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L’asino di fuoco. Segni e simboli di una maschera pirotecnica

 Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo).

Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo)

di  Mario Sarica  [*]

Il rassicurante ritorno stagionale delle “Madonne e dei Santi in festa”, spesso figure sacre fondative, e sempre tutelari delle comunità di origine rurale del territorio messinese, e siciliano in genere, disvelano un microcosmo animato da azioni cerimoniali e gesti rituali esemplari. 

Ed è proprio su questa scena festiva che si replica e si misura la fedeltà, sul piano individuale e collettivo, ai valori-guida della tradizione ereditata dai padri, sebbene ormai fortemente relativizzati, e in tanti casi a rischio di estinzione, perché immersi, in un contemporaneo sempre più convulso e fagocitante con i suoi modelli dominanti e vincenti.

Ormai ultimo avamposto della millenaria cultura di tradizione di origine agropastorale, per sempre perduta, perché “attratta” irresistibilmente dalle sirene mediatiche della modernità, la festa patronale,  nel rispetto di una schema rituale condiviso, offre ancora oggi, nonostante tutto, nelle singole scene cerimoniali, uno straordinario palinsesto di forme rappresentative diversificate e spesso esclusive, dagli spiccati caratteri distintivi identitari.

Il tempo della festa, si sa, è un tempo straordinario, un “tempo fuori dal tempo”, che prende il posto ciclicamente del “tempo ordinario profano”, ricolmo di segni e simboli di diversa provenienza culturale, attraverso i quali la comunità  riconosce se stessa, recuperando la memoria più remota del proprio essere al mondo, necessaria per costruire le cangianti e plurime identità del contemporaneo.

Nel nome della sua principale figura  mediatrice del Sacro, negli specifici titoli mariani o di taumaturghi e santi martiri, si riattivano le pratiche di culto e devozione dell’origine, spesso in relazione con eventi prodigiosi, consentendo così alla comunità di mettersi in scena, nel tentativo di ricucire gli strappi tra gli uomini e gli dèi, e recuperare quell’armonia perduta fra Terra e Cielo.

Osservare la festa nel suo svolgersi, nel tempo e nello spazio, animata quasi sempre da gesti di religiosità popolare riplasmati su nuovi bisogni e aspettative individuali e collettive, per lo più obbedienti agli orientamenti liturgici ed ecclesiastici della Madre Chiesa,  consente poi, come nella stratigrafia di uno scavo archeologico, di cogliere i diversi, e spesso,“arcaici” elementi costitutivi, rimandandoci, come in un gioco di specchi, ad un passato remoto, dunque ad un fondo  rituale di antica memoria, fino a rintracciare vere e propri calchi archetipici.

 Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo).

Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo)

E così, la “materia viva”, variamente combinata in codici rappresentativi coerenti e condivisibili, dà “corpo e anima” alla festa, oscillando fra la centralità del Sacro da riconoscere e celebrare e l’irruzione del profano, che assume diverse sembianze. Tutte forme materiali ed immateriali indispensabili per  alimentare l’economia dello spreco e dell’eccesso voluto dal Sacro, sancendo di fatto una temporanea pace fra uomini, Madonne e Santi. Un ritorno ab origine ci conduce agli elementi naturali primigenei, quali il fuoco e i suoni, variamente connotati, con la loro straordinaria energia vitale, carica simbolica e forza rituale.

Ed è proprio attraverso questo sentiero di osservazione  che giungiamo sulla scena cerimoniale festiva de U sceccu pacciu. La storia che ci racconta questa singolare maschera pirotecnica è per certi versi affabulante e di grande interesse sul versante della ricerca demoetnoantropologica, e non solo, dal momento che rimanda ad una più ampia cornice storica di lungo periodo, lambendo diversi territori del sapere, fra “alto” e “basso”, con  un coinvolgente “effetto domino”, per quanto concerne l’ampia griglia interpretativa che innesca le tante produzioni di “senso” e connessioni di significato. 

 Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo).

Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo)

La ricorrenza di maschere pirotecniche in contesti festivi di area messinese, affini allo U sceccu pacciu di Gallodoro, che attivano sostanzialmente  forme narrativo-drammaturgiche analoghe, con la variante in area urbana messinese di due maschere antagoniste, ovvero quella del cavadduzzu e l’omu sabbaggiu e quella singolare del camiddu e l’omo sabbaggiu, con esplicito riferimento alla cacciata degli arabi dalla Sicilia da parte del Gran Conte Ruggero, ci consente di delimitare il “regno” di questa singolare performance di festa di fuoco, da rubricare nel catalogo degli spettacoli popolari a tema profano, attestati da sempre e in ogni latitudine dentro la “scena sacra”, entro i confini dell’area peloritana sul versante jonico, con isolate presenze in area nebroidea.

È verosimile che tali maschere pirotecniche, unite costituzionalmente al suono e al ballo, si siano irradiate dalla città di Messina, da sempre polo esemplare per quanto concerne la spettacolare messa in scena di apparati festivi in chiave pirotecnica, con chiari riferimenti al grandioso teatro barocco, dovute ai Castiddari messinesi. Si tratta di veri e propri specialisti nell’arte del fuoco e degli apparati effimeri di festa, che probabilmente attinsero alla cultura spagnola, dal momento che, ancora oggi, spettacoli popolari con al centro figure di fuoco sono attestati in area catalana, oltre che nell’isola di Malta, e oltreoceano, nei paesi del Centro-America di cultura ispanica.

Fuori dalle mura cittadine messinesi, più esattamente sul versante jonico dei Peloritani, in occasioni di diverse feste patronali, quale quelle di Alì, Nizza, Casalvecchio, Savoca (frazione Rina) e Gallodoro, dunque,  si attesta la maschera pirotecnica singola del quadrupede, che assume le sembianze di un asino recalcitrante, pacciu per l’appunto, aggressivo e trasgressivo, affidato alle cure di un conduttore, ovvero u burdunaru, che durante la performance perde il controllo dell’animale. L’asino sorprende la platea, chiassosa ed eccitata, divertita e partecipe, con azioni repentine, che liberano dal dorso lingue di fuoco scatenando il fuggi fuggi generale. Un Asino di fuoco, dunque, irrompe sulla scena festiva di Gallodoro, con il suo straordinario carico di simboli e segni storici, provenienti da aree remote della storia culturale umana.

Materia prima necessaria alla messa in scena dell’esemplare maschera di Gallodoro, il fuoco, innanzi tutto, primo elemento naturale ad essere addomesticato dall’uomo, decisivo sull’evoluzione degli ominidi. Dalla natura temibile ed ambivalente, unito alla luce e al calore, il fuoco, che si lega indissolubilmente, alla terra, all’acqua, all’aria, necessari a tutte le forme e creature vitali, è stato “sottratto” dall’uomo alla natura, protetto e custodito, come dono degli dèi, diventando così oggetto di culto e anche strumento di potere e controllo sociale.

 Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo).

Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo)

Il fuoco, riconosciuto come origine della vita, nella lenta elaborazione del pensiero simbolico, necessario a dare senso all’avventura umana sulla terra, diventa pertanto una delle chiavi di volta nelle antiche cosmogonie. E ciò, per dare senso alla “insensatezza” del mondo, ponendo il fuoco al centro di pratiche propiziatore arcaiche, e, poi, in coincidenza con la rivoluzione agricola del neolitico, come tema di fecondità e fertilità correlato alla luce e al calore del sole, nel susseguirsi delle cicliche e confortanti scadenze agricole, in accordo con i corsi e ricorsi astronomici.

E di cultura in cultura, il fuoco dalla natura duale, purificatoria e distruttiva, penetra anche nell’intimo delle religioni rivelate, a cominciare da quella cristiana, con funzioni rituali riconosciute ancora oggi, soprattutto nell’aree solstiziali, passaggi critici stagionali, replicando cosi gesti rituali antichi con nuove funzioni. Penso, per restare in ambito messinese, ad esempio, ai fuochi cerimoniali di molto feste, come quelle dell’Immacolata, di S. Antonio Abate, di San Sebastiano, di San Teodoro, e ancora ai fuochi della Notte di Natale e quella di San Giovanni.

Il fuoco oltre la maschera pirotecnica, disegna, poi, i “fondali” della festa, nella forma delle luminarie e dei giochi pirotecnici, unendo alla luce i suoni, fonti energetiche e vitali, da sempre indispensabili alla vita, legando cosi assieme forme materiali e  immateriali, reale e immaginario, passato e presente, per una messa in scena di un “Mondo nuovo”, quello incontaminato delle origini,  per ritrovare, magari, inconsapevolmente l’armonia perduta, sanando, se sarà mai possibile, le ferite del cosmo inferte dall’uomo.

