con la memoria».
«PERCHE’ LE TRADIZIONI, NON VADINO A “SPARIRE” ….MAI !». Ben accolta la reinterpretazione vivificante dell’ ‘omo morto’, «probabilmente uno sconosciuto pellegrino che passava di qui, dove scorreva uno dei diverticoli della Francigena. È tradizione che chiunque passi di qui per rispetto del luogo aggiunga una pietra alla maceja, come viene chiamata qui, a perpetuo ricordo dell’uomo che fu trovato morto». Questo tumulo informale «aumentava vistosamente ogni anno in occasione delle rogazioni» ma durante la seconda guerra mondiale «molte pietre vennero usate per la costruzione di postazioni sulla Linea Gotica e la maceja calò vistosamente; di recente un gasdotto l’aveva fatta quasi sparire». Ai pellegrini si sono però sostituiti trekkers e bikers così che «da qualche tempo la maceja ha ricominciato a crescere».
Due variazioni, infine, sul tema dell’identificazione.
«Alla sagra del formaggio mangio e bevo in quantità, ma quel vino genuino la mia testa fa girar» è l’incipit di un poesia dedicata a tutti gli abitanti di Pontito da parte di chi «ha sposato una Pontita e che da più di cinquant’anni frequenta Pontito, che ha la seconda casa a Pontito, paga le tasse Tasi – Imu, per case e i terreni di Pontito, che paga la Comunità Montana e il Padule di Fucecchio, e chi più ne ha più ne metta, e che ama Pontito tanto quanto i Pontiti, e Lucca la sua città Natale. Viva Pontito».
Altra lirica di altro autore: «Son nostri i sentieri…/Nostra la vallata/Nostra la borgata!/Parlo di Pontito …/per noi un mito!!/È qui che si vive…/Fanculo le Maldive!!!».
Spesso i siti si incrociano con gli articoli di riviste e quotidiani locali, anche on line. Nel loro ‘colore’ informativo e riflessivo prevale il tema del futuro del paese, sospeso tra il fascino del sentirsi fuori dal mondo e il non saper immaginare un positivo futuro strategico.
«A Pontito non ci sono quasi più bambini, ma solo pensionati e lavoratori che sono tornati dall’America, dalla Germania, dalla Francia dal Belgio (ex minatori) ecc… a passare la vecchiaia nel loro paese natale» [51]. «Oggi Pontito è spopolato. Vi sono degli albanesi che tagliano legna e la rivendono con profitto. Vi è qualche pastore. Ma in estate tornano anche coloro che emigrarono negli Stati Uniti ed il paese fa un po’ di festa, si mangia polenta coi funghi e si rievocano quei tempi quando si cantavano i maggi e si facevano, affollate, le processioni dei Re Magi» [52].
Non manca la presenza gentrificante: «Giovanni Raffaelli, detto affettuosamente Giovannone, sa annusare l’arte come pochi [e in Pontito] ha comprato casa, la abita nei mesi caldi, vi porta moglie e figli e tanti bei mobili e quadri e tappeti e cose che strabiliano i visitatori, poiché hanno patina e suoni antichi di queste terre» [53].
dall’alto
«Guardi questo muro, qui: è proprio il punto in cui il prete mi colse mentre mi stavo arrampicando per saltare nel giardino dietro la chiesa. Mi inseguì per tutta la strada» [54]: Magnani, davanti a un suo quadro, parla con Sacks indicando il luogo esatto di un suo ricordo. Un punctum barthesiano, che «mi punge (ma anche mi ferisce, mi ghermisce)» [55] o, come l’Aleph, «uno dei punti dello spazio che contengono tutti i punti» [56].
Pittura e cartografia di storie di vita: le ‘mappe di comunità’, di scala parish ossia ‘parrocchiale’ (da paroikía ‘comunità di vicini’), prescindono dai confini amministrativi per invece privilegiare «l’arena più piccola in cui prende forma la vita sociale, il territorio per il quale provi affetto» [57].
Scienze ‘pittoresche’ venivano considerate storia e geografia dalle précieueses parigine [58]: ad una Carte de tendre [59] Madaleine de Scudèry assegnò nel 1654 il compito di topografare artisticamente l’itinerario affettivo di un suo romanzo, Clélie. La Carte «tracciava un paesaggio di emozioni [che] dava senso alla posizione degli affetti […]. Attraversare quel territorio significa immergersi nel flusso e riflusso di una psicogeografia personale e tuttavia sociale» [60].
Opera di Annette Messager, del 1988, è Le jardin du tendre, disegno e giardino reale percorso da sentieri «lungo i quali gli stati d’animo si manifestano in forma di siti e creature» [61]. E l’ensemble “Stylus Phantasticus” ha distillato arie barocche di corte e di cuore estraendone un concerto, presentato a Treviso il 18 maggio scorso [62], che ricalca esplicitamente i percorsi emozionali della Carte de Tendre.
Punti di vista: in senso proprio e sinestetico. Tra l’ottico e l’aptico [63]: dall’occhio che guarda all’occhio che tocca e coinvolge la fisicità dello spettatore. Quanto la visione ottica distanzia, per meglio distinguere, altrettanto la visione aptica avvicina: per continuamente negoziare la relazione oggetto/soggetto.
Magnani ha rappresentato Pontito anche con visioni dall’alto possibili solo per chi «non è fermo in una posizione o a una distanza definita, ma appare libero di vagare nello e intorno allo spazio»[64]. Come nel vedutismo ‘a volo d’uccello’ delle città, avviato nel 500, che «cercava di liberare la visione dalla fissità del punto di vista unico, mettendo fantasticamente in mobilità lo spazio visivo [e portando] sulla scena un’osservazione spaziale inventata che apriva la porta allo spazio narrativo» [65]. Roberto Innocenti, nelle sue tavole [66] dedicate a Pinocchio molto probabilmente ispirate al tessuto urbanistico dei paesi della Svizzera Pesciatina, ha rinnovato «antichi sistemi di rappresentazione (la prospettiva in verticale tardo-antica e bizantina, la prospettiva curva che si attribuisce all’età classica, la prospettiva ‘alla cavaliera’) [per] planare verso il centro focale dell’illustrazione che rende l’immagine immersiva, proiettando l’osservatore dentro l’avvenimento» [67].
Molto dall’alto volle rivedersi Sacks nell’agosto del 2013, quando si confessò pienamente consapevole della sua imminente uscita di scena: «Durante gli ultimi due giorni sono stato in grado di guardare alla mia vita come se la osservassi da un’altitudine, come una sorta di paesaggio, e con un profondo senso di connessione tra tutte le sue parti […] un paio di settimane fa ho scoperto di avere delle metastasi multiple nel fegato […] Sta a me decidere come vivere i mesi che mi rimangono. Devo vivere nel modo più ricco, profondo e produttivo possibile. […] sono stato un essere senziente e un animale pensante su questo meraviglioso pianeta. E anche solo questo è stato un enorme privilegio e un’avventura» [68]. Cinque anni prima aveva ricevuto in dono, per il suo compleanno, la dedica del suo nome ad un asteroide, Oliversacks 84928, situato fra Giove e Marte [69].
Pontito preservata per l’eternità nello spazio infinito: Magnani, in questo e in altri dipinti, ha cercato di difendere il paradiso del suo tempo perduto con un transfert nello spazio cosmico. Ashot Malakian, per scampare al genocidio perpetrato dal governo turco contro il popolo armeno, migrò da piccolo in Francia, assieme alla famiglia. Un giorno, passeggiando a Marsiglia in Rue de Paradis, sua madre si fermò davanti a una casa e gli disse: «Guarda: è un po’ come la nostra casa in Armenia. Nel giardino però mancano le rose, nel nostro erano dappertutto». Trent’anni dopo, divenuto regista di successo col nome di Henri Verneuil, comprò quella casa, colmò di rose il giardino e a sorpresa vi portò la madre. «Ashot, ma di chi è ora questa casa?». «È la tua, mamma» [70].
Amelia Donnini, bambina mezzadra, era nata sotto Poggio a Remole: un colle che la orientava e deludeva quando, dovendo ‘dare una mano’ a dei parenti, lo valicava per scendere sul versante opposto, a Molin del Piano. Laggiù, ogni tanto, ricercava e soffriva il suo orizzonte. «Se non ci fosse questo poggio vedrei casa mia»: diceva allora e narrò poi a suo figlio, che ora lo ripete scrivendo.
«Adunque tu, pittore, quando fai le montagne, fa’ che di colle in colle sempre le bassezze sieno più chiare che le altezze, e quanto vòi fare più lontana l’una dall’altra, fa’ le bassezze più chiare; e quanto più si leverà in alto, più mostrerà la verità della forma e del colore» [71].