Al fuoco, agente di relazione tra il microcosmo e il macrocosmo, dunque ci si affida per trasfigurare in una creatura immaginifica e fantasmagorica, dai profili selvatici, l’umile e familiare asino, fedele compagno di lavoro quotidiano del contadino. Uno di casa, u sceccu, e non è un modo dire, dal momento che ha sempre fatto parte a pieni titoli della famiglia “allargata” rurale, certo dal carattere spesso difficile, un po’ testardo, ma alla fine affidabile.

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Mosaico d’età romana, V sec. d. C., part. (Palazzo imperiale di Istanbul)

Dalla voce inconfondibile, attento osservatore, l’Asino, suo malgrado, ha presto imparato a conoscere l’uomo, i suoi vizi, le sue virtù, fino a diventare, come in una seduta psicanalitica, lo specchio impietoso delle meschinità dell’uomo, non dimenticando di essere, comunque, fieramente asino. In fondo i due, uomo e asino, si sono influenzati caratterialmente a vicenda, e hanno fatto assieme un lungo cammino, fino all’altro ieri; poi, nel giro di una/due generazioni, in preda ai fumi della modernità, l’uomo, nonostante la millenaria fedeltà mostrata, l’ha ripudiato per sempre.

E così U sceccu pacciu di Gallodoro riacquistando nel fuoco la sua natura selvaggia, ha il suo giorno di gloria, proponendosi, nella dimensione immaginifica della festa, come l’alter ego del domestico, appunto il selvatico, che minaccia l’uomo, e da questi deve essere combattuto, neutralizzato ed alla fine dominato.

Su questo versante si conferma la vocazione innata dell’uomo alla lotta con le fiere selvatiche, con il “diverso”, da normalizzare, perché è lui, secondo un disegno aberrante, il padrone del mondo. Invece, più semplicemente, l’uomo è nel mondo, nel suo ordine naturale, che ha sempre scomposto, destrutturato, ricombinato, manomesso, saccheggiato, infinite volte in maniera delirante, fino alle macerie fumanti dei nostri giorni.

E così, per molti imprevedibilmente, ma io credo meritatamente, U sceccu pacciu di Gallodoro, oltre che come singolare ed esemplare scena popolare di fuoco, con una sua esclusiva azione drammaturgica di luci  e suoni e gesti, unica nel suo genere, entra di diritto nel nobile ed antico catalogo dove l’asino, per meriti speciali, è al centro di arcaici culti e storie memorabili.

L’Asino compare, così, anche nella mitologia, come quella egiziana come animale sacro a Seth, oltre che come simbolo ctonio. E su questo stretto sentiero cultuale giunge in Sicilia, dove lo ritroviamo a Capo Peloro in un recinto sacro (onubalam) caro ad Ippona, figlia di Nettuno e dea tutelare degli asini, filiazione di un culto, come ci fa sapere Alessandro Fumia, di una divinità femminile minore (una Iside sicula). E ancora, spulciando i cataloghi storici più antichi, ecco che ritroviamo l’Asino come espressione di regalità e saggezza per i popoli indoeuropei, mentre per gli Ittiti è cavalcatura di entità celeste. Altre indicazioni emergono dalle più antiche fonti storiche di origine orientali, dove  in groppa all’Asino osserviamo re e principi, confermando, così, i caratteri di una cavalcatura regale. E a tal proposito, anche le fonti bibliche, del Vecchio e Nuovo Testamento lo legano a funzioni nobili. Si pensi alla iconografia della Natività e poco più avanti alla Fuga in Egitto, o all’entrata di Gesù Cristo a Gerusalemme, la domenica delle Palme.

 Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo).

Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo)

Nell’ampio palinsesto interpretativo di lungo periodo, l’Asino incarna ambiguamente l’ignoranza e il sapere; più in particolare, nella narrativa, si sa, ha un posto di primissimo piano, a partire da quello d’oro di Apuleio, nella sua memorabile Metamorfosi, che riprende, secondo alcuni esegeti, il più antico racconto di Luciano di Samosata, dove si narra di un uomo che per magia assume le sembianze asinine. Per non parlare poi del Bestiario medievale, dove l’Asino la fa da padrone, continuando a rispecchiare, nel bene e nel male, le altezze e le bassezze dell’uomo.