Dialoghi Mediterranei, n.33, settembre 2018
Note
[1] A. Salvini, Oliver Sacks e il caso dell’uomo di Pontito, in “Scienze dell’interazione. Rivista di psicologia clinica e psicoterapia”, 1/2, 2015: 3-10: 13
[2] In https://www.facebook.com/groups/254631488011310/search/?query=contatore%20dell’acqua
[3] A. Lippi, in “Il Tirreno” del 3 ottobre 2013
[4] N. Andreini Galli, La grande Valdinievole. Dieci itinerari d’arte e turismo, Firenze, Vallecchi, 1970: 53
[5] M. Trivigno, in “Il Tirreno”, 20 settembre 2017
[6] M. Chiostri, Valchiusa racconta. Uno sguardo al passato, un fiorire di memorie, Pescia, Benedetti, 1988: 45
[7 Ivi: 54-55
[8] Cfr. A. Prete, Nostalgia. Storia di un sentimento, Milano, Cortina, 1992
[9] Cfr. <https://www.youtube.com/watch?v=YkOR7JNH4gA>
[10] C. Zolfanelli, V. Santini, Guida alle Alpi Apuane, Firenze, Barbera, 1874: 39
[11] Cfr. http://www.svizzera-pesciatina.it/it/sponsors-01c.asp
[12] L. Papi, Lettere sulle Indie Orientali, (1802), Lucca, Giusti, 1829, [pagina non numerata, come le altre della Prefazione]
[13] N. Andreini Galli,La grande Valdinievole. cit.: 53
[14] R. Cardellicchio, La maestra ignorata da Renato Fucini che le preferì il potere, in “Il Tirreno”, edizione di Empoli, 10 marzo 2013
[15] G. Strafforello et alii, La patria. Geografia dell’Italia, Torino, Unione tipografico-editrice, 1896: 48
[16] A. Rauch, “Italian Boys”. The Figurinai of Italy and London, 2017, in < http://webpages.uncc.edu/~arauch>
[17] Citato in L. Sponza, Gli italiani in Gran Bretagna: profilo storico, in “Altreitalie”, 30, 2005,: 4-22 : 5
[18] Il ‘caso’ è dettagliatamente ricostruito in S. Wise, The Italian Boy. Murder and Grave-Robbery in 1830s London , London, Pimlico, 2004
[19] Cfr. https://lasvizzerapesciatina.forumfree.it/
[20] Inf. 13, 69
[21] C. E. Gadda, La cognizione del dolore, (1963 ), Torino, Einaudi, 1987: 216
[22] D. Fabre, in Id., M. Massenzio, J. C. Schmitt, Autobiographie, histoire et fiction, in “L’Homme”, 195-196, 2010: 83-101: 94
[23] Cfr., tra l’altro, G. Petracchi, Al tempo che Berta filava: alleati e patrioti sulla Linea Gotica (1943-1945), Milano, Mursia, 1995: 18, 21 e 37
[24] da Che sarà, di J. Fontana, F. Migliacci, C. Pes, 1971
[25] O. Sacks, , Il paesaggio dei suoi sogni, in Id., Un antropologo su Marte, Milano, Adelphi, 1995: 215-257: 216
[26] Cfr. D. Fabre, Peindre la mémoire, in “L’Homme”, 175-176, 2005: 251-275: 259
[27] O. Sacks, Quel giorno di Shabbat in cui dissi a mio padre: “Sono gay”, in “La Repubblica” del 20 agosto 2015
[28] O. Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, (1985), Milano, Adelphi, 2008: 11
[29] Cfr. A. Luria, L’homme dont le monde volait en éclats, (1970), Paris, Le Seuil, 1995
[30] E. de Martino, Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni, (1953), in R. Brienza (a cura di), Mondo popolare e magia in Lucania, Roma-Matera, Basilicata editrice, 1975: 59
[31] A. Salvini, Oliver Sacks e il caso dell’uomo di Pontito, cit.: 6
[32] O. Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Milano, Adelphi, 1986
[33] O. Sacks, Risvegli (Awakenings, 1973), Milano, Adelphi, 1987
[34] In P. Mattavelli, L’inno alla vita di Oliver Sachs, in “Duerighe.com”, < https://www.2duerighe.com/arte/58286-linno-alla-vita-di-oliver-sacks.html>
[35] O. Sacks, Il paesaggio dei suoi sogni, cit.: 233
[36] Ivi: 225
[37] G. Braque, Cahier 1917-1955, Milano, Abscondita, 2002: 61
[38] R. De Monticelli, L’artista smarrito. Fantasia e conoscenza personale, < https://slideplayer.it/slide/200278/>
[39] Cfr., a riguardo, D. Fabre, Peindre la mémoire, cit.