Nell’immaginario popolare, di tradizione in tradizione, l’Asino diventa, così, l’incarnazione dell’uomo disonesto e pigro. È protagonista anche nella favolistica antica, a cominciare da quella di Esopo. Nelle arti figurative medievali, e nelle architetture romaniche, assume un carattere ambiguo, somma infatti le doti di mitezza e umiltà con quelle di ignoranza, di testardaggine e pigrizia, fino ad interpretare la deprecabile lascivia, dunque il piacere sessuale, e per questo è condannato senza mezzi termini dalla Chiesa, ma diventa sorprendentemente anche un suonatore d’arpa.

La cultura medievale  consegna dunque alla tradizione popolare, giunta fino a noi, un asino che è l’espressione plastica tra l’uomo carnale e quello spirituale, tra il pagano e il cristiano, tra l’ignorante e il colto, in quella perenne opposizione binaria fra i poli del bene e del male.

Per non parlare poi dell’ampia letteratura del Mondo alla Rovescia, dove  fra l’altro è l’Asino a condurre l’uomo nei campi sotto il peso del giogo per arare. Una bella rivincita. Per giungere a infine a Pinocchio, e asini discorrendo fino ai giorni nostri (il Ciuchino di Shrek).

 Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo).

Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo)

Tutto questo ci racconta, e tanto altro, U sceccu pacciu di Gallodoro, un animale che si emancipa e si ribella alle costrizioni ideologiche che l’uomo gli ha imposto, per esprimere a pieno la sua natura  libera, creativa, rispecchiando così, nel transfert collettivo dello spettacolo, fisicamente plastico, animato dalle fontane di fuoco che germinano dall’animale, l’immagine di un mondo prima del mondo, fatto di luci, colori e suoni, che dal caos primigenio plasmano il nuovo cosmos.

A riguardo della figura del conduttore, c’è da evidenziare che anche lui dall’umile condizione rurale  si trasfigura, nell’occasione, in un demiurgo, destinato a diventare tutt’uno con l’animale selvatico, regolandone  le azioni trasgressive, i contatti con la platea, nel registro anche della questua, nel segno dello spreco alimentare, dell’eccesso, dell’ostentazione della ricchezza tipica della festa, per poi lasciare completamente la scena all’animale il quale, liberando le sue energie vitalistiche, contagia la platea risvegliando istinti primordiali di fisicità, dai caratteri orgiastici.

A me pare proprio che tanti sono i messaggi che ci riserva U sceccu pacciu di Gallodoro, in grado di connetterci, come abbiamo visto, con un fondo mitologico, rituale e narrativo, di lungo periodo, attestando una sorprendente linea di continuità, sebbene flebile e ricolma di nuovi significati e funzioni; e per questo, basta avere nuovi e sensibili occhi, orecchie, cuore e mente per stabilire le giuste connessioni.

E sul versante della cronaca dello spettacolo, ci affidiamo ora alle puntuali note di prima mano di Salvatore Mosca, necessario prologo ad una più approfondita ricerca di carattere interdisciplinare, che va a mio avviso necessariamente avviata.

 «Ogni anno, per il 16 d’agosto, a chiusura dei solenni festeggiamenti in onore di Maria SS. Assunta e di San Rocco, si svolge nel piccolo paese di Gallodoro (Messina) la tanto attesa e ormai tradizionale esibizione di una caratteristica maschera, raffigurante un asino, denominata popolarmente Sceccu pacciu.

 Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo).

Gallodoro (ph. Enrico Puzzolo)

La rappresentazione dello Sceccu pacciu a Gallodoro ha origini imprecisate, e la mancanza di antiche testimonianze documentali rende arduo comprenderne l’origine e il suo significato. La maschera si caratterizza per una struttura realizzata in canne (per renderla leggera al trasporto) che funge da scheletro, rivestita da un involucro cartaceo, spesso decorato – dipende dalla creatività e abilità dell’autore – con tratti fisionomici del celebre quadrupede. La sagoma ludica così composta, viene da ultimo completata con la dotazione di una serie di fiaccole che, collegate l’una con l’altra, cingono la testa, il dorso e la coda e si concludono nelle ruote (cosiddette paccie) posteriori.