[40] O. Sacks, Il paesaggio dei suoi sogni, cit.: 219
[41] Mi riferisco a D. Spoerri, Diario in cucina: isola di Simi, Grecia, 1967, Bra, Slow Food, 2000
[42] F. Pessoa, Lisbon Revisited (1923), in Poesie di Álvaro de Campos, Milano, Adelphi, 1993: 175
[43] D. Fabre, Peindre la mémoire, cit.: 269
[44] Cfr. < https://francomagnani.net/>
[45] Cfr. http://spazioinwind.libero.it/pontito/index.html
[46] S. Vitali, Memorie, genealogie, identità, in L. Giuva, Id., I. Zanni Rosiello, Il potere degli archivi. Usi del passato e difesa dei diritti nella società contemporanea, Milano, Bruno Mondadori, 2007,: 67-134: 92
[47] O. Sacks, Il paesaggio dei suoi sogni, cit.
[48] P. Pardini, Lazzaro Papi. Biografia, Lucca, Pardini Editore, 1906
[49] A. Gramsci, Quaderni dal carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975: 2312
[50] C. Bortolotto, Partecipazione e patrimonio culturale immateriale, in Identificazione partecipativa del patrimonio culturale immateriale, a cura di ASPACI, 2011: 9-73: 68, <http://www.echi-interreg.eu/assets/uploads/ identificazione_partecipativa_Patrimonio_Immateriale_dossier.pdf>.
[51] In < http://spazioinwind.libero.it/pontito/la%20storia%20di%20pontito.htm>
[52] A. Lippi, in “Il Tirreno” del 3 ottobre 2013
[53] Ivi
[54] O. Sacks, Il paesaggio dei suoi sogni, cit.: 216-217
[55] R. Barthes, La camera chiara, Torino, Einaudi, 1980: 28
[56] J. L. Borges, L’ Aleph, (1949), Milano, Feltrinelli, 1961:161
[57] S. Clifford, Il valore dei luoghi, in Id., M. Maggi, D. Murtas (a cura di), Genius loci. Perché, quando e come realizzare una mappa di comunità, Torino, Ires Piemonte, 2006: 1-11: 3
[58] Cfr. L. Rossi, Scoprire le carte. Riflessioni e novità in fatto di donne e cartografia, in Archivio per la storia delle donne, (a cura di A. Valerio), II, Napoli, D’Auria editore, 2005: 13-24: 14
[59] A riguardo ho particolarmente fatto riferimento a G. Bruno, Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema, (2002), Milano, Bruno Mondadori, 2006
[60] Ivi: 3
[61] Ivi: 212
[62] Cfr. < http://www.fbsr.it/agenda/la-carte-de-tendre/>
[63] Cfr. F. Marano, Camera etnografica: storie e teorie di antropologia visuale, Milano, Franco Angeli, 2007: 192
[64] G. Bruno, Atlante delle emozioni, cit.: 160
[65] Ibidem
[66] C. Collodi, Pinocchio: storia di un burattino, (1988), illustrato da R. Innocenti, Cornaredo, la Margherita, 2011
[67] M. Magnani, Quadri contemporanei, in Id., 3 scritti sull’illustrazione, a cura di P. Pallottino, Capriasca (Lugano), Pagine d’Arte, 2005: 45-69
[68] O. Sacks, Lettera al “New York Times” del 19 febbraio 2015, nella traduzione pubblicata su “Bergamo post” il 31 agosto 2015, <http://www.bergamopost.it/chi-e/formidabile-grazie-vita-oliver-sacks-malato-terminale/>
[69] M. Pirritano, Il ricordo di un maestro. Oliver Sacks: biografia e bibliografia, in “Scienze dell’interazione. Rivista di psicologia clinica e psicoterapia”, 1/2, 2015: 11-14, 12
[70] Dal film, del 1992, Quella strada chiamata paradiso (588 Rue Paradis), regia di Henri Verneuil
[71] Lionardo da Vinci, Trattato della pittura, Roma, Stamperia De Romanis, 1818: 97
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Paolo De Simonis, fiorentino, ha incontrato le storie degli altri lavorando nelle “150 ore”, per le pagine toscane de L’Unità e, da scardinato, insegnando Antropologia Culturale nelle Università di Pisa, Scutari e Firenze. Ha progettato e realizzato in Toscana mostre e musei DEA. Tra i suoi scritti: Fissazioni. Tempi e metodi nell’accogliere e conservare voci e immagini di Toscana (2007); Luoghi comuni e singolari. Fratture antropologiche nel paesaggio (2009); L’anno dei mezzadri: da esperienza toscana a legge nazionale fra istituzioni, memoria e futuro (2014); “Un progetto campato in aria”: cornici fiorentine attorno al primo museo di etnografia italiana, (2014).
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