Proprio per quest’ultimo motivo, la maschera é interamente costruita e adibita con fiaccole dall’artigiano-fuochista, ossia dalla stessa persona che è incaricata di eseguire i giochi pirotecnici per la festa dell’Assunta.

Essa veniva in passato realizzata in loco, all’incirca nell’arco di una giornata, dal fuochista nella chiesa di San Sebastiano (adibita per l’occasione a bottega), ove era custodita fino a sera. Infatti, verso mezzanotte si radunavano i giovani davanti al sagrato della chiesa, alcuni di loro con strumenti musicali al seguito costituivano una piccola banda, che dapprima intratteneva i presenti con ballabili in attesa della fuoriuscita del protagonista, per poi “accompagnarlo” durante il breve tragitto (da piazza San Sebastiano percorreva la discesa da iancata) che lo separava dal luogo dell’esibizione (piazza S. Maria).

La maschera ospita al suo interno il conducente, cui si affianca una persona che, oltre a fungere da spalla, interpreta il ruolo di padrone dell’asino. Nel frattempo nella piazza principale del paese, gremita di persone in parte giunte per l’occasione, cresce tra ansie ed entusiasmo l’attesa per l’arrivo della maschera. La rappresentazione ludica si svolge in piazza, in genere, secondo i seguenti modi:

- entrata festante in piazza dello Sceccu condotto dal padrone, anticipato da un gruppo di baldanzosi ragazzi con fiaccole accese e “accompagnato” dal suono della piccola e improvvisata banda musicale;

- immerso tra la folla u sceccu inscena una sorta di pantomima con il padrone che lo conduce, il quale, vestito con abiti da contadino, detiene una bettola contenente paglia da servire, in modiche quantità, per “foraggiare” l’asino;

- con atteggiamento mansueto e accattivante u sceccu si dà a piccole danze eseguite magistralmente con giravolte, passi ritmati e ondulati;

- guidato dal padrone, la maschera passa tra i vari rivenditori ambulanti presenti per la festa, per chiedere la questua (consistente in prevalenza di calia) che puntualmente gli viene donata e conservata nella bettula del padrone;

- a un certo punto della rappresentazione giunge il momento tanto atteso quanto temuto, ovvero l’accensione della miccia dello sceccu da parte del padrone, nel giro di pochi secondi si trasforma da maschera simpatica e mansueta in una sagoma “impazzita” che sputa scintille galoppando e rincorrendo avanti e indietro i presenti, i quali scappano in tutte le direzioni, salvo coloro che impossibilitati a far ciò si riparano alla meno peggio dalla pioggia di scintille che li investe;

- con l’azionarsi delle ruote la maschera comincia a girare al centro della piazza come una sorta di fontana che spruzza scintille. L’esaurirsi di quest’ultime è il segno della morte dello sceccu, la sagoma viene deposta a terra tra applausi, foto ricordo con l’ormai innocua maschera, e il portatore, circondato da un nugolo di giovani ancora in stato d’eccitamento, viene issato in alto come un idolo. La rappresentazione ludica si conclude sotto il rintocco degli ultimi giochi d’artificio che illuminano il cielo con un guazzabuglio di colori».

          Dialoghi Mediterranei, n.33, settembre 2018
[*] Si ringraziano per le foto Enrico Puzzolo e per le preziose testimonianze e informazioni fornite Esterina Ardizzone, Antonia Carpita, Antonino Puzzolo detto u Agliu, Sebastiano Calì (conducente du sceccu pazzu per più di quarant’anni, oggi meritamente in pensione).
Riferimenti bibliografici
AA.VV.,  Almanaccu Siciliano 2016, Pungitopo Patti 2015;
Sergio Bonanzinga-Mario Sarica (a cura), Tempo di Carnevale, Intilla Messina 2003;
Antonino Buttitta, Dei segni e dei miti, Sellerio  Palermo 1996;
Ignazio E. Buttitta, Gli artifici del fuoco, in “Archivio Antropologico Mediterraneo”,  anno II, n.1-2, 1999: 173-206;
Ignazio E. Buttitta, Le fiamme dei santi. Usi rituali del fuoco in Sicilia, Meltemi Roma 1999;
Alessandro Fumia, Ganzirri nella storia, osservazioni archeologiche, in “Archivio Nisseno di Storia, Lettere, Arte e Società”, anno XI n.20 Gen./Lug. 2017.
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Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997).

